Società dell’informazione, società dei servizi, o società del capitale? Il sindacato deve sciegliere
Guglielmo Carchedi
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1. Il capitalismo è sempre il capitalismo
Va di moda oggigiorno sostenere che il capitalismo è stato
rimpiazzato dalla ‘Società dell’Informazione’ o dalla ‘Società dei
Servizi’ e cioè da un sistema mondiale in cui i paesi sviluppati non
dipendono più dalla produzione materiale. Piuttosto, si dice, la loro attività
principale è il provvedere di servizi che, confusamente, includerebbero anche
la produzione della conoscenza, in maniera particolare le scienze naturali e le
tecniche che ne sono l’applicazione pratica. La produzione della ricchezza e
del valore sarebbero quindi da attribuire principalmente al settore dei servizi
nei paesi sviluppati. Ne segue che coloro che lavorano in questo settore
sarebbero la nuova classe operaia o la nuova classe media, a seconda delle
preferenze teoriche. Questa tesi è profondamente errata e altamente ideologica,
anche se nella sua confusione coglie alcuni elementi di novità.
Prima di tutto, il capitalismo è ancora capitalismo. La sua
essenza, la divisione tra i proprietari dei mezzi di produzione e coloro che non
hanno tale proprietà e quindi devono vendere la propria forza lavoro, rimane
immutata, anche se le forme assunte da queste relazioni di produzione, e quindi
delle due classi fondamentali, hanno subito grandi mutamenti. Ma tali mutamenti
sono proprio la conseguenze delle relazioni di produzione capitalista stesse.
Non solo sono tali relazioni rimaste immutate, ma anche la divisione tra
proprietari e non proprietari continua a crescere, come dimostrato dalla
libertà che ha il capitale di scorrazzare per il mondo e di assoggettare il
lavoro a vecchie e nuove forme di dominazione (per esempio, la disoccupazione
tecnologica, la dequalificazione delle mansioni, la flessibilità, i lavori a
tempo determinato, in nero, a chiamata, ecc.), dalla penetrazione del capitale
di aree precedentemente non assoggettate al suo dominio (la commodificazione di
attività precedentemente libere o dello stato) e dal crescente settore del
lavoro mentale (erroneamente chiamato intellettuale).
Contrariamente a quanto proposto dai sostenitori di nozioni
quali ‘La Nuova Economia’, o ‘La Società dell’ Informazione’ o la ‘Società
dei Servizi, che presumibilmente sarebbero basate sul potere e sulla creatività
del lavoro mentale, la stragrande maggioranza dei lavoratori mentali non sono
produttori indipendenti, liberi di creare teorie, scienze, tecniche ecc.
Piuttosto, essi sono soggetti al dominio del capitale. Più precisamente, sono i
capitalisti che decidono quale creazioni mentali devono essere prodotte dai
lavoratori mentali e i lavoratori mentali non solo devono produrre quanto loro
richiesto ma sono anche assoggettati al controllo e alla sorveglianza dei
capitalisti (o chi per loro) e quindi alle nuove e vecchie forme di dominazione
menzionate più sopra. Per esempio, il lavoro mentale, come quello materiale, è
assoggettato a continue ondate di innovazioni tecnologiche e ristrutturazioni
che, tendenzialmente, dequalificano le mansioni dei lavoratori mentali. Ciò è
molto distante dalla ‘realizzazione di se stessi attraverso il lavoro’, che
sarebbe una prerogativa del lavoro mmentale. La cosiddetta ‘Società dell’Informazione’,
o meglio detto questa nuova fase del capitalismo, è ben lontana dall’aver
reso obsolete le relazioni di produzione capitalistiche.
In secondo luogo, è vero che la produzione della conoscenza
è grandemente concentrata nei paesi sviluppati, o meglio detto imperialisti.
Più precisamente, sono i lavoratori mentali in questi paesi che producono la
conoscenze (specialmente le scienze naturali e tecniche) necessarie per il
capitale e sono i capitalisti in tali paesi che sono i beneficiari di tale
produzione. Tanto per fare un esempio, solo l’uno percento delle patenti sono
di proprietà di persone o ditte nel cosiddetto Terzo Mondo e, di questo uno
percento, 84% sono di proprietà di stranieri e meno del 5% sono realmente usate
per la produzione in quei paesi. Per di più, la produzione materiale non sta
sparendo, è viva e vegeta in questi paesi e, nella misura in cui è diminuita,
è diminuita nei paesi imperialisti perché è stata semplicemente trasferita
nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, o meglio detto paesi dipendenti dai
paesi imperialisti. a livello mondiale, la produzione materiale è ben lontana
dall’essere in via di sparizione. Contrariamente alla versione apologetica
della re-allocazione internazionale delle attività produttive, il trasferimento
di una parte della produzione materiale ai paesi dipendenti è un aspetto nuovo
e cruciale della dominazione di tali paesi da parte dei paesi imperialisti che
ritengono la produzione e applicazione delle conoscenze avanzate (specialmente
nell’area delle scienze naturali e tecniche). Ciò ha importanti conseguenze
per il lavoro mentale nei paesi imperialisti. I suoi settori meno qualificati
sono minacciati dalla re-allocazione internazionale e quindi da uno sfruttamento
crescente.
Per di più, data la grande concentrazione di attività
improduttive (in senso marxiano), finanziarie, e speculative nel settore dei ‘servizi’
nei paesi imperialisti, e data l’appropriazione di valore prodotto dai paesi
dominati da parte dei paesi imperialisti, la tesi della ‘Società dell’Informazione’
sottovaluta sia il valore prodotto dai paesi dominati e sopravaluta quello
prodotto dai paesi imperialisti. Tale tesi è quindi una razionalizzazione dell’imperialismo.
Inoltre, la crescita del settore dei ‘servizi’ e soprattutto della
produzione della conoscenza nei paesi imperialisti è stata sopravalutata da uno
sviluppo ulteriore della divisione sociale del lavoro. Alcune mansioni che erano
eseguite all’interno di processi di produzione materiale, come la pubblicità,
sono ora la attività specifica di ditte indipendenti. Statisticamente, una
categoria di attività classificate come industriali è ora definita come ‘servizi’.
Ma questo è un cambiamento statistico, non reale, economico.
Terzo, la tesi della ‘Società dell’Informazione o dei
Servizi’ si basa su una confusione dannosa, per lo meno dal punto di vista
della teoria del valore marxiana. La conoscenza e i ‘servizi’ sono in genere
raggruppati in una sola categoria non solo perché essi, presumibilmente, sono
entrambi immateriali ma anche perché, specialmente dopo le recenti ondate di
privatizzazioni dei servizi pubblici, sono prodotti come merci. Questa è una
confusione mistificatrice. Prima di tutto, la riduzione della produzione mentale
ad un ‘servizio’ e la considerazione di tale produzione come una attività
grandemente qualificata attraverso cui il produttore può realizzare se stesso/a
nascondono la Taylorizzazione di tali lavoratori [1].
In secondo luogo, sia il lavoro mentale che la ‘produzione di servizi’ sono
considerati essere produzione, anche se immateriale, e quindi produttori di
ricchezza e di valore. Ma essi sono produttori di valore solo in circostanze
specifiche e a certe condizioni. Quindi la produzione di valore nei paesi
imperialisti è altamente inflazionata e la presa ideologica di questa nuova
forma di imperialismo è rafforzata. Questo punto sarà sviluppato più sotto.
Dal punto di vista della teoria del valore, la categoria dei
‘servizi’ è sia spuria che altamente ideologica. Il suo contenuto
ideologico emerge vividamente specialmente quando è applicata al rapporto tra
capitale e lavoro. Nella sua versione ideologica, i capitalisti rendono un
servizio ai lavoratori mettendo i propri mezzi produzione a disposizione dei
lavoratori e i lavoratori rendono un servizio ai capitalisti mettendo la propria
forza lavoro a disposizione dei capitalisti. Lo sfruttamento è rimpiazzato
dallo scambio di ‘servizi’. Questo è il motivo per cui Marx dice che “un
servizio non è null’altro che un effetto utile di un valore d’uso, sia esso
di una merce o del lavoro. Ma qui ci interessa il valore di scambio [cioè la
produzione di valore, G.C.]”. Per quanto riguarda il suo carattere spurio, la
categoria dei ‘servizi’ comprende lavori specifici (sia mentali che
materiali) che sono per definizione differenti e non-omogenei. Passiamoli
rapidamente in rivista.
2. Il lavoro impiegato nelle imprese di servizi pubblici. Vi sono due
categorie
A1. Il lavoro per la fornitura di acqua, elettricità, gas,
ecc. Ricordiamo che per Marx il lavoro è produttivo di plus-valore se impiegato
dal capitale e se trasforma valori d’uso in nuovi valori d’uso. Dato che un
processo lavorativo è diviso in sotto-processi lavorativi (la divisione tecnica
del lavoro), lo stesso principio si applica a tutti questi sotto-processi. Se un
sotto-processo è parte della trasformazione di valori d’uso, esso è
produttivo di plus-valore. Per esempio, il trasporto delle merci è parte di
tale trasformazione perché senza di esso il valore d’uso di tali merci non
potrebbe essere tale (la merce non potrebbe essere consumata) nel luogo di
destinazione. Per questa stessa ragione, il valore d’uso dell’acqua, ecc.
non è pronto ad essere consumato, cioè non è stato completato, fino a quando
non è stato fornito nel luogo di consumo. La fornitura di acqua, gas,
elettricità, ecc. quindi è un esempio di produzione materiale e il
lavoro necessario per la fornitura di tali servizi è produttivo di plus-valore,
se fatto sotto relazioni di produzione capitalistiche [2].
A2. Il lavoro per la fornitura dei servizi postali, del
telefono, del telegrafo, ecc. è d’altra parte un esempio della trasmissione
di conoscenza. Tale conoscenza deve essere trasmessa al fine di realizzare il
suo valore d’uso. Questo è l’ultimo passo nella produzione mentale.
Il lavoro necessario per trasmettere quella conoscenza (da non confondersi con
la conoscenza stessa che deve essere trasmessa) produce plus-valore perché
questo è l’ultimo passo nella trasformazione della conoscenza (come valore d’uso)
se ciò accade sotto relazioni di produzione capitalistiche.
B. Il lavoro per la fornitura dei servizi sociali, per
esempio la previdenza sociale, la sanità, pensioni di anzianità, ma anche
spettacoli, avvenimenti culturali, ecc. Questo lavoro è (parte della)
produzione materiale per lo stesso motivo addotto da Marx per la manutenzione
dei macchinari. La manutenzione previene il deterioramento dei valori d’uso ed
è quindi equivalente alla loro produzione. La differenza è che in questo caso
la merce il cui valore d’uso è preservato è la forza lavoro nel suo insieme.
Di nuovo, la fornitura di tali servizi è produttrice di plus-valore se avviene
sotto relazioni di produzione capitalistica.
C. Il lavoro usato nel settore della finanza e della
speculazione, principalmente nelle banche e altre istituzioni finanziarie e nel
commercio. Si parla spesso in questo caso di produzione immateriale. Tuttavia
questo tipo di lavoro concerne la distribuzione di valore. Questo è lavoro
improduttivo.
D. Il lavoro dell’esercito (i mercenari) distrugge sia
direttamente (attraverso le guerre) che i valori d’uso. Quindi non può essere
né produttivo né improduttivo. Questo lavoro è ‘lavoro che distrugge valore’,
una categoria solo implicitamente presente nelle opere di Marx.
E. La polizia, e più generalmente i ‘servizi’ forniti
dall’apparato repressivo, sono esempi di quello che Marx ha chiamato ‘non-lavoro’,
cioè il lavoro di controllo e sorveglianza da lui analizzato all’interno del
processo di produzione capitalistico. Siccome la loro funzione è quella di
estrarre plus-valore, essi non possono produrre plus-valore. La differenza è
che la polizia, come impresa privata, ha quella funzione al di fuori del
processo produttivo. Tuttavia, la polizia è produttiva di plus-valore nella
misura in cui impedisce la distruzione di valori d’uso. Spesso queste due
funzioni contrapposte coesistono.
F. La raccolta delle tasse è un esempio di non-lavoro (vedi
il punto precedente), cioè la estorsione di plus-valore dalla classe
lavoratrice dopo che essa lo ha prodotto. Questo lavoro non deve essere confuso
con il susseguente lavoro attraverso cui il plus-valore estorto viene
ridistribuito, che è lavoro improduttivo.
G. Infine, il lavoro impiegato nella produzione della
conoscenza. Marx menziona solo due casi. La produzione di libri, lavori d’arte,
ecc. e l’insegnamento, e quindi per estensione i moderni sistemi educativi.
3. Il rifiuto della categoria servizi
Non vi è quindi un fattore unificante che ci permetta di
definire i ‘servizi’ come una categoria omogenea. Questa categoria è spuria
e quindi non può che ostacolare una analisi del capitalismo. Essa comprende
tutta una gamma di processi economici nel capitalismo e cioè:
1. processi di produzione di plus-valore basati sul
trasporto di beni materiali (caso A1) oppure sul trasporto (trasmissione) di
sapere (caso A2), oppure sulla preservazione della forza lavoro (caso B);
2. processi di ridistribuzione di plus-valore, cioè
processi improduttivi (caso C);
3. processi di distruzione di plus-valore basati sulla
distruzione di beni (valori d’uso) materiali (caso D);
4. processi di estrazione di plus-valore (casi E e F);
5. processi di produzione di sapere che possono essere
produzione, ridistribuzione, estrazione e distruzione di valore [3]..
Il rifiuto della categoria ‘servizi’ è solo il primo
passo verso lo sviluppo di una teoria della produzione immateriale e della
conoscenza che, a sua volta, è una condizione necessaria per un ulteriore
sviluppo della teoria del valore lavoro.
[1] La taylorizzazione, o meglio
detto la dequalificazione delle mansioni, è un movimento tendenziale. Alcune
mansioni sono dequalificate (la tendenza) ma allo stesso tempo nuove qualificate
mansioni possono essere create (la contro-tendenza). La vecchie mansioni sono
dequalificate fino a quando le capacità dei lavoratori sono incorporate nelle
macchine (le mansioni spariscono) e le nuove, qualificate, mansioni sono prima o
poi assoggettate allo stesso processo di dequalificazione. Una nuova ondata di
innovazioni tecnologiche ripete il processo sia di dequalificazione che di
creazione di attività (altamente) qualificate. Il dibattito sul processo
lavorativo che seguì la pubblicazione di Labor and Monopoly Capital di
Braverman, soffrì della sterile contrapposizione tra la tesi della
dequalificazione e quella della riqualificazione. Infatti, entrambi i movimenti
sono parte dello stesso processo. Questo stesso aspetto negativo caratterizza l’attuale
dibattito sulla distribuzione spaziale dei lavori qualificati in seguito alla
dislocazione di alcuni rami della produzione materiale nei paesi dipendenti.
[2] La questione se tali ‘servizi’
siano produttivi di plus-valore se forniti dallo Stato merita uno specifico
approfondimento.
[3] Questo tema
non deve essere approfondito