Sulla vicenda del Policlinico Umberto I di Roma
Giuseppe Alvaro
In merito alla dibattuta questione del Policlinico Umberto I dell’Università di Roma "La Sapienza" riteniamo utile riportare, per una adeguata informazione, due interventi del Prof. G.Alvaro effettuati nell’ambito del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo |
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Intervento del Prof. Giuseppe Alvaro nella seduta del
Consiglio di Amministrazione del 26 luglio 1999
Quanto è avvenuto e sta avvenendo intorno al Policlinico
Umberto I è di estrema gravità. Si è ormai creato, strumentalmente o meno, un
clima di vero e proprio terrorismo. Le conseguenze sono sotto gli occhi di
tutti: totale sfiducia nella struttura sanitaria universitaria; responsabilità
da addossare per intero alla classe baronale dell’università, cinicamente
portata a lasciare in condizioni di degrado il Policlinico, per potere meglio
lucrare la propria professionalità nelle ricche strutture private.
Questo è il clima che si è creato e si è con ampiezza di
mezzi diffusivi alimentato nel Paese e nella nostra Regione, in particolare. L’esperienza
ampiamente dimostra che nel passaggio dal clima di sfiducia e di rigetto al
clima di odio nei confronti della classe medica e paramedica il passo è breve.
Per ogni evento triste che si verifica su di un paziente ricoverato al
Policlinico diviene quasi immediato ai familiari dolorosamente colpiti associare
la responsabilità dell’evento negativo alle strutture e agli operatori
sanitari del Policlinico.
L’agguato al collega Cavallaro, al quale vanno i miei
auguri di pronta guarigione, è da collocare in questo contesto.
Dobbiamo reagire a tale negativo, perverso clima che si è
creato, strumentalmente o meno, intorno al Policlinico Umberto I. Non sono più
ammissibili silenzi o prese di distanza da parte di chi ha, seppure a
diversificati livelli, responsabilità nella e della gestione dell’Ateneo e,
quindi, del Policlinico Umberto I.
E dobbiamo reagire utilizzando tutti gli strumenti a nostra
disposizione, per fare emergere in termini chiari quanto puntuali le
responsabilità di ciò che è accaduto, soprattutto da un anno in qua, in una
gestione del Policlinico peraltro commissariata.
Dobbiamo farlo muovendoci in più direzioni. Per rendere
oggettiva e oggettivante la credibilità delle nostre azioni, occorre in primo
luogo promuovere con rapidità e determinazione una indagine amministrativa per
accertare le responsabilità di chi opera all’interno delle strutture del
Policlinico.
Nella seduta del C.d.A. del 13 luglio u.s., l’Amministratore
Straordinario, Dott. Riccardo Fatarella, ha dichiarato che l’attività che ha
svolto nell’ambito del Policlinico deve essere analizzata e interpretata
attraverso “gli atti e i non atti”. Occorre uscire dall’equivoco. Bisogna
accertare quali e in quale direzione sono stati assunti gli atti di intervento;
quali sono i non atti e di chi è la responsabilità per non avere permesso la
assunzione di questi atti.
Occorre inoltre accertare come e con quale scala di priorità
sono state utilizzate nell’ambito della struttura del Policlinico le risorse
disponibili; cominciando innanzitutto ad accertare se tra l’abbellimento di
una cancellata e la priorità costituita dalla messa a norma di una camera
operatoria si è sempre e comunque scelta quest’ ultima priorità.
Lo so che oggi è scesa in campo la magistratura. Noi però
non possiamo restare con le mani in mano, non possiamo non promuovere alcun
accertamento amministrativo, in quanto abbiamo la responsabilità di definire le
prime, urgenti linee di intervento. Non possiamo non muoverci in questa
direzione, se vogliamo evitare che le colpe di ciò che avviene nel Policlinico
vengano sempre e comunque a ricadere sull’anello ultimo della catena,
costituito dal lavoro dei colleghi medici e del personale paramedico.
Una seconda e non meno importante linea da percorrere
riguarda l’accertamento delle responsabilità della Regione Lazio o, per
essere più precisi, dell’Assessorato alla Sanità.
Dal modo come i recenti eventi del Policlinico sono stati
presentati e diffusi dalla stampa e dalla televisione è emerso che tutte le
responsabilità sono da individuare nel comportamento del personale dell’Università.
Non dimentichiamo che nell’immaginario collettivo il Policlinico è stato
identificato ed è stato fatto passare come il Policlinico della vergogna.
Le istanze decisionali de La Sapienza non hanno mostrato una
volontà determinata e la necessaria forza per contrastare tale tendenza. Anzi,
l’accavallarsi delle negative vicende del Policlinico sembrava rappresentare,
in taluni eloquenti silenzi, la giustificazione delle decisioni assunte nel
tempo in ordine al commissariamento del Policlinico. Con ciò, contribuendo a
rendere ancor più credibile la tesi di chi voleva e vuole individuare nella
gestione universitaria la responsabilità dell’attuale processo di
dequalificazione del Policlinico.
Occorre che le maggiori istanze decisionali de La Sapienza e,
tra queste, il C.d.A. accertino e portino all’attenzione della pubblica
opinione anche le responsabilità della Regione Lazio.
Ciò per una prima, fondamentale esigenza. Se la Regione
Lazio ha responsabilità nelle vicende del Policlinico non può, non deve essere
individuata come l’ente salvifico del Policlinico. E se poi tali
responsabilità sono identificabili nella definizione e attuazione di un modello
comportamentale volto ad introdurre e ad alimentare le difficoltà gestionali
del Policlinico, le conseguenze sono, e non soltanto dal punto di vista
politico, ancor più gravi. In questo caso, infatti, occorre opporsi ad ogni
decisione volta a rafforzare il potere gestionale della Regione nelle attività
del Policlinico per evitare che il suo comportamento negativo venga ripagato con
un premio, il quale nei fatti tende anche a produrre conseguenze negative sulla
autonomia della Università.
In questa prospettiva occorre collocare il contenuto della
bozza d’intesa che la Regione ha presentato alla Sapienza e che il Rettore ha
trasmesso al Senato Accademico ma non ancora al Consiglio di Amministrazione;
della qual cosa mi dolgo perché il Rettore sapeva che oggi il Consiglio di
Amministrazione avrebbe dibattuto, in seduta straordinaria, la questione
Policlinico.
Le proposte formulate in quella bozza, se mi è permessa una
estremizzazione, sono al limite della provocazione per noi, per la Sapienza, per
l’Università in generale.
Non posso entrare nel merito perché il documento non ci è
stato distribuito e, quindi, formalmente non può essere oggetto di dibattito.
Non posso però non rilevare che per le conseguenze che quelle proposte
presentano sulla vita e sui rapporti universitari ritengo che quella bozza d’intesa
debba essere innanzitutto dibattuta e deliberata dalla Facoltà di Medicina.
Ciò per un motivo fondamentale: noi vogliamo, dobbiamo sapere se la Facoltà di
Medicina intende restare e muoversi nell’ambito universitario oppure,
accettando il principio della “sovranità limitata” contenuto in quelle
proposte, intende definire e costruire prospettive tendenti a collocarla al di
fuori dell’Università.
La Regione non può tirarsi fuori dalle vicende negative che
hanno coinvolto il Policlinico. Aveva ed ha il diritto-dovere di esercitare l’attività
di vigilanza, attività di fondamentale rilevanza per il cittadino nel momento
della fruizione delle prestazioni sanitarie.
La Regione ha svolto tale attività di vigilanza? Da quanto
è avvenuto sembra di no, almeno dal punto di vista sostanziale.
Di qui la immediata domanda: perché non è stata esercitata
tale attività di vigilanza? Di chi le responsabilità?
Noi lo dobbiamo accertare e sapere, se vogliamo costruire tra
la Regione Lazio e La Sapienza rapporti che, nel rispetto delle specifiche
autonomie decisionali, risultino saldi e chiari.
La Regione non può chiamarsi fuori e, con l’aiuto della
stampa, far credere che quanto è accaduto lo si deve solo e soltanto alla
incapacità dell’ Università di gestire le attività del Policlinico. Noi
abbiamo una convenzione-intesa con la Regione che è scaduta nel 1993 e non è
ancora rinnovata. E’ dal 1995 che non è possibile chiudere i conti del
Policlinico per il contenzioso che l’Università ha nei confronti della
Regione. E’ dal lontano 1993 che ha avuto inizio il sottofinanziamento del
posto letto del Policlinico rispetto a strutture sanitarie similari.
Anche nei confronti delle modalità e della intensità della
erogazione delle risorse da parte della Regione occorre prontamente reagire.
Il Policlinico non può e non deve più tollerare che i suoi
crediti, che registra fin dal 1995, non vengano saldati dalla Regione nemmeno
dopo quattro anni. Le istanze decisionali de La Sapienza - in primo luogo il
Magnifico Rettore - non devono lasciare nulla di intentato (comprese le vie
giudiziarie) per denunciare tale situazione. Bisogna essere consapevoli e
rendere consapevole la opinione pubblica che la decisione della Regione di non
pagare nei tempi e nei modi dovuti le somme spettanti al Policlinico ha una
catena di effetti perversi che si traducono in ultima analisi in un crescente
debito per il Policlinico e, quindi, nella impossibilità per gli operatori del
Policlinico di programmare e razionalizzare gli interventi.
Il Policlinico cura ogni anno oltre 75 mila malati. Come si
fa a “gestire” efficacemente ed efficientemente questo rilevante numero di
sofferenti in presenza di debiti crescenti, generati anche dal comportamento
della Regione, la quale peraltro richiede che tali prestazioni vengano dal
Policlinico effettuate.
Nella storia del Policlinico non si trova un concatenamento
di eventi perversi e negativi così numerosi e intensi, quali quelli
verificatisi in questo ultimo anno, per di più a gestione commissariata. Si
inizia con il sequestro e il successivo dissequestro del Policlinico, si
continua con le infezioni nella clinica oculistica, con la campagna su loschi
affari nel reparto per i trapianti renali, con l’attacco alla sala parto, per
finire con la rondinella che svolazza in una camera operatoria.
Non siamo riusciti a ricondurre alla ragione l’opinione
pubblica intorno alle diverse vicende del Policlinico, che di tempo in tempo con
violenza sono esplose sulla stampa. Non siamo riusciti a trasmettere all’opinione
pubblica il giusto messaggio nemmeno in occasione della recente manifestazione
di alcuni casi di enterite necrotizzante in neonati, pur disponendo di una
puntuale indagine congiuntamente condotta dal Direttore dell’Osservatorio
Epidemiologico della Regione Lazio, Dott. Carlo Perucci, e dal Direttore dell’Istituto
di Igiene della nostra Università, Prof. Gaetano Fara. Indagine che ha portato
alla conclusione che “le caratteristiche osservate fino ad oggi di questo
evento epidemico (prevalenza di neonati a termine e di peso normale) non
ricalcano quelle delle epidemie di NEC descritte in letteratura (elevata
incidenza di NEC in nati pre-termine e di basso peso). Sarà necessario quindi
procedere, in secondo tempo, ad una accurata revisione della diagnosi dei casi
fino ad oggi diagnosticati come NEC”.
Non siamo riusciti a stemperare la violenza della polemica
intorno ad un caso che nei fatti aveva origine di natura diversa da quella che,
con accanimento, veniva dalla pubblicistica portata alla attenzione della
pubblica opinione.
In tale contesto, ed in presenza della incapacità di far
valere le nostre ragioni, il Governo non poteva non intervenire. Era doveroso
che intervenisse per offrire le necessarie rassicurazioni al cittadino bisognoso
di prestazioni sanitarie.
Di qui l’origine del Decreto del Presidente del Consiglio
(D.P.C.M.) emanato il 16 luglio u.s.. Se però questo decreto trova la sua
giustificazione nella necessità di riempire un vuoto decisionale e gestionale
da parte degli organi del Policlinico, nella pratica operativa viene a sollevare
una varietà di problemi di natura sia formale sia sostanziale che tendono a
rendere ancor più complessa, contorta e confusa la ricerca della soluzione.
La prima, delicatissima questione che il D.C.P.M. del 16
luglio u.s. solleva è quella della sua legittimità. La questione della sua
legittimità sorge perché il decreto interviene in un ambito, l’autonomia
universitaria, regolato da leggi che, per di più, trovano la propria fonte in
norme costituzionali, in particolare nell’art. 33 ultimo comma della nostra
Costituzione.
Se si tiene presente che, nella gerarchia delle fonti
giuridiche, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è di valenza
sottordinata rispetto alle leggi ordinarie, segue che il D.P.C.M. del 16 luglio
non può essere ritenuto legittimo perché prescrive modifiche degli assetti
organizzativi definiti e attuati sulla base delle leggi che sanciscono e
regolano l’ autonomia universitaria.
A questo punto si impone, a mio parere, una linea di
intervento: prima di dar corso alla attuazione del D.P.C.M. in questione, il
Rettore deve garantire e garantirsi che si tratta di un decreto legittimo. E
ciò lo deve fare seguendo l’iter che la legge in casi del genere stabilisce.
Grave diverrebbe la responsabilità del Rettore se decidesse
di procedere alla attuazione del D.P.C.M. del 16 luglio senza avere prima
accertato che l’atto presenti le caratteristiche della legittimità.
Avendo sollevato la questione della legittimità formale del
Decreto, non intendo affrontarne aspetti sostanziali, tra i quali ad esempio
quello di individuare il Policlinico come azienda ospedaliera secondo quanto
previsto dalla legge 502 del 1992 e non già come azienda universitaria dotata
di autonoma personalità giuridica, secondo quanto previsto dalla legge delega
419 del 1998, i cui decreti attuativi, tendenti appunto a modificare la legge
502, dovrebbero essere emanati da qui a qualche mese.
Entrare nel merito di tale questione significa porsi
innanzitutto la domanda: si vuole procedere con subitaneità alla individuazione
del Policlinico Umberto I come azienda ospedaliera sulla base della legge 502/92
perché così il Policlinico non può più rientrare nelle norme previste dalla
legge delega 419/98 e quindi non può più divenire azienda universitaria dotata
di autonoma personalità giuridica? E’ questo che si vuole sul piano
operativo? Ed anche su quello politico? Se è questo l’obiettivo che si vuole
perseguire, occorre dichiararlo esplicitamente.
Interrogativi di siffatta natura non possono restare senza
risposte. Le risposte tuttavia devono essere ricercate subito dopo avere
affrontato e risolto la questione di legittimità del D.C.P.M. del 16 luglio,
questione che, riguardando il principio della autonomia dell’Università,
finisce con l’investire il pilastro fondamentale alla base della crescita del
sapere critico e, quindi, della democrazia.
Protocollo d’intesa Regione Lazio - Università La Sapienza
relativo al Policlinico Umberto I Intervento del Prof. Giuseppe Alvaro nella
seduta del Consiglio di Amministrazione del 30 luglio 1999
Dichiaro subito di votare contro questo Protocollo d’intesa
tra Regione Lazio e Università “La Sapienza”, in ordine all’azienda
Policlinico Umberto I, perché per me rappresenta l’ultimo atto della lunga
marcia, iniziata qualche anno addietro, della conquista del Policlinico da parte
di enti esterni all’Università.
Il mio voto contrario è anche motivato dal trattamento
irriguardosamente arrogante e sprezzante che si è voluto manifestare nei
confronti dell’attività, del lavoro e dell’autonomia decisionale del
Consiglio di Amministrazione de La Sapienza. Tale trattamento emerge dal fatto
che nella seduta straordinaria del C.d.A. del 26 luglio scorso ci è stata
consegnata una bozza del Protocollo d’intesa tra Regione e Università, che
non è stato possibile esaminare e discutere perché distribuita nella stessa
seduta. A conclusione della seduta però il C.d.A. ha approvato all’unanimità
una delibera in cui venivano definite le linee lungo le quali il Rettore si
sarebbe dovuto muovere nella trattativa con la Regione.
Oggi ci viene distribuito un Protocollo d’intesa che nella
forma e nella sostanza in gran parte ricalca quello che ci è stato consegnato
lunedì scorso e, come quello, presenta uno spirito e un contenuto che si
muovono in direzione opposta a quanto il C.d.A. ha deliberato nella ricordata
seduta del 26 luglio scorso e che avrebbe dovuto costituire per il Rettore il
mandato da osservare in sede di trattative.
Già il fatto di muoversi in direzione opposta a quanto
deliberato dal C.d.A. mi spinge a votare contro l’odierna proposta d’intesa. Ma
v’è di più. Io mi chiedo e occorre chiedersi, colleghi consiglieri, qual è
stato e qual è il ruolo del Rettore in queste trattative.
Se oggi noi ci troviamo davanti ad un Protocollo d’intesa
che ricalca in gran parte il Protocollo consegnatoci giorni addietro, delle due
l’una: o il Rettore non ha sostanziale potere contrattuale oppure è
intimamente favorevole alla trasformazione del Policlinico Umberto I in un’azienda
ospedaliera, regionalizzata, con la conseguente perdita dell’autonomia
decisionale delle istanze dell’Università.
Tertium non datur. Se poi ricordo a me stesso che uno dei
primi atti assunti dal Rettore nel momento del Suo insediamento è stato quello
di commissariare il Policlinico con la dott.ssa Piga e successivamente con il
dott. Fatarella, sono portato a concludere che è la seconda delle alternative
ad essere ritenuta la più rispondente al vero.
Oggi, ciascuno di noi, compreso quindi il Rettore, con il suo
voto indica in quale direzione intende muoversi. Per quanto mi riguarda, con il
mio voto contrario su questo Protocollo d’intesa intendo dire no alla
regionalizzazione e ospedalizzazione del Policlinico; intendo sostenere che il
Policlinico è parte integrante della Facoltà di Medicina e che la Facoltà di
Medicina è parte integrante de La Sapienza. Con questo mio voto contrario
intendo con responsabilità affermare che, rispetto alla situazione e alle
condizioni configurate dal Protocollo d’intesa, è preferibile il commissario
nominato dal governo. Per due motivi, almeno. Primo, perché abbiamo un
riferimento decisionale ben definito, e ciò permette di porre nella giusta luce
i problemi da affrontare e risolvere per il rilancio del Policlinico. Secondo,
perché il Policlinico, continuando a denominarsi Policlinico e non azienda
ospedaliera, rientra nell’ambito della legge delega 419/98, riguardante la
razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale ed i cui decreti attuativi
dovrebbero essere emanati entro la fine del corrente anno.
Sono pienamente convinto che, con il Protocollo d’intesa
oggi in discussione, si voglia declassare a tutti gli effetti, formali e
sostanziali, il Policlinico ad una pura e semplice azienda ospedaliera. La
convinzione è ampiamente supportata dalla lettura dei vari articoli del
Protocollo in esame. L’art.3, infatti, prevede che l’Azienda Policlinico,
attesa la sua alta specializzazione e, quindi, le sue peculiarità
inconfondibili, goda di personalità giuridica di diritto pubblico e di
autonomia organizzativa e amministrativa. Ne viene di conseguenza che l’articolazione
degli organi e degli uffici dell’azienda deve essere espressamente riservata
all’autonomia statutaria e regolamentare dell’Azienda stessa e non già,
come appare dall’art.4 e segg., al Protocollo d’intesa.
Approvare col Protocollo d’intesa anche l’articolazione
degli organi dell’Azienda significa vanificare la ratio dell’autonomia
organizzativa e amministrativa e, quindi, contraddire il testo di un atto
amministrativo, che seppure concordato, appare intrinsecamente incoerente nelle
sue varie parti ed articolazioni.
Mi sembra doveroso aggiungere, per chiarezza, che la
configurazione organizzativa eteronoma, cioè imposta dall’esterno, può sì
essere stabilita, ma solo attraverso un atto legislativo o equiparato, e ciò
sempre nel rispetto delle disposizioni di cui all’art.33 ultimo comma della
Costituzione, il quale, voglio ricordarlo a me stesso e a voi, recita: “Le
istituzioni di alta cultura, Università e Accademie, hanno il diritto di darsi
ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”.
Dalla rapida lettura che abbiamo potuto fare del Protocollo d’intesa,
in quanto fattoci recapitare ieri pomeriggio, non mi pare emerga la
individuazione delle responsabilità di quanto avvenuto nel passato recente e
meno recente. Quindi, nulla è detto intorno ai debiti pregressi del
Policlinico. Nulla è detto intorno ai tempi di apertura del Sant’Andrea, e
ognuno di noi sa che, stante le sue condizioni di accessibilità, di
allacciamento con la rete fognante, di messa a norma secondo quanto indicato
dalla 626, occorrono diversi anni per il suo funzionamento a regime. Nel
frattempo, però, e senza nessun impegno intorno ai tempi di apertura e di
utilizzazione del Sant’Andrea, nel Protocollo d’intesa si indica di portare
a 1.200 i posti letto del Policlinico.
Colleghi, su ciascuno di noi oggi grava una pesante
responsabilità. Votare sì a questo Protocollo d’intesa significa in pratica
votare per lo smembramento de la Sapienza. In questo senso il voto positivo
assume una notevole rilevanza. Perché nel tempo verrà ricordato come un voto
suicida e contro l’autonomia universitaria, autonomia, lo voglio ricordare con
forza, che è stata sempre alla base di ogni progresso umano e civile. Tutti noi
sappiamo e dobbiamo quotidianamente ricordarlo che, laddove l’Università non
ha operato in piena autonomia, lì la società civile non è progredita e la
democrazia non è cresciuta.
Più pesante è la responsabilità che grava sul Rettore,
Giuseppe D’Ascenzo, perché in caso di approvazione di questo Protocollo d’intesa,
ancor più se avverrà con il suo voto favorevole, verrà ricordato come il
Rettore sotto il quale La Sapienza ha cominciato a perdere parte del suo
patrimonio culturale che per tanti secoli La Sapienza è riuscita ad accumulare,
per il bene e nell’interesse della cultura del Paese.
Per poter arrestare la lunga marcia, avviata qualche anno
addietro, di conquista del nostro Policlinico e, quindi, di una parte del nostro
Ateneo, dobbiamo non approvare questo Protocollo d’intesa. Nell’esprimere il
mio voto contrario, formulo l’invito anche a Voi, colleghi, di non votare
questo Protocollo d’intesa, se vogliamo continuare a credere nell’unità e
nell’identità de La Sapienza.