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EUROBANG / IL CAPITALISMO ITALIANO

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GESTIONE DEI RIFIUTI E MODELLI ALTERNATIVI
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GESTIONE DEI RIFIUTI E MODELLI ALTERNATIVI

ALESSANDRO GATTO

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Il problema dello smaltimento dei rifiuti nel mondo è diventato una fonte di preoccupazione si può dire primaria, soprattutto in quei Paesi del “nord” del mondo che da alcune decine di anni a questa parte hanno introdotto largamente dei beni di consumo avvolti dalla squallida soluzione dell’usa e getta. Il marketing pubblicitario ha fatto il resto: i prodotti vengono eccessivamente avvolti e “protetti” da imballaggi provenienti dal mondo del petrolchimico o comunque dal mondo della chimica di sintesi e quindi della non biodegradabilità. E questo è il punto! Mentre prima tutti i rifiuti prodotti dalla società potevano essere facilmente trasformati dalla natura stessa in altri elementi anche utili al suolo e a tutta la biosfera, oggi siamo circondati, troppo spesso invasi, da buste di plastica, copertoni d’auto, plastiche di ogni genere e da tantissime sostanze cosiddette “persistenti” o non biodegradabili perché xenobiotiche, cioè sconosciute alle popolazioni di microbi che in natura sono deputati alla decomposizione e alla trasformazione della materia organica in materia inorganica, subito pronta alle esigenze di vita dei “produttori” del mondo vegetale e di tutti quegli organismi che ricominciano il ciclo degli elementi, tenendo ben chiuso il cerchio. Il caso della Regione Campania è l’esemplificazione di un modello di sviluppo da “nord” del mondo ma di gestione del problema rifiuti al sud Italia alquanto fallimentare, al punto da diventare un vero e proprio caso nazionale, sia per l’amministrazione ordinaria e legale, sia per la gestione illecita dei traffici di rifiuti anche e soprattutto pericolosi, occultati dalla malavita organizzata dentro e fuori la regione. Dal 1994 la Campania si trova in uno stato di emergenza relativo allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e la situazione è andata peggiorando di anno in anno fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui, con l’esaurimento di tutte le vecchie discariche, non si è saputo più come gestire il problema. Oggi siamo al punto che l’emergenza è diventata di competenza della Protezione civile, come se ci fosse stato un terremoto o l’esplosione del cono del Vesuvio. Ma questa è un’esplosione continua e i rifiuti aumentano in ogni zona della Campania, accatastati nelle cosiddette ecoballe. La struttura commissariale (da Rastrelli, passando per Losco e Bassolino, fino ad arrivare a Catenacci) è responsabile dell’attuale emergenza, per aver puntato esclusivamente sulla realizzazione degli impianti di Cdr (combustibile derivato dai rifiuti) e dei termodistruttori. Cioè si è preferito scegliere la strada dell’incenerimento che, con un neologismo coniato per l’occasione, ha presentato questi impianti come utili e a volte persino indispensabili per la collettività: i termovalorizzatori. Talmente necessari che oggi tutti i cittadini non addetti ai lavori sono convinti, o sono stati convinti, che senza la realizzazione di questi impianti non si potrà mai risolvere il problema dei rifiuti. Le emergenze continue di questi ultimi anni in Campania sono state esasperate anche per dare un immagine negativa al cittadino ignaro del problema. Si è voluto stressare le popolazioni per ottenere l’assenso generale alla costruzione degli improrogabili termovalorizzatori. Senza però spiegare chiaramente quali impatti ambientali e sanitari questi provocano. Non si dice, ad esempio, che il 30% dei rifiuti introdotti nel termovalorizzatore diventa cenere ricca anche di sostanze tossiche e pericolose per la salute di tutti gli esseri viventi. Ma neppure la realizzazione di tutti gli inceneritori a recupero energetico (o termovalorizzatori), previsti in Campania (al momento sono due enormi impianti previsti ad Acerra e S. Maria la Fossa) permetterebbe di uscire definitivamente dall’emergenza. Si potrebbe incenerire solo la piccola parte di Rsu (rifiuti solidi urbani) trasformata in Cdr (20-30%), ma il Cdr è di pessima qualità perché fortemente contaminato dall’organico, che ne abbatte il potere calorifico, e da altri rifiuti anche pericolosi (con problemi di emissioni tossico-nocive). In questo momento la maggior parte di rifiuti solidi urbani prodotti in Campania vengono trattati negli impianti Cdr producendo una quantità enorme di altri rifiuti (Fos, frazione organica stabilizzata, contaminato, sovvalli, rottami ferrosi, ecc.), da conferire esclusivamente in discariche perché sono tutti residui di una lavorazione tesa al miglioramento del potere calorifico del Cdr e non mirata al recupero delle cosiddette materie prime seconde, che invece una buona raccolta differenziata spinta favorirebbe. Quindi la politica del Commissariato non ci ha nemmeno liberato dalle discariche, anzi bisognerà individuarne di nuove, con probabili ulteriori sollevazioni popolari. Anziché investire fortemente sulle politiche di riduzione dei rifiuti, introducendo anche dei meccanismi premianti per i cittadini virtuosi, e la raccolta differenziata, rivolta al riciclaggio della materia, il Commissariato si è limitato a gestire l’ordinaria emergenza (impianti di vagliatura, trasferimento delle ecoballe su vari siti di “parcheggio” in tutti i territori della Campania e anche fuori regione, con le evidenti proteste dei cittadini del nord Italia, molto spesso aizzati dalla Lega Nord). Non si deve dimenticare che sono stati effettuati degli esperimenti di raccolta differenziata spinta e compostaggio in alcuni piccoli e medi comuni della Campania, peraltro con eccellenti risultati, ma nessuna estensione al resto della regione (soprattutto dei grandi comuni). La città di Napoli, ad esempio, solo da poco tempo ha iniziato la raccolta differenziata su tutto il territorio comunale ma con percentuali di intercettazione delle varie frazioni differenziate ancora lontane da quelle previste dal Decreto 22/97 (Decreto Ronchi). La prima ordinanza, la n. 319 del 30/09/2002 voluta da Giulio Facchi, che avrebbe rilanciato seriamente lo sviluppo della differenziata, è arrivata con diversi anni di ritardo e non si sta facendo molto per applicarla, anzi pare che la si sia buttata in un cassetto. Ma questo è ovvio perché è facilmente intuibile a tutti che le politiche di riduzione e di raccolta differenziata, tesa al riciclaggio della materia prima seconda, si pongono in contrapposizione con la pratica dell’incenerimento dei rifiuti sotto forma di Cdr. In effetti, per funzionare bene, un inceneritore (con o senza recupero energetico) deve bruciare soprattutto carta, cartoni e plastiche, quindi è molto importante, per chi sostiene la strada della termovolorizzazione, che la raccolta differenziata rimanga marginale ed emarginata da un contesto di smaltimento “integrato” dei rifiuti, perché altrimenti verrebbe a mancare il combustibile (Cdr) per questi impianti industriali capaci di produrre energia bruciando uno scarto della società, rappresentato dai rifiuti, e non dai costosissimi combustibili fossili (gas naturale, gasolio o, peggio ancora, carbon fossile). In questo contesto è semplice proporre la soluzione dell’asse Cdr-inceneritori come la più virtuosa possibile, se si suggerisce ai cittadini anche che l’impatto ambientale è pari a zero. Ma così purtroppo non è, perché in natura nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. In altre parole noi possiamo solo trasformare le sostanze e le merci ma non possiamo farle svanire nel nulla con l’illusione degli inceneritori con recupero energetico. A questo poi aggiungiamo anche il fatto che il sistema degli inceneritori offre meno posti di lavoro del sistema della riduzione e raccolta differenziata spinta con il metodo del “porta a porta”. Si stima, infatti, che siano circa 80 i nuovi posti di lavoro se si avviano un milione di tonnellate all’anno di rifiuti solidi urbani ad incenerimento con recupero energetico, mentre sono circa 1600 i nuovi posti di lavoro che si ottengono se la stessa quantità di rifiuti prodotti in un anno vengono avviati a raccolta differenziata finalizzata al riuso e al riciclo dei materiali (escludendo l’incenerimento con recupero energetico). Infine sarebbe interessante sapere se sono previsti dei fondi regionali per sviluppare la differenziata, e se ci siano mai stati prima. Si potrebbe pensare giustamente ad un conflitto d’interesse: il Commissariato ha un contratto con la Fibe (azienda affidataria della realizzazione degli impianti di CDR e dei termodistruttori) per realizzare il “ciclo integrato dei rifiuti” e ha usato anche la forza pubblica per far realizzare gli impianti. La raccolta differenziata non rientra affatto nel contratto, ma resta nella responsabilità delle amministrazioni pubbliche. La Fibe non ha alcun interesse a promuovere la differenziata, perché viene pagata dai Comuni per ogni Kg conferito ai Cdr. Quindi se tutti i rifiuti vanno al Cdr, la Fibe guadagna moltissimo, più di quanto guadagnerebbe se i suoi impianti trattassero prodotti a valle della raccolta differenziata, come da contratto. Inoltre il costo di smaltimento in discarica (e la riapertura/realizzazione di nuove discariche) di Fos e sovvalli chi lo paga? La Fibe o il Commissariato? Le ultime dichiarazioni del commissario Catenacci sulla possibilità di realizzare almeno un altro impianto di incenerimento di rifiuti con recupero energetico, sono in pratica la sconfessione del piano che ci è stato imposto come il migliore possibile e la volontà più o meno esplicita di voler affossare una politica di raccolta differenziata spinta.

Note

* Referente del settore rifiuti del Wwf Campania.