Il Reddito Sociale Minimo: una prospettiva nel conflitto capitale-lavoro
Sabino de Razza
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Con la grande manifestazione nazionale del 6 novembre 2004,
che si è tenuta a Roma e alla quale hanno partecipato oltre 50.000 persone, la
questione del reddito sociale o reddito di cittadinanza ha mobilitato gran parte
del movimento autoorganizzato e antagonista e fatto “irruzione” nella agenda
politica di quasi tutti partiti del centro sinistra.
Questo risultato, per nulla scontato, è il frutto della
determinazione del sindacalismo di base, e in particolar modo delle RdB/CUB.
Con convinzione si è voluto portare avanti la rivendicazione
del reddito, anche collegandola alla battaglia più generale contro le politiche
antipopolari del governo Berlusconi e contro la precarietà del lavoro, come
risposta credibile alla disoccupazione, alla flessibilizzazione del lavoro, ai
bassi salari; una proposta capace anche di unificare l’intero movimento che,
con forme e pratiche diverse, si batte contro il carovita e l’impoverimento di
vasti settori della società devastati dalle politiche liberiste e
capitalistiche in atto.
Il bilancio delle lotte che ci sono state nel 2004, ruotanti
intorno a questi temi, alle loro implicazioni e diffuse su tutto il territorio
nazionale, è ricco e variegato: dai blocchi dei cittadini di Scanzano e degli
operai di Melfi in Basilicata alle lotte dei disoccupati palermitani, dalla
mobilitazione dei cittadini di Acerra contro il mega termovalorizzatore alle
numerose occupazioni di case e proteste nei grandi ipermercati del centro- nord;
inoltre le lotte dei disoccupati napoletani, gli scioperi dei lavoratori LSU, la
mobilitazione diffusa dei lavoratori della cooperazione sociale, le lotte dei
precari della pubblica amministrazione, la protesta dei forestali calabresi,
ecc.
Tutte queste mobilitazioni hanno in comune la rivendicazione
della la difesa del proprio territorio dai rischi di inquinamento ambientale, la
difesa del posto di lavoro e la rivendicazione del reddito; comuni sono anche le
pratiche e la determinazione delle forme di lotta, che da anni non si vedevano
nel nostro paese: blocchi ferroviari e stradali, occupazione di uffici pubblici,
picchettaggi e grandi manifestazioni di massa non rituali.
In ultimo, ma di primaria importanza, la metodologia con il
coinvolgimento nella decisione sulle piattaforme su cui battersi e l’impegno
in prima persona.
Credo che su queste “novità” tutto il movimento debba
approfondire la propria riflessione e mettere a valore l’esperienza di questi
anni di attività. La costruzione di reti, come quella per il reddito sociale e
contro la precarietà, credo sia una scelta che, ad oggi, ha dato risultati
positivi ed ha permesso di saldare dentro comuni obiettivi politici, seppur con
pratiche di lotta e mobilitazione differenti, un nuovo soggetto politico o,
meglio, una nuova e variegata espressione di classe. Quella delle reti è, a mio
avviso, una esperienza da proseguire ed arricchire.
Forse è anche per questo risvolto, la definizione di un
nuovo soggetto collettivo in movimento, che la questione del reddito sociale è
ormai diventata una questione per tutte le forze politiche e organizzazioni
conflittuali alternative e antagoniste nel nostro paese e anche in Europa.
Infatti, quasi tutte le forze politiche parlamentari del centro sinistra si sono
poste, seppur in modo differente, la questione del reddito sociale e della lotta
alle forme di povertà, sempre più presenti nella popolazione.
Tutte le forme di lotta di questo articolato movimento,
occupazioni di case, picchetti davanti agli ipermercati, autoriduzioni e
autoproduzione, insieme alla creatività degli organizzatori del May Day di
Milano che hanno identificato in San Precario l’icona della attuale condizione
del lavoro, hanno saputo porre a tutti la questione della precarietà e del
carovita per rivendicare il sacrosanto diritto al reddito e al lavoro, riuscendo
nello scopo.
Non sorprende che, a fronte di questo vasto movimento, lo
Stato non abbia fatto mancare la sua “solita” risposta: oltre 50 compagni e
compagne sono stati incriminati per estorsione, rapina e occupazione di stabili
abbandonati; compagni/e militanti del sindacalismo di base, militanti dei centri
sociali, del movimento dei disoccupati napoletani, ecc. È chiaro che non sarà
certo la repressione a bloccare il movimento visto che esso, in tutte le
iniziative e azioni dimostrative, ha ottenuto la solidarietà e condivisione di
tantissima gente, che ha pienamente compreso i problemi posti, poiché reali e
concreti. Problemi ai quali bisogna dar risposte concrete e sicuramente la
repressione non centrerà l’obbiettivo prefissato se anche il movimento saprà
non farsi rinchiudere nell’ambito della spirale della repressione, mantenendo
l’apertura e perseguendo il radicamento in ampi settori della società.
Oggi, quindi, siamo ad un passaggio importante che ci pone la
priorità di dare continuità alle lotte intraprese, evitare sia i tentativi di
“repressione” messi in atto dall’attuale Governo sia quelli di “normalizzazione”
e annacquamento da parte delle forze politiche di opposizione e dei sindacati
concertativi, rilanciare ad un livello di maggiore determinazione,
organizzazione e analisi sia la piattaforma di rivendicazione che le forme di
mobilitazione, allargare e consolidare la base sociale del nuovo soggetto
politico diffuso che questo anno passato ha iniziato a mettere in movimento.
Un ruolo decisivo, in questo contesto lo assume
oggettivamente il sindacalismo di base e in particolare la RdB/CUB che, al
contrario dei sindacati concertativi e di un centrosinistra votati alla
accettazione delle logiche del neoliberismo e al moderatismo salariale nei
fatti, può essere la rappresentanza sindacale e politica a questo vasto
movimento attivo nel nostro paese o essere lo strumento per l’organizzazione e
il collegamento delle varie vertenze, rivendicazioni e proposte, in un forte
movimento nazionale e diffuso sul territorio capace di opporsi e battere le
politiche neoliberiste.
L’obbiettivo sarà anche quello di offrire non una rappresentazione ma una
reale rappresentanza alle istanza di cambiamento di ampi strati di società e di
dare protagonismo ai Lavoratori delle nuove o vecchie forme di sfruttamento per
costruire le condizioni di una reale alternativa di società.