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TENDENZE DELLA COMPETIZIONE GLOBALE

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Una analisi marxista del capitalismo contemporaneo

JAFFE HOSEA

Riflessione su Competizione Globale di L.Vasapollo, M. Casadio, J. Petras, H. Veltmeyer (Jaca Book, 2004)

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Questo libro è un significativo ed aggiornato contributo alla letteratura anti-imperialista marxista. Si divide in quattro parti: (1) “Studiare il capitalismo ai nostri giorni: Strumenti per una Analisi Critica”: un titolo che parla da solo, e che dà il nome anche al primo capitolo, che offre dettagli della concentrazione del capitale dal 1897 al 2000 e dei “flussi finanziari internazionali” che danno conto dei movimenti mondiali di capitale. Questi avvengono al tasso di 2000 miliardi al giorno, dei quali solo dall’1 al 2% sono causati da “scambi di merci”. Le pagine 33-38 mettono in relazione la teoria marxista del valore con la triste realtà dell’imperialismo oggi. Le pagine 51-96 di questa parte del libro spiegano come i conflitti sociali di classe nell’era della competizione globale tra multinazionali (MNCs) e tra i loro stati in USA, Giappone ed Europa siano correlate alla produzione fordista del secolo XX ed oggi sempre più in connessione con la produzione post-fordista del secolo XXI. In particolare (pp. 82-84) lo stato sociale si è trasformato nel “profit state”.

1. Il neoliberismo sotto la competizione globale USA-UE (2) “Dinamiche del Capitalismo Neoliberista nella Competizione Globale” - che getta una necessarissima luce sull’accumulazione capitalista in paesi come l’Italia, sul “profit state”, il keynesismo militare, la NATO, l’Unione Europea e “la nuova Cina”. Questa sezione contiene anche una critica di base della mitologia del cosiddetto “impero USA” di Hardt e Negri. In una sezione successiva tale critica è ripresa, seguita da pertinenti commenti sui fallimenti di studiosi come Wallerstein ed Hobsbawm nella loro reazione anti-imperialistica alle controrivoluzioni portate avanti con l’aiuto di parti della “sinistra” europea, che hanno provocato la caduta di Yugoslavia, Balcani ed URSS nel “terzo mondo”. Questa critica è stata confermata dal recente aperto supporto di Habermas per una Europa unita, (e.g. p.143) e per la conferma da parte parlamenti nazionali europei e dai referendum di una costituzione europea che è l’abbandono della definizione dell’UE come imperialistica e quindi anche del socialismo. Tale critica è particolarmente benvenuta da quelli che credono che la posizione di Habermas sia un tradimento filosofico e politico nell’epoca della “War on Terror” condotta dagli USA ed appoggiata dalla UE. In questa parte del libro gli autori, scrivendo collettivamente, affermano chiaramente che per loro “la globalizzazione è una categoria molto imperfetta, che certamente crea confusione. È per questo che sarebbe più appropriato riferirsi alla ‘competizione globale’: infatti è questo che stiamo vivendo” (p.113). Tale competizione globale tra gli imperialismi USA, UE e Giapponese è assolutamente distruttiva del terzo mondo coloniale, tanto da condurre alla “disintegrazione di tutti gli stati che non sono di importanza strategica per gli stati più forti” (p.114). Ne sono esempi la disintegrazione della Yugoslavia, la secessione della Cecoslovacchia e la “deflagrazione dell’URSS” (p.115), in tutte e tre della quali l’Unione Europea ha giocato un ruolo significativo. I tre principali imperialismi (UE, USA, Giappone) hanno mancato di finalizzare questo processo nel caso della Cina, il cui PIL è cresciuto di un 9.7% annuale medio negli ultimi quindici anni, comparato al 2.9% degli altri paesi del terzo mondo. Questo processo ha aumentato il settore privato cinese dal 2 al 6% in tale periodo, mentre la proprietà collettiva regionale è aumentata dal 21% al 35% (p.131). D’altro canto non solo gli USA ma anche l’“Europolo”, oltre alla distruzione militare ed economica che hanno provocato insieme, hanno un “deficit democratico” (p.139), a dire poco. La tesi collettiva di questo lavoro della centralità della competizione inter-imperialista tra USA, UE e Giappone è confermata, tra l’altro, dal quasi collasso del dollaro in relazione all’euro ed allo yen (rispettivamente 38% e 23% negli ultimi tre anni) e dall’enorme deficit in dollari degli USA ed i corrispondenti surplus di dollari dei rivali UE e Giappone. 2. Critica della ideologia economica centro-periferia della CEPAL Alla critica dell’ipotesi di Negri ed Hardt che gli USA siano divenuti un “impero” in un “mondo senza imperialismo”, segue una critica dell’idea di Kennedy, Hobsbawm e Wallerstein che l’impero USA sia entrato in declino a causa della propria eccessiva espansione (158). Tale argomento è nato dai termini di centro e periferia lanciati dalla Commissione Economica per L’America Latina negli anni ’50, seguiti negli anni ’70 dal termine “semi-periferia” coniato dalla scuola di Wallerstein al SUNY, il salone neo-Braudeliano a Parigi, i loro convertiti in Italia. Il libro afferma categoricamente: “Questi termini, per lungo tempo considerati privi di alcuna specificità storica, di classe o di stato, non sono più considerati utili dalla maggior parte dei critici del mondo contemporaneo. Tutte le più importanti problematiche che oggigiorno stiamo affrontando e che riguardano la natura e la direzione dei rapporti di potere internazionali, la natura del moltiplicarsi dei conflitti, delle conquiste e della resistenza, ruotano attorno alla natura ed alle dinamiche dell’imperialismo” (p.157, corsivo del recensore). Invece di questi termini alla Braudel (usati in origine da un agronomo tedesco nel secolo XIX), il libro spinge per un ritorno alla terminologia marxista e leninista che studia l’estrazione, trasferimento e consumo di plus-valore creato da lavoro a basso prezzo semi-coloniale sfruttato dal capitale imperialista. Un capitolo, “La Repubblica ed il Peso dell’Impero USA”, offre statistiche aggiornate del potere delle MNCs americane (48% delle principali 500 nel mondo, con quelle Europee che costituiscono il 28% e quelle giapponesi il 9%). Inoltre, le MNCs USA comprendono il 66% delle prime 50 nel mondo, il 70% delle prime 20 ed 8 delle prime 10 (pp.160-161). Il valore delle MNCs americane è di 7445 miliardi di dollari, con un totale mondiale del resto di 5145 miliardi di dollari (p.161). È interessante notare che il capitale totale mondiale delle MNCs è di 12591 miliardi di dollari USA, cioè il 50% del PIL totale mondiale. Lo stesso capitolo offre dati che mostrano la stretta relazione tra “il militarismo e l’imperialismo economico”. Gli USA stessi hanno basi militari in 120 paesi.

3. La natura del socialismo cinese oggi

Una sezione sulla Cina rivela che (pp.181-188) il paese ha 180 milioni di “benestanti” (con solo 10 milioni di auto private, in relazione a paesi come l’Italia che con 56 milioni di abitanti ha circa 60 milioni di auto private). Gli autori dichiarano che “la Cina è il paese che, secondo la Banca Mondiale, ha avviato il più grande progetto di lotta alla povertà della storia mondiale” (p.182). Essi dicono: “Il Partito Comunista Cinese intende il socialismo come economia mista con il predominio della proprietà pubblica”, al cui fianco vi è l’economia di stato, l’economia sociale/collettiva e cooperativa, e vi sono aziende che combinano proprietà pubblica e privata, nonché “Aziende di proprietà statale” seguite da una ancora relativamente piccola - su scala cinese - “proprietà privata nazionale ed estera” (p.184). Nella stessa Cina vi sono 2 milioni di imprese private che impiegano 27.13 milioni di lavoratori, cioè il 3.7% della classe operaia cinese (p.186). La conferenza dell’ASEAN di Phnom Pen nel Novembre 2002 ha visto un accordo che include la Cina per costruire un’area commerciale di 1,7 miliardi di persone, con un PIL combinato tra i 1500 ed i 2000 miliardi di dollari, con “un interscambio commerciale di circa 1200 miliardi di dollari” (p.187). È rilevante per gli anti-imperialisti notare che il PIL medio pro capite di questi 1.7 miliardi di persone (quasi un terzo dell’umanità) è dato da SEAN come solo 1000 dollari (1500-2000 miliardi divisi per 1,7 miliardi di persone), che è un mero 5% del PIL pro capite medio del blocco dei paesi imperialisti con un miliardo di abitanti.

4. Le aree più ambite del banchetto imperiale La terza parte, “le aree più ambite del banchetto imperiale”, analizza l’assalto condotto dagli USA sull’Eurasia, la competizione tra USA ed UE nell’Asia centrale e “come l’imperialismo governa l’America Latina”. Le invasioni imperialistiche di Afghanistan ed Iraq, l’uso tedesco-americano delle “guerre etniche” per distruggere lo stato socialista della Yugoslavia con una militarizzazione senza scrupoli della politica del “divide et impera”, la lotta palestinese contro lo stato di Israele sorretto da capitali USA e britannici (e dalle lobbies ebree USA e sudafricane) ed i suoi coloni ebrei condotti da partiti sionisti e fascisti; la “war on terror” altamente tecnologica contro l’Iraq da parte della coalizione di stati imperialisti ed i loro satrapi semi-coloniali condotta dagli USA - tutti questi principali eventi contemporanei sono visti (pp.189-212). Tale visione è seguita da una preview della domanda: “L’Iraq... e dopo l’Iran?” Questa sezione finisce con un breve esame di queste guerre imperialiste nella cornice della competizione globale tra gli imperialismi USA ed UE. Nella quarta parte del libro molti di questi casi di invasione imperialista e di competizione saranno rivisitati contro un altro background, il crescente anti-imperialismo dei movimenti di resistenza. La terza parte del libro finisce con “una parte consistente del bottino dell’imperialismo: gli Usa in America Latina”. Studiando questo importante capitolo sull’America Latina (LA) potrebbe non essere irrilevante, specie in questi tempi di turbolenza, con la rivoluzione bolivarista di Chavez in Venezuela e gli accordi anti-Usa dei presidenti cubano e venezuelano, dire alcune parole su un soggetto discusso dai marxisti, cioè la relazione tra i coloni europei e la maggioranza non-europea in America Latina (i cosiddetti indios o nativi, i cosiddetti negri o afroamericani ed i cosiddetti - alla sudafricana - mestizos o meticci). Vale anche la pena ricordare che molti anti-imperialisti latino americani hanno da tempo rifiutato il termine creato dai coloni di latinamerica come eurocentrico. Il libro riferisce con accuratezza le sezioni sui colonizzatori quando descrive la collaborazione con l’imperialismo USA da parte di clienti latinoamericani. Malgrado l’opposizione spesso veemente da parte di marxisti euroamericani e latinoamericani, è innegabile che la classe media e molti coloni di classe operaia sono stati storicamente, e rimangono tuttora, economicamente ed ideologicamente colonialisti e razzisti nei confronti degli indigeni, africani e meticci. Mentre i coloni sono una autodefinita maggioranza caucasica in paesi come Uruguay ed Argentina (dove hanno quasi totalmente eliminato gli indigeni prendendogli le terre), in Brasile ed in Peru, nella maggior parte degli altri paesi latinoamericani essi sono una minoranza. Questa minoranza multiclasse di coloni costituisce il grande pericolo per movimenti come quello di Chavez, perché questa formazione sociale è pienamente cliente degli USA, come mostra abbondantemente questa sezione del libro scritta da quattro esperti. Essi dicono che è in genere vero parlare di imperialismo come sfruttamento e dominazione di 500 anni, ma in casi specifici ciò è deviante. Mentre i padroni europei ed americani nella maggior parte dei casi hanno sfruttato molti dei paesi LA per più di 500 anni, essi dicono che è anche vero che movimenti popolari della LA, regimi socialisti o nazionalisti, hanno sostanzialmente modificato e trasformato le loro relazioni con gli stati imperiali in diversi momenti (p.219). Essi danno poi esempi di tali regimi nazional-populisti con la loro graduale incorporazione non solo della classe media ma anche di elementi della classe operaia. Due tabelle dettagliate sulle rimesse dei profitti e dei trasferimenti di capitale mostrano che l’imperialismo neoliberista ha aumentato la dominazione imperiale della LA. Solo nel 1990-1998 le MNC hanno aumentato i loro nuovi investimenti da 8.7 milioni di dollari a 61 milioni, con fusioni di capitali e l’acquisizione di compagnie privatizzate piuttosto che con investimenti produttivi. Gli investimenti diretti alla LA nel 2000 erano il 60% del flusso globale imperialista, comparata con il 6% nel 1980 ed il 25% nel 1990 (World Investment Report, 2002, p.226). Il 30% delle principali150 imprese LA sono possedute da stranieri, 50% da nazionali (i più ricchi dei quali sono i coloni) e solo il 13% sono possedute dallo stato. Le aziende private creano solo il 22% degli exports delle prime 150 aziende. Nel 2002 le MNC americane ed europee hanno fatto profitti del 35% da investimenti diretti di 76 miliardi di dollari. Il commercio tra gli USA e la LA, attraverso i produttori della LA, contribuisce in maniera fondamentale all’economia degli USA. “Per il lavoro, e noto che esso e il fattore principale nel processo di produzione, la fonte principale di valore aggiunto ed il maggiore contribuente alla produzione totale dei fattori” (p. 235). Questo, e anche l’esempio del valore aggiunto dai lavoratori messicani soltanto negli USA (in aggiunta a quello sfruttato in Messico dalle MNCs USA) è pienamente conforme all’approssimata nota sullo “scambio ineguale” fatta da Fidel Castro nel suo famoso discorso di sei ore l’11 febbraio 20051. “Le Nuove Prospettive di Colonizzazione” esamina cambiamenti nel nuovo comando militare imperialista e l’intensificazione della “liberalizzazione” nelle aree come la La e l’esclusione dell’Europa e del Giappone dal mercato della La. La realizzazione di questo piano di “ricolonizzazione” si basa su tre “principali pilastri politici”: (i) la cooperazione dei leader ex-popolari come Lula in Brasile, Guttierez in Ecuador e Kirchner in Argentina; (ii) l’accelerazione degli accordi del American Free Trade Association, con minacce militari ai “clienti” nelle “fasi di declino”, come Toledo in Peru, Losada in Bolivia ed Uribe in Colombia; (iii) l’isolamento o il rovesciamento degli stati di Venezuela e Cuba e la sconfitta del crescente movimento popolare opposizionista della LA. Questi piani degli USA esistevano già prima della caduta delle Due Torri e prima di cosiddette “guerre preventive contro il terrorismo”. Nonostante questi piani la struttura imperialista degli USA resta su una piattaforma insicura. (4) La quarta parte, “La politica della resistenza, antimperialismo e movimenti in opposizione” è un esame, basato sulle classi, della Resistenza e dei movimenti anti-imperialisti nei paesi del Terzo Mondo, in Europa ed America. Questi sono comparati, inter alia, con la grande opposizione moderna alla guerra imperialista, ciò è l’invasione del Vietnam da parte degli Stati Uniti. Il Vietnam ha ritardato per quindici anni gli interventi militari ed imperialisti nel Golfo, Afghanistan, Nicaragua, Angola, Mozambico dopo l’uso delle “forze speciali” in Cile, Argentina, Uruguay, Grenada e Panama nel 1970. Sono menzionati anche i movimenti anti-sistemici a Parigi nel 1968 ed in Italia nel 1969. Tra gli obiettivi di tali movimenti erano la privatizzazione, le invasioni ed occupazioni militari, che degradano gli standard di vita ed il “commercio ed investimenti ineguali”. I contadini sono stati costretti a crescere produzioni alternative (e.g. coca in Bolivia e Colombia) a quelli controllati dai MNC Statunitensi e del EU. In Perù e Messico c’è stata la rivolta delle comunità degli “Indio” senza terra. Aggiungiamo qui che tutte due i paesi sono dominati dal capitale USA e EU, incanalato attraverso una potente classe di coloni, di prevalenza ex-Spagnoli, che rappresenta il 12% della popolazione anche nel caso del Messico (l’Encyclopaedia Britannica tuttora li definisce con il termine razzista “Caucasici”). I moderni movimenti anti-imperialistici hanno seguito la scia delle tradizionali lotte contro genocidi, schiavitù, deportazioni e asservimento da parte dei poteri Europei colonialistici e dei loro coloni. Le lotte moderne guardano più in avanti, mentre le lotte precedenti tendevano spesso ad essere arretrate (in quanto i loro sistemi comunali erano egalitari ed umani rispetto alle tirannie coloniali imposte dagli Europei). I movimenti anti-imperialistici sono discussi basandosi sui casi degli USA (Vietnam e Iraq) e dell’America del Sud e Centrale. Negli ultimi casi le basi popolari dei movimenti sono state spostate dai sindacati industriali ai movimenti di contadini e rurali in quanto “molti sindacati sono coinvolti negli accordi collettivi con le Corporazioni Multinazionali e preferiscono negoziare contratti piuttosto che sollevare difficili domande come la nazionalizzazione” (p.263).Questa è veramente un’analisi Leninista della connessione economica dell’imperialismo con i coloni della classe capitalista e i coloni della classe dell’ “aristocrazia del lavoro” della LA. Questo libro è stato pubblicato nell’ottobre del 2004, prima delle discussioni e degli accordi tra Castro e Chavez nel 2005. Il quadrimestrale Proteo ora esprime un’opinione più favorevole a Chavez rispetto al capitolo sui movimenti e Resistenze anti-imperialiste. Al momento di scrivere era piuttosto ragionevole dire quello che siamo recensendo adesso. Esso dice che da un lato il Venezuela di Chavez stava perseguendo una politica estera indipendente, opponendosi alle guerre imperialiste come l’invasione dell’Iraq, i programmi anti-rivoluzionari come il Piano Colombia e ALCA e promuovendo relazioni fraterne con Cuba (p.268). Dall’altra parte il regime di Chavez è accusato di seguire “una politica neoliberista, privatizzando società pubbliche, offrendo concessioni di petrolio alle multinazionale USA, pagando il debito estero e seguendo politiche monetarie e di bilancio ortodosse” (ibid.). Chavez è anche criticato per le “alleanze di classe” con cui è venuto al potere. Infatti, questa era la tipica alleanza della classe media e dei coloni “proletari borghesi” che seguono uno stile di vita da Primo Mondo in un paese colonizzato del Terzo Mondo. Ciò non vuol dire che gli autori hanno interpretato male o non hanno capito Chavez. Il punto è che Chavez ed il suo governo sono cambiati da quando si è scritto questo libro.

5. Il movimento anti-imperialista in Europa Nel “Movimenti Sociali e Cambio Epocale: La Specificità Europea” si sostiene che i movimenti “anti-liberisti” ed anti-guerra in Europa possiedono un’autonomia importante. C’è la possibilità di un cambiamento epocale che potrebbe mettere al centro la questione dell’imperialismo. Gli autori ricordano le gigantesche manifestazioni di milioni di persone a Firenze, Roma, Londra, Madrid, Parigi ed Atene contro l’invasione ed occupazione dell’Iraq guidata dagli USA. Essi criticano il settarismo e le illusioni (e.g. sull’ONU) del movimento “No Global”, e Social Forum (sia a Firenze, a Porto Alegre o a Parigi), Rifondazione Comunista in Italia ed Izquierda Unida in Spagna, il riformismo liberista dei partiti socialdemocratici ed i pacifisti. In una sezione rivelatrice ed interessante il Social Forum Europeo, sopratutto il suo componente francese, è esposto come Eurocentrico (p.297). Nonostante l’apparenza radicale del Social Forum diventa chiaro al lettore che sia in termini teoretici sia in termini reali il loro Eurocentrismo appartiene all’ideologia imperialista. In tutti gli effetti il loro sostegno all’ “Europa Sociale” non è altro che il sostegno per la continuazione della stessa Europa che creò prima il colonialismo e poi la sua risoluzione imperialista. L’ONU stessa ha dimostrato di aver “rivelato la sua incapacità come possibile governo mondiale” (p.293). Il libro, senza dubbio, condanna la NATO e la sua promettente “Difesa Europea” come l’equivalente rivale della NATO. Questa rivalità è un elemento crescente nella Competizione Globale USA - UE. Ne “L’esperienza del movimento per la Palestina” il libro spiega l’uso da parte dello stato-polizia di Israele delle accuse che essere anti-Israeliano vuol dire essere anti-semita. Il risultato di questo era il “silenzio inquietante da parte della sinistra” ed il rifiuto dei partiti come Rifondazione Comunista di partecipare alla manifestazione pro-Palestina in Italia (p.300). Il libro compara la “simpatia” umanitaria dei settori della “sinistra” Europea con i Kosovari (usati dagli USA e dalla Germania et al. Per completare la distruzione della Jugoslavia bombardando le regioni del Kosovo) con il fallimento della Sinistra di “aprire corridoi umanitari per portare medicine, cibo ed assistenza alla popolazione Palestinese” (p.301). Segue un leale difesa socialista di Cuba contro il blocco degli USA che, come ha detto Castro, cerca di strangolare lentamente il paese. Il libro dice che il socialismo Cubano non è il migliore ma resta comunque un punto di resistenza all’imperialismo perché è visto come un esempio di progresso, indipendenza e dignità nazionale. Dobbiamo dire qui che prima che il socialismo diventi “quello che desideriamo che sia” (che - sopratutto, ma non solo - nel Primo Mondo può essere volgarmente materialista, consumista, radioattivo ed inquinante) bisogna liberare entrambi i “Mondi” dalle strutture, straniere ed interne, dell’imperialismo. Come ha annunciato il Social Forum di Parigi del 2004 la percezione Europea di Cuba si differenzia moltissimo da quella dell’America Latina. Cuba sta cercando di superare le grandi difficoltà sorte dopo lo scioglimento dell’URSS (con l’assistenza della sinistra Europea) causate dall’imperialismo USA-UE. Nonostante tali gravi difficoltà in Cuba comunque c’è stato un “esperimento di socialismo possibile”. Per concludere: “Competizione Globale” è altamente raccomandato per coloro che desiderano approfondire la loro conoscenza della storia e dei problemi sia dell’imperialismo sia della teoria e pratica dell’anti-imperialismo.

Note

* Prof. Università di Cape Town, Sudafrica.

1 In H. Jaffe, La Plusvalia Oculta, Bilbao, Madrid, 1978, è dimostrato che il valore aggiunto creato dai lavoratori semi-coloni che producono l’export per i paesi imperialiste uguale al meno alla differenza tra il loro salari ed i salari dei lavoratori dei paesi imperialiste, più il valore aggiunto fatto durante la produzione prima dell’export. Par tale commercio il valore aggiunto del Terzo Mondo è valutato nel Primo Mondo secondo i livelli del valore aggiunto del Primo Mondo. Il “valore aggiunto nascosto” così prodotto è 10 più del salario del Terzo Mondo.