1. L’offensiva conservatrice e liberista
1. Nel gennaio del 2003 l’importante quotidiano della
Confindustria “Il Sole 24 ore”, informava i suoi lettori che negli Stati
Uniti, nel cuore della superpotenza militare ed economica, c’era chi si
organizzava per avere un salario garantito.
Negli States c’è il più avanzato sviluppo del modello
capitalistico di produzione e della rivoluzione produttiva post-tayloristica
flessibile,
Possibile che negli Stati Uniti d’America, modello del
benessere, dove c’è sempre la possibilità di trovare un altro lavoro a
fronte di quello perduto, sorga il bisogno di organizzarsi per reclamare una
retribuzione garantita?
La situazione del mercato del lavoro evidenzia che la
condizione dei lavoratori americani non è né quella descritta dalle
statistiche di disoccupazione, nè quella rappresentata dai dati sulla continua
creazione di nuovi posti di lavoro.
Negli Stati Uniti i cittadini devono fare i conti con un
modello di flessibilità produttiva che li ha resi stabilmente precari. Questa
precarietà, associata ad una forte contrazione delle remunerazioni lavorative,
ha oggettivamente impoverito molti americani. Il rimedio? Lavorare molte più
ore, facendo straordinari. Lo spiegano bene alcuni enti di studio del Ministro
del Lavoro americano.
Gli Stati Uniti sono un paese ricchissimo eppure per i
lavoratori e per i giovani americani, le cose non vanno tanto bene.
Per le società avanzate che hanno vissuto e stanno vivendo l’attuale
rivoluzione scientifica ed informatica applicata alla produzione questo è un
tratto in comune, ovviamente con le dovute differenze.
2. In Europa si sta seguendo il modello produttivo
statunitense che generalizza il rapporto di lavoro precario. Allo stesso tempo
verifichiamo che il sistema dello Stato sociale ha subito dei cambiamenti, ma in
peggio. Le tutele sociali, per i padroni, sono considerate un costo
economicamente insostenibile che danneggiano il processo di accumulazione
capitalista in atto e il confronto con le altre aree economiche. Stiamo
assistendo a processi che toccano la stessa classe media. Negli Stati Uniti il
Welfare State è cominciato negli anni ‘30 ed è finito a metà degli anni ‘70.
Il paese simbolo delle “libertà”, di G. W. Bush che
promette una guerra preventiva lunga trent’anni a mezzo mondo, ha già saldato
il conto da oltre due decenni con ogni opposizione sociale interna col risultato
di ridurre il Welfare State a poca cosa.
In Europa la cancellazione sia dei diritti sociali sia del
ruolo dell’assistenza pubblica non è completa ma ogni giorno è sempre meno
quel che resta. Dall’arcinoto governo conservatore della Thatcher ad oggi, il
processo d’espropriazione dei diritti e delle garanzie sociali per i
lavoratori e pensionati europei non si è più fermato.
In Europa la copertura dello Stato sociale è stata ridotta
considerevolmente per “girare” la spesa a vantaggio di prestazioni private e
per garantire un adeguato flusso di risorse economiche ai settori privati e
finanziari.
Per far fronte ai cambiamenti geoeconomici e all’accresciuta
competizione globale intercapitalistica serviva ancora qualcosa cioè la guerra
che dal 1991 è entrata in scena prepotentemente. Si passa alla guerra
guerreggiata e preventiva. Qui c’è il segno della crisi della ricetta
liberista.
La resistenza alle politiche di concertazione e pseudo
riformiste nelle sue varie applicazioni, non poteva riuscire a fronteggiare l’armamentario
dispiegato dai sostenitori della cosidetta modernità.
3. Da diversi anni assistiamo all’iniqua distribuzione
della ricchezza prodotta, che è comunque cresciuta, e ad un approfondimento
della divaricazione del reddito tra le classi.
Le nuove èlites dirigenti che guidano le vecchie nazioni del
continente europeo, vogliono regolare fino in fondo il processo d’attacco allo
Stato sociale. Gli accordi di Maastricht rafforzano questo passaggio.
Va preso atto che nessuna forza politica che si dichiara di
sinistra, e che va per la maggiore nel nostro continente, propone adeguate
battaglie di difesa e rilancio dei diritti sociali e costituzionali.
A fronte di una destra forte ed attrezzata sul piano
culturale ed ideologico che va avanti spedita con i suoi programmi si
contrappone una sinistra miserevole che, smarrita la critica del sistema del
capitale, sa solo esprimere un riformismo graduale che dilaziona nel tempo le
politiche delle destre.
Questa politica remissiva ha trovato sponda nel movimento
sindacale europeo, quello con più peso specifico e che si è formato con la
rivoluzione tayloristica. Negli ultimi venti anni, ed in varie salse, è stata
proposta agli iscritti ed a tutti i lavoratori, un’unica politica: quella dei
sacrifici, della compatibilità e della moderazione salariale, la subordinazione
alle strategie aziendali dettate dal padronato. Tutto questo ha indebolito la
credibilità dei sindacati.
Crisi della rappresentanza politica e problema della
rappresentanza sociale sono due questioni che fanno da sfondo a tante questioni.
2. Le difficoltà del movimento e la proposta del reddito
4. L’attacco lanciato dai sostenitori del cosiddetto libero
mercato contro lavoratori e i cittadini, ha prodotto una risposta
internazionale, quella del Movimento “new-global”.
Tuttavia le esperienze che compongono questo movimento non
sono ancora riuscite a coniugare la critica (alle multinazionali, all’ingiustizia
redistributiva, alla guerra), con la lotta sulle questioni sociali e dei diritti
della costituzione materiale.
Non esiste ancora un’offensiva contro il padronato e la sua
politica all’altezza delle ricette liberiste e conservatrici.
Centrale è riprendere la battaglia sul lavoro e sullo Stato
sociale misurandosi su una scala europea. Centrale è il rifiuto del lavoro
precario. La liberazione dal lavoro precario non può però avvenire
senza una profonda modificazione della gestione e controllo dell’economia e
senza chiamare in causa lo stesso modo di produzione dominante.
Il processo di razionalizzazione del sistema produttivo
portato avanti dal capitale ha fatto un altro passaggio storico con l’introduzione
della produzione flessibile e post fordista.
La parola d’ordine del reddito garantito è quanto mai
adeguata e centrale. L’accusa di gradualismo politico (la riprova è che un
reddito minimo contro la disoccupazione esiste in Europa già in molti paesi) si
dimostra oramai senza fondamento.
Riguardo poi all’agire per il perseguimento di un tale
obiettivo ci s’imbatte anche nella posizione di chi sostiene che il reddito
deve dàrsi in modo universale senza se e senza ma. La rivendicazione del
Reddito Sociale Minimo viene lanciata sulla base di una constatazione: la
situazione concreta e determinata in cui si trova il movimento dei lavoratori
italiano ed europeo e il movimento d’emancipazione sociale più in generale.
La richiesta del Reddito Sociale Minimo è una rivendicazione
di un diritto generale. La proposta di legge non è rivoluzionaria. Dal punto di
vista politico è però uno strumento di leva per guadagnare spazi nell’attuale
situazione sociale e politica, dove lo squilibrio nei rapporti di forza tra il
movimento dei lavoratori ed i suoi oppositori è evidente.
Il lavoro precario, benchè non sia predominante, svolge una
funzione importantissima per condizionare il mercato del lavoro e ricattare i
soggetti che in esso si presentano; produce separatezza tra i soggetti chiamati
alla produzione dispiegandoli nel territorio.
La proposta del Reddito Sociale Minimo cerca di dare una
risposta a questo stato di cose (accanto ad esso occorre dispiegare altri
strumenti).
La proposta del Reddito Sociale Minimo riguarda anche disoccupati, pensionati
sociali e al minimo, studenti. Non è dunque di sicuro una semplice proposta
lavoristica. Reclama il diritto a vivere una vita dignitosa stabilendo una
soglia sotto la quale non si può scendere né trattare. Non c’è radicalità
in quest’approccio al reddito? [1].
L’esperienza ci ha insegnato che oltre al contenuto conta
ed è sempre decisivo il modo come si utilizza lo strumento messo in campo e
come si pratica l’obiettivo. Conta la politica che si mantiene viva intorno al
mezzo utilizzato. Abbiamo verificato che quando si lascia mano libera alle
burocrazie sindacali e politiche, ai sostenitori della stabilità dell’attuale
sistema economico di mercato sorgono problemi concreti per qualsiasi proposta.
Praticando nel modo sopra ricordato la rivendicazione del
reddito, è palmare che la polemica con il carattere più generale del reddito
di cittadinanza, attiene ad un approccio che non fa i conti con la concretezza
necessaria e con la realtà delle cose.
I limiti manifestati dall’opposizione sociale, dal
movimento dei lavoratori, dalle forze dell’emancipazione, alla lunga stagione
della modernità o post-modernità liberista, che sopra abbiamo richiamato, sono
davanti agli occhi di tutti.
Si può mettere da parte tutto questo quando si entra nel merito della
discussione di una battaglia per il diritto al Reddito Sociale Minimo?
Chi lavora al raggiungimento di questo progetto è convinto
che la democrazia si fonda sulla partecipazione. A tale diritto deve
corrispondere il diritto ad un Reddito Sociale garantito
3. Il percorso del Reddito Sociale Minimo (RSM)
5. La rivendicazione del reddito è uscita in Italia dal
novero degli slogan ed è diventato percorso concreto solo nel 1998. Da quell’anno,
si è messo nero su bianco e la proposta di legge d’iniziativa popolare,
quella del Reddito Sociale Minimo (RSM) che ha raccolto nel paese 63.000 firme a
suo sostegno, è stata presentata in Parlamento.
Nella presente legislatura, la proposta di legge del RSM è
stata rilanciata da P.Cento (Verdi) e C.Salvi(Ds) sostenuta e firmata da
numerosi parlamentari e senatori. Dal primitivo Comitato Promotore Nazionale sul
RSM, si è passati alla Rete Nazionale per il Reddito Sociale e i Diritti di cui
fanno parte associazioni di base, strutture politiche, realtà che vanno dal
sindacalismo di base, ai centri sociali, fino ai rappresentanti istituzionali
locali.
Il lungo lavoro messo in piedi ha permesso di arrivare, per
la prima volta in Italia, ad una manifestazione, che si è svolta il 22 novembre
del 2003 a Roma, per chiedere, al Parlamento una legge nazionale sul reddito
sociale.
La partecipazione, più di 30mila persone provenienti dal
Nord al Sud del paese, ha segnato e indicato che la strada è quella giusta.
L’appuntamento è stato con un percorso fatto d’assemblee,
riunioni, convegni, forum nazionali. Tutti questi passaggi hanno permesso di
mettere le cose sul piano fattuale, mentre il dibattito è cresciuto.
Si sono visti tanti disoccupati (hanno marciato insieme i
disoccupati napoletani e i disoccupati palermitani, quelli di Matera e d’altre
città), precari di vari ambiti pubblici e privati, lavoratori più garantiti,
giovani e studenti. È stato una giornata di lotta condivisa da figure diverse,
facendo le prove di un blocco sociale che può riconoscersi e che deve trovare
una sua ricomposizione. Così come è stata una grande giornata di lotta quella
del 1° Maggio a Milano contro ogni forma di precarietà del lavoro e del vivere
e per il Reddito per tutti/e, in cui la Rete per il Reddito e i Diritti ha
svolto un ruolo di primo piano.
Un pezzo di società ha avuto chiaro che occorreva scendere
in piazza e manifestare contro la gabbia della precarietà alla cui costruzione
ha dato il proprio contributo sia il Centro-destra sia il Centro-sinistra: dalla
legge Treu, fino alla legge Biagi.
A partire dal Novembre del 2003 la rivendicazione del reddito
ha fatto breccia in importanti lotte: da quelle degli autoferrotranvieri e
quelle dei lavoratori dell’Alitalia, dove il ricorso al lavoro precario e
scarsamente retribuito investe molti dipendenti.
La Rete ha, parallelamente all’iniziativa nazionale,
cominciato ad articolare nel territorio la battaglia per il reddito.
Di qui le proposte di leggi regionali (in Lombardia ed in
altre regioni si è gia partiti) incentrate sulla rivendicazione di un reddito
indiretto.
Con il Convegno nazionale: “R/esistenze precarie e Reddito
Sociale” tenutosi il 24 aprile 2004 a Napoli, anche questo promosso dalla
Rete, si è aperto il dibattito sulla questione dell’identità.
Il punto sull’identità va sviluppato perché riveste
grande importanza ai fini ricompositivi e delle stesse lotte del mondo del
precariato.
Sempre da Napoli è venuta poi l’indicazione di puntare
alla costruzione di una rete nazionale degli sportelli. Questi strumenti devono
diventare punti d’informazione, di difesa e aggregazione.
In autunno invece si prepara una nuova mobilitazione
nazionale per il reddito.
[1] La proposta del Reddito Sociale Minimo, ruota
su tre punti:1) la corresponsione di un reddito monetario pari a 8.000 euro
annui; 2) una remunerazione indiretta con sanità,contributi pensionistici e
trasporti gratuiti, tariffazione sociale per i servizi e la casa, accesso
gratuito alla formazione continua; 3) la disponibilità di risorse reperite
dalla tassazione del capitale, dal capitale finanziario e speculativo.
Leggi regionali punti.