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No smoking.Critica dell’incenerimento dei rifiuti (seconda parte)

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No smoking. Critica dell’incenerimento dei rifiuti (seconda parte)

Antonio Bove

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1. Campania Felix

Il 2004 è stato un anno di grandi mobilitazioni in tutta la Campania. Mobilitazioni che segnavano la definitiva fine della “pace” sociale inaugurata con l’avvento del centrosinistra alla guida prima della città di Napoli e poi della Regione stessa. Una lunga scia di sollevazioni popolari che ha determinato effetti politici significativi, a partire da una grande delegittimazione del Governo Regionale e del suo potere decisionale. Essendo chiaro questo drammatico risvolto politico, la Regione ha scelto la linea dura, e i presidi di cittadini che protestavano contro le scelte “di emergenza” del Governo locale sono stati affrontati con la forza. La Polizia ha duramente attaccato pressoché tutti i presidi dei comitati locali di lotta, provando a mettere freno alla protesta con arresti e sanzioni amministrative, laddove i manganelli non avevano sortito effetto. Si tratta, quindi, di un’«emergenza democratica», come ha scritto Andrea Grimaldi, sorta sulle ceneri di dieci anni di commissariamento che hanno di fatto esautorato le istituzioni democraticamente elette. Insieme ad Acerra, capofila della protesta anche in virtù di una consolidata cultura politica antagonista, comitati locali di lotta sono sorti un po’ ovunque. Ad Ariano Irpino (Av), S. Maria la Fossa (Ce), Parapoti (Sa), Giugliano (Na). Persino a Pianura, quartiere di Napoli Ovest, la cui disponibilità di terreno non edificato (un miracolo in città) candidava l’area a sito di stoccaggio per i rifiuti, provocando le proteste della popolazione locale, le cui abitazioni si trovano a ridosso del sito scelto dal Prefetto. Il senso di queste mobilitazioni, si è potuto capirlo subito, è molto profondo. Si è trattato, infatti, di un tentativo concreto di costruzione di piccoli laboratori politici, così come era avvenuto a Scanzano, lavorando in primis alla creazione di una consapevolezza sulla questione, ricercando fonti, facendo controcultura. Sulla base di quelle acquisizioni si è costruita quindi una protesta che non è mai stata incentrata sulla semplice rimozione del problema, come è possibile comprendere dalla lettura dei documenti prodotti in questi mesi di lotta. Ne sono un esempio le mobilitazione di Ariano Irpino, in cui i cittadini hanno lavorato assieme a pezzi del Movimento Noglobal campano alla costruzione di laboratori per la diffusione di informazioni relative al funzionamento degli inceneritori, all’impatto sull’ambiente, sulla salute. Laboratori che hanno favorito la crescita di un processo politico che non fosse incentrato sulla semplice “opposizione” alla discarica che avvelena il paese (motivazione sacrosanta, peraltro) ma alla costruzione di un percorso. Era significativo, per esempio, che nel cuore dell’Irpinia democristiana si fosse arrivati a un comune accordo fra cittadinanza e partiti locali, sul far andare deserte le prossime elezioni amministrative. Una delegittimazione totale del potere politico che ha dimostrato di gestire in maniera dilettantesca sia la questione rifiuti in sé, sia le ricadute che le decisioni in merito avrebbero avuto. Un altro esempio di quanto questa mobilitazione abbia avuto un senso profondo è possibile rinvenirlo nei documenti prodotti dal Comitato di lotta contro l’inceneritore di Acerra. L’appello alla mobilitazione prodotto nei giorni dell’assedio delle forze dell’ordine, chiamate a “proteggere” l’apertura del cantiere per il termovalorizzatore contiene un’analisi complessiva della situazione ambientale e non un semplice rifiuto dell’inceneritore, come numerosi politici andavano paventando. All’interno del documento, anzi, è possibile leggere un’analisi precisa della situazione e una serie di proposte che avrebbero potuto costituire argomento di discussione e trattativa. A queste controproposte, all’opposizione anche dura ma in sostanza composta dei comitati locali, il Governo Regionale ha risposto con la forza, determinando una frattura netta fra istituzioni e territorio, in molti casi tramite certa stampa irresponsabile alimentando una “concorrenza tra poveri”, gettando cioè discredito sulle lotte locali descritte come lotte “particolari”, e descrivendo i comitati come piccole lobbies locali, al servizio di amministratori a caccia di consensi o, peggio, della malavita organizzata. Si provava in questo modo a interrompere la solidarietà degli abitanti di altre città, che avrebbero potuto allargare la protesta, fino a farne un caso politico ineludibile. Una risposta scomposta, quindi, che tradisce un imbarazzo nell’affrontare un disastro ecologico e politico-amministrativo che si è protratto per gli ultimi dieci anni. Sembra quasi paradossale, infatti, parlare di “emergenza rifiuti”, visto che si tratta di una situazione che va avanti almeno dal 1994, se non si vuole considerare il periodo di “incubazione” che ha inizio negli anni Ottanta quando, senza regole e controllo, la Campania comincia a diventare sito di stoccaggio di ogni genere di rifiuti, seppelliti in discariche abusive controllate dalla camorra. Quando le discariche cominciarono a riempirsi fu dichiarata l’emergenza, sperando forse di risolvere con questa logica un problema gravoso in poco tempo, forzando su tempi amministrativi e passaggi politici. Era il 1994. Nei dieci anni successivi si sono succeduti Prefetti e Presidenti di Regione, tutti impotenti di fronte alla questione che si è trascinata fino ad oggi, con le conseguenze che sappiamo. Numerosi sono stati anche i Piani Regionali, in questi anni, che hanno detto tutto e il contrario di tutto. Dai sei impianti per l’incenerimento previsti inizialmente si è passati a due, per arrivare alla recente proposta del commissario prefettizio di costruirne tre. Dal 1998 in poi il commissariato ha ottenuto che il “ciclo integrato” dei rifiuti cancellasse ogni possibilità di riduzione della produzione di rifiuti, incentrando il ragionamento sulla soluzione CDR/inceneritore. Questa linea politica ha decretato la morte di ogni possibile piano di controllo dei processi produttivi e di riciclaggio dei materiali. In questo clima culturale e politico, viene preparato il terreno al piano di incenerimento dei rifiuti che prevede i due termodistruttori, fra cui quello di Acerra e sette impianti di CDR a Giugliano, Tufino, Caivano, Piano Borea, S. Maria Capua Vetere, Salza Irpinia.

2. L’affaire FIBE

Il bando per la costruzione di questi impianti è vinto dalla FIBE, azienda facente capo a Romiti. Elemento inquietante quanto centrale nella comprensione della vicenda, è la delega a questa azienda del compito di localizzare la sede dell’impianto, di fatto una cessione del potere decisionale da un Ente pubblico (cioè, per rappresentanza, di tutti i cittadini) a un’azienda privata. Oltre all’evidente carattere anomalo di questa scelta, c’è poi la decisione della FIBE di costruire i due impianti di incenerimento in due comuni che distano poco meno di 50 chilometri l’uno dall’altro, cioè Acerra e S.Maria La Fossa, nel casertano. Tale scelta appare ancor più illogica trattandosi di un’area non strategica per i trasporti e anzi difficilmente raggiungibile dalle zone interne della Campania e da quelle a sud di Salerno. D’altra parte questa scelta coincide con un territorio ad economia prevalentemente agricola, già oggetto di uno scandalo recente per gli elevati livelli di diossina rilevati nell’ambiente ed oltretutto con una zona ad alta concentrazione camorristica, da sempre al centro degli interessi di quella che viene definita “ecomafia”. Aggiudicato l’appalto per la costruzione degli impianti, poi, non venne fatto nessun intervento concreto per limitare il conferimento dei rifiuti nelle discariche ormai in via di esaurimento. E non fu deliberato nessun sostegno alla raccolta differenziata, che infatti non decollò, mentre l’unico intervento che venne realizzato fu la costruzione degli impianti di produzione del CDR impacchettato nelle famigerate “ecoballe”. In questo contesto, da subito scoppiarono le proteste dei cittadini e delle amministrazioni locali che bloccarono la realizzazione dei due termovalorizzatori. Sette anni dopo la dichiarazione di emergenza la situazione precipitò e scoppiò il caos. Nel 2001, infatti, la magistratura campana chiuse per inquinamento delle falde acquifere le discariche di Tufino e Parapoti, che servivano le Province di Napoli e Salerno. Non esistendo ancora alternative alla discarica, fu il caos. Con i rifiuti in strada viene accelerata la costruzione degli impianti di produzione del CDR, il che non risolve però il problema. Prima di tutto perché, non esistendo a livello regionale un efficace servizio di raccolta differenziata che intercettasse i rifiuti a monte, il sistema di selezione dei rifiuti andò in tilt. Proprio a causa delle quantità eccessive dei rifiuti conferiti agli impianti, il CDR contenuto nelle “ecoballe” era troppo umido ed emetteva cattivi odori. Si trattava, perciò, di un prodotto di scarsa qualità. Altro problema non trascurabile è che - tardando a partire i cantieri dei due termovalorizzatori - le “ecoballe” di CDR, prodotte incessantemente, dovevano essere stoccate in siti “temporanei”, sempre più difficili da trovare. Questa situazione finiva per favorire, ovviamente, le organizzazioni criminali, sempre in grado di offrire siti di stoccaggio, chiaramente a prezzi esorbitanti. E siamo arrivati quindi alle cronache di questi giorni. Dopo dieci anni le raccolte differenziate continuano a viaggiare su percentuali inferiori al 10%, gli impianti che producono il CDR continuano a funzionare male, a tal punto da incorrere nel blocco imposto dalla magistratura al fine di apportare le necessarie modifiche impiantistiche; i cantieri dei due termovalorizzatori sono ancora fermi, mentre degli altri impianti previsti dal Piano, come quelli del compostaggio, che dalla frazione organica dei rifiuti producono ammendante agricolo, non si ha notizia. Siamo di fronte, insomma, alla proclamazione definitiva del fallimento del commissariamento per l’emergenza rifiuti. Una procedura straordinaria nata per garantire scorciatoie per la ricerca snella della soluzione del problema e che invece si è dimostrata totalmente fallimentare in Calabria, Puglia, Sicilia e Lazio, commissariate per gli stessi motivi della Campania. Questa scelta, inoltre, ha deresponsabilizzato le amministrazioni locali, sempre in attesa delle decisioni prese dall’alto dal commissario, che a sua volta si è “deresponsabilizzato”, rinunciando al compito di fare la scelta della localizzazione degli impianti con una procedura trasparente e partecipata e lasciandone l’onere a chi deve costruirli. Di chi sono le colpe di questa situazione? Giulio Facchi, lombardo, ex consigliere provinciale dei Verdi a Milano, subcommissario di governo per l’emergenza rifiuti in Campania fino all’entrata in scena di Catenacci, prova a dividerle fra le gestioni precedenti quella Bassolino e il susseguirsi rapido di cariche politiche responsabili, che avrebbe determinato una situazione di caos difficilmente recuperabile. Nel 1998, infatti, il Ministro Ronchi aveva previsto un passaggio fondamentale prima della stipula del contratto, per effettuare una verifica finale, a cura del Ministero dell’Ambiente, dell’impianto. Dal 1998 al 2000, fa notare Facchi, cambiano 3 commissari, 2 Ministri dell’ambiente, 2 dell’Industria e 2 Prefetti. In questo caos istituzionale la FIBE, che ha già vinto l’appalto, si sarebbe fatta forte di questa situazione spingendo per il rispetto dei contratti. Ad ogni modo, è chiaro che Bassolino si sia trovato in una situazione difficile, con un contratto già firmato, le discariche stracolme, la cittadinanza esasperata. È anche vero, però, che la gestione politica della vicenda è stata nel complesso disastrosa, passando da una gestione politica diretta della questione al commissariamento, determinando quindi un passaggio dal politico al tecnico sicuramente debole dal punto di vista politico. A questo si aggiunge la scelta di provare la “linea dura”, forti anche del fatto che gli unici equilibri elettorali intaccati potrebbero essere quelli delle città in sé mentre con un’opportuna campagna informativa sarebbe stato possibile gettare discredito sulle proteste popolari, senza perdere consensi nel resto della Regione. Ad ogni modo, forte della decisione del Governo Regionale di andare avanti ad ogni costo, la Polizia usa le maniere forti prima contro il presidio del quartiere Pianura, dove di notte i cittadini vengono caricati a più riprese per permettere ai Tir di trasportare i rifiuti da stoccare, poi a cavallo fra maggio e giugno alla mobilitazione di Giugliano. Prima vengono caricati i presidi che bloccano le strade di collegamento della zona costiera all’interno, poi nella notte fra l’1 e il 2 giugno la situazione degenera. In quella notte, è stabilito, decine e decine di Tir dovranno scaricare tonnellate di immondizia nella discarica di Sette Cainati, a metà strada fra i comuni di Giugliano e Qualiano. Le strade che danno l’accesso alla discarica vengono bloccate da presidi all’interno dei quali si respira un’aria di forte tensione dovuta agli scontri dei giorni precedenti. La situazione resta sospesa fino alle due del mattino, quando parte il raid di Polizia. Siamo vicini alle elezioni europee e regionali, è chiaro che il centrosinistra punta a spostare dalla strada tonnellate di immondizia per stoccarle in discarica, al fine di poter mostrare di aver risolto il problema. Quello che avverrà in futuro di quei rifiuti non è, in quel momento argomento di discussione, se ne potrà parlare con calma dopo le elezioni. Passate le due cominciano le cariche della Polizia che prova ad aprire varchi per permettere il transito dei Tir. I presidi rispondono alle cariche in maniera decisa, comincia una battaglia che terminerà alle sei del mattino. Bande chiodate per impedire il passaggio delle camionette, barricate costruite con pezzi di guard rail, segnali stradali, la gente prova a respingere le cariche in ogni modo, fino a quando alcuni sconosciuti lanciano verso la Polizia alcune bottiglie incendiarie. La battaglia termina all’alba, con numerosi feriti e arrestati, condannati poi per direttissima. Questi scontri sono il preludio di quello che accadrà ad Acerra in estate, quando la forzatura dell’apertura del cantiere provoca una reazione durissima della popolazione, che esplode in una grande manifestazione di protesta segnata da lunghi scontri fra Polizia e manifestanti.

3. Il caso Acerra

La lunga mobilitazione della popolazione di Acerra contro il progetto che vede la città sede di un enorme impianto di incenerimento dei rifiuti, parte da una critica complessiva del progetto. Critica che investe sia i deficit sul piano della valutazione di impatto ambientale e sanitario, sia i passaggi politici che hanno accompagnato la vicenda fin dall’inizio. Si tratta, quindi, di una mobilitazione che costituisce un esempio di autorganizzazione e un tentativo di contrasto delle decisioni del Potere centrale con forme di contropotere “dal basso”. Numerosi sono, quindi, i “lati oscuri” intorno a questa vicenda, a partire dalla gestione politica di un’emergenza che dura da dieci anni. In particolare, risulta interessante osservare come si sia prodotta, sin dall’inizio dell’emergenza, una divergenza fra le direttive governative e l’azione commissariale locale. Le ordinanze governative, infatti, insistono fin dal 1996 sulla realizzazione di un piano d’emergenza che contiene come punti centrali l’obbligo per i Comuni di attivare la raccolta differenziata e per i consorzi di avviare il recupero degli imballaggi, oltre che la disposizione, per i responsabili della distribuzione dei beni di consumo di «applicare il deposito cauzionale obbligatorio sui contenitori per i liquidi». Questi obblighi vengono aggiunti a divieti come quello, rivolto ai detentori di rifiuti di imballaggi secondari e terziari, di consegnare i rifiuti al servizio pubblico. Si tratta, quindi, di una impostazione che tende a ridurre la produzione di rifiuti a monte, indirizzando una parte consistente di materiali verso il riciclaggio e il recupero, e che il Commissario, forte dei poteri conferiti, dovrebbe poter conseguire. Secondo questo orientamento, il Governo fissa, in seguito, gli obiettivi della raccolta differenziata al 15% entro il 31.12.1999 e al 25% nei due anni successivi per quanto riguarda le frazioni secche. Al 10%, poi, entro il 31.12.1999 e al 15% nei due anni successivi per quanto riguarda l’umido (O.M. 25 Febbraio 1999 n. 2948). A queste disposizioni viene aggiunto l’obbligo di recupero del 40% dei rifiuti da imballaggio e di riciclaggio del 20%, oltre che alla raccolta di rifiuti urbani pericolosi. Solo a valle di questo processo di recupero e riduzione della produzione di rifiuti si parla, nell’Ordinanza, della frazione residuale dei rifiuti da inviare agli impianti di CDR presenti sul territorio. Queste disposizioni, insieme a una serie di ulteriori obblighi e divieti che la struttura commissariale avrebbe dovuto applicare nei confronti di Enti locali, consorzi e ditte del settore, evidenziano un’attenzione forte del Governo alla riduzione della quantità di rifiuti prodotta e, conseguentemente, alla riduzione della quota di rifiuti da incenerire. Si capisce bene come, alla luce di questa analisi retrospettiva risulti difficile comprendere il perché della costruzione di un impianto colossale, laddove sarebbe possibile avere una quota di rifiuti da smaltire molto più bassa di quella attuale. È chiaro, alla luce dei fatti, che tali disposizioni sono state sistematicamente disattese, avendo raggiunto per il 2002 una quota di differenziata a livello regionale appena del 12%, ma ancora più interessante è seguire il percorso che la struttura commissariale intraprende già dal 1998, chiedendo e ottenendo dal Governo una modifica delle direttive governative fin qui descritte. Il 31 Dicembre 1997, infatti, il Commissario delegato, Presidente della Regione, invia una «integrazione alla Relazione sullo stato di attuazione degli interventi», nella quale, in sostanza, richiede un “cambio di rotta” rispetto alle direttive ministeriali indirizzate alla riduzione dei rifiuti e all’incremento della differenziata, a seguito della quale il Governo, con l’O.M. n. 2774 del 31.03.1998, avalla la “linea inceneritorista”, autorizzando, in seguito a «verifiche condotte col sistema industriale» una gara per individuare l’impresa che costruirà il megaimpianto campano, soluzione definitiva ai «problemi dello smaltimento dei rifiuti prodotti nella Regione Campania». Assieme a questo “colpo di mano”, è interessante notare all’interno dei documenti come avvenga progressivamente un rovesciamento completo delle disposizioni governative del 1996, riorganizzando il “ciclo dei rifiuti” in funzione degli impianti di produzione di CDR e di incenerimento. A tale proposito, l’Ordinanza Commissariale 319/2002, abbandona definitivamente la prevenzione della formazione del rifiuto, modellando la raccolta differenziata sul fabbisogno di CDR degli impianti di incenerimento e con obiettivi inferiori a quelli delle direttive governative. Anche sul fabbisogno degli impianti, poi, c’è un altro “giallo” ad alimentare dubbi sulla linea seguita dal Commissario. Secondo l’Ordinanza 319/2002, infatti, malgrado il costruttore evidenzi che «l’impianto è in grado di trattare l’intero quantitativo di CDR prodotto negli impianti di selezione di Caivano, Giugliano e Tufino», risultano evidenti le differenze fra le quantità di rifiuti previste in ambito regionale e le capacità degli impianti, differenze quantitative non meglio spiegate che costituiscono l’ennesimo “buco nero” di un progetto in cui la voce grossa la fa la ditta costruttrice di termovalorizzatori. A queste questioni, importanti per comprendere i passaggi politici che hanno portato alla situazione attuale, si aggiungono numerose altre falle, che il comitato di lotta di Acerra ha fatto notare in questi mesi. Per esempio la mancanza della necessaria “pronuncia di compatibilità ambientale” che avrebbe dovuto essere rilasciata dal Ministro dell’Ambiente e che non è mai arrivata. Dal punto di vista della ditta costruttrice, la FIBE, poi, manca la seconda Valutazione di Impatto ambientale prevista dallo stesso bando vinto nel 1998 dall’azienda e dal contratto firmato nel 2000 e la stessa ditta, poi, non ha mai specificato la destinazione finale dei residui dell’incenerimento che, essendo tossici e difficilmente controllabili, necessitano di discariche speciali che nessuno finora ha previsto. A una serie di altre mancanze, poi, tra cui le prescrizioni pre-realizzazione dell’inceneritore imposte al progettista dal parere della Commissione per la Valutazione di Impatto Ambientale e la parte relativa al biomonitoraggio sui siti di massima ricaduta attesa delle emissioni in atmosfera, si aggiunge un deficit comunicativo importante. Nessuna procedura informativa diretta al pubblico, infatti, è stata effettuata e la cittadinanza tutta, associazioni, partiti e movimenti, sono stati tenuti all’oscuro di un’operazione che avrebbe cambiato per sempre la storia di un territorio, oltretutto senza le adeguate garanzie che dovrebbero essere date quando è in gioco la salute e la salvaguardia dell’ambiente. Un clamoroso errore politico che ha messo gli abitanti di Acerra e delle zone limitrofe di fronte a un fatto compiuto, provocando una mobilitazione fortissima. Lo stesso ex vice commissario Giulio Facchi, intervistato, si pronuncia sulla questione facendo notare che «dopo Seattle, e a maggior ragione sulle tematiche ambientali, non era pensabile evitare le sollevazioni popolari che si sono avute. Di sicuro la ricerca del consenso, su questioni del genere, è fondamentale...». Intanto ad Acerra i lavori sono iniziati, mentre la protesta popolare non si spegne. Gli interrogativi restano molti. Il termovalorizzatore sarà realizzato in ossequio agli interessi FIBE, salvo poi contare fra qualche anno le vittime? Non è bastata la vicenda amianto a renderci più attenti? E i Movimenti? Resteranno attestati sulla linea, pur nobile, della resistenza o sapranno evolvere e farsi elemento costituente di un nuovo Mezzogiorno? Attendiamo. I tempi sono lunghi ma la storia ci ha abituati ad avere pazienza. A saper coltivare il tempo dell’attesa. Pazienti eppure inquieti.

Bibliografia
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 Caldiroli M - Francisci F, Gli impatti ambientali e sanitari connessi alla realizzazione dell’impianto di incenerimento per combustibile da rifiuti (CDR) proposto in Acerra dalla società FIBE e autorizzato dal Commissario di Governo per l’Emergenza Rifiuti della Regione Campania, Relazione di consulenza, 23 Giugno 2003
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 Nebbia G., O su brucia o si ricicla, articolo per il sito www.ecceterra.org
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Note

* Laboratorio Con ricerca Conflitti Ambientali - Napoli.