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SUD versus SUD. Le lotte sociali e le loro attuali difficoltà di generalizzazione

MICHELE FRANCO

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Il Mezzogiorno d’Italia è un’area geo-politica che si presta a molteplici interpretazioni. Da sempre intere scuole di pensiero si sono aggrovigliate e/o appassionate attorno ai vari rompicapo con cui provare a definire, più o meno correttamente, questa complicata dimensione. Non è nostra intenzione ritornare alle origini di un dibattito oramai secolare sul quale esistono studi e trattazioni analitiche di ben altro spessore a cui, volentieri, rinviamo. Si ritiene, però, indispensabile, per meglio inquadrare la vicenda sociale napoletana e meridionale fissare alcuni concetti che possono introdurci in questa nostra particolare narrazione. Che il Sud abbia subito giganteschi processi di ristrutturazione finanziaria, economica e sociale è un fatto certo ed acclarato su cui, spesso, non si è riflettuto abbastanza da parte di quanti hanno promosso, animato e sono stati protagonisti di importanti cicli di lotte di massa. Frequentemente l’ingessata storiografia ufficiale del movimento operaio ha trattato le varie esplosioni sociali del Sud con l’aberrante cliché delle jaquerie catalogando e confinando, in punto di fatto, ogni lotta o moto sociale che fuoriusciva dalla paralizzante logica delle compatibilità con l’ordine costituito1, in un limbo non ben definito dove il giudizio/valutazione politico è oscillato dalla aspra condanna, verso forme e metodi di lotta ritenuti “violenti ed antidemocratici”, fino all’accusa di essere collusi/contigui con settori politici di destra o legati alla criminalità organizzata. L’accentuazione dei processi di finanziarizzazione, internazionalizzazione, mondializzazione e competizione globale del capitale, il consolidarsi dei fattori inerenti la costruzione di un nuovo polo imperialistico (la ratifica monetaria e costituzionale dell’Unione Europea), la definizione degli attuali rapporti di forza politici ed economici nel bacino mediterraneo sono stati i potenti vettori che hanno mutato il volto del Meridione d’Italia. Questa vasta area territoriale che, naturalmente, non ricalca automaticamente le definite linee geografiche dei propri confini amministrativi, non è più - da un bel pezzo - quella descritta da una letteratura meridionalista giunta, oramai, al capolinea di ogni sua positiva spinta propulsiva utile per la comprensione della realtà ed indispensabile corredo per il cambiamento e la trasformazione della società. Nei meandri di questa impasse teorica si scontano tutti i limiti delle analisi sudiste, rimaste, da molti/troppi anni, ferme sulle definizioni di “polpa ed osso” (M. Rossi Doria) o di “aree centrali e marginali” (S. Mottura), per le difficoltà, non risolte, di riuscire a connettere, nelle proprie argomentazioni, squilibri territoriali ed analisi di classe ovverosia le questioni indispensabili per decifrare i termini attuali del problema meridionale e le sue inevitabili evoluzioni/conseguenze/riverberi nel breve-medio periodo. In particolare l’intera scuola di “pensiero meridionalista” - in tutte le sue sfumature ed accentuazioni - non è stata in grado di afferrare e descrivere le qualità nuove del (fondamentale) intervento dello Stato il quale, in barba a tutta la vulgata e le chiacchiere in auge sullo stato/light e sul tramonto/esaurimento di alcune sue esclusive competenze, mantiene una rinnovata e (pesante) immanente centralità politica, funzionale ed esecutiva. Dai problemi inerenti la propria legittimazione sociale a quelli dello stretto rapporto tra Stato e capitale, dall’uso/gestione delle politiche monetarie (...ora, ancora di più, con il varo dell’Euro ed il crescente ruolo della Banca Centrale Europea, a scala continentale), la forma-Stato conserva una articolata e capillare persistenza su cui occorrerà ritornare a riflettere, senza facili liquidazionismi, i quali si configurerebbero come, banali, risposte ideologiche incapaci di rapportarsi alla complessità sociale ed ai problemi che né derivano non solo per il quadro analitico generale ma per l’insieme dell’agire politico collettivo dell’antagonismo conflittuale. In questo contesto l’interpretazione di come si è andata modificando la strumentazione e la linea di condotta dell’intervento statale - nella fattispecie nel mercato del lavoro e nel contesto delle politiche sociali - può offrirci utili elementi di considerazione e di riflessione. La fine dell’Intervento Straordinario (...e delle sue infinite proroghe), il tramonto della Cassa per il Mezzogiorno e del sistema delle Partecipazioni Statali, lo smantellamento dei Collocamenti e degli Uffici Regionali del Lavoro, la devastante diffusione delle politiche di privatizzazione e di esternalizzazione anche in settori e comparti storicamente gestiti ed amministrati dagli Enti Locali (in primis le Regioni), la lunga stagione/stillicidio della de/industrializzazione con i conseguenti esodi delle filiere produttive verso l’Est ed i Sud del mondo, la dilagante precarietà/flessibilità del lavoro e dei lavori sono punti ed acquisizioni di non ritorno di un - preciso - indirizzo di scelte economiche le quali hanno puntato, esplicitamente, al drastico ridimensionamento politico dei livelli di autonomia conquistati e raggiunti dal proletariato meridionale2nel corso del tempo. Ritorna - allora - in questo scorcio di inizio secolo, in forme sicuramente diverse dal passato, anche quello recente, l’emergenza/Mezzogiorno fuori da ogni retriva e retorica metafora piagnucolona e, tardivamente, nostalgica di quei generosi flussi di “Spesa Pubblica” irrealizzabili ed irripetibili nelle forme e nella sostanza finanziaria con cui erano stati erogati nei decenni scorsi3. Il Sud d’Italia - ma lo sguardo andrebbe rivolto all’intera area Euro/Mediterranea, compresi i paesi rivieraschi dell’Africa del Nord e del Vicino Oriente - si ripresenta come elemento “patologico” nel quadro di una economia nazionale la quale, pur negli innegabili sintomi di accertato e continuo declino industriale4, tende a legarsi e relazionarsi ai punti alti dello sviluppo del capitale a scala continentale e globale. Lo sforzo produttivo (...a partire dalle lavorazioni ad alta intensità di tecnologia), pur dentro i continui processi/sconvolgimenti di ristrutturazione e di riconversione, tipici di questa fase della mondializzazione, sarà, come sempre, concentrato e localizzato nelle aree storiche dello sviluppo italiano (il Nord/Italia, l’Emilia/Romagna, alcune aree della dorsale adriatica). Al Mezzogiorno spetterà, al di là delle chiacchiere e delle suggestioni propagandistiche, una nuova fase di stagnazione economica, di calo degli investimenti strutturali e di ulteriore diffusione di lavoro povero, dequalificato (con rilevanti presenze di lavoratori migranti) in un sistema di relazioni sindacali caratterizzato dall’assenza/negazione dei fondamentali diritti politici e sindacali!! Negli ultimi mesi, abbiamo registrato e preso atto - senza volere necessariamente apparire catastrofisti o allarmisti a tutti i costi - passando in rassegna le puntuali pubblicazioni che sfornano dati e cifre statistiche sul Meridione,5 di un problema mai derubricato, totalmente, dalle priorità dei poteri forti del capitalismo tricolore e dalle ricorrenti tentazioni, in voga, tra le sue classi dirigenti. Per molte teste d’uovo dell’establishment il desiderio urgente da realizzare con priorità crescente - attraverso una collaudata metodologia d’intervento già assunta, sperimentata e dispiegata in altre fasi politiche - è quello di sempre: il controllo, la frammentazione ed il disciplinamento, a tutti i costi, della forza-lavoro meridionale!! I termini costitutivi (ed innovativi) di questo rinnovato controllo/dominio già sono presenti ed agenti nelle più aggressive funzioni di scomposizione/ricomposizione/assoggettamento della totalità della giornata lavorativa sociale e - sempre più - dell’intero ciclo della vita, a cui sono coattivamente costretti, gran parte dei settori popolari e proletari della popolazione meridionale. Le proposte in campo di “Riforma dello Stato Sociale” (...tutte le ricette socio/economiche sia quelle dell’Ulivo/Unione e sia quelle avanzate dalla coalizione di centro-destra) si basano sull’individualizzazione, la scomposizione o meglio la familiarizzazione e privatizzazione del sistema di protezione sociale6, con attenzione particolare al totale passaggio, ai “sacri” meccanismi del mercato, dei settori della sanità e della previdenza. Su questo terreno, infatti, il principio della centralità e dell’inviolabilità del profitto deve contagiare e radicarsi nell’intero tessuto sociale determinando le condizioni ideali - l’humus giusto e fecondo - per la completa deregolamentazione di ciò che ancora residua delle vecchie norme di tutela/protezione collettiva ed unitaria. A questo proposito, riportiamo a scopo esemplificativo, alcune righe scritte da Luciano Vasapollo nel suo libro “Vizi Privati...senza Pubbliche Virtù” (2003) in cui viene citato un artificio legislativo, sempre più utilizzato dalle varie amministrazioni, per determinare la realizzazione di condizioni ottimali di privatizzazione strisciante, e sempre più esplicita, in comporti fondamentali, come quelli inerenti il “settore pubblico dell’assistenza sociale”: “In questo senso - ad esempio - fingendo di introdurre sussidi alla disoccupazione, si è impostata una politica di risparmi in settori fondamentali quali la previdenza e la sanità, utilizzando come obiettivi prioritari la mobilità, la flessibilità del lavoro, le privatizzazioni dei servizi sociali e sanitari, attraverso l’attuazione di normative che propongono una sanità sempre meno pubblica e più privata, con l’introduzione di forme di assicurazione sanitaria integrativa, con nuove regole di accesso al mercato della distribuzione dei farmaci o ancora con la gestione privata di alcuni ospedali e con la riduzione delle esenzioni.” Si comprende, quindi, che non è in discussione, come nei decenni scorsi, di assicurare e garantire la mera distribuzione assistenziale/clientelare con massicci “interventi finanziari a pioggia” da Roma verso la periferia di somme enormi di denaro pubblico. L’epoca dei Cirino Pomicino, dei Colombo, dei Gava, dei Mannino è finita, da un pezzo, sotto le rovine della Prima Repubblica e delle modificazioni intervenute nella dimensione internazionale del lavoro e del capitale. In Italia come altrove. Il Meridione è tutto dentro una nuova dimensione dell’accumulazione dove, anche per il capitale, le difficoltà di valorizzazione sono più accentuate. Da questo assunto deriva una agenda politica dove sono appuntati, con grande chiarezza espositiva, i programmi di lacrime e sangue che il padronato, i governi e i principali circoli economici e finanziari intendono perseguire. Non si tratta più di determinare le condizioni ottimali per la diffusione del lavoro nero, sporco e malsano, come già legiferato nei codicilli del Pacchetto Treu, dei Patti Territoriali, dei Contratti d’Area o nella famigerata Legge 30, ma - per le attuali e frenetiche priorità del comando capitalistico e dei suoi istituti di governo sia locali che nazionali - si tratta di innestare un generale rivolgimento/manomissione della condizione proletaria per risollecitare una riorganizzazione (anche fortemente autoritaria e militarista alla bisogna!)7 del territorio meridionale e delle forze produttive a sostegno della urgente ripresa dei profitti, del rafforzamento delle nuove soglie di concorrenzialità globale e della superiore generalità della valorizzazione del sistema integrato delle imprese. Non sarà un caso che, persino negli ambienti e nei circoli politici, più avveduti, quelli vicini all’Ulivo, preoccupati per le permanenti difficoltà di ordine sociale, vanno di moda le teorizzazioni (...meglio le citazioni ad effetto!!) del sociologo Zygmunt Bauman il quale parla, in numerosi suoi scritti, riferendosi a situazioni sociali simili a quelle presenti nelle città del Sud d’Italia, “di situazione da unsicherheit” (Insicurezza generale intesa nel senso più ampio ed estensivo del concetto). Infatti, acutamente, ed astutamente, il direttore del Corriere del Mezzogiorno8, a fatto notare, come severo monito alla classe politica del centro/sinistra che si candida, baldanzosamente, all’alternativa del governo del Cavaliere, che Bauman ha usato un neologismo linguistico, ben preciso, che sta ad indicare qualcosa di più dei tradizionali significati dei vocaboli “uncertainty” (incertezza) e molto di più di “unsafety” (assenza di garanzie e precarietà). E se questo timore parte dalla città di Napoli e dalla sua vasta area metropolitana, ossia dal presunto “punto alto e qualificato” del Laboratorio Campano9, e ad esternarlo è un importante quadro del Corriere della Sera, (...allevato e cresciuto, in gioventù, nella Federazione Napoletana del PCI e nella redazione locale de “l’Unità”), probabilmente le nubi che si addensano sul Meridione sono più nere di quanto appaiono attualmente e foriere di nuove preoccupazioni sociali. Un campanello d’allarme, però, il cui preoccupante ed acuto trillo non suona solo per le istituzioni e per i loro servi del quinto potere ma anche per chi aspira ad una diffusione organizzata del dissenso e del conflitto in direzione di una auspicabile soluzione proletaria della crisi.

 Tracce per una ripresa di discussione e di ricerca militante da sviluppare collettivamente: Il tramonto del vecchio modello di sviluppo fondato sulla staticità e la programmazione degli investimenti e sulla pianificazione dell’utilizzo e della mobilità della forza lavoro trova - sta trovando - la sua sostituzione con un modello cui corrisponde una elevata duttilità e riposizionamento del capitale e dei suoi flussi finanziari10. La sede fisica di questa ridefinizione della geografia produttiva ed economica è sempre più vasta ed estesa all’intero scenario mediterraneo, in cui il meridione d’Italia è una parte centrale da integrare, in maniera sapiente (per gli interessi del capitale), con le altre zone che compongono il rinnovato ed incastrato puzzle geo/politico. La scala della contraddizione Nord/Sud, del dualismo sviluppo/sottosviluppo, è dilatata, ingigantita, dal crearsi di aree omogenee di mercato (tra cui molte zone cosiddette franche) che travalicano e si intrecciano oltre le rigidità formali e gli steccati dei confini nazionali e delle barriere doganali. Finalmente - se osserviamo la situazione con questi occhiali interpretativi - ci stiamo scrollando da dosso il polveroso e paralizzante fardello della “Questione Meridionale” intesa, meramente, come questione/caratteristica specifica italiana e retaggio storico di precedenti momenti di sviluppo. Mai come ora, alla luce delle modificazioni intervenute, ogni ridondante retorica sul mancato sviluppo, su una rivoluzione democratico/borghese incompiuta, rimpicciolisce e scompare di fronte alla grandezza e agli interessi delle diverse forze e schieramenti in crescente competizione tra loro. Del resto la cinica e spietata determinazione con cui il capitale punta all’affermazione dei suoi obiettivi simboleggia, efficacemente, questa linea di condotta. Un lucido indirizzo strategico impregnato di cinica e sfavillante modernità e, completamente, scevro dai vecchi cascami economicistici inadeguati all’attuale posta in gioco. Al punto in cui siamo il Sud si troverà inserito - di forza ed in maniera sempre più rapida - in un meccanismo di nuova sottomissione (volendo fare dell’amaro umorismo potremmo definirla una dominazione totale su schermo/sottofondo digitale!!) dove le organizzazioni riformiste, i sindacati collaborazionisti e la pletora degli apologeti del capitale si limiteranno (e verranno messi in condizione di limitarsi!!) “a richiedere/concertare l’implementazione di forme socialmente idonee” a questo contesto di diffuso svilimento e di mera subalternità compatibilizzata dal vago sapore post/moderno. Con quali risultati? E con quali effetti sulla composizione di classe? Su questo punto le scommesse ed i giochi sono aperti essendo impossibili previsioni esatte fuori dalle reali dinamiche sociali che investono, a vario modo, la società. Noi, sommessamente, presumiamo che i risultati che potranno arrivare da un nuovo “Patto per il Sud” (...per continuare ad usare un lessico sindacalese) benedetto, magari, da esecutivi di governi più o meno “amici”, da insediare a Palazzo Chigi sull’onda di “vittorie elettorali”, saranno deludenti e prepareranno il terreno e le relazioni sociali a nuove e più devastanti manomissioni ai danni dei ceti subalterni e dell’insieme del proletariato. Se la vicenda della lotta operaia di Melfi ha dimostrato che è possibile ribellarsi anche dentro la fabbrica/caserma della FIAT e che non esistono prati verdi, sempre fiorenti in tutte le stagioni, per il pascolo delle docili pecore operaie, nel contempo le varie esplosioni di conflittualità sociale ed urbana (Terlizzi, Scanzano, Rapolla, Acerra, i forestali della Calabria, le lotte per l’acqua in Sicilia e contro l’appropriazione privatistica di questa risorsa in Campania, le mobilitazioni ed i cortei contro il Ponte sullo Stretto....le lotte per il lavoro/reddito a Napoli), pur esprimendo una generosa vivacità foriera di un buon portato radicale, non delineano, ancora, una chiara prospettiva di unificazione, di centralizzazione e di socializzazione antagonistica di queste esperienze conflittuali. Il rinfocolamento delle contraddizioni sociali - purtroppo - rapportato all’attuale soglia raggiunta dalla frammentazione sociale, non produce, necessariamente, un automatico processo di messa in rete, di generalizzazione delle battaglie e delle lotte. Questa constatazione, registrata più volte in numerose occasioni, è diventata, da un po’ di tempo, un dato certo con cui bisogna iniziare a fare i conti politici e porre gli opportuni rimedi.11 L’estrema flessibilità/disarticolazione del lavoro e dell’intera gamma dei rapporti non è solo un fattore di attacco alla condizione sociale ma sta diventando una difficoltà supplementare per la ripresa di una più efficace riorganizzazione politica e sindacale adeguata alla nuova fase delle modalità dello scontro. Particolarmente nelle aree metropolitane (ed ancora di più in quelle del Sud!) i soggetti più esposti al vento della crisi, ai processi di ristrutturazione e di disgregazione, sono i più colpiti, e quelli meno difesi e difendibili, dalle politiche dei tagli alle spese sociali, dai diversificati risultati delle privatizzazioni e dal continuo aumento di prezzi e tariffe12. Questa situazione, almeno all’immediato, non suscita, in prima battuta, quell’indignazione e quel moto di genuina e sacrosanta rabbia a cui eravamo abituati ad assistere fino ad ora. Per motivi, ancora da indagare in maniera approfondita, stiamo sempre più registrando che l’esplosione del conflitto non segue più dinamiche precostituite (...spesso da “manuale del perfetto agit-prop”!!) ma matura attraverso periodi temporali di interludio e di inalveamento nelle pieghe della società che non riusciamo ad intercettare e prevedere con l’utile tempismo di cui si necessiterebbe. Anzi - ed è capitato molte volte - molti compagni fanno fatica a sintonizzarsi positivamente e rapportarsi adeguatamente ad alcune manifestazioni fenomenologiche del malessere sociale e del vero e proprio “male di vivere” tipico delle società a capitalismo maturo. Più volte evidenti segnali di questa predisposizione al conflitto, per quanto impastati con attitudini e tentazioni varie, sono stati interpretati (e snobbati in nome di una presunta purezza dei principi ideologici!!) con le desuete ed inadatte categorie teoriche e politiche della passata fase politica condannando la nostra azione politica ad un, riduttivo, ruolo di astratta ed inutile testimonianza. Da questo punto di vista le proteste e le lotte per il Reddito/Salario Sociale e contro le infinite e diversificate forme di precarietà13, sfrondate, però, da ogni seduzione autoreferenziale la quale riprodurrebbe ulteriori divisioni ed incomunicabilità tra i naturali destinatari di tale messaggio di organizzazione e battaglia politica, possono iniziare ad investire la molteplicità delle figure con cui si declina la moderna condizione sociale che popola le metropoli ed i territori. Un potenziale processo di, tendenziale, incontro unitario e di ricomposizione di classe - da favorire in tutti modi e con ogni mezzo - unico antidoto al dilagare della frammentarietà e della scomposizione societaria funzionale all’eterna vigenza del dominio capitalistico. Napoli ed il Sud hanno una storia della lotta di classe ed una memoria esemplare. Ad ogni fase critica della condizione proletaria riemerge, anche se a volte con disperazione, una idea ed un’ipotesi di organizzazione di massa ribelle e conflittuale. Spesso, però, superata la fase dell’emergenza e della dirompenza, i diversificati meccanismi di cattura del consenso, la complessa rete di controllo/governo sociale hanno, ancora una volta, successo su queste, generose, esplosioni di lotta con effetti respingenti e tentativi di ghettizzazione/endemicizzazione dell’insorgenza dei movimenti. Sulle sconfitte (relative) delle lotte il padronato, i reticoli istituzionali preposti alle funzioni amministrative, i poteri forti del capitale fanno, continuamente, i loro accurati consuntivi ed aggiustamenti strategici costruendo - a volte in perfetto tempo reale - nuovi strumenti di governo e di governabilità più efficaci, maggiormente assorbenti e depotenzianti del protagonismo del conflitto. Questa processo/dialettica sempre più veloce, questo rinnovato dispositivo di comando nel suo dipanarsi brucia e mette in discussione vecchi e consolidati rapporti di dominio, consuma, celermente, illusioni e “buoni propositi” sedimentati per decenni (in particolare quelli alimentati da una “sinistra” sempre più prona ai dettami del capitalismo ed ai desiderata dell’Azienda/Italia). Anche nel Sud d’Italia, in tutta l’area Euro/Mediterranea, sta tramontando, inesorabilmente, sotto i colpi del corso della crisi e delle resistenze che questa, inesorabilmente, suscita, l’idea lungamente coltivata, del pacifico, continuo e progressivo sviluppo economico e sociale, con tutto il corollario dei suoi abusati miti radicati nei comportamenti e nei codici comunicativi e relazionali di larghe fasce del nuovo e del vecchio proletariato. La contraddizione vera e lacerante, quella che, immediatamente, nel materializzarsi, evoca ed indica la rottura dell’ordine costituito e l’ascesa del movimento reale, si disloca in avanti, in un tragitto sempre più stretto e tortuoso, dove le possibilità di conciliare l’inconciliabile - con buona pace del riformismo in tutte le salse, comunque ammantato - è un rozzo artifizio alchemico...senza alcuna rispondenza con la realtà e, quindi, nessuna possibilità di concreta realizzazione!! I prossimi anni avranno al centro questa crisi in cui l’esplodere continuo di una (convulsa) conflittualità permanente sarà un tratto caratteristico e distintivo di medio/lungo periodo.14 A quanti, a vario titolo, hanno concorso a mantenere viva l’ipotesi della trasformazione sociale, contro ed oltre ogni asfissiante compatibilità, il compito, la sfida, il progetto (e l’indispensabile passione durevole) per continuare a rivoltare il mondo. Anche e - soprattutto - da Sud!!

Note

1 Il riformismo meridionale ha costantemente esorcizzato ogni forma di conflittualità sociale che alludesse a profondi cambiamenti societari o, persino, ad una pratica politica di vera consequenzialità rispetto agli obiettivi prefissati e dichiarati dalle lotte. Al di là dei casi eclatanti (tipo la rivolta di Reggio Calabria consegnata politicamente e materialmente, da una sinistra imbelle, alla destra dei vari Ciccio Franco e...boia chi molla!!) tutte le battaglie e le vertenze che reclamavano profondi mutamenti sono state stigmatizzate e negativamente bollate. Per restare in Campania valga l’esempio delle lotte di Acerra e di tutte le altre comunità locali contro le produzioni inquinanti e di morte le quali - su ispirazione di una certa “sinistra” attenta unicamente al business dei poteri forti - sono state disprezzate, opacizzate e depotenziate dai media ed infine criminalizzate e represse con accuse infamanti!!

2 Lungo e contraddittorio è stato il percorso di costante erosione/smantellamento di alcune, fondamentali, conquiste che il Sud era riuscito ad assicurarsi/conquistarsi nel corso della stagione politica degli anni ‘70. Del resto anche nel meridione italiano il ‘69 operaio è stato assunto come data di partenza di un ciclo di lotte che, innescandosi dentro i poli operai del Sud, ha frantumato le vecchie ipotesi di controllo/dominio di tutto il proletariato, fuori e dentro la cinta degli stabilimenti. La stessa “Spesa Pubblica”, in tutte le sue voci e capitoli di bilancio, è diventata - obbligatoriamente - il punto di aggancio, la vera e propria leva materiale (...e di speranza!!) cui succhiare reddito/sopravvivenza... condito, magari, da una forte dose di controllo sociale ed una conseguente, ed inevitabile, accelerata dei processi di ammodernamento del capitale e delle sue articolazioni nella società!!

3 Su questo aspetto del Sud si è, da più parti, molto speculato e, malamente, rimestato. Un conto - particolarmente - negli anni’80 è stato il “Partito della Spesa Pubblica” - ruotante su un asse trasversale che coinvolgeva democristiani, socialisti, settori del Partito Comunista, pezzi della Confindustria ed....ambienti della criminalità organizzata - il quale era interessato a dirottare il maggiore numero di risorse finanziarie a Napoli e nel Sud per alimentare la propria fortuna politica ed affaristica. Altra cosa sono stati - in una fase in cui il capitalismo occidentale poteva ancora presentarsi con politiche di intervento sociale espansive e meno aggressive - i risultati strappati sulla scia delle lotte e di alcune autentiche sollevazioni popolari le quali hanno - letteralmente - imposto il reperimento di somme di denaro da inviare al Sud. Ma anche questo aspetto del problema potrebbe essere un buon argomento da discutere, senza ipocrisie postume, in un altro momento!!

4 Sul tema del declino industriale e finanziario dell’Azienda/Italia facciamo riferimento agli scritti di Luciano Gallino (La scomparsa dell’Italia industriale - Einaudi 2003) e alla rivista Limes la quale ha pubblicato, nell’autunno 2002, prendendo spunto dalla crisi industriale e finanziaria della FIAT, un fascicolo monografico dedicato all’argomento.

5 I più recenti dati disponibili, con previsioni poco ottimistiche per il Mezzogiorno, sono contenuti nell’ultimo “Rapporto Svimez 2004” edito da Il Mulino. Inoltre anche i dati Eurispes, nella parte riguardante il Sud, descrivono il diffondersi di un crescente clima d’incertezza e di precarietà dell’esistente che non ha eguali nella storia d’Italia dal dopoguerra (1945) ad oggi.

6 Che cosa sono stati i provvedimenti (cancellato dopo due anni di “sperimentazione” nella penultima Legge Finanziaria dal Ministro del Lavoro, Maroni) tipo il Reddito Minimo d’Inserimento (RMI) o tutto il cosiddetto Welfare Regionale, delineato dall’Amministrazione Bassolino, oppure, ancora, i vari provvedimenti dell’Assemblea Regionale Siciliana in materia di “assistenza sociale” se non degli esempi lampanti di una ragnatela legislativa indirizzata al “singolo cittadino disagiato” a cui offrire, con criteri di sospetta discrezionalità e di aperto clientelismo, briciole di “stato sociale” - meglio definito Welfare dei miserabili - in perenne diluizione ed individualizzazione?

7 Negli ultimi mesi non si è verificata esplosione sociale e conflittuale che non abbia conosciuto la terapia del manganello ad opera degli apparati repressivi dello stato. Inoltre la Magistratura sta utilizzando, per inibire e colpire, le nuove lotte, una strumentazione normativa finora adoperata per i fenomeni riconducibili alla “criminalità organizzata”. Contro i disoccupati organizzati napoletani viene rispolverato l’articolo 416 del Codice Penale (Associazione per Delinquere), contro i precari che si adoperano nella contrattazione sociale contro il carovita viene utilizzato il reato di “Estorsione Aggravata”. Inoltre tutta la campagna d’ordine contro “mafia-camorra-n’drangheta” è orientata alla costruzione di un consenso coatto e passivo alla continua militarizzazione dei territori, al rafforzamento autoritario delle istituzioni ed al restringimento della libertà di lotta e di organizzazione.

8 Marco De Marco, direttore del Corriere del Mezzogiorno, in un editoriale del 24/12/04, intitolato “La Modernità Solubile” utilizza, a piene mani, alcuni concetti di Bauman per prendere atto, in maniera allarmata ed angosciata, del fallimento di tutte le politiche di innovazione socio/economiche sperimentate - con volgare clamore dei media in tutti questi anni - nella città di Napoli e nel Sud. Nell’articolo De Marco, prendendo spunto, da una cruda inchiesta sul fallimento/smarrimento dei trentenni (amaramente delusi dal non aver raggiunto l’agognata carriera e successo, particolarmente dopo lo sgonfiamento della Net/Economy) affida le sorti del Meridione, confortato dal fascinoso lessico di Bauman, ad una improbabile nuova stagione rigeneratrice ad opera di una non ben definita nuova classe dei...trentenni la quale, con rinnovato disincanto, dovrebbe emarginare e superare l’attuale sistema dei partiti accusato di bloccare questo possibile e necessario “ciclo virtuoso del rinnovamento della politica e dell’economia”.

9 Dal 1993, data della prima elezione di Bassolino a Sindaco di Napoli, si usa definire “Laboratorio Campano” il sistema di alleanze politiche ed elettorali - che vanno dal PRC di Bertinotti all’UDEUR di Mastella - il quale governa, ininterrottamente, la Regione Campania (tranne un breve intermezzo del centro/destra scalzato da un repentino ribaltone trasformista, organizzato da Bassolino, servendosi dei peggiori arnesi del vecchio blocco di potere democristiano), la Provincia di Napoli, il Comune di Napoli ed una miriade di amministrazioni locali e provinciali nell’intera regione Campania.

10 L’acquisizione del Banco di Napoli da parte del San Paolo di Torino, il processo di concentrazione delle Casse Rurali e di alcuni istituti bancari operanti in Puglia, Basilicata e Calabria, la diffusione abnorme di compagnie assicurative di varia natura non vanno interpretati esclusivamente come mere acquisizioni di gruppi finanziari del Nord verso le “piccole prede meridionali”. Questa movimentazione è sintomatica di un riassestamento del “sistema nervoso del capitale” (le banche) finalizzato all’attuale ruolo e posizionamento assegnato al Meridione nell’ambito della concorrenza/competizione globale internazionale accentuatasi dopo l’implosione dell’Est nel 1989, i nuovi rapporti con l’area Mediterranea, con la penisola Balcanica e con il Nord-Africa. Inoltre la novità dell’entrata in vigore dell’Euro, con l’emergere delle prime contrapposizioni dirette con la valuta statunitense, comporta una blindatura, al momento solo economica e strutturale, delle economie concorrenti con il Dollaro.

11 L’avere preso consapevolezza di questo problema correlato all’attuale congiuntura dello scontro non costituisce, in alcun modo, la certificata garanzia di superare le difficoltà presenti. Il volontarismo accompagnato da tutti gli sforzi organizzativi che possiamo mettere in campo non è mai una soluzione certa e sicura a queste difficoltà. Conforta, però, il dato (politico) che numerosi militanti, anche provenienti da percorsi teorici differenti, iniziano, collettivamente, ad interrogarsi sugli snodi della crisi, sulle modificazioni intervenute nella composizione di classe e sulle (nuove) modalità dell’agire collettivo di parte proletaria.

12 L’introduzione e la vigenza dell’Euro ha sfatato un altro mito duro a morire. Fino a pochi anni fa si riteneva che i prezzi ed il sistema tariffario, nel Sud Italia, fossero meno alti di quelli in uso nelle altre parti del paese. Il varo dell’Euro, con la relativa centralizzazione di alcune filiere di produzione e di distribuzione economica e coomerciale, ha contribuito all’omologazione ed al rialzo dei prezzi sull’intero mercato nazionale. Stesso processo ha subito il mercato immobiliare il quale ha visto i prezzi dei fitti schizzare in alto costringendo le famiglie ad un indebitamento di massa attraverso lo strumento dei mutui presso banche e finanziarie varie.

13 Non intendiamo esaurite nella Rete per i Diritti ed il Salario tutte le potenzialità e gli immensi compiti di mobilitazione e di scontro politico. Riteniamo, però, che, con tutti i limiti ancora presenti e suscettibili di superamento in avanti, questa esperienza di lotta e le relazioni innestate con altri soggetti/soggettività sono una, possibile e sperimentale, strada da intraprendere....con quella piccola e necessaria dose di disincanto lucido che, dopo tanti anni di impegno politico, deve accompagnarci in tutte le nostre “avventure” in questa difficile fase dello scontro di classe!!

14 Alcuni autori, commentando le lotte di Scanzano e di Melfi, (il libro, di Josè Mazzei,” Rivolte, Scanzano, Rampolla, Melfi: la Basilicata contro” sostengono che tenendo assieme ed intrecciando la radicalità e la spontaneità dei movimenti di massa con la capacità delle istituzioni locali di difendere i legittimi interessi delle comunità si possono determinare le condizioni per una efficace tutela delle condizioni sociali. La nostra tesi continua ad essere quella che afferma che non è possibile un “uso sociale e/o alternativo” né dei poteri e né, ancora di più, dei micro/poteri. Altra cosa è l’incuneamento conflittuale dei movimenti di massa dentro alcune contraddizioni che, a volte, possono prodursi negli schieramenti istituzionali. Un percorso, però, da fondarsi, esclusivamente, come dimostrato dal bilancio delle varie stagioni politiche che stanno alle nostre spalle, sui rapporti di forza e di lotta, unica garanzia per strappare risultati soddisfacenti e non controproducenti per le Vertenze e le battaglie che portiamo avanti.