Il Papa sta veramente dalla parte degli oppressi contro il capitalismo selvaggio? La “crisi delle ideologie” e la strategia culturale della Chiesa cattolica
Alessandra Ciattini
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1. La cosiddetta crisi delle ideologie
Con questo breve intervento mi propongo di cogliere la
tendenza di fondo delle trasformazioni ideologiche e culturali del mondo
attuale, trascurando volutamente le molteplici sfumature e varianti.
Ben prima del dissolvimento del socialismo centro ed
est-europeo uno dei temi della lotta ideologica era rappresentato dalla
necessità della “deideologizzazione”, la quale aveva come obiettivo l’uso
ideologico e radicale delle scienze sociali nella società capitalistica.
Ricordo che il libro di Daniel Bell, esponente di primo piano della ricerca
futurologica nordamericana, “La fine dell’ideologia”, è del 1960.
Fautori di questa posizione filosofica, alimentata da due
tendenze contraddittorie (il relativismo per il quale non esistono verità forti
da affermare e da difendere, il ritorno al neutralismo positivista favorito dall’economia
neoliberale) sono stati studiosi come Edward Shils, Raymond Aron etc.
Richiamandosi alla maggiore problematicità della nozione scientifica di
verità, ma gettando il bambino con l’acqua sporca del bagno, questi autori
hanno condannato il dottrinarismo e il fanatismo delle diverse ideologie.
Tuttavia, non si sono resi conto - come si fece già notare all’epoca - che di
fatto la fine delle ideologie non è altro che ideologia, o anche è
semplicemente l’ideologia della fine, ossia la rinuncia alla coscienza
politica come fenomeno sociale (cfr. Arab-Ogly, 1977: 11). In questo senso non
è certamente un caso, che in tempi più recenti si è addirittura parlato di
fine della storia, una volta accettata la premessa che il capitalismo è una
forma di vita sociale eterna e non trasformabile.
Mi sembra che negli ultimi decenni, quasi per meccanismo
fisico, il cosiddetto vuoto ideologico creato dalla lotta (tutta ideologica)
contro le ideologie è stato riempito da due diversi sistemi, nel senso di
costruzioni intellettuali elaborate dagli uomini e non meccanicamente fondate
sulla natura delle cose, non sempre in sintonia tra loro, ma accomunati da una
prospettiva universalistica e imperiale di diverso segno.
Il primo è rappresentato dal cosiddetto “pensiero unico”,
che tende a presentare le ragioni e gli obiettivi economici come oggettivi,
inerenti allo stato stesso delle cose, dimenticando che politica ed economia
vanno di pari passo, che l’attività economica è frutto di valutazioni e di
scelte politiche appunto.
Non dobbiamo credere che il “pensiero unico” sia il
frutto spontaneo della riflessione di qualche studioso isolato. Come mostra
puntualmente Frances Stonor Saunders (2003) in particolar modo oggi ogni sistema
ideologico è il prodotto di un processo altamente organizzato, che necessita di
grandi investimenti, di personale altamente qualificato, ed infine di strumenti
che possano trasformare quanto elaborato dai grandi centri di ricerca (come l’Università
di Harvard) in ideologia quotidiana; ossia in credenze e pratiche comprensibili
ed accettabili dall’uomo comune.
Si possono ricavare interessanti indicazioni sul modo in cui
viene prodotta l’ideologia nei paesi capitalisti da un vecchio libro sovietico
(Arab-Ogly, 1977), che ho già citato, e che è sbalorditivo perché descrive
con precisione la trasformazione attuale della società a partire dai progetti
di cambiamento auspicati e messi in opera dai grandi centri nordamericani di
ricerca sociologica, legati al capitale transnazionale. Tali progetti sarebbero
stati una sorta di vaticini e di profezie che si sono “autorealizzate”, dal
momento che indicavano ciò che i centri di potere intendevano realizzare.
L’altro sistema ideologico, che è visibile e penetrante
come il primo, propone una visione etica e religiosa del mondo, lanciata dall’attuale
potentefice, il cui obiettivo sembra essere la cristianizzazione o
ricristianizzazione del pianeta (Editoriale, Limes, n. 1, 2000).
Mi propongo con questo scritto di illustrare brevemente
alcuni aspetti di questa seconda concezione del mondo, tentando di individuare
anche i rapporti tra questa visione, il pensiero neoliberale e il sistema
sociale da esso generato. Lo scopo di questo articolo è di valutare
realisticamente la politica della Chiesa cattolica, non molto chiara - mi pare -
nemmeno alla cosiddetta sinistra radicale per le recenti prese di posizione
della prima in favore della pace.
In primo luogo, per chiarire la mia posizione, voglio dire
che considero la religione un’ideologia, nel senso appunto di un prodotto
intellettuale umano, la quale pertanto non ha uno status privilegiato
rispetto agli sistemi di credenze (senso comune, scienza, filosofia etc.).
Certamente, presenta caratteristiche sue peculiari, che la distinguono dalle
altre forme di pensiero, su cui esiste una sterminata letteratura.
Devo aggiungere che, nel caso di tutte le ideologie comprese
quelle religiose, lo studioso deve distinguere sempre due dimensioni: la
dimensione esplicita, ossia quanto viene esplicitamente comunicato e sostenuto
pubblicamente dai sostenitori di un certo sistema di pensiero e di azione; la
dimensione implicita, meno evidente, talvolta in contraddizione con la prima,
che riguarda invece le prese di posizione effettive, le valutazioni e le
decisioni, i cui contenuti non sempre sono resi noti, le relazioni col potere
politico. Ossia, dobbiamo distinguere i materiali destinati agli iniziati dalla
merce ideologica di largo consumo (Arab-Ogly, 1977: 22).
È una cosa ovvia affermare che la Chiesa cattolica ha per
sua natura una prospettiva universale e millenaria, ma tale prospettiva ha
certamente registrato significativi cambiamenti nell’attuale fase segnata dall’egemonia
di una sola potenza e dall’estensione all’intero pianeta di un solo sistema
economico fortemente aggressivo.
La risposta della Chiesa a tali cambiamenti è stata quella
di rendersi più internazionale [1] e di non identificarsi
piattamente con il disegno egemonico degli Usa, elaborando una sua propria
visione originale, mirando da un lato a non entrare in conflitto con il mondo
islamico, dall’altro ad estendere la sua influenza nei territori di fede
ortodossa [2].
In un certo senso si potrebbe dire che, giacché diversamente
dal Medioevo oggi l’imperatore non è cattolico, il papa non può ridurlo a
più miti consigli, richiamandolo ai principi della fede cattolica; egli può
avere la supremazia su di lui solo mostrandosi del tutto svincolato dagli
interessi politici e muovendosi in difesa di valori etico-religiosi più forti
di quelli del suo antagonista, ai quali la stessa politica dovrebbe
sottomettersi. Il papa perciò pone questi ultimi al di sopra di tutto e li
considera il criterio per giudicare il comportamento umano in generale e le
decisioni dei politici in particolare.
In questo modo, in quanto espressione di valori
etico-religiosi, considerati eterni perché dettati dalla parola divina, il
messaggio del papa dovrebbe aver la supremazia su quello degli altri leader, e
la sua maggiore potenza dovrebbe stare proprio nel fatto che esso non è imposto
con la forza materiale, ma con l’autorevolezza dell’uomo carismatico,
rappresentante di Dio.
Se le cose stanno effettivamente così, abbiamo in un certo
senso due imperatori, il primo si muove nel dominio temporale in difesa di una
forma di civiltà, anche se ha i suoi ispiratori religiosi (i neoconservatori
protestanti), il secondo si muove invece sul piano etico-religioso, sviluppando
un discorso, che si dichiara diretto a tutti gli uomini, indipendentemente della
loro appartenenza culturale e politica.
Si tratterebbe di un nuovo spiritualismo (di facciata)
diverso da quella, corrente - appunto spiritualistica -, che in alcuni casi nel
passato ha cercato di rompere i forti legami sempre intrattenuti dalla Chiesa
cattolica col potere politico.
A questo proposito dobbiamo osservare una prima
contraddizione nel messaggio del pontefice. Infatti, se da un lato egli si
presenta come il difensore dei diritti degli uomini, in particolare dei poveri,
che popolano in maggioranza il Terzo Mondo, dall’altro proponendosi di
cristianizzare o ricristianizzare il mondo, in realtà (è questa la dimensione
implicita e meno evidente) intende diffondere una religione storicamente
determinata anche là dove questa religione non è mai stata accettata, anzi in
molti casi respinta.
In breve, presentandosi come il paladino dell’umanità
anche non occidentale, egli in realtà, in nome di valori che sono presentati
come eterni e astorici, ma sono invece frutto di una determinata tradizione
culturale, intende occidentalizzare in senso religioso i non cattolici e
riportare all’ovile quei cattolici occidentali, che se ne sono allontanati.
2. Valori e metafore
Ma quali sono questi valori etico-religiosi che ispirano i
discorsi e i documenti papali, e che in una certa forma sono anche depositati in
documenti fatti propri dalle Organizzazioni internazionali, come la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948)?
Vorrei soffermarmi solo su alcuni valori (nozioni di “persona
umana” e di “guerra giusta”), presenti nei discorsi del papa, e su un’espressione
metaforica da lui impiegata, perché contengono una certa visione della società
e dell’ordine internazionale, che è opportuno portare alla luce. In
particolare, per comprendere il messaggio del papa, penso sia utile soffermarsi
dapprima sulla nozione di “persona umana”, intesa come valore
imprescindibile.
Per andare avanti nell’analisi è necessaria una
chiarificazione. Secondo la tradizione cattolica, iniziata da Agostino e
sviluppata da Tommaso di Aquino, il mondo naturale e sociale è governato da
leggi eterne, che derivano direttamente da Dio. La legge naturale sarebbe,
invece, solo espressione del modo in cui la ragione umana riesce a cogliere,
nella sua limitatezza e imperfezione, la legge eterna. Le leggi positive degli
stati e le leggi internazioni sono accettabili solo nella misura in cui si
richiamano alla legge naturale, riflesso della legge eterna, riconoscendo in
questo caso la persona come soggetto di diritti.
È evidente che in questa prospettiva ogni ordinamento
giuridico e politico non ha nessuna validità e giustificazione in sé, ma è
valido e buono solo se non si contrappone alla legge divina. Naturalmente ciò
svaluta la cosiddetta città terrena, in nome della città celeste ed
attribuisce la supremazia spirituale al papa.
Un’ulteriore svalutazione della città terrena, elaborata
per contrastare l’idea teocratica per cui il potere politico deriverebbe da
Dio e sarebbe mediato dal papa, è la teoria tomistica, secondo cui il sovrano
riceve il potere dal popolo, mentre la Chiesa e le sue prerogative derivano
direttamente da Dio attraverso l’investitura di Pietro.
Dobbiamo aggiungere che nel diritto canonico, come nel
diritto in generale, la nozione di persona corrisponde a soggetto di diritti;
tuttavia, tale nozione è stata articolata dai documenti del Concilio Vaticano
II. In particolare il diritto canonico distingue tra i battezzati nella Chiesa
cattolica, che sono soggetti primari del suo ordinamento, e tra gli appartenenti
alle altre comunità cristiane, i quali possono esercitare i loro diritti a
seconda della relazione tra le loro Chiese e la Chiesa cattolica. Vi sono infine
i non battezzati (prima del Concilio erano definiti “infedeli”), che sono
soggetti secondari, perché devono essere evangelizzati ed essere così salvati
dal messaggio cristiano.
Anche se prima ho fatto riferimento alla Dichiarazione
universale dei diritti, non bisogna pensare che i diritti umani, di cui la
persona umana sarebbe il soggetto, siano intesi dal papa nella stessa maniera.
Seguendo quanto scrivevo prima sul modo di intendere la legge da parte della
filosofia scolastica, il papa concepisce i diritti dell’uomo come il
corollario dei diritti teologici e religiosi, e ritiene che la libertà
religiosa sia il fondamento di tutti gli altri diritti (Zizola, 1985: 212-13).
In questa prospettiva i diritti umani (diritto al lavoro,
alla salute, all’istruzione etc.) che solo il frutto di una lunga battaglia
per l’emancipazione tuttavia non conclusa, sono per così dire sbiaditi,
diventano insignificanti e secondari rispetto al diritto di praticare la propria
fede.
È importante ricostruire la struttura del ragionamento del
papa per valutarne le conseguenze etiche e politiche, che non mi pare - come
alcuni pretendono - portino all’affermazione di un umanesimo cattolico in una
società materialista e irreligiosa.
La persona umana e i suoi diritti sono pensati come entità
transtoriche, in questo senso “naturali”. In quanto entità transtoriche e
religiose, in quanto opera divina essi sono conosciuti da chi è è più vicino
a Dio e per questo può comunicarli meglio degli altri agli uomini. Ciò
corrisponde a quanto viene definito magistero della Chiesa.
Ne consegue che la nozione di “naturalità” e di
transtoricità di un evento storico non può essere scissa dalla nozione di
autorità, di dogmatismo, la quale è in evidente contraddizione con l’idea
affermatasi con la scienza moderna, secondo cui la conoscenza umana è il
prodotto dello scontro e della battaglia tra punti di vista diversi, giacché
nessuno di noi ha la prerogativa di aver disvelata dinanzi a sé la natura del
reale.
Se effettivamente così stanno le cose, alle incerte verità
delle ideologie è stata sostituita la pretesa verità assoluta, perché
religiosamente e ontologicamente fondata, proposta da un sistema sitematizzato
di credenze, che nei suoi duemila anni di storia non ha mutato il suo nucleo
ideologico fondamentale. L’esistenza di Dio è la garanzia che il mondo esiste
e che gli uomini siano in grado di coglierne la veracità.
Questa posizione non pare riconducibile all’umanesimo,
giacché essa pone al centro del mondo e della storia Dio e non l’uomo, il cui
compito è quello di recepire il messaggio divino e di cercare di metterlo in
pratica.
Un secondo tema su cui vorrei soffermarmi è rappresentato
dalla nozione metaforica di “famiglia umana”, spesso presente nei messaggi
papali. L’uso di questa metafora e il riferimento ai popoli, alle nazioni più
che agli Stati hanno un senso ben preciso, anche se non immediatamente evidente.
In primo luogo, l’interesse è volto a quelle realtà che appaiono come “naturali”,
anche se naturali non sono e che dovrebbero venire, nell’ottica scolastica
prima descritta, prima degli Stati, in quanto organismi costruiti
artificialmente.
Descrivere l’umanità con la metafora della famiglia vuol
dire mettere l’accento sull’idea che l’umanità sia un’entità omogenea,
all’interno della quale valgono esclusivamente le relazioni di parentela. In
termini logici con questo espediente retorico si produce l’estensione di una
proprietà (appartenere all’umanità per consanguineità) a una intera classe
di individui con una generalizzazione astrattiva, che non tiene conto delle
differenze empiriche della realtà (Violi, 1977: 88). Ossia, con questo
espediente retorico si considerano i diversi individui, facenti parte dell’umanità,
differenti per appartenenza sociale, storica, culturale, solo tenendo conto del
fatto che sono “imparentati” come i membri di una vera e propria famiglia.
Ho detto generalizzazione astrattiva, che finisce in genere
con l’essere arbitraria, perché essa cancella tutte le differenze empiriche
tra gli individui, i popoli, le etnie, non tiene conto del loro diverso accesso
alle risorse materiali e spirituali, della loro diversa relazione con i centri
internazionali di potere.
Ma bisogna aggiungere che l’uso di questo tropo retorico
più che a descrivere la situazione di fatto mira a suscitare la convinzione che
i membri della famiglia umana fanno tutti parte di una comunità, benevola e
compiacente come la famiglia. Si potrebbe dire che Wojtyla non ha letto Freud,
perché altrimenti avrebbe un’altra idea di famiglia, all’interno della
quale non mancano certo i conflitti, così come non mancano i conflitti e le
contraddizioni all’interno dell’attuale società contemporanea.
Scopo quindi della metafora, che però finisce con l’essere
intesa non come un’analogia ma come un’identificazione realistica, è quello
di suscitare coesione ed unità, offuscando tutte le ragioni per le quali nello
stato attuale esse non possono diventare realtà, a meno che non le scambiamo
con la sottomissione tacita ad una potenza egemone. In questo senso la pax
romana, come quella americana, producono coesione e unità.
Studiosi della Chiesa cattolica hanno parlato di
restaurazione e di un ritorno alla fase precedente il Concilio Vaticano II, a
proposito della visione e del comportamento politici dell’attuale pontefice e
del suo entourage, nel quale hanno ruolo importantissimo sia l’Opus Dei
sia la conservatrice Chiesa tedesca (Zizola, 1985).
Credo che la questione sia più complessa, e mi pare che in
entrambi i momenti la Chiesa cattolica - con strumenti diversi perché diverse
erano le circostanze storiche - abbia proposto una sua visione del mondo e della
società nella quale si è attribuita e si attribuisce un ruolo centrale. E
questo mi pare il punto nodale da comprendere se si vuole capire sin nei suoi
lati più oscuri l’istituzione ecclesiastica, la quale - come riconoscono
molti studiosi (Bennassar, 1994) - è stata l’ispiratrice della struttura
organizzativa dello Stato moderno ed utilizzando l’Inquisizione ha prefigurato
quel controllo sulle coscienze reso sistematico dallo stato totalitario.
Nell’attuale fase mi pare che la Chiesa cattolica voglia
giocare tale ruolo centrale presentandosi come la depositaria di un progetto
universale esplicitato dai discorsi papali, i quali sono diffusi utilizzando i
mass media, i viaggi, le grandi audience; strumenti di cui si avvalgono i leader
politici, ma anche l’industria culturale per far penetrare capillarmente i
suoi prodotti.
Un esempio di questo adattamento all’industria culturale
capitalistica è rappresentato dalla diffusione del film “La passione” di
Mel Gibson, sponsorizzata ufficialmente dalla Chiesa e che porterà nelle tasche
del suo autore circa due miliardi di dollari. Infatti, un suo importante
esponente, Padre Agostino di Noia sottosegretario della Congregazione per la
Dottrina della Fede, ha dichiarato che, dopo aver visto le immagini -
sconvolgenti e catturanti - rappresentate nella “Passione”, per i cattolici
l’esperienza della messa non sarà più la stessa (Erderly, 2004: 56). Secondo
Erderly scopo dell’opera di Gibson, appartenente al movimento tradizionalista
cattolico statunitense, che sta in buoni rapporti con i conservatori
protestanti, è il rilancio di un ecumenismo religioso e conservatore,
caratterizzato dal ritorno al Medioevo e dalla rivalutazione dell’esperienza
totalmente irrazionale del sacro.
3. L’antropologia cristiana
I caratteri fondamentali del progetto universale della Chiesa
li possiamo ricavare da un documento frutto di un’intesa siglata in Italia dal
Ministro dell’Istruzione Moratti e dal presidente della CEI cardinale Camillo
Ruini il 26 maggio 2004.
Tale intesa riguarda gli argomenti che dovranno essere
insegnati durante l’ora di religione agli studenti della scuola secondaria di
primo grado.
Ne citerò qualcuno per dare un’idea di cosa dovranno
studiare coloro che opteranno per l’insegnamento cattolico, tenendo conto del
fatto che nel nostro paese gli insegnanti di religione sono pagati dallo Stato,
ma sono scelti dal vescovo. Gli studenti dovranno non solo studiare, ma anche
essere capaci di utilizzare sul piano pratico ed etico temi come «la ricerca
umana e la rivelazione di Dio nella storia: il cristianesimo a confronto con l’ebraismo
e con le altre religioni», come «l’identità storica di Gesù, il
riconoscimento di lui come figlio di Dio», «l’insegnamento di Gesù come
via, verità e vita per l’umanità» (Montefiore, 2004: 13).
L’insieme di questi temi costituirebbe quanto viene
chiamato l’Antropologia cristiana, ossia il modo in cui la Chiesa cattolica si
rappresenta il mondo attuale, l’ordine sociale e internazionale, la storia, il
ruolo del uomo.
Se quanto ho detto in precedenza è corretto l’Antropologia
cristiana è attualmente l’altra ideologia che è in grado di sfidare il
pensiero neoliberale e le sue derivazioni nell’attuale società capitalistica
euroamericana, pur condividendo con il secondo alcuni temi importanti. Basti
citare l’Enciclica Laborem exercens (1981), nella quale Giovanni Paolo
II attacca l’organizzazione capitalistica produttiva per per la sua logica
materialistica ed economicistica, ma riconosce la legittimità della proprietà
privata dei mezzi di produzione, considerando corregibili gli eccessi del
capitalismo e accantonando il principio conciliare della destinazione universale
dei beni (Zizola, 1985: 146).
Negli altri continenti la situazione è più complessa e la
Chiesa non è nelle condizioni di lottare per diventare egemone ideologicamente
a causa della presenza storica di altre forme di religiosità fortemente
radicate tra le masse popolari, o della diffusione dei nuovi movimenti
religiosi, molti dei quali sono di matrice protestante. Quest’ultimo sembra
essere il caso dell’America Latina, nella quale la Chiesa sta perdendo molti
fedeli, i quali sono attirati in particolare dal neopentecostalismo protestante,
importato dagli Stati Uniti.
Come si vede, dunque i rapporti tra Chiesa cattolica e mondo
protestante-statunitense sono assai complicati: vi sono conflitti, ma - come si
è visto - anche convergenze.
4. La teoria della “guerra giusta”
Prima di concludere vorrei trattare brevemente un altro tema,
quello dell’atteggiamento della Chiesa verso la pace e la guerra, perché ci
consente di cogliere bene la distinzione tra l’appello pubblico alla pace in
nome dei principi evangelici e l’effettivo comportamento della gerarchia
sempre incline alle mediazioni politiche.
È noto che fa parte della dottrina della Chiesa la teoria
della “guerra giusta” rielaborata da Francisco de Vitoria (1486-1546) nel
XVI sec., ripresa anche nel Nuovo Catechismo del 1992.
I principi fondamentali della “guerra giusta”,
individuati da de Vitoria per limitare gli orrori prodotti dalla conquista dell’America,
sono: 1) la guerra è giustificata solo come atto di difesa o come mezzo per
rimediare a un grave torto subito; 2) vi deve essere una relazione
proprorzionale tra i fini della guerra e i costi umani e materiali; 3) prima di
scatenare la guerra bisogna aver esaurito tutti i mezzi pacifici per giungere ad
una conciliazione.
Come sempre accade i principi sono norme astratte che possono
essere adeguatamente adattate ai contesti concreti, seguendo valutazioni
diverse, per perseguire ben precisi obiettivi politici.
Così, ad esempio, la Chiesa cattolica è stata pacifista
durante la prima e la seconda guerra all’Iraq (anche se negli ultimi mesi gli
appelli alla pace si sono fatti sempre più generici), ma come scrive Ilari
(1993: 248) è stata interventista in Bosnia e - aggiungo io - in Kosovo,
riconoscendo per prima l’indipendenza delle repubbliche cattoliche Slovenia e
Croazia dalla Jugoslavia. Anzi - scrive ancora Ilari (ibidem) - «la più ampia
teorizzazione del dovere di intervento umanitario è quella formulata da papa
Wojtyla».
L’intervento umanitario è sicuramente il prodotto della
fine del mondo bipolare, la cui esistenza aveva tenuto lontana la guerra dall’Europa
per più di 50 anni e da alcuni punti nevralgici, relegandola alle regioni
periferiche nella forma di scontro indiretto tra le due grandi potenze. I suoi
sostenitori debbono esser ritenuti responsabili di tutte le devastazioni, le
morti, le distruzioni provocate dalla sua programmata e cosciente applicazione.
Bisogna aggiungere che per de Vitoria le potenze coloniali
avevano il diritto di difendere con la forza i missionari inviati a
evangelizzare gli amerindiani. Tale criterio può essere riciclato a favore
degli esportatori della democrazia e dell’american way of life
(leggi capitalismo).
Ma se ciò è possibile, si può dire sicuramente che la
Chiesa ha elaborato una sua visione del mondo, che è utile anche a sostenere il
disegno politico dello Stato dotato del più potente apparato
strategico-militare, probabilmente in cambio di analoghi favori.
Come si può ricavare da queste pagine, tale convergenza,
seppure talvolta conflittuale, non può certo apportare qualcosa di buono né ai
cosiddetti poveri del Vangelo né alla masse popolari del mondo intero.
Bibliografia
Arab-Ogly, E., Nel labirinto dei vaticini, Edizioni
Progress, Mosca 1977.
Editoriale, Limes, n. 1, 2000.
Bennassar, B., Storia dell’Inquisizione spagnola. L’influenza
sulla scena mondiale dell’Inquisizione spagnola sui costumi politici,
religiosi e sessuali dal XV al XIX sec., BUR, Milano 1994.
Erderly, J., La Pasión según Mel Gibson. Separando la
ficción de la realidad, Publicaciones para el Estudio científico de las
religiones, Città del Messico 2004.
Ilari, V., “Pacifismo e interventismo nella cultura
politica italiana”, Limes, n. 3, 1993.
Jean, C., “‘Guerre giuste’ e ‘guerre ingiuste’,
i pericoli del moralismo”, Limes, n. 3, 1993.
Montefiore R., “L’ora di religione minuto per minuto”,
l’Unità, 28 maggio 2004.
Stonor Saunders F., La Cia y la guerra fría cultural,
Editorial Ciencias Sociales, L’Avana 2003.
Violi, P. I giornali dell’estrema sinistra,
Garzanti, Milano 1977.
Zizola, G., La restaurazione di papa Wojtyla,
Laterza, Roma-Bari 1985.
Zubov, A., “Uno sguardo dall’Est sul Ostpolitik
vaticana”, Limes, n. 3, 1993.
[1] Negli ultimi decenni la Chiesa ha visto
accrescersi la sua importanza politica, soprattutto per il sostegno dato a
Solidarnosc e alla “chiesa del silenzio” nei paesi dell’est europeo, che
ha favorito la fine del mondo bipolare. In questo nuovo contesto, il Vaticano è
riapparso sulla scena mondiale, operando negli organismi internazionali e
moltiplicando le nunziature (cfr. Jean, 1993: 271).
[2] Su questo tema si può leggere un interessante articolo di Zubov
(1993) sulla riscossa degli uniati (cattolici appartenenti ai vari riti
orientali) in Ucraina e sull’attività del clero polacco nello stesso paese e
in Bielorussia, volte a ridimensionare anche con la violenza la Chiesa
ortodossa.