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JOAQUIN ARRIOLA
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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

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L’uomo precario

JOAQUIN ARRIOLA

Luciano Vasapollo

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Di seguito si riproducono alcune parti delle Conclusioni del libro di Joaquin Arriola e Luciano Vasapollo, dal titolo L’UOMO PRECARIO. NEL DISORDINE GLOBALE (edizioni Jaca Book, ottobre 2005)

1. Riforme strutturali per un cambiamento del modello sociale e del lavoro in Europa del modello europeo neoliberista

I problemi che emergono dall’analisi del modello europeo neoliberista mostrano che è necessaria una politica economica fortemente alternativa di grandi riforme strutturali, che sappiano affrontare i problemi occupazionali e di protezione sociale. Anche la domanda pubblica deve essere utilizzata per questi obiettivi: deve arrivare ad essere uno strumento per orientare gli investimenti verso la creazione di occupazione ed il miglioramento della qualità della vita. Si richiede una gestione politica dell’economia che non solo rispetti le esigenze ecologiche, ma che abbia come obiettivo centrale la riconversione ecologica e la produzione non necessariamente mercantile, che favorisca la produzione di prodotti e di servizi socialmente utili ed allo stesso tempo dia impulso alle politiche ridistributive e di protezione sociale. Le trasformazioni strutturali che stanno caratterizzando il sistema socio-economico sono sopratutto trasformazioni che nascono dalla continua interazione del nuovo terziario post-fordista con il resto del sistema produttivo, con tutto il territorio, precisamente perché si tratta di trasformazioni nate dall’esigenza di ridefinizione produttiva e sociale del capitale entro le relazioni di classe e del conflitto capitale - lavoro, del conflitto capitale-ambiente, del conflitto capitale-diritti. Ci troviamo di fronte alla decadenza dei paradigmi ideali che hanno marcato la storia della civiltà europea, basata da sempre sulla affermazione dei diritti sociali, intesi tanto come espressione della cittadinanza attiva, del potere collettivo di partecipazione nelle decisioni riguardanti temi comuni e di redistribuzione della ricchezza sociale, quanto dell’insieme di politiche economiche elaborate per ottenere l’attribuzione di una quota di reddito nazionale da destinare alla soddisfazione delle necessità non garantite direttamente dal mercato, attraverso il ruolo di un forte Stato sociale. L’attuale meccanismo economico sta acutizzando la dicotomia tra crescita quantitativa e sviluppo qualitativo, dividendo ancor più le aree forti ed i soggetti forti da quelli deboli ed esclusi ed i paesi, ma sopratutto le regioni forti di alcune zone europee da altre che ancora si dibattono, nella stessa Europa, in un contesto di “sottosviluppo”. Se non si pone in discussione la questione di classe del potere nell’Europa finanziaria non esisterà la possibilità di ridefinire e condizionare le modalità dell’attuale sviluppo nella cornice della compatibilità ecologica e sociale per garantire i diritti di protezione sociale, nell’ambito dell’attuazione di un grande piano di riforme strutturali. È necessario pensare ad altre forme di organizzazione della società europea, della relazione tra produzione e consumo, tra lavoro e tempo liberato dal lavoro salariato. Si devono mettere in questione gli indicatori generali dello sviluppo quantitativo ed i modelli di accumulazione e ridistribuzione della ricchezza. Vale a dire, si devono criticare i modelli stessi di vita e di qualità della vita. Questo è possibile leggerlo ed interpretarlo solo per mezzo dell’analisi disaggregata della distribuzione territoriale delle attività, con una forte caratterizzazione di analisi di classe. Tale analisi arriva a disegnare una mappa sempre attualizzata delle dinamiche del sociale con un ruolo specifico per la flessibilità d’impresa, che impone l’adattamento attivo dei nuovi soggetti del lavoro e del non lavoro all’organizzazione capitalista, sempre più definita dalla sua attività terziaria e diffusa socialmente nel sistema territoriale. Ci troviamo di fronte a problemi di dimensioni inedite: il problema ecologico, quello della disoccupazione, il problema demografico e quello del vivere sociale, il problema dei migranti, dei nuovi diritti di cittadinanza, il problema di uno sviluppo a compatibilità socio-economiche condiviso da tutta la popolazione europea. D’altra parte crediamo che l’entrata nell’area della UE debba significare l’introduzione di meccanismi di sicurezza sociale già operanti in altre parti del nostro continente. È per questa ragione che oggi si richiede di proporre una battaglia europea di tutta la classe dei lavoratori, occupati o no, coperti dalle garanzie dei contratti collettivi o no, come momento centrale dell’iniziativa correlata alla riproposizione verticale dei conflitti sociali a partire dalla distribuzione sociale dell’accumulazione di capitale determinata da forme ogni volta più sofisticate di sfruttamento del lavoro, a partire dalla redistribuzione ai lavoratori di quegli incrementi di produttività che in ultima analisi altro non sono che ricchezza sociale generale prodotta dai lavoratori.

2. Una nuova alleanza mondiale del mondo del lavoro e del lavoro negato La lotta contro la fame nel mondo può essere un serio terreno di ridistribuzione della ricchezza realizzata con gli incrementi di produttività, creando lavoro vero, riducendo l’orario di lavoro, mantenendo il salario e i diritti, facendo lavoro di prevenzione del danno ambientale ed una battaglia internazionale per riconoscere un Reddito Sociale a disoccupati e precari. Ma vi è anche bisogno di rilanciare la battaglia internazionale per creare lavoro vero con diritti pieni, per il Reddito Sociale garantito, per una Tobin Tax destinata alla spesa sociale, alla lotta contro la fame e la povertà, al lavoro, recuperando l’evasione fiscale, fissando imposte più alte ai profitti da capitale, in particolare quello speculativo, penalizzando fiscalmente le tecnologie che rovinano l’ambiente. In questo contesto si deve anche limitare l’abuso corporativo del commercio. Le imprese multinazionali e la maggioranza dei loro portavoce politici, mediatici ed accademici insistono che il libero scambio è buono per i cittadini. Ma la versione corporativa del libero commercio è realmente centrata nell’ottenimento di fonti più economiche di lavoro e su come evitare gli standard legali di lavoro e ambientali ovunque questi vadano ad interferire con i profitti. Il commercio apporta vantaggi alla gente solamente se i diritti di tutti i lavoratori, qui come all’estero, si proteggono fortemente. Il commercio può essere libero solo in un quadro di giustizia del lavoro. Il commercio non è libero o giusto se mette in competizione per l’occupazione i lavoratori europei con i lavoratori che ottengono un impiego per produrre cose equivalenti in cambio di pochi centesimi l’ora, lavorando in condizioni orribili, e senza godere di alcun diritto legale. Il commercio non è libero o giusto se quello che fa è facilitare le grandi imprese che inquinano i propri lavoratori e l’ambiente, o che usiamo la logica che basta si inquini da un’altra parte. Per questo, l’opposizione alla OMC (WTO), alle nuove regole che la UE vorrebbe imporre per “sviluppare” il mercato unico, è una necessità vitale per invertire la tendenza alla degradazione del mondo del lavoro su scala europea e planetaria. Con la pubblicazione nel Gennaio 2004 della sua proposta di Direttiva sui servizi nel mercato interno, la Commissione Europea (CE) ha lanciato il suo più radicale e completo attacco contro lo Stato sociale dell’Unione Europea (UE). La proposta è originata dalla DG del Mercato Interno alla cui guida è il Commissario Fritz Bolkenstein, e comprende essenzialmente tutti i servizi. Gli unici servizi esclusi dal suo ambito sono quelli somministrati dallo Stato nel compiere i propri obblighi sociali, culturali, educativi e giudiziari nei casi in cui “non si abbia remunerazione”. Nondimeno, dato che l’accesso ad un gran numero di servizi pubblici esige il pagamento di tasse, la maggior parte di tali attività ricade nell’ambito della direttiva. La direttiva cerca di arrivare al suo obiettivo di deregolamentazione eliminando gradualmente le restrizioni nazionali e minando sistematicamente le leggi nazionali per mezzo del cosiddetto principio del “paese di origine”. Una volta adottata la direttiva, le imprese di servizi nella UE dovranno obbedire solamente ai requisiti del paese di origine, quello dove sia la sua sede sociale. Agli Stati membri, nell’attuare o somministrare servizi, non sarà permesso di imporre restrizioni o controlli di alcun tipo. La Commissione vorrebbe eliminare perfino il registro obbligatorio nel caso di un’impresa che apra attività in un altro Stato Membro. La conseguenza di tutto questo è che il principio del paese di origine elimina qualsiasi supervisione efficace dell’attività imprenditoriale nella UE. Nel futuro, qualsiasi impresa potrà evitare pesanti restrizioni nazionali basando i propri uffici registrati, o semplicemente stabilendo un ufficio fantasma in un altro Stato Membro. In questo modo si potranno saltare facilmente e senza costi i contratti collettivi locali relativi ai pagamenti, i requisiti relativi alle qualificazioni ed alle norme di protezione dell’ambiente o del consumatore”. Thomas Fritz e Raoul Marc Jenna: “La Directiva Bolkenstein” Attac/Oxfam octubre 2004. Questo documento è disponibile ad http://www.lainsignia.org. Il testo completo della direttiva si trova invece a http://www.europa.eu.int/comm/internal_market/en/Services/services/index.htm. Opporsi a tutte le politiche imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale (WB) o il Fondo Monetario Internazionale (IMF) significa opporsi alla dominazione delle imprese multinazionali sui paesi in via di sviluppo per imporre con la forza la riduzione dei salari dei loro lavoratori. Questo non significa assolutamente una difesa di soluzioni strettamente nazionalistiche ai disequilibri commerciali, da trovare mediante questo capro espiatorio senza capire da parte dei lavoratori la situazione dei loro compagni in altri paesi. Al contrario significa creare un ruolo internazionale del lavoro più importante nella presa delle decisioni ed ottenere più alti standard ambientali che migliorino le condizioni per i lavoratori a basso salario. Si devono ridistribuire risorse finanziarie sufficienti, generate dallo sfruttamento su scala internazionale dalle imprese multinazionali, che permettano a “gruppi di base di rappresentanti dei lavoratori” di diverse nazioni di visitare regolarmente gli stabilimenti che producono per l’esportazione in giro per il mondo in modo da determinare se si stiano applicando gli standard minimi. Solo i prodotti che rispondono a tali standard riceveranno l’approvazione ad essere scelti per circolare sul mercato internazionale libero ed aperto. Sono i lavoratori stessi che meglio possono attuare tali criteri internazionali e determinare l’uscita dal mercato internazionale delle merci e servizi che non adempiono alle condizioni lavorative ed ambientali minime stabilite. L’avanzamento in questa direzione richiede la promozione attiva di una strategia di solidarietà e di cooperazione internazionale con i movimenti dei lavoratori in altre nazioni, con lo scambio di informazioni, con la solidarietà internazionale, con il lavoro di organizzazione di base, con lo sviluppo della negoziazione collettiva, ed altre azioni e strategie che permettano di lottare insieme, soggetti del lavoro, del non lavoro, del lavoro negato, per affrontare gli attacchi globali contro le condizioni ambientali, di vita e di lavoro. Le risorse economiche per tutto quanto detto sono disponibili, ma abbisognano di un movimento di lotta radicale a sinistra e di una seria volontà politica di controtendenza per porsi immediatamente sul terreno di una uscita dal capitalismo o addirittura da subito con una strategia per la costruzione di una alternativa socialista. Solo così si può realizzare un processo di profondo rinnovamento e superamento, in senso economico, politico e così anche sociale, totalmente fondato sul terreno di una possibile alternativa al capitalismo. Questa deve essere la linea guida della trasformazione, l’attività politica fondamentale di un’analisi per la trasformazione sociale. In definitiva le novità del mondo del lavoro, la sua trasformazione rendono sempre più rilevanti e fondamentali la realizzazione di lotte per i diritti, per la dignità, per i contratti di lavoro e sopratutto per la qualità del lavoro, oltre che per il mantenimento della solidarietà internazionale e di classe. Nonostante le trasformazioni avvenute nei metodi di produzione, la crescita del lavoro autonomo, precario, mal retribuito, ed una sempre più ampia diffusione dell’impresa nel territorio, il lavoro continua ad essere al centro del sistema produttivo. Sono ancora i soggetti del lavoro e del lavoro negato gli agenti per la trasformazione radicale di fuoriuscita dal capitalismo per muoversi verso l’orizzonte del socialismo. Per questo bisogna garantire una attenzione preferenziale alla classe dei lavoratori, alle lotte di tutto il mondo del lavoro e del lavoro negato, per muoversi da subito nella strategia di classe della trasformazione reale della società, perché “un altro mondo è possibile, è necessario, è imprescindibile!” La costruzione di un futuro in tal senso è possibile da subito anche a partire dal rivendicare riforme strutturali che si muovono però sul terreno di classe, per la prospettiva del superamento del capitalismo. Come ci ha insegnato la storia del movimento operaio, solo dalla stretta simbiosi tra teoria e pratica si può costruire quell’ “intellettuale collettivo”, quella “scienza completa” che serva a sviluppare una funzione di guida per tutti i movimenti di opposizione anti-globalizzazione liberista, in modo tale che possano costruire una nuova prospettiva sociale lungo la linea strategica della lotta contro la competizione globale e verso il superamento del modo di produzione capitalista. La liberazione della classe operaia dallo sfruttamento capitalista è possibile solamente mediante il superamento del modo di produzione capitalista. Questa deduzione aveva prima, ed ha ancora, una importanza molto grande, perché pone decisivamente in discussione ogni sorta di illusioni circa il superamento della contraddizione capitale-lavoro all’interno del modo di produzione capitalista.

Note

* Prof. alla Fac. Economia dell’Università dei Paesi Baschi, Bilbao.

* Prof. Univ. “La Sapienza”, Roma; Direttore Scientifico CESTES e della rivista PROTEO.