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OSSERVATORIO SINDACALE INTERNAZIONALE

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Storia dei movimenti sindacali nel paese basco spagnolo. (quarta parte)

Marco Santopadre

Il movimento operaio basco contro liberismo e repressione

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A partire dal 1987, nel Paese Basco si cominciano a notare gli effetti del miglioramento della situazione economica e dell’impatto dell’ingresso nel Mercato Comune Europeo, il che però non significa affatto la fine del processo di smantellamento industriale iniziato anni prima. I sindacati di ambito statale danno per conclusa la politica di concertazione che ha caratterizzato il loro operato fin dal 1977, distanziandosi dal governo del PSOE. Per quanto riguarda il contesto basco, in questi anni la forza elettorale di Herri Batasuna cresce anche grazie al maggiore radicamento del sindacato LAB. Nel 1987 il governo Gonzalez apre una fase di negoziati con l’ETA ad Algeri, che purtroppo però non portano a nessun accordo duraturo. Per tutti gli anni ’80 LAB deve navigare nel mare in tempesta del capitalismo in pieno processo di riconversione e ristrutturazione. Alla fine dell’87 si celebrano per la prima volta le elezioni sindacali nel settore dell’amministrazione pubblica delle comunità autonome basca e navarra. LAB ottiene risultati apprezzabili che gli permettono di essere ammesso ai tavoli negoziali di numerosi comparti.

1. La “deindustrializzazione punitiva”

Il settore metallurgico continua ad essere quello maggiormente investito dagli effetti del processo di smantellamento industriale che nel Paese Basco acquisisce tratti punitivi. Nel 1987 l’azienda Acenor decide il licenziamento di 1431 lavoratori, LAB definisce la situazione come “legge della giungla”, caratterizzata da imprese che fanno a gara per ottenere quote di produzione più alte e aiuti economici, entrambi stabiliti dalla CEE. In cambio degli ingenti finanziamenti l’Europa unita impone una drastica riduzione della produzione di acciaio spagnolo e la conseguente riduzione dei posti di lavoro (a livello statale 13.000). Il governo spagnolo crea i cosiddetti “Fondi per la promozione del lavoro”, accettati dai sindacati spagnoli che legittimano così lo smantellamento industriale e la divisione tra i lavoratori con la promessa di un ricollocamento al lavoro entro tre anni dal licenziamento che nella maggioranza dei casi non avverrà. Quando il governo riforma i Fondi, obbligando i lavoratori che ne usufruiscono a dover accettare la mobilità in tutto il territorio statale, tutti i sindacati rispondono con numerose giornate di sciopero del settore, criticate però da LAB che chiede al mondo del lavoro di reagire nella sua totalità e contro tutta la politica economica dell’esecutivo e non solo ad alcune misure specifiche. Se la situazione del settore metallurgico è grave, altrettanto lo è quella del settore navale, investito all’inizio dell’88 da una nuova ristrutturazione. La maggioranza dei 1600 lavoratori licenziati dalla Euskalduna, non essendo stati riassunti come promesso tre anni prima, dal 1 gennaio 1988 cominciano a mobilitarsi, occupando più volte il cantiere di Olabeaga, scontrandosi con la polizia, assediando e assaltando le sedi imprenditoriali e politiche. L’impresa ricorre ad una serrata mentre la polizia prende possesso degli stabilimenti per evitare che siano nuovamente occupati dagli operai. Il cantiere di Olabeaga chiude definitivamente nel mese di giugno, grazie ad un accordo sottoscritto dall’impresa con CCOO e UGT, mentre rimane aperto quello di Sestao, vicino a Bilbao, dopo pochi mesi investito anch’esso da un piano di licenziamenti di massa. Nel 1987-88 migliaia di imprese falliscono e decine di migliaia di persone perdono il lavoro in molti settori produttivi. A quell’epoca la disoccupazione interessa il 58% dei giovani baschi. In questo quadro il varo da parte di Madrid del “Piano per il Lavoro Giovanile” suscita la rivolta di tutti i sindacati, tra i quali LAB, secondo il quale il piano “riporta le relazioni lavorative all’epoca del capitalismo selvaggio degli albori”. Il Governo di centrosinistra introduce il precariato un decennio prima che esso cominci a dilagare nel resto d’Europa, fornendo mano d’opera gratuita e senza diritti alle imprese con la scusa di favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Probabilmente lo sciopero generale proclamato il 14 dicembre del 1988 è stato il più partecipato della storia contemporanea dello Stato Spagnolo. L’intransigenza di Gonzalez ha reso vani gli sforzi dei sindacati statali di arrivare ad un compromesso col governo, cosicché LAB nel Paese Basco trasforma la lotta contro il Piano sui giovani in una battaglia contro tutta la politica governativa: contro la disoccupazione, contro la terziarizzazione dell’economia, contro le politiche sociali restrittive, la deindustrializzazione, la repressione. Nonostante l’astensione dal lavoro sia stata totale in tutto lo Stato, CCOO e UGT abbassano il tiro concentrando l’attenzione su alcuni punti del Piano dei quali chiedono la modifica. LAB continua a crescere sia nel territorio che nei diversi comparti, dovendo ristrutturare spesso la propria organizzazione. In Navarra, a metà dell’88 il Collettivo Unitario di Tafalla aderisce al sindacato patriottico con tutti i suoi 1200 iscritti, ma nonostante la sua espansione, LAB viene penalizzato dalle imprese e dalle amministrazioni pubbliche, che spesso preferiscono premiare gli altri sindacati. La riunificazione territoriale e il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione continuano ad essere i due elementi basilari del processo di costruzione nazionale: LAB continua a chiedere una politica monetaria e una pianificazione economica proprie, un controllo delle entità finanziarie da parte del governo autonomo, la creazione di un settore pubblico in tutte le aree dell’attività economica. Per quanto riguarda la negoziazione collettiva l’assemblea nazionale di LAB del 1988 approva le seguenti rivendicazioni: Contesto Autonomo delle relazioni lavorative, durata di un anno dei contratti, opposizione all’incremento dei ritmi di lavoro, alla flessibilità e alla mobilità, settimana lavorativa di 38 ore, maggiori poteri per i comitati di fabbrica. La sinistra indipendentista nel suo complesso continua ad essere oggetto della repressione, della criminalizzazione e anche degli attacchi degli squadroni della morte organizzati da alcuni apparati legati al Governo, ai servizi segreti e ad alcuni ambienti dell’estrema destra (anche italiana). Il 20 novembre del 1989 a Madrid viene assassinato Josu Muguruza, deputato alle Cortes di Herri Batasuna. LAB il Movimento Basco di Liberazione Nazionale proclamarono uno sciopero generale politico. Il fallimento dei colloqui di Algeri convince LAB che oltre alla resistenza occorre stimolare anche la costruzione nazionale, dotando la classe lavoratrice basca di una base ideologica appropriata e di adeguati strumenti di lotta capaci di accelerare il processo di costruzione di una società indipendente, nei fatti prima ancora che dal punto di vista giuridico e politico, da quella spagnola. Nel ’90 LAB decide di stimolare la baschizzazione linguistica del sindacato, come elemento di differenziazione oggettiva dall’identità ispanica. Ormai una grande percentuale dei suoi 2100 delegati e 17.000 iscritti sono immigrati o figli di immigrati da altre comunità dello Stato, ma baschi a tutti gli effetti. Al miglioramento degli indicatori macroeconomici non corrisponde una crescita dell’occupazione e del reddito dei lavoratori: alla fine dell’88 c’erano 213.000 disoccupati nel Paese Basco Spagnolo, il 21% della popolazione attiva, mentre le imprese cominciano ad investire i propri capitali nella speculazione finanziaria, accentuando ancora di più lo smantellamento dei settori produttivi. Ormai lo spazio sindacale basco appare sostanzialmente polarizzato: da una parte LAB e alcuni sindacati conflittuali di categoria come ESK-CUIS, figlio della sinistra sindacale scissasi dai sindacati concertativi; dall’altra parte CCOO e UGT. In una posizione intermedia si trova ELA, che procede ad una propria ristrutturazione a partire dal 1988 quando al posto del segretario Alfonso Etxeberria subentra il più giovane e combattivo Josè Elorrieta, che da subito indica la via della mobilitazione per l’autogoverno e per l’equità sociale. LAB mantiene la caratteristica assemblearia e socioeconomica, anche se si configura sempre più come organizzazione sindacale vera e propria, strutturata sul territorio e ora anche nei diversi comparti. Alla fine del 1990 i dati delle elezioni sindacali forniscono il seguente risultato: ELA 33,24% (+ 1,2); UGT 23,11% (+3,6); CCOO 17,98 (+ 0,72); LAB 12,58 (+1,9), resto 13,1 (-6,4). Lab scala posizioni e diventa seconda forza in Gipuzkoa e prima in alcuni comparti, ad esempio nel settore bancario navarro. Nel 1991 Bruxelles ordina, in nome della competitività internazionale dell’acciaio spagnolo ed europeo e dell’aumento della produttività, l’assorbimento degli altiforni baschi della AHV da parte del consorzio spagnolo Ensidesa. LAB risponde che non accetterà nessun taglio dei salari, nessun aumento della precarietà e della flessibilità, nessuna riforma della previdenza sociale. Ma il governo insiste nel completo smantellamento del settore pubblico all’interno dei confini baschi, con evidenti intenti punitivi nei confronti della media borghesia nazionalista e della combattiva classe operaia locale. La gravissima situazione e il cambio della guardia al vertice di ELA spingono ad un avvicinamento dei due sindacati patriottici, soprattutto su impulso di LAB, che chiede la formazione di un fronte sindacale unitario basco capace di trasformare in protagonismo politico la forza acquisita nei luoghi di lavoro.

2. L’unità sindacale basca

Dal 19 al 21 marzo del 1992, dopo 12 anni, LAB torna a celebrare un congresso nazionale, il III, all’Università di Leioa, con la presenza di 600 delegati in rappresentanza di 19.000 iscritti. Da poco Ensidesa aveva annunciato la chiusura degli altiforni bizkaini dell’AHV. Il dibattito affronta i cambiamenti avvenuti nella configurazione della classe lavoratrice, con una diminuzione del numero di operai di fabbrica, l’espansione del terziario, l’atomizzazione della classe lavoratrice, l’aumento della precarietà, fattori giudicati “un enorme pericolo per l’esistenza stessa delle organizzazioni sindacali di classe e conflittuali”. Il documento congressuale, presentato da Rafa Diez, giudica fallito il progetto spagnolo di sconfiggere le richieste di autogoverno attraverso la concessione di una scarsa dose di autonomia gestita dai partiti che rappresentano la borghesia basca, riaffermando invece la richiesta di autodeterminazione e nel frattempo di un Contesto Basco delle relazioni lavorative. Il congresso approva la costituzione del dipartimento “ LAB donne”. Il 15 aprile ’92 1500 delegati di LAB occupano gli uffici dell’INEM (collocamento) in 25 diverse città basche per protestare contro i piani del PSOE contro la disoccupazione. Per la prima volta ELA e LAB non accettano il calendario di mobilitazioni dettato dai sindacati spagnoli e ne fissano uno specifico per Euskal Herria, proclamando lo sciopero generale invece delle 4 ore chieste da UGT e CCOO e costringendo le sezioni basche di questi ultimi a piegarsi. L’adesione allo sciopero del 27 maggio è praticamente totale. Il protagonismo di LAB porta alla firma di un patto di unità di azione con ELA e CCOO, che dura alcuni mesi, nel 1993, portando alla indizione di mobilitazioni congiunte soprattutto contro la chiusura del settore industriale pubblico nella cosiddetta “margen izquierda”, la zona operaia della Bizkaia. ELA si sposta su posizioni più di classe e nazionali, distanziandosi così dal partito di riferimento, il PNV, da sempre espressione degli interessi della piccola e media borghesia basca. Nel 1993 il governo socialista propone un ennesimo piano di lotta alla disoccupazione (ormai al 23%!) che non fa che inasprire la precarietà e rende ancora più facile i licenziamenti. Ma la sezione locale delle CCOO, spaventata dalla radicalizzazione di ELA e dopo le ripetute pressioni della direzione statale, abbandona il patto coi sindacati nazionalisti, che invece proseguono mobilitando la propria base in numerose iniziative comuni, per la difesa del potere d’acquisto dei salari, la riduzione dell’orario di lavoro e la conquista di un ambito basco di negoziazione lavorativa. ELA e LAB celebrano insieme l’Aberri Eguna (Giorno della patria) del 1995, con una dichiarazione comune che sancisce l’unità d’azione e rivendica il diritto all’autodeterminazione come chiave per risolvere il conflitto tra il popolo basco e gli stati spagnolo e francese. Da parte sua LAB comincia una mobilitazione contro la precarietà dei rapporti di lavoro, occupando le agenzie interinali ribattezzate ETT (Imprese per il lavoro temporaneo) legalizzate nel 1994, e contro l’abuso dello straordinario da parte delle aziende, che se ridotto potrebbe portare alla creazione di numerosi posti di lavoro stabili (circa 10.000, secondo stime del ’96). Alla fine del ’95 vengono resi noti i risultati delle elezioni sindacali: ELA 35,27 (+2,03); UGT 19,88% (- 3,23); CCOO 17,4% (-0,58); LAB 14,56 (+2); resto 12,89% (-0,2). Per la prima volta i voti dei due sindacati baschi raggiungono il 50% ai quali vanno aggiunti i consensi alla sinistra sindacale e ad altri collettivi. Rafforzato, nell’aprile del 1996 LAB celebra il suo IV congresso, con 24.000 iscritti. Le tesi congressuale definisce LAB un “sindacato di classe e patriottico, organizzazione e strumento dei lavoratori e delle lavoratrici per ottenere trasformazioni economico-sociali tendenti alla consecuzione di un Paese Basco indipendente e socialista nei quali la democrazia e la giustizia sociale siano pienamente sviluppati”. Il congresso decide di creare il settore “LAB giovani e precari”.

3. L’era Aznar: lo stato d’eccezione permanente e l’apartheid politico Al governo socialista, travolto dall’emergere del suo coinvolgimento negli squadroni della morte e in numerosi episodi di corruzione, nel 1996 si sostituisce l’esecutivo del caudillo della destra (post)franchista Josè Maria Aznar. La vittoria del Partito Popolare non cambia di un millimetro la politica economica intrapresa dal precedente esecutivo, giustificata con il rispetto dei parametri di Maastricht fissati per preparare la Spagna all’ingresso nell’Unione economica e monetaria europea del 1999. Incredibilmente i sindacati UGT e CCOO, che erano stati abbastanza critici nei confronti delle ultime misure del governo socialista, si legano immediatamente ad Aznar con un patto di natura concertativa, nonostante le politiche di ulteriore privatizzazione del settore pubblico e di taglio allo stato sociale e di controriforma del sistema pensionistico. In questo quadro l’unità d’azione tra ELA e LAB e altri sindacati baschi minori si rafforza, acquisendo un protagonismo anche su temi e rivendicazioni non strettamente sindacali. Nel 1996, su richiesta dell’associazione dei familiari dei prigionieri politici Senideak, ELA e LAB sottoscrivono un appello contro la dispersione nelle carceri lontane anche migliaia di km dal territorio basco. Numerosi collettivi di lavoratori (rimarranno famosi i pompieri di Donostia) aderiscono alle manifestazioni e agli scioperi della fame realizzati in difesa dei diritti dei prigionieri e per il rispetto del loro status politico. La critica di LAB nei confronti del processo di integrazione europea si fa sempre più forte e approfondita. Il principale responsabile della politica di massacro sociale del governo Aznar viene considerato il progetto di unificazione europea che detta le direttrici ai singoli esecutivi nazionali, incuranti delle conseguenze sociali. La sinistra indipendentista comincia a sviluppare un’analisi che considera l’unificazione europea un progetto da contrastare in quanto opposto ai diritti dei popoli e delle classi lavoratrici, di natura guerrafondaia e imperialistica, mirante alla costruzione di un polo politico-economico alternativo a quello egemonizzato dagli Stati Uniti ma sostanzialmente simile negli obiettivi e nei metodi. Una posizione che porterà la sinistra basca a chiedere ai propri simpatizzanti di votare no al referendum realizzato nello Stato Spagnolo il 20 marzo del 2005 sul trattato costituzionale europeo. Nel 1997, ETA propone al nuovo governo spagnolo l’Alternativa Democratica, un documento in cui pone le basi per un possibile negoziato. Ma il PP e gli apparati dello Stato rispondono scatenando un’ennesima offensiva repressiva. L’Audiencia Nacional di Madrid ordina l’arresto di tutti i membri della direzione nazionale di Herri Batasuna, colpevoli di aver diffuso la Alternativa Democratica in assemblee e incontri. Il movimento indipendentista risponde con lo sciopero generale del 7 marzo, a cui si unisce anche LAB. Mentre LAB e ELA scelgono la via del conflitto, le locali sezioni di UGT e CCOO firmano ripetuti accordi col padronato, soprattutto nel settore siderurgico ancora sottoposto a smantellamento. ELA approfondisce la propria scelta conflittuale, e il 18 ottobre del ’97 riunisce in una conferenza rappresentanti dei partiti di sinistra e nazionalisti baschi, dei sindacati di classe e indipendenti, per denunciare l’esigenza di autogoverno da parte del popolo basco, scelta che i sindacati spagnoli qualificano addirittura come insurrezionale. Il nuovo fronte sindacale, che oltre a ELA e LAB raggruppa anche ESK, STEE-EILAS, il sindacato degli autotrasportatori HIRU e quello dei contadini EHNE, si mobilita con manifestazioni e scioperi, contro la repressione politica, per le 35 ore settimanali e per l’istituzione del salario sociale per disoccupati e precari. Ma il governo accelera la repressione nel tentativo di eliminare fisicamente la sinistra basca dalla scena politica: il 15 luglio centinaia di poliziotti assaltano la sede del quotidiano basco Egin (per anni la voce dei movimenti sociali e popolari di sinistra baschi) e dell’emittente radiofonica Egin Irratia, distruggendone gli impianti e arrestando decine di giornalisti, amministratori e tecnici. Il movimento popolare basco risponde con una sottoscrizione che in pochi mesi permette l’apertura di un nuovo quotidiano, Gara. L’accusa dei magistrati, in particolare del supergiudice Baltazar Garzòn, è che l’organizzazione armata ETA controlla qualsivoglia espressione politica, sociale, sindacale e culturale dell’indipendentismo basco. Un teorema che animerà le successive e sempre più frequenti ondate repressive, che porteranno nelle carceri spagnole e francesi migliaia di persone in pochi anni, per lo più attivisti e dirigenti dei movimenti sociali, delle cooperative, delle organizzazioni giovanili, dei partiti, delle associazioni dei familiari dei prigionieri, del sindacato. Ma il variegato fronte politico basco risponde con una nuova proposta di risoluzione negoziale del conflitto. Il 12 settembre 1998 decine di organizzazioni in rappresentanza della maggioranza sindacale, politica e associativa del Paese Basco sottoscrivono la dichiarazione di Lizarra-Garazi, nel quale si afferma la necessità di risolvere politicamente un conflitto che è di natura storica e politica, e nel quale si chiede agli Stati di permettere al popolo basco di decidere attraverso un processo democratico quale debba essere il proprio futuro, rispettandone poi la volontà. Il 18 settembre l’ETA proclama una tregua totale e a tempo indeterminato. Il venir meno delle azioni armate (ma non degli arresti e delle provocazioni del governo spagnolo, che proseguono) permette a ELA e LAB di amplificare il proprio protagonismo, incalzando il governo basco (che gode dell’appoggio esterno della coalizione Euskal Herritarrok, formata da Herri Batasuna e da altri gruppi della sinistra basca) affinché adotti nell’amministrazione pubblica la giornata lavorativa di 35 ore. La sinistra basca e il mondo nazionalista lanciano, il 6 febbraio 1999, la creazione della prima istituzione nazionale basca della storia moderna basca: Udalbiltza, un’assemblea di migliaia di sindaci ed eletti nelle amministrazioni locali di tutte e 7 le province, comprese quelle in territorio francese. Le elezioni sindacali del ’99 segnano il sorpasso da parte di LAB della quota che gli dà diritto ad essere considerato “sindacato maggiormente rappresentativo” col 15,29% (+0,73), mentre i dati degli altri sindacati sono i seguenti: ELA 35,38% (=); UGT 19,59% (-0,3); CCOO 18,75% (+1,35); resto 11% (-1,9). La disoccupazione, per effetto dell’enorme diffusione del lavoro precario (nel ’98 solo il 7% dei contratti di lavoro firmati era stato a tempo indeterminato), è scesa a quota 15,3% della popolazione attiva nel Paese Basco Sud. Ma il processo di costruzione nazionale e di offensiva sociale lanciato dalla sinistra indipendentista basca e da altre forze progressiste e nazionaliste spaventa sia il governo del PP che l’opposizione socialista (oltre che i settori del PNV più legati alle classi dominanti), che negano ogni apertura dal punto di vista politico e nel frattempo causano il fallimento della trattativa in corso con ETA, facendone addirittura arrestare gli emissari. Il 28 novembre del ’99 ETA annuncia la ripresa delle azioni armate e dopo poche settimane il patto di Lizarra Garazi si rompe e poi ancora il governatore Ibarretxe annuncia l’interruzione del patto di legislatura con Euskal Herritarrok. La rottura dell’alleanza abertzale ha delle ripercussioni negative anche sull’unità d’azione tra ELA e LAB, che si affievolisce durante il 2001 ma poi gradualmente torna a rafforzarsi. Nell’aprile del 2000, i 28.000 iscritti di LAB sono chiamati a celebrare il V congresso, all’insegna dello slogan “Euskal Herria, nazione di tutti e di tutte, per tutti e tutte”. In questo congresso, che rielegge alla guida di LAB il precedente segretario Rafa Diez, si decide la creazione di una sezione anche nel Paese Basco nord, e in questo territorio, già nelle elezioni sindacali del 2002, ottiene un ottimo 9%. L’organizzazione riattualizza i suoi obiettivi: redistribuzione della ricchezza, misure di protezione sociale, riduzione a 32 ore dell’orario di lavoro per creare nuova occupazione, lotta contro la precarietà e la temporaneità del posto di lavoro, rappresentare tutto il movimento operaio e non solo i settori “garantiti”, stimolare una unità sindacale conflittuale dal basso. Da questo momento in poi i rappresentanti di LAB, così come degli altri sindacati conflittuali baschi, partecipano agli appuntamenti internazionali del movimento antiliberista, dando un contributo originale sia in termini di analisi che di proposta. Il 12 marzo del 2000 le elezioni generali dello stato spagnolo consegnano al PP la maggioranza assoluta, contro ogni previsione. Così il partito di Aznar inasprisce ancor di più la propria strategia nei confronti dei baschi, cominciando ad assaporare l’idea di poter estromettere dai governi locali non solo Herri Batasuna ma anche i partiti nazionalisti moderati, e in questo trova anche il consenso di un Partito Socialista debole e sconfitto. L’8 dicembre del 2000 i due maggiori partiti firmano il “Patto per le libertà e contro il terrorismo” e cominciano ad attaccare pesantemente il PNV, descritto come tollerante nei confronti della violenza, di natura antidemocratica. Il 13 maggio 2001, nelle elezioni autonome, l’alleanza tra PS e PP tenta il sorpasso nei confronti del blocco nazionalista; l’elettorato basco, cosciente della posta in gioco, concentra il proprio consenso sull’alleanza tra EA e PNV, penalizzando la sinistra indipendentista ma sconfiggendo il tentativo di Madrid. Da quel momento, risultato chiaro che la via elettorale non funziona, popolari e socialisti cominciano a teorizzare e ad applicare l’apartheid politico nel Paese Basco. Il 19 aprile 2002, il Parlamento Spagnolo approva “La legge organica sui partiti politici”, un provvedimento ad hoc varato per mettere fuori legge la nuova coalizione della sinistra basca Batasuna ma anche, essendo retroattiva, tutte le formazioni politiche indipendentiste anteriori, in quanto ritenute l’espressione elettorale, il “braccio politico” dell’ETA. Le sedi di Batasuna vengono chiuse durante l’estate e fuori legge finiscono, uno dopo l’altro, le organizzazioni giovanili Jarrai, Haika e Segi; il collettivo per la liberazione dei prigionieri politici Gestoras pro Amnistia e poi il suo sostituto Askatasuna; riviste settimanali e mensili, il quotidiano integralmente in basco Egunkaria (i cui vertici, nel 2003, vengono arrestati e torturati dalla polizia) poi sostituito da Berria; la Fondazione per i movimenti sociali Joxemi Zumalabe e altre decine di entità. I partiti nazionalisti moderati e la Sinistra Unita, pur dichiarandosi contrari alla messa fuori legge della sinistra radicale, nei fatti non prendono nessuna iniziativa, sperando di poter incassare i voti indipendentisti alle prossime elezioni. Infatti da allora in poi qualsiasi lista presentata dall’area sociale e politica della sinistra abertzale verrà respinta e considerata illegale dai tribunali, ed esclusa quindi dalle diverse tornate elettorali. Nonostante ciò, centinaia di migliaia di persone introdurranno in diverse occasioni la scheda col simbolo della lista illegale nelle urne, producendo il paradosso che, alle amministrative del 25 maggio 2003, in una cinquantina di comuni la lista indipendentista è la più votata ma non può governare, visto che i suoi eletti non possono prendere possesso dell’incarico.

4. La vittoria del PSOE, si apre uno spiraglio? L’11 marzo 2004, tre giorni prima delle elezioni generali che vedono un testa a testa tra PP e PSOE, a Madrid una serie di bombe piazzate sui treni all’ora di punta massacrano quasi 200 pendolari. Il Governo, contro ogni evidenza, accusa l’ETA della strage, sperando di poter capitalizzare elettoralmente l’emozione popolare, di poter sviare l’attenzione dalle sue responsabilità per aver portato le truppe spagnole ad occupare l’Iraq, e di poter giustificare l’ultimo colpo, quello decisivo, all’indipendentismo basco. Ma a due giorni dalle elezioni alcuni settori della società, di fronte alle smentite dell’ETA e del portavoce di Batasuna Arnaldo Otegi, e ad una rivendicazione giunta a nome di un gruppo integralista islamico, cominciano a lanciare manifestazioni di massa contro il governo, che sfociano in una netta vittoria elettorale, il 14 marzo, del PSOE del giovane leader Zapatero. Pochi mesi dopo, nel maggio 2004, LAB tiene il suo VI Congresso, forte ormai di 35.000 iscritti. Nella relazione introduttiva, il poi riconfermato segretario Rafa Diez critica “il neoliberismo, che ha diviso il soggetto di classe in compartimenti stagni non comunicanti: il lavoratore fisso, il precario, il temporaneo, l’emigrante, la donna, i falsi lavoratori autonomi ecc”. Per Díez “ciò rende difficile il compito del sindacato e lo obbliga ad impegnarsi per la ricomposizione del blocco sociale di classe.” LAB denuncia l’esistenza di un enorme fronte sindacale-padronale tra UGT e CCOO e le organizzazioni padronali spagnole e basche, legate da una confluenza di interessi opposti all’autodeterminazione, alle libertà democratiche e al miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari. Nonostante il cambiamento del governo, sia la polizia nazionale che quella autonoma continuano a reprimere le manifestazioni e i cortei, e non solo quelli della “disciolta” Batasuna, ma anche degli operai della Mercedes, della Caballito di Gasteiz, dei cantieri navali di Sestao (in lotta contro un ennesimo piano di privatizzazione e di smantellamento), della Volkswagen, delle ambulanze, dei trasporti ecc. Durante il suo primo anno di mandato, se dal punto di vista economico opera in continuità con i dettami di Bruxelles, Zapatero apre alcuni spiragli alla possibile risoluzione negoziale del conflitto basco, potendo contare tra l’altro sul fatto che l’ETA, dalla primavera del 2003, non miete più vittime e si limita ad attentati dimostrativi. Nell’aprile del 2005, nonostante i tribunali spagnoli abbiano escluso dalle elezioni autonomiche le liste di Batasuna e di Aukera Guztiak, riconducibili alla sinistra abertzale, il Partito Comunista delle Terre Basche ottiene il 12,5% dei voti e ben 9 seggi, riportando gli indipendentisti di nuovo nel Parlamento di Gasteiz. Poche settimane dopo Zapatero chiede e ottiene dal Parlamento di Madrid un chiaro mandato ad aprire un negoziato con l’ETA se questa cesserà del tutto l’uso della violenza, ma intanto le forze di sicurezza proseguono le azioni repressive non solo contro il movimento clandestino ma anche contro le forze sociali e politiche basche. Nonostante la messa fuori legge Batasuna continua ad occupare il centro del panorama politico e sociale basco, come quando il 14 novembre 2004 ha presentato la sua proposta di risoluzione del conflitto denominata Orain herria, orain bakea (Ora il popolo, ora la pace). Batasuna propone la creazione di due tavoli negoziali: uno tra tutte le forze politiche, sociali e sindacali basche per concordare uno scenario condiviso da sottoporre poi alla cittadinanza attraverso un referendum; un altro tra l’ETA e gli Stati attinente esclusivamente alla smilitarizzazione del conflitto, ai prigionieri, ai deportati, ai rifugiati e alle vittime. Rispetto alla precedente proposta di Lizarra Garazi, quella attuale non prevede la creazione di un fronte nazionalista basco da opporre a quello spagnolo, bensì di un contesto politico in cui, in assenza di violenza, ogni forza politica possa adeguatamente difendere il proprio progetto politico, senza esclusioni. Batasuna sta proponendo un “accordo sulle regole democratiche che rendano possibile un nuovo scenario dove tutti i progetti politici abbiano cittadinanza, compreso il nostro, socialista e indipendentista”. Ciò nella convinzione che il ciclo aperto dopo la morte di Franco dal patto tra una parte del regime e i partiti dell’opposizione - che tarpò le ali all’autodeterminazione del popolo basco e condusse alla partizione dei territori baschi spagnoli in due diverse Comunità Autonome - sia ormai esaurito. A dimostrazione di ciò vi sarebbero le varie proposte di riforma dello Statuto di Autonomia avanzate dai partiti nazionalisti (il Piano Ibarretxe), dalla Sinistra Unita e dallo stesso Partito Socialista basco. Tutti i sondaggi indicano che i baschi giudicano l’attuale autonomia largamente insufficiente. Le condizioni per l’apertura di una trattativa sullo stile di quella realizzata in Irlanda del nord a metà degli anni ’90 ci sono tutte, ma la posizione di Zapatero è debole: da una parte deve confrontarsi con una destra reazionaria che riesce a mobilitare centinaia di migliaia di persone in una manifestazione contro ogni tipo di trattativa con l’ETA (4 giugno 2005); dall’altra alcuni settori del Partito Socialista, legati alla generazione che governò la Spagna negli anni ’80, non lo appoggia affatto. La possibilità di una soluzione negoziale del conflitto basco dipenderà anche dalla pressione che le forze politiche e sindacali progressiste europee sapranno realizzare nei confronti del governo di Madrid affinché rinunci alla cieca repressione di questi anni e rilanci la trattativa e il dialogo. Il sindacalismo basco è impegnato su questo terreno, anche se nelle ultime settimane sembra sempre più probabile che la magistratura spagnola si stia preparando ad agire anche contro LAB, così come avvenuto già praticamente per tutte le organizzazioni della sinistra indipendentista.

Bibliografia

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Note

* Giornalista di Radio Città Aperta.