Una realtà tanto mutevole come quella attuale esige una nuova cultura di gestione imprenditoriale, la necessità di orientare l’azione a favore del cliente ed il miglioramento continuo, così come la valorizzazione dell’importanza di nuovi strumenti di gestione e dell’adattamento alle nuove tecnologie.
Intendiamo partire dalla comprensione della definizione di Gestione come compimento della Missione, o raggiungimento degli Obiettivi. Questo ci porta a rivedere il significato dei termini missione ed obiettivi.
La Missione nella sua espressione più semplice è l’assolvimento di un compito affidato a qualcuno. Ed il compito affidato alle persone, o alle imprese, è quello di contribuire al miglioramento della collettività o della società.
L’obiettivo è il fine dei prodotti o dei processi, il punto dove dobbiamo arrivare. E va inteso come fine di questi prodotti il cliente o la gente.
La Gestione è relazionata ai risultati o agli obiettivi conseguiti e non al lavoro o alle attività svolte, abbraccia i risultati, i prodotti e le risorse utilizzate per raggiungere tali risultati. La gestione è accertare, riuscire.
Nell’amministrazione pubblica la gestione è l’azione di cambiamneto esercitata sulla società in rapporto all’investimento realizzato, non può confondersi con l’esecuzione di presupposti o con l’esecuzione delle spese. La gestione non si misura dal numero delle cose che si fanno, o dalla quantità delle risorse che si consumano. La Gestione Pubblica si misura con l’impatto sulla comunità o con il miglioramento della stessa. È il risultato degli obiettivi proposti.
È precisamente il controllo che ci conduce, in modo ragionevole, a raggiungere gli obiettivi con efficienza ed efficacia. Per ciò è fondamentale che gli obiettivi siano ben definiti e articolati ad ogni livello di responsabilità e che gli elementi del controllo assolvano il proprio compito.
Per queste ragioni sembra conveniente analizzare l’utilità che ha il quadro di comando nel controllo. È uno strumento di gestione abbastanza esteso in molte organizzazioni, tuttavia il quadro di comando tradizionale ha un’impostazione eminentemente finanziaria e manca di integrazione, poiché gli indicatori che si usano non sono relazionati tra loro.
Il Quadro di Comando Integrale (d’ora in poi CMI - sigla in spagnolo -) costituisce un’ipostazione innovatrice che arricchisce il controllo della gestione di qualunque ente privato o pubblico.
Il CMI rappresenta un modello di misurazione dell’attività dell’ente che equilibra gli aspetti finanziari e non finanziari nella gestione strategica dell’organizzazione. È un quadro di comando coerente e multidimensionale che supera le misurazioni tradizionali della contabilità avendo un’impostazione che seleziona ed utilizza indicatori da quattro prospettive: Finanza, Soddisfazione del cliente, Processi interni e Formazione.
Nel nostro lavoro considereremo l’utilizzo del CMI nella gestione pubblica dal punto di vista delle premesse per la sua implementazione, i componenti essenziali e gli indicatori di gestione del CMI, così come il ruolo degli uditori interni nella sua formulazione ed implementazione.
La nuova gestione pubblica implica il passaggio dal concetto di amministrare (seguire istruzioni) a quello di gestione (ottenere risultati). Obbliga ad utilizzare tecniche di controllo che verifichino il conseguimento degli obiettivi dell’azione pubblica e vincola i programmi di governo al loro conseguimento oltre a richiedere un cambiamento culturale in ciò che riguarda l’informazione.
Per sviluppare le proprie attività con possibilità di successo, le organizzazioni economiche devono applicare meccanismi economici, metodi di direzione e tecniche di amministrazione che mobilitino tutte le proprie potenzialità; tecniche che, dopo molti anni di evoluzione, hanno portato a ciò che è conosciuto come Direzione Strategica.
La direzione strategica dà un senso di unità, direzione e proposito nel momento in cui facilita i cambiamenti necessari che l’ambiente esige; è pertanto un concetto multidimensionale che abbraccia la totalità delle attività dell’organizzazione o ente.
Il Quadro di Comando Integrale, CMI, è un quadro di comando coerente e multidimensionale che per la sua implementazione richiede, come premessa, l’utilizzo della Direzione Strategica. Oggi, la Direzione Strategica è l’impostazione predominante dell’amministrazione.
Il Quadro di Comando Integrale nasce per collegare in maniera definitiva la strategia e la sua esecuzione, usando obiettivi ed indicatori intorno a quattro prospettive: Finanza, Clienti, Processi interni e Formazione.
Come primo passo, prima della formulazione del CMI è necessario fare ricorso alle tecniche impiegate per la Strategia e all’elaborazione della mappa dei rischi dell’organizzazione. I principali aspetti di cui tenere conto sono:
l’identificazione dei punti forti che devono essere mantenuti e capitalizzati
i punti forti che devono essere sviluppati e sfruttati al massimo
le aree di miglioramento che si considerano di massima importanza
il modo in cui conseguire le azioni di miglioramento che sono state definite.
Questi aspetti sono collegati alle tecniche di analisi delle Aree del Risultato Chiave (ARC), alle strategie principali e ai piani di azione per raggiungere gli obiettivi, espressi in criteri di misura.
L’uditore interno può contribuire in modo importante alla valutazione di ogni area di gestione ed identificare i punti forti: le aree di miglioramento, le analisi di efficienza, etc. Questa valutazione si collega all’elaborazione della Mappa dei Rischi che permette di valutare i rischi potenziali dell’ente e progettare le attività di controllo necessarie per gestirli.
Per elaborare la Mappa dei Rischi è necessario conoscere ed analizzare i processi dell’organizzazione, le relazioni causa-effetto ed identificare gli indicatori di rendimento che permettono di misurare la situazione.
Il rischio di un ente è associato ad uno dei componenti di rischio della revisione: il rischio di presentazioni erronee che si suddivide, a sua volta, in Rischio contabile strutturale e di Controllo. Riguardo il Rischio Globale, è necessario dire che sul rischio esercitano un effetto moltiplicatore i differenti Rischi ai quali l’organizzazione è esposta e che il risultato dell’interrelazione di tutti i rischi ne costituisce il Rischio Globale.
I rischi potenziali, che è necessario analizzare in qualunque tipo di ente, sia privato che dell’amministrazione pubblica, possono classificarsi in: Rischi inerenti e Rischi di controllo.
a) Rischio contabile strutturale
Si definisce, nel SAS n. 473, come la suscettibilità del saldo di un conto o di un tipo di operazione (affermazione dei conti annuali) ad errori che possono essere importanti, senza considerare gli effetti dei controlli contabili corrispondenti. Altri autori, (tra essi Sierra ed Orta4) ritengono che questo rischio nasce dalla natura propria di un conto o di un tipo di operazione, indipendentemente dall’effettività dei controlli interni corrispondenti.
Esistono condizioni o fattori esterni che incidono su questo rischio: cambiamenti nell’ambiente politico, legislazione, situazione dei mercati internazionali, del mercato finanziario e lavorativo, delle condizioni del commercio, etc., i quali non sono controllabili dall’ente e devono essere studiati nei loro effetti per gestirli adeguatamente in funzione del conseguimento degli obiettivi.
L’impresa, per la sua stessa natura, è sottoposta ad un alto rischio di frode e i fatti lo confermano. La frode, nell’impresa, può prodursi in differenti ambiti, ma oggi la “Frode dei Dirigenti” sta emergendo con effetti devastanti. È necessario porvi fine, per farlo si deve trovare la sua origine, analizzarne le cause ed adottare misure opportune.
Analizzando le differenti ipotesi, risulta chiaro che nel rischio contabile strutturale sono presenti fattori esterni e fattori interni, sui primi l’ente non può realizzare nessun tipo di controllo, ma sui secondi possono stabilirsi controlli mirati. Questi rischi si possono riassumere come: possibilità di errori nei calcoli, errori di classificazione, manipolazione di informazioni, decisioni importanti basate su informazioni erronee ed esistenza di mezzi con possibilità di sottrazione o perdita5.
È importante riflettere sul punto di vista di diversi autori sul Rischio Contabile strutturale; nella loro analisi questo è visto solo come uno dei componenti del modello di Rischio del revisore ed in funzione del revisore esterno. Tuttavia, secondo Sierra ed Orta6, il Rischio Contabile strutturale esiste indipendentemente dal processo di Revisione, dato che si tratta di un rischio a cui l’ente è sempre esposto, in maggiore o minore misura, a seconda dei fattori che hanno influenza su di esso, siano essi esterni (condizioni ambientali) che interni (caratteristiche dei conti e delle operazioni) e il revisore interno deve valutare come sono gestiti dall’ente nell’impatto negativo che hanno sul compimento degli obiettivi e dei risultati.
Pertanto il Rischio Contabile strutturale sarà inteso come il rischio che si verifichino deviazioni al di sopra del livello tollerabile, indipendentemente dall’effetto dei controlli contabili, operativi e strategici interni7.
b) Rischio di controllo (RC)
È il rischio che il sistema di controllo interno non sia capace di evitare o scoprire opportunamente errori importanti. Il rischio di controllo dipende dall’efficacia della struttura delle politiche e dei procedimenti del sistema di controllo interno. Se questi sono efficaci il rischio diminuisce e se non lo sono aumenta8. Non può mai essere nullo, perché normalmente nei processi interni esistono errori non rilevati, sia per insufficienze o per mancanze nel sistema di controllo interno. Nessun sistema vitale di controllo interno può essere tanto efficace da eliminare totalmente il rischio di errori nei bilanci annuali9. Da ciò si può dedurre che se le persone si mettono di mutuo accordo per eludere i procedimenti di controllo, per un certo tempo questo può funzionare senza essere scoperti dal sistema. Ciò indica che nessuna organizzazione può fidarsi dell’efficacia totale del sistema di controllo, deve aver coscienza di ciò e stare in costante allerta.
Nell’analisi del rischio applicato al revisore interno, la nostra proposta è di scomporre il rischio di controllo in differenti componenti: Rischio operativo, rischio finanziario e rischio strategico; questo al fine di formalizzare un modello che serva da strumento concettuale al revisore interno di gestione. Questi rischi sono interrelati tra loro e hanno un effetto moltiplicatore sul rischio di controllo ed il rischio globale10.
c) Rischio operativo
È la possibilità che i procedimenti di controllo operativo non siano capaci di evitare o scoprire deviazioni, nelle operazioni, al di sopra del livello accettabile.
d) Rischio Finanziario
È la probabilità che i controlli contabili-finanziari non siano capaci di scoprire o evitare opportunamente errori importanti che colpiscano la totalità e l’esattezza dei registri contabili, la salvaguardia degli attivi o la possibilità di coprire i costi finanziari.
e) Rischio Strategico
È il rischio che il controllo non sia capace di evitare o scoprire opportunamente errori importanti nell’implementazione ed esecuzione della strategia dell’impresa.
Per Sierra ed Orta11 il Rischio Contabile strutturale e quello di Controllo esistono indipendentemente dalla Revisione, quello che fa il revisore è valutarli, può solo stimarli, ma non controllarli. La valutazione che fa di essi gli permette di conoscerli, ma non di ridurli né di modificarli.
Attualmente il revisore interno ha tra le sue funzioni quella di ottenere la riduzione e la modifica di questi rischi, l’informazione opportuna alla direzione permette a questa di gestirli, analizzare le deviazioni, prendere le misure correttive e ottenere i risultati attesi dall’organizzazione.
Facendo una valutazione di ciò che espongono i differenti autori sui rischi potenziali di un ente e coniugandoli con l’introduzione del controllo interno secondo la definizione che si offre nella Relazione COSO e la Relazione COCO, questi rischi in funzione degli obiettivi dell’ente possono classificarsi nei seguente modo:
Affidabilità dell’informazione,
Compimento delle normative, esterne ed interne,
Efficienza ed efficacia delle operazioni,
Immagine dell’organizzazione,
Rilevamento di illegalità, frodi e manifestazioni di corruzione.
Qualunque classificazione venga utilizzata per identificare i rischi potenziali di un’organizzazione è valida, la cosa importante è conoscerli, valutarli e gestirli per minimizzare l’impatto nel conseguimento degli obiettivi. Dalla valutazione continua dei rischi dipende l’implementazione delle misure che conducono al successo, di grande utilità per l’implementazione del CMI.
f) Il quadro di comando integrale
Per Howard Rohm del Balanced Scorecard Institute degli USA, il CMI è “un sistema di amministrazione di disimpegno che può usarsi in qualunque organizzazione, grande o piccola, per allineare la visione e la missione con le esigenze del cliente, i compiti giornalieri, amministrare le strategie del commercio, monitorare i miglioramenti nell’efficienza delle operazioni, creare capacità organizzativa, comunicando i progressi a tutto il personale”12. Nel caso dell’amministrazione pubblica il cliente è la società, i cittadini.
Secondo l’Ing. Antonio Dávila dell’Uiversità di Navarra, “l’apporto che ha trasformato il CMI in uno degli strumenti più significativi degli ultimi anni consiste nel gettare le fondamenta di un nuovo modello di commercio. Il successo della sua introduzione dipende da quanto tempo la squadra della direzione dedica allo sviluppo del proprio modello di commercio13. A nostro giudizio, oltre a ciò, la chiave sta nell’integrazione di indicatori quantitativi e qualitativi, finanziari e non finanziari, per la misurazione del conseguimento della strategia in un sistema di interrelazioni continue tra le differenti prospettive (vedere grafico 1).
Il CMI possiede un’impostazione coerente ai “modelli integrati di misurazione” che combinano attualmente le teorie vigenti, le quali si fondano su tre elementi fondamentali: le risorse umane, l’orientamento della gestione verso il cliente e l’ottenimento di risultati, con base nell’interrelazione tra questi elementi e l’analisi delle relazioni causa-effetto.
I componenti del CMI nel loro insieme definiscono la missione dell’organizzazione e si collocano nelle quattro prospettive seguenti:
1.Prospettiva Finanziaria o Finanza
2.Prospettiva esterna o Soddisfazione dei Clienti (nella gestione pubblica, i cittadini),
3.Prospettiva interna (Processi interni)
4.Prospettiva di formazione, innovazione e crescita (Formazione).
Tenendo conto della Visione e della Strategia dell’organizzazione per ciascun componente o prospettiva, dovranno definirsi: strategia di attuazione; misure per compiere la strategia; obiettivi ed indicatori, distinguendo tra indicatori di causa ed indicatori di effetto.
Nella teoria del CMI, le interrelazioni tra le differenti prospettive sono l’elemento più significativo. Permettono di definire una strategia di formazione e crescita, al fine di definire le linee di attuazione dalla prospettiva dei processi interni, allo stesso modo gli obiettivi interni raggiunti incidono sulla prospettiva esterna o soddisfazione dei cittadini, il che si traduce nei risultati e cioè prospettiva finanziaria, e, in fine, in un miglioramento dei rendimenti globali.
La valutazione dell’organizzazione da queste quattro prospettive si fa sulla base di indicatori che permettono la diagnosi di punti forti e deboli, oltre al conseguimento e alla valutazione continua. Il riconoscimento esplicito di una catena causale, tanto semplice in sé stessa, e la fissazione di una serie di obiettivi per ognuno dei livelli, è ciò che dà luogo ad una strategia imprenditoriale definita. A partire da qui, Kaplan e Norton, propongono l’elezione di una serie di indicatori numerici che riflettano adeguatamente ognuna delle prospettive menzionate ed il cui insieme costituirà il Quadro di Comando Integrale.
Per selezionare gli indicatori bisogna tenere conto di vari criteri. Il primo è che il numero degli indicatori non superi i sette, troppi indicatori diluiscono il messaggio e, come risultato, gli sforzi si disgregano cercando di raggiungere troppi obiettivi. Nel processo di disegno del CMI si può cominciare con un gruppo più ampio di indicatori, ma è necessario un processo di sintesi per utilizzare al meglio questo strumento.
Nella gestione pubblica risulta importante che gli obiettivi siano definiti chiaramente prima di rendere operativo il CMI. Non si tratta di scegliere tra gli indicatori disponibili, ma di progettare gli indicatori in modo che riflettano gli obiettivi da raggiungere, coerentemente con la strategia. È necessario raggiungere un equilibrio tra gli indicatori a breve e a lungo termine e, per quanto possibile, che siano quantificabili ed obiettivi.
g) Indicatori di Gestione
In generale le organizzazioni che hanno adottato il CMI utilizzano indicatori di gestione suddivisi per prospettive, elenchiamo alcuni esempi di elementi chiave di riferimento per stabilirli:
Prospettiva Finanziaria:
Variazioni di entrate e uscite
Tassi di costo per servizi prestati
Percentuale di incremento di entrate e uscite
Riduzione di costi
Percentuale di sovvenzioni ricevute dagli organismi
Tassi di rendimento.
Risultati
Prospettiva del Cliente:
Incremento dei clienti
Soddisfazione degli utenti
Trattenute dei clienti
Rendimento dei clienti
Quota di mercato
Devoluzioni e reclami dei clienti
Prospettiva dei processi interni:
Tempo necessario per completare un processo
Tempi di attesa degli utenti per ricevere un servizio
Percentuale di servizi scorretti
Riduzione dei costi di processi non necessari
Percentuale di entrate per nuovi prodotti e servizi
Tempo necessario per sviluppare nuovi prodotti.
Prospettiva di formazione e crescita:
Motivazione e grado di soddisfazione degli impiegati
Numero di suggerimenti degli impiegati
Ore dedicate alla formazione
Produttività degli impiegati
Trattenute del personale: anzianità degli impiegati
Innovazione nei nuovi prodotti
Partecipazione nelle decisioni.
Gli indicatori di gestione, dalla prospettiva del CMI, costituiscono uno strumento di grande utilità per la funzione del Revisore Interno. L’analisi ed il perseguimento degli indicatori, permette la valutazione integrale dell’organizzazione, facilitando l’attività di consulenza interna e la sua incidenza positiva nei risultati.
Nella ricerca realizzata da Kaplan e Norton14 si rivela un modello comune nelle organizzazioni che hanno adottato il CMI in modo positivo con effettivi cambiamenti nella strategia. Questi enti hanno seguito i seguenti passi:
1. Sensibilizzare i leader a generare un clima di cambiamento che razionalizzi ed allinei l’organizzazione.
2. Far sì che la strategia si fondi sul lavoro di ogni individuo attraverso programmi altamente efficaci di comunicazione interna e di allineamento degli obiettivi individuali ed incentivi
3. Allineare le risorse finanziarie con le iniziative strategiche dell’organizzazione
4. Focalizzare gli attivi intellettuali (prima nascosti) dell’organizzazione mediante un processo di riorganizzazione dei lavori ed lo spiegamento di reti di conoscenza
5. Fare della strategia un processo continuo attraverso la risposta interna e l’apprendistato.
Il quadro di comando integrale fornisce all’impresa una “ricetta” che permette agli ingredienti già esistenti nell’organizzazione di essere combinati con la creazione di valore nel lungo termine. La “ricetta” è la Strategia ed il successo col CMI si genera coinvolgendo tutti gli impiegati per implementare e migliorare la ricetta in maniera continua.
Benché sia provato che il CMI può essere utilizzato con successo in qualunque tipo di organizzazione, indipendentemente dal suo carattere privato o pubblico, si deve tenere conto che dove la strategia mira ai costi e all’aumento della produttività, le misurazioni finanziarie tradizionali compiono bene il loro compito e non si apprezza molto l’utilità del CMI.
Nel settore pubblico diventa necessario utilizzare il CMI come supporto o piattaforma per implementare la strategia, ma prima di realizzarlo gli obiettivi devono essere chiaramente definiti affinché la selezione degli indicatori fornisca l’effetto desiderato e la sua valutazione si trasformi in un processo di miglioramento continuo per l’organizzazione. Il CMI deve diffondersi nella misura in cui i fattori e gli indicatori relativi alla prospettiva di apprendistato organizzativo, formazione e crescita, richiedono di essere rinforzati, perché le interrelazioni tra le differenti prospettive sono causali. (vedere grafico 1)
Conclusioni
Nel secolo XXI gli enti del settore pubblico affrontano sfide di maggiore portata, espresse negli obiettivi e nelle mete che si vogliono raggiungere, nei rischi ai quali ci si espone e nell’efficacia dei controlli che vengono definiti. Per vincere queste sfide con la pianificazione strategica, contano la gestione dei rischi e l’utilizzo di nuovi strumenti per il controllo, come nel caso del CMI sul quale abbiamo basato il nostro lavoro:
1. Nella Gestione pubblica è necessario integrare il CMI col processo di controllo e non utilizzarlo come uno strumento aggiuntivo, perché non si otterrebbe l’effetto desiderato in vista del raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione.
2. Il CMI può utilizzarsi come strumento di apprendistato, il paragone tra i piani, tra il passato ed i risultati attuali degli indicatori selezionati, aiuta la squadra di direzione a riesaminare e ad aggiustare tanto la strategia che i piani di azione.
3. La riduzione degli obiettivi ad un numero ridotto di indicatori, rappresentativi e ben selezionati, facilita il consenso su come raggiungerli, in tutta l’organizzazione, non solo all’interno della direzione, ma tra tutti i lavoratori. Una volta posto in funzione, il CMI può utilizzarsi per comunicare i piani, unire gli sforzi in una sola direzione ed evitare la dispersione.
4. Il sistema di interrelazioni continue (causa-effetto) tra le differenti prospettive è la chiave del Quadro di Comando Integrale.
5. Gli indicatori di gestione dalla prospettiva del CMI costituiscono un strumento di grande utilità per il revisore interno.
6. La prima fase, quella della formulazione del CMI è costituita dall’analisi delle aree dei risultati chiave e del rischio di gestione, in cui dovrà svolgere un ruolo molto attivo il revisore interno, nell’analisi di: fattori di rischio, rischio contabile strutturale, rischio di controllo, fattori chiave di successo e possibili aree di miglioramento.
7. Il CMI fornisce all’organizzazione gli obiettivi strategici, è uno strumento utile di comunicazione e motivazione che contribuisce a sviluppare una cultura del miglioramento continuo oltre a contribuire alla trasparenza della gestione pubblica.
Bibliografia
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6. Coopers ( Lybrand,Contabilidad, Auditoría y Control Interno, Edición Diario Expansión, 1996, Madrid,.
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8. Defliese, Ph., L.,Jaenicke, H., R., Sullivan, J., D., Gnospelius, R., A., 1991, Auditoría Montgomery, editorial Limuasa, México, pagg. 236-240
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10. Kaplan, R; Norton, D; 1996, Using the Balanced Scorecard as strategic management system, Harvard business review, Boston
11. Kaplan, R; Norton, D; 2004; Creando la organización focalizada en la Estrategia con el Balanced Scorecard, The Balanced Scorecard Collaborative, www.bscol.com
12. Mora Corral, A; Vivas Urrieta, C; 2003; Nuevas herramientas de Gestión pública: El cuadro de mando integral; Monografía AECA, España; http:// www.aeca.es/pub/monog/ nuevas herramientas.htm
13. Rohm, Howard; 2004;A Balancing Act, Performe Magazine, vol 2, ISSUE 2.
14. Sierra, G., Orta, M., Teoría de la Auditoría Financiera, primera edición, 1996, editorial McGraw - Hil(INTERAMERICANA DE ESPAÑA, S.A., pag. 128.
15. Vergés Mame, E.,1993, El Riesgo de Auditoría,Revista Técnica del Instituto de Auditores-Censores jurados de Cuentas, 3ra Epoca, No.3, pag.5,
Note
* Preside facoltà di Scienze Economiche, Università di Pinar del Río, Cuba.
** Vice preside facoltà di Scienze Economiche, Università di Pinar del Río, Cuba.
3 AICPA, 1983, Audit Risk and Materiality in Conducting and Audit, SAS No. 47, NewYork.
4 Sierra, G., Orta, M., Teoría de la Auditoría Financiera, prima edizione, 1996, editorial McGraw - Hil_INTERAMERICANA DE ESPAÑA, S.A., pág. 128.
5 Per un approfondimento sui fattori che determinano il Rischio Contabile strutturale vd. Tra gli altri: Defliese, Ph., L.,Jaenicke, H., R., Sullivan, J., D., Gnospelius, R., A., 1991, Auditoría Montgomery, editorial Limuasa, México, págs.236-240, Vergés Mame, E.,1993, El Riesgo de Auditoría,Revista Técnica del Instituto de Auditores-Censores jurados de Cuentas, 3ra Epoca, No.3, pág.5, Coopers & Lybrand, Contabilidad, Auditoría y Control Interno, Edición Diario Expansión, 1993, Madrid, pág. 70.
6 Sierra, G., Orta, M., Teoría de la Auditoría Financiera, prima edizione, 1996, editorial McGraw - Hil/INTERAMERICANA DE ESPAÑA, S.A., pág.132.
7 Nostra elaborazione.
8 AICPA, 1983, Audit Risk and Materiality in Conducting and Audit, SAS No. 47, New York.
9 Sierra, G., Orta, M., Teoría de la Auditoría Financiera, prima edizione 1996, editorial McGraw - Hil/INTERAMERICANA DE ESPAÑA, S.A., pág.134, Cooper and Lybrand, 1996, Serie Control interno, auditoría y seguridad informática, “Control Interno: Las distintas responsabilidades de la Empresa. Diario Expansión, Madrid, España, pág.14.
10 Nostra elaborazione.
11 Sierra, G., Orta, M., Teoría de la Auditoría Financiera, prima edizione, 1996, editorial McGraw - Hil/INTERAMERICANA DE ESPAÑA, S.A., pág. 128.
12 Rohm, Howard, A Balancing Act, Performe Magazine, vol 2, ISSUE 2.
13 Davila, Antonio, 1999, Nuevas herramientas de control: El Cuadro de Mando Integral, Revista Antiguos Alumnos, IESE , Universidad de Navarra.
14 Kaplan, R; Norton, D; 2004; Creando la organización focalizada en la Estrategia con el Balanced Scorecard, The Balanced Scorecard Collaborative , www.bscol.com