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Liberalizzazione dei servizi a rete: il caso delle Telecomunicazioni

GIUSEPPINA GALVANO

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1. Intervento pubblico nel settore dei servizi

1. Il processo di riforma della regolamentazione dei servizi pubblici è iniziato nei decenni passati prima negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito. Negli altri Paesi europei la necessità di riforma è stata avvertita soprattutto con il processo di integrazione che, insieme alla globalizzazione dell’attività economica e alle conclusioni dell’Uruguay Round, ha portato alla necessità di rivedere la regolamentazione di molti settori dell’economia, anche perché la normativa esistente poteva costituire una barriera al commercio internazionale e agli investimenti. In Italia, l’intervento pubblico nel settore produttivo, a lungo ritenuto necessario e capace di determinare una allocazione ottimale delle risorse disponibili1, nel corso degli anni ’80, viene messo in discussione. Il perseguimento di obiettivi di carattere generale o di ordine sociale, piuttosto che economici, che caratterizza la presenza pubblica nel settore produttivo, unitamente alla scarsa tensione efficientistica2 ne rendono evidenti i limiti. Specie l’intervento pubblico in materia di prezzi si rivela limitato quando: a) la dinamica dei prezzi e dei costi in generale risulta particolarmente accentuata e comunque non trova compensazione in recuperi di produttività; b) il sistema economico nel suo insieme si trova sottoposto a shock esterni. In effetti, il prezzo di un bene o di un servizio, se non è fissato su livelli equamente remunerativi, provoca distorsioni nel sistema economico ed una inefficiente allocazione delle risorse:
  nel settore privato entrano immediatamente in azione meccanismi di difesa che portano alla rarefazione dell’offerta, all’accaparramento, al mercato nero e a distorsioni produttive;
  nel settore pubblico determina: a) dilatazione del disavanzo pubblico (la difficoltà a coprire i costi con tariffe ha imposto allo Stato di fornire alle aziende delle contropartite finanziarie); b) sprechi nei consumi e ritardi nel potenziamento dei settori strategici (contrazione investimenti; peggioramento della qualità); c) impulso consistente sul trend inflazionistico.

L’aumento dei costi e la bassa produttività si riflettono negativamente sui conti dei gestori dei servizi pubblici, sui loro investimenti e sulle caratteristiche quantitative e qualitative dei servizi offerti. Per ottenere risultati concreti sul piano della dinamica dei costi occorre, quindi, un approccio più articolato. La consapevolezza della centralità dei servizi pubblici e dei riflessi negativi che la loro bassa produttività hanno sul sistema economico nel complesso, portano a modificazioni normative e di indirizzo. Nel Piano a Medio Termine (maggio 1990), si indica come l’intervento pubblico debba essere limito ai settori prioritari, mentre per le attività che possono essere espletate in modo più soddisfacente e con maggiore efficienza3 da parte dei privati, la Pubblica Amministrazione dovrebbe limitarsi: a) introdurre elementi di concorrenzialità (revisione, ad esempio, del sistema di concessione delle licenze); b) inserire fattori che portino a responsabilizzare la domanda da parte degli utenti (ad esempio, tariffe più elevate al variare dei consumi al fine di evitare gli sprechi) e ad accrescere la sensibilità delle strutture al costo dei servizi (raccordare, ad esempio, la dinamica retributiva del personale alla crescita della produttività). c) liberalizzazione nei settori in cui il progresso tecnologico ha eliminato le condizioni di «monopolio naturale» (maggiore possibilità di scelta per l’utente e stimolo a un servizio più efficiente).

2. Il processo di privatizzazione che si avvia in questi anni è finalizzato non solo al risanamento della finanza pubblica, ma anche a stimolare lo sviluppo e a diminuire le inefficienze che caratterizzano il modo di produrre di queste imprese. Tuttavia, analogamente a quanto avvenuto in altri Paesi, il programma di privatizzazione e di introduzione di nuove forme di mercato impone la revisione dell’intervento dell’Autorità di Regolazione e una maggiore concorrenza sul mercato. In effetti, il passaggio al settore privato non è da solo in grado di eliminare le inefficienze gestionali, che in assenza di un mercato concorrenziale, potrebbero anzi amplificarsi. Per i beni e servizi per i quali le condizioni di mercato lo consentono si avvia la liberalizzazione (vedi Allegato 1).

3. Nel corso degli anni ’90, l’esigenza di aumentare produttività ed efficienza nel settore dei servizi porta all’introduzione di elementi di maggiore concorrenzialità. Si accentua il processo di dismissione di partecipazioni pubbliche in settori chiave dell’economia, quali le telecomunicazioni e l’energia. Molte aziende pubbliche si trasformano in Società per Azioni. Dove persistono condizioni di monopolio, vengono introdotti sistemi incentivanti di prezzo (price cap4). Aumento dei livelli di produttività ed efficienza si traducono in miglioramento della qualità del servizio offerto e, dove opera una maggiore concorrenza, in riduzione dei prezzi pagati dagli utenti. A partire dal 1990, si riduce progressivamente il contributo delle tariffe dei servizi pubblici alla crescita dell’inflazione. Dinamiche superiori all’indice generale si registrano solo per i servizi di competenza degli enti locali (acqua, rifiuti, trasporti urbani ed extraurbani; vedi Allegato 2), per i quali persistono condizioni di squilibrio economico-finanziario. Ma si riducono anche gli oneri a carico del bilancio dello Stato (vedi Allegato 3).

4. I proventi da privatizzazioni che l’Italia realizza sono giudicati positivamente dall’OCSE5. Nel periodo 1990-2000, essi risultano pari all’8,2% del PIL. Nello stesso periodo la Francia e la Germania hanno registrato incassi da privatizzazioni pari rispettivamente al 4,2% e al 1,1,% del PIL, mentre la media UE è stata del 4,2%.

Ciò si riflette, come evidenziato nel “Rapporto sulle riforme economiche”6, in una maggiore capitalizzazione di borsa che in percentuale del PIL cresce fortemente passando da 94 miliardi di euro, pari al 13,8% del PIL, del 1990 a 464 miliardi di euro, pari al 35,6% del PIL, nel 2003 (agosto) con punte molto elevate in corrispondenza degli anni 1999-2000 (rispettivamente 66,1% e 70,8% del PIL). 5. Dal punto di vista istituzionale, i processi di privatizzazione delle imprese di pubblica utilità hanno richiesto la creazione di organismi indipendenti con il compito di garantire che i vantaggi competitivi dell’ex-monopolista non impedissero un effettivo pluralismo dal lato dell’offerta. In questo contesto vengono create Autorità amministrative indipendenti: • L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l.287/90) • L’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (l.481/95) • L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (l.249/97) A queste Autorità si affiancano i poteri di vigilanza e di indirizzo dei Ministeri: • Il Ministero delle Attività Produttive nel settore energetico. • Il Ministero delle Comunicazioni nel settore postale e delle comunicazioni. • Il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti nel settore delle autostrade e dei trasporti (ferroviario, aereo e marittimo). L’esigenza di istituire Autorità indipendenti nasce dal fatto che non è sempre sufficiente eliminare un monopolio legale per porre fine ad una posizione dominante. È infatti necessario un certo periodo di tempo ed una stretta vigilanza sui comportamenti dell’operatore dominante (incumbent) perché si realizzi una effettiva capacità da parte dei nuovi entranti di competere nel mercato. Perché i benefici derivanti dall’operare delle Autorità possano realizzarsi a pieno, è importante che le risorse loro destinate siano indipendenti dal bilancio statale. A tal fine, il modello che è stato previsto in Italia si basa su un finanziamento derivante dal prelievo - in misura massima dell’1 per mille - sul totale delle entrate delle industrie regolate.

2. Le liberalizzazioni nel settore dei servizi a rete

1. Sotto l’impulso delle direttive comunitarie, l’Italia ha attuato riforme strutturali volte a liberalizzare o, quanto meno, orientare al mercato alcuni settori delle public utilities. Le trasformazioni intervenute nel sistema di governance hanno creato lo spazio per una maggiore concorrenza nel mercato (per i servizi a rete, la telefonia vocale e la generazione dell’elettricità) e per il mercato (telefonia mobile e autostrade). I fattori che sostengono tale processo sono principalmente: • esigenza di risanare il bilancio dello Stato e degli Enti locali; • necessità di migliorare i bassi livelli di efficacia e di qualità del servizio che risultano inaccettabili per cittadini ed imprese; • l’apertura dei mercati alla concorrenza e la pressione competitiva di nuovi operatori anche internazionali.

2. Il settore dei “servizi a rete” italiano è caratterizzato da un livello differenziato di concorrenza, coerentemente con il diverso grado di apertura del mercato di ogni settore. La struttura organizzativa del settore energetico in Italia è stata profondamente modificata alla fine degli anni ‘90 grazie all’avvio del processo di liberalizzazione al quale si è affiancata la privatizzazione di ENEL e la definizione di un nuovo quadro regolatorio. Con il decreto di liberalizzazione (d.lgs. 79/99) sono state aperte alla concorrenza le attività di generazione, importazione ed esportazione, acquisto e vendita. L’iniziale suddivisione della domanda in clienti vincolati ed idonei si va gradualmente modificando a favore dei clienti idonei, grazie alla progressiva apertura del mercato libero. Dal luglio 2004 tutti i clienti industriali possono scegliere il proprio fornitore. A partire dal 2007, tutti i clienti potranno approvvigionarsi liberamente sul mercato. Per quanto riguarda la struttura del mercato, nel 2003 ENEL ha confermato il suo ruolo dominante (46,4%) nel segmento della generazione ; (72%) nelle vendite al mercato vincolato. Il mercato del gas è stato liberalizzato nel 2000. Il decreto di liberalizzazione (d.lgs 164/2000) ha introdotto limiti antimonopolistici nella vendita e fornitura del gas ed ha stabilito la separazione societaria tra le diverse attività. Dal gennaio 2003, la domanda è stata totalmente liberalizzata. Per quanto riguarda la struttura del mercato, nel 2003 ENI detiene ancora una quota del 38,5%. Nel Rapporto della Commissione europea sullo stato della liberalizzazione del settore elettrico e del gas nell’Unione Europea, si evidenzia il significativo progresso compiuto dal nostro Paese nella definizione di un quadro regolatorio coerente con i principi comunitari. Il settore autostradale ha registrato, nel corso dell’ultimo decennio, un notevole cambiamento tanto sul piano degli assetti proprietari quanto su quello della struttura della regolazione. E’ stata effettuata la privatizzazione della Società Autostrade che, direttamente e tramite le sue controllate, ha in concessione circa la metà della rete autostradale italiana. Tuttavia, per consentire l’ammortamento degli investimenti sostenuti, il rinnovo della concessione è stato effettuato fino al 2038. Nella consapevolezza del sempre più stretto rapporto tra crescita della domanda di trasporto e rilancio dei livelli di competitività del Pese, numerosi interventi hanno riguardato il settore dei trasporti con l’obiettivo di rimediare alle crescenti carenze strutturali attraverso una strategia di decentramento, privatizzazione e liberalizzazione. Tali interventi sono andati nella direzione di una maggiore efficienza del settore e di riequilibrio modale. Nel trasporto ferroviario di particolare rilevanza è stato il processo di ristrutturazione di Ferrovie S.p.A., avviatosi già da luglio 1998 e improntato ai principi di separazione tra rete e servizi, apertura al mercato e trasparenza contabile e gestionale. Il mercato si sta aprendo di fatto alla concorrenza in seguito al recepimento delle direttive UE (n. 12, 13 e 14 del 2001) riguardanti lo sviluppo delle ferrovie comunitarie, le licenze ferroviarie, i pedaggi, e la certificazioni di sicurezza. L’apertura del mercato dei servizi postali, avviata nel 1999 (decreto legislativo n. 261/1999, che ha recepito la direttiva 97/67/CE), è stata preceduta dalla trasformazione di Poste in Società per azioni, nel febbraio 1998. La disciplina dei rapporti tra Ministero delle Comunicazioni, in qualità di Autorità di regolazione, e Poste S.p.a. è affidata al Contratto di programma, che, a sua volta, si collega al Piano d’impresa, approvato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Le nuove Linee Guida del CIPE (2003) hanno l’obiettivo di individuare un percorso regolatorio in grado di favorire la liberalizzazione senza provocare contraccolpi negativi sull’universalità del servizio. Nel 2003, tutti gli obiettivi di qualità sono stati raggiunti e Poste spa, per il secondo anno consecutivo, ha chiuso il bilancio con un utile (90,3 milioni di euro). Nel settore dei servizi pubblici locali il processo di modernizzazione si avvia con la trasformazione dell’Azienda municipalizzata in Azienda speciale (legge 142/1990). Nel quinquennio 1998-2003, diverse Aziende diventano Società per azioni. Inoltre le imprese locali di pubblica utilità si caratterizzano sempre più per una effettiva gestione imprenditoriale e per un maggiore dinamismo produttivo rispetto alle imprese nazionali di pubblica utilità. Il miglioramento della produttività si riflette sulla qualità dei servizi e, talvolta, anche sulle tariffe. Dal 2002, sono state adottate importanti modifiche normative7 dirette a liberalizzare il settore secondo i principi di concorrenza dettati a livello comunitario. L’Ente locale può affidare la gestione del servizio alternativamente a: 1) società di capitali selezionate tramite gara ad evidenza pubblica; 2) società miste pubblico - private nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare; 3) società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano (affidamento in house).

3. La liberalizzazione nel settore delle TLC

1. Dalla metà degli anni novanta l’economia mondiale sta attraversando una fase di radicale trasformazione tecnologica. Il motore di questa “rivoluzione” sono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Nel settore delle telecomunicazioni, i mutamenti tecnologici e l’apertura dei mercati hanno poi determinato un aumento delle pressioni concorrenziali nei confronti dei gestori monopolisti. Gli Stati Uniti sono il primo paese in cui la trasformazione ha preso piede, con effetti rilevanti. Dal 1995 a oggi gli investimenti in ICT - che rappresentano ormai il 30% del totale - hanno determinato una maggior crescita del Prodotto interno lordo di quasi un punto percentuale all’anno. Dalla seconda metà degli anni novanta la produttività americana ha registrato una accelerazione senza precedenti: l’aumento della produttività è rimasto elevato anche nelle fasi di crescita più lenta, a denotare un vero e proprio cambiamento nella struttura produttiva. I settori che più hanno beneficiato dell’introduzione delle nuove tecnologie sono quelli dei servizi, come la finanza e la distribuzione, dove la produttività ha accelerato dal 2 a oltre il 5% annuo. In Europa il processo di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni prende avvio con le Direttive UE (n. 387 e 388 del 1990), che portano in breve tempo, in tutti i paesi europei, all’abbattimento dei monopoli pubblici, all’eliminazione dei diritti riservati e alla progressiva apertura dei mercati a nuovi operatori. Tuttavia, rispetto agli Stati Uniti, l’Europa appare in ritardo: si investe meno in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (il 17% del totale) e queste non hanno ancora pienamente dispiegato i loro effetti positivi sulla produttività, soprattutto dei servizi. Non vi è dubbio, però, che anche l’Europa si stia muovendo. A fine 2005, erano circa 198 milioni le connessioni a banda larga nel mondo, con una crescita del 33% rispetto all’anno precedente. Il progresso è stato superiore alle previsioni in tutte le aree geografiche, ma l’Europa spicca per il sostenuto tasso di crescita (45%) e per il livello assoluto raggiunto dalle linee a larga banda (61 milioni). Le aspettative di crescita per gli anni 2006 e 2007 indicano che la quota dell’Europa, sul totale delle connessioni a banda larga, continuerà ad aumentare e supererà, a fine 2007, il 30%.

2. Nel 10° Rapporto sulla liberalizzazione delle TLC della Commissione europea, dal confronto con gli altri paesi della UE emerge con nettezza che l’Italia ha raggiunto posizioni di primato nella liberalizzazione del settore. Ma vediamo quali sono le tappe principali di questo percorso. In Italia, la liberalizzazione nel campo della telefonia fissa ha avuto formalmente inizio il 1°gennaio 1998, ma il percorso regolamentare che ha portato all’apertura del mercato si colloca all’inizio degli anni ’90. Inizialmente, ha riguardato i servizi a valore aggiunto (comunicazioni a lunga distanza, telefonia mobile) e i prodotti di mercato (i terminali telefonici e i modem per la trasmissione dei dati, per i quali il monopolio legale non era essenziale per garantire una efficiente erogazione del servizio). Successivamente, l’ambito del monopolio naturale si è ridotto progressivamente alla sola rete locale di accesso (local loop). L’Italia, in questo processo, si è mossa con un certo ritardo, ma ha recuperato dopo il 1996 con il recepimento di tutte le direttive comunitarie del settore. Anche se il quadro di riferimento della liberalizzazione delle telecomunicazioni può ritenersi completato, resta l’esigenza di tradurre le norme in una effettiva realtà di mercato. La piena apertura del mercato alla concorrenza è stata caratterizzata da alcuni passaggi fondamentali: la privatizzazione di Telecom Italia nel 1997, il rilascio delle licenze per il servizio di telefonia mobile, l’apertura completa del segmento della telefonia fissa, l’istituzione di una Autorità indipendente per il settore (telecomunicazioni, televisione e stampa), prevista inizialmente dalla legge 481 del 1995 e resa operativa dalla legge 249 del 1997.

In Italia - come è stato evidenziato dall’OCSE8 e dalla Commissione europea9- il processo di liberalizzazione delle telecomunicazioni ha portato alla nascita di uno dei sistemi più pro-competitivi dell’Unione Europea con un costante avvicinamento alle performance dei Paesi europei più avanzati. Attualmente non vi sono limiti all’accesso al mercato, fatta eccezione per quanto attiene allo spettro di frequenze, che si caratterizzano per essere una risorsa scarsa; la parità di accesso è garantita dalle politiche di interconnessione e numerazione. L’accesso al mercato è basato sull’assegnazione di licenze individuali sia per la telefonia fissa che per quella mobile (per quest’ultimo segmento l’introduzione delle licenze e l’abolizione delle concessioni è avvenuta nel 1997). Tutti gli altri servizi sono soggetti ad autorizzazione. In questo contesto, Telecom Italia ha visto ridurre le proprie quote di mercato a favore di altri operatori ed è stata costretta a sviluppare un’aggressiva strategia di penetrazione sui mercati internazionali (Argentina, Cile, Brasile, Austria, Francia e Spagna). Nel 2003 si è conclusa la prima fase del processo di liberalizzazione, iniziata negli anni ottanta, e si è aperta una nuova fase. Il pacchetto delle sei nuove direttive comunitarie è ormai in vigore da alcuni mesi. Mentre gli Stati membri stanno provvedendo a completare il recepimento nei loro ordinamenti, in Italia il nuovo quadro regolamentare è divenuto pienamente operante con l’emanazione del “Codice delle comunicazioni elettroniche” (D.Lgs n.259 del settembre 2003)10. Nel 2003, l’approvazione del Codice delle Comunicazioni Elettroniche costituisce l’ultimo passo nel processo di recepimento nell’ordinamento italiano delle direttive europee sulle comunicazioni elettroniche.

3. Un bilancio degli effetti della liberalizzazione è possibile sulla base di parametri oggettivi: • Il numero degli operatori efficienti presenti attivamente nel mercato; • Il grado di riduzione della quota di mercato spettante all’operatore dominante e la velocità del processo che conduce a questa riduzione; • L’aumento dell’offerta dei servizi, specie di quelli tecnologicamente più avanzati; • La riduzione dei prezzi al dettaglio. Se consideriamo questi parametri, emerge che la liberalizzazione delle telecomunicazioni in Europa - pur nella notevole diversità dei contesti e delle esperienze nazionali - ha prodotto effetti positivi. Per quanto concerne in particolare la realtà italiana i risultati positivi del percorso compiuto si possono misurare con riferimento a vari indici significativi: al numero delle imprese attive presenti sul mercato sia della telefonia fissa che mobile, che è ormai tale da sviluppare una concorrenza effettiva; alla molteplicità delle piattaforme di rete per il trasporto di voce e dati che si vanno sviluppando; alla velocità della diffusione dei servizi a banda larga; alla diffusione crescente della carrier preselection; dell’unbundling del local loop) e della mobile number portability (MNP). Vale la pena ricordare che l’Italia è il secondo paese in Europa per diffusione della MNP, con oltre 8 milioni di numeri portati da un gestore all’altro (dato aggiornato ad aprile 2006). In questo contesto abbiamo assistito, dall’avvio della liberalizzazione, ad una costante discesa dei prezzi. Nel periodo dal 1998 al 2005, i prezzi finali dei servizi di telefonia sono diminuiti del 15%, a fronte di un aumento medio dell’indice generale dei prezzi al consumo del 17%, e di una crescita del 15% dei prezzi del complesso dei servizi di pubblica utilità. Più in generale, in oltre quindici anni (periodo 1990-2005), l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto complessivamente più del 60%, mentre quello dei servizi telefonici è diminuito del 3,2%. In controtendenza rispetto al basso ritmo di crescita dell’economia nazionale nel 2005 - pari solo allo 0,6% -, il settore italiano delle telecomunicazioni ha continuato a svolgere un ruolo propulsivo, con una crescita in valore del 4,3% rispetto all’anno precedente e con un mercato ch’è arrivato a superare i 36 miliardi di euro.

4. Il quadro competitivo e la struttura del mercato delle telecomunicazioni, nel 2005, hanno visto una ripresa delle attività di merger&acquistition (tra le altre operazioni, è da menzionare la fusione Telecom Italia-TIM). Tuttavia il settore delle telecomunicazioni è attraversato da profondi cambiamenti tecnologici che sono suscettibili di apportare significative modifiche all’assetto competitivo di tutti i mercati nazionali interessati. Come si evidenzia nell’ultimo Rapporto dell’AGCOM nel 2005 i servizi di telecomunicazione hanno registrato una crescita pari al 4,3%, un valore doppio rispetto all’incremento del Prodotto Interno Lordo (pari al 2%); ancora una volta si conferma il dinamismo del settore, nonostante la congiuntura economica non sia stata favorevole. Nell’ultimo anno è divenuto più marcato il sorpasso, avvenuto nel 2003, dei servizi su rete fissa da parte dei servizi di telefonia mobile. Il divario è destinato ad accentuarsi nel futuro. Il maggior contributo alla crescita del mercato delle telecomunicazioni è venuto infatti dai segmenti della telefonia mobile (+7,8 per cento) ed Internet. Quest’ultimo mercato è caratterizzato dalla crescita, al di sopra delle previsioni, delle connessioni a banda larga dovuta alla decisa contrazione dei prezzi di accesso broadband. Di contro, i servizi voce da rete fissa hanno registrato una crescita solo dello 0,4 per cento, mentre sono diminuiti in maniera superiore alle attese i ricavi dal traffico voce su rete fissa (5,4% contro il 4,8% del 2004). A tale diminuzione hanno contribuito in modo determinante la riduzione dei costi delle chiamate verso cellulare - a seguito degli interventi regolamentari imposti dall’Autorità sulle tariffe di terminazione mobile - nonché il processo concorrenziale in atto con la crescente tendenza, da parte degli operatori di telefonia fissa, a proporre sul mercato formule voce flat o semi-flat. L’effetto della liberalizzazione nel settore dei servizi di rete fissa è evidenziato dalla crescente espansione delle linee disaggregate (unbundling). La diffusione dell’unbundling trova un riscontro nei dati. A fine 2005, il numero totale delle linee in unbundling era pari a 1,5 milioni contro le 900.000 di fine 2004; l’Italia è il secondo paese in Europa, dopo la Germania che è partita con due anni di anticipo, per linee attivate in modalità full unbundling. Vale ricordare a tal fine che la progressiva riduzione del prezzo dell’accesso disaggregato alla rete locale di Telecom Italia (attualmente il più basso in Europa), ha contribuito a risvegliare l’interesse degli operatori alternativi che sempre più si propongono agli utenti finali come gestori unici (fornitori di servizi voce ed Internet) in sostituzione dell’incumbent. L’andamento delle linee in carrier preselection (CPS) rappresenta un’ulteriore conferma della scelta, da parte degli operatori alternativi, di ricorrere maggiormente all’unbundling per acquisire nuovi clienti: la crescita del numero delle linee in CPS si è infatti arrestata stabilizzandosi ad un valore, costante rispetto al 2004, pari a circa 4 milioni. In questo quadro, la struttura delle quote di mercato nel segmento fisso non è ancora sostanzialmente mutata, anche se si attendono in futuro cambiamenti. In particolare, si registra una riduzione, anche se modesta, della quota di mercato di Telecom Italia sia in termini di fatturato complessivo (comprensivo dell’accesso), sia soprattutto in termini di ricavi da servizi di fonia. Considerando poi le singole direttici di traffico, si segnala il leggero recupero di Telecom Italia per il traffico nazionale, la sostanziale tenuta nel fisso-mobile, la perdita nel locale e, soprattutto, nell’internazionale, dove la quota è scesa per la prima volta al di sotto del 50%. Nel 2005 il mercato dei servizi di rete mobile ha raggiunto il valore di 19,6 miliardi di euro, confermando il suo ruolo centrale per la crescita del settore. L’incremento dei ricavi ha riguardato sia le chiamate vocali, sia la trasmissione dati. Mentre per le chiamate vocali la tendenza è confermata dal numero di SIM attivate - 71,5 milioni rispetto ai 63 milioni circa della fine del 2004, un dato molto alto, superiore alla crescita registrata dell’anno precedente - per la trasmissione dati si fa riferimento all’incremento dei servizi innovativi a valore aggiunto, in particolare messaggistica SMS e MMS. Ma il dato più significativo è senz’altro riconducibile alla crescita, decisamente superiore alle attese, delle connessioni UMTS11 (da 2,6 milioni di utenti a fine 2004 a circa 10 milioni a fine 2005): l’incremento è da attribuirsi alle politiche di lancio particolarmente convenienti dei gestori mobili. La diffusione della tecnologia mobile di terza generazione pone l’Italia in una posizione d’avanguardia nel mondo. Dal punto di vista degli assetti concorrenziali il funzionamento della portabilità del numero ha contribuito, in un contesto in cui la penetrazione del servizio di telefonia mobile sta per raggiungere livelli di saturazione, a ridurre le barriere all’entrata e al cambiamento (c.d. switching costs), stimolando il processo concorrenziale a tutto vantaggio del benessere dei consumatori. La struttura competitiva del mercato, dal lato dell’offerta, sembra essersi stabilizzata su quattro operatori. La diffusione della portabilità del numero mobile, richiesta a giugno 2004 da 2,5 milioni di utenti, ha introdotto un certo dinamismo nel mercato dal lato della domanda. Nel 2003 la quota di mercato di TIM per la prima volta è scesa al di sotto del 50 per cento in termini di ricavi ed è passata dal 47,4 al 46 per cento in termini di linee attive. Con riguardo alla struttura del mercato, si evidenzia un processo di graduale e continua deconcentrazione, sia in termini di valore (ricavi) che di volumi (linee). In particolare, continua a diminuire la quota di mercato dell’operatore leader, Telecom Italia Mobile, mentre si è significativamente accresciuto il peso dei nuovi gestori: in particolare, H3G in soli tre anni ha raggiunto il 6,7% del totale dei ricavi ed il 7,8% del numero complessivo di linee. Ciò conferma la presenza di un vivace processo concorrenziale.

5. Nel comparto delle telecomunicazioni, l’Italia viene indicata in sede europea come un Paese d’eccellenza nella promozione di servizi a innovativo contenuto tecnologico. La Commissione europea, nel suo 11° Rapporto sullo stato delle comunicazioni elettroniche in Europa, sottolinea il ruolo leader dell’Italia nella telefonia mobile e nell’unbundling, ed evidenzia l’importanza delle misure pro-competitive adottate dall’Autorità che hanno, tra l’altro, consentito la riduzione dei prezzi di terminazione mobile e uno sviluppo della banda larga superiore a quello della media degli altri Paesi europei. Siamo al primo posto in Europa per diffusione dei servizi di telefonia mobile di terza generazione (UMTS), con 10 milioni di linee attivate. L’Italia è il primo Paese nel lancio commerciale della televisione in mobilità; siamo nelle prime posizioni per la televisione su computer (IPTV). Gli utilizzatori di internet, in Italia, hanno superato i 28 milioni. Nella diffusione della banda larga eravamo agli ultimi posti. Ai nostri giorni l’Italia, pur partendo da posizioni di retroguardia, sta crescendo con un tasso di incremento (187% in due anni), significativamente superiore a quello dell’Europa a quindici: oggi il numero di linee si è attestato complessivamente sui 7 milioni, facendo dell’Italia il quarto Paese europeo. Nel complesso i dati della Commissione disegnano un mercato italiano delle TLC fortemente competitivo. Questa vivace competizione - certamente da attribuire in primo luogo all’operato dell’Autorità per le comunicazioni, che ha saputo promuovere un quadro regolamentare assai favorevole ai nuovi operatori - nei prossimi anni s’intensificherà ulteriormente anche grazie al fatto che le telecomunicazioni hanno dato un contributo incessante alla diffusione di innovazioni che incidono positivamente sulla qualità della vita di tutti i giorni. Lo sviluppo della voice over IP (che consente di telefonare via internet senza necessariamente passare per un personal computer) ridurrà rapidamente i prezzi della telefonia vocale e consentirà lo sviluppo di molte nuove applicazioni. Lo sviluppo del WiFi consentirà di sviluppare terminali che si collegheranno alla rete fissa se si trovano a portata di antenna WiFi, e altrimenti alla rete mobile.

4. Il futuro delle telecomunicazioni come motore dello sviluppo europeo: il dibattito sulla riforma del quadro regolatorio

L’Europa sta cercando di ridefinire i propri obiettivi per non perdere le opportunità che una rinnovata Strategia di Lisbona può portare ai Paesi Membri. Nonostante i significativi progressi compiuti dagli Stati membri, i divari persistono e s’impone ormai la necessità della piena attuazione del quadro regolatorio definito dalla Commissione nel settore ICT. Per comprendere l’importanza del settore ICT in Europa basti pensare che esso, pur rappresentando il 5% del PIL contribuisce al 20% della crescita dell’economia ed al 40% della crescita della produttività. Tuttavia l’Europa è ancora lontana dai livelli di crescita e utilizzo che caratterizza altri Paesi, come USA e Giappone, nei confronti dei quali ci separa quello che da più parti viene definito un opportunity gap. A tal fine la Commissione ha lanciato l’iniziativa “i2010: European Information Society 2010”, per incoraggiare la crescita e l’occupazione nel settore dell’ICT e dei media. Si tratta di una ampia strategia volta a modernizzare i principali strumenti necessari per lo sviluppo della società dell’informazione: la regolazione, la ricerca e la partnership con le imprese. L’iniziativa i2010 della Commissione mette in evidenza il ruolo fondamentale che le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) svolgono nel conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona in materia di crescita e occupazione. Tali obiettivi poggiano su un quadro normativo europeo per le comunicazioni elettroniche studiato per stimolare la concorrenza sul mercato, attraverso l’apporto di investimenti ed innovazione e l’offerta di più ampie possibilità di scelta ai consumatori, di qualità migliore e prezzi più bassi. Affinché siano incoraggiati gli investimenti da parte delle imprese l’Europa deve dotarsi di un quadro regolatorio coerente con gli sviluppi del settore, orientato al mercato, flessibile e adatto ad intervenire solo in caso di fallimenti del mercato. La creazione di un ambiente competitivo per le imprese europee comporta la revisione continua delle regole, ma sempre nell’interesse degli operatori, che devono essere messi in grado di agire all’interno di un quadro regolatorio certo e chiaro. In tal senso è anche necessario la piena ed uniforme applicazione delle norme comunitarie nei 25 Paesi membri, cosa che non è avvenuta con il precedente “pacchetto” per le telecomunicazioni. Accanto alla riforma della regolazione l’Europa deve includere tra le sue priorità un consistente aumento (almeno l’80%) degli investimenti in ricerca nel settore ICT, per recuperare il forte divario che la separa dagli altri paesi. Basti pensare che agli 80 euro12 pro capite spesi in Europa in ricerca per l’ICT ne corrispondono 400 negli Stati Uniti e 350 in Giappone. Questi dati sono tanto più allarmanti se si pensa che nella revisione del bilancio comunitario si continua a dare priorità alla politica agricola comune, tralasciando la spesa in R&S. Nel definire le priorità della politica UE nel comparto ICT è essenziale l’interazione con le imprese perché una maggiore efficacia degli interventi può venire solo dall’incontro del regolatore con le esigenze del regolato. In questo scambio è inoltre essenziale che le istituzioni comunitarie facciano da portavoce degli strati della società che rischiano di rimanere esclusi dalla fruizione dei nuovi strumenti informatici, e tra questi in particolare gli anziani. L’invecchiamento della popolazione è un processo che non può più essere ignorato nei paesi dell’UE e per questo la Commissione deve impegnarsi ad incoraggiare gli sviluppi della società dell’informazione in senso “inclusivo”. Recentemente Martin Cave13, nel rivedere le regole attuali del settore, ha proposto una “Agenda for debate” dalla quale partire per la riforma della regolazione in Europa. Con quello che è stato definito il “nuovo pacchetto regolatorio” l’Europa ha posto in essere un sistema di regolazione per i servizi ICT basato sulla convergenza tra settori ed uniforme tra i Paesi membri. Nella pratica questo sistema si è rivelato molto complesso e soprattutto non abbastanza orientato alla deregolamentazione. La sua complessità comporta che le Autorità nazionali debbano porre in essere analisi estremamente dettagliate che ritardano il loro lavoro, ma soprattutto esse non vengono frenate dall’imporre un carico sempre maggiore di regole agli operatori (definita da Cave “need for regulation”). Ciò si riflette spesso in una over regulation accompagnata alla mancanza di strategie fattive per la promozione della concorrenza e, in ultima analisi, finisce per scoraggiare gli investimenti delle imprese. È sempre più necessario introdurre forme di regolamentazione che bilancino l’esigenza di controllare gli ex monopolisti con la necessità di incentivarli ad investire per sviluppare servizi innovativi. In vista della revisione delle direttive comunitarie (che dovrebbe avvenire entro la fine del 2006) sulle comunicazioni elettroniche Cave ritiene che sia giunto il momento per una riconsiderazione critica del ruolo dei regolatori e della regolazione. Tale revisione dovrebbe essere guidata dall’obiettivo di sviluppare il più possibile la concorrenza nelle reti e promuovere investimenti ed innovazione sia da parte degli incumbent che dei concorrenti. In teoria, dal punto di vista concettuale il sistema europeo è molto superiore a quello in vigore negli Stati Uniti poiché si affida alla regolamentazione per supplire ai fallimento del mercato collegati all’esercizio di una posizione dominante, e obbliga i regolatori a fare un passo indietro quando i mercati diventano effettivamente competitivi. Tuttavia nella realtà molti regolatori nazionali incontrano ancora delle difficoltà nel definire una strategia per arrivare alla deregolamentazione, anche a causa delle caratteristiche strutturali del settore. Infatti, in questo processo il regolatore deve tenere conto che il settore dell’ICT è sottoposto a cambiamenti repentini e continui e quindi non si può aspettare il 2010, anno indicato nell’iniziativa comunitaria i2010, per verificare gli effetti della regolazione sul sistema. Per questo Cave ha proposto una Agenda che risponde alle perplessità sollevate sull’efficacia dell’azione comunitaria con alcuni suggerimenti: • Eliminare la regolamentazione più dettagliata • Semplificare i processi • Incoraggiare gli operatori a seguire la via dell’innovazione investendo sui propri assets piuttosto che seguire la via dell’”accesso facile” basata sull’utilizzo indefinito delle reti esistenti • Liberalizzare le nuove tecnologie ed evitare di regolare ex ante i servizi innovativi e ad alto valore aggiunto.

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Relazione al Parlamento, anno 2006. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - La regolamentazione e i mercati europei delle comunicazioni elettroniche nel 2005 (X e XI Relazione) 2005-2006. Commissione Europea, Annual Report on the Implementation of the Gas and Electricity Internal Market, vari anni Ministero dell’Economia e delle Finanze, Rapporto sulle Riforme Economiche, anno 2004. Martin Cave, “Reforming European Regulation”, disponibile sul sito www.thinktel.org OECD, Review of Regulatory Reform in Italy, 2001 Giuseppina Galvano, “Servizi pubblici e regolamentazione tariffaria: esperienze a confronto”, Rassegna Economica del Banco di Napoli, n.2 1994. Giuseppina Galvano, “La politica tariffaria (1960-1984)”, Rivista di Politica Economica, agosto 1985.

Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento del Tesoro

Secondo la teoria economica (Hotelling), l’intervento dello Stato assicura una più elevata efficienza al sistema economico nel suo insieme quando: a) la produzione è caratterizzata da costi marginali decrescenti; b) trattasi di settori in cui per le dimensioni dell’impresa e per le caratteristiche a «rete» dei servizi forniti si avrebbe la formazione di monopoli; c) si ha la necessità di supplire le carenze dell’iniziativa privata in settori di attività economica, socialmente rilevanti ma scarsamente remunerativi.

Scarsa managerialità e livelli di efficienza interni inferiori a quelli dell’impresa privata

In effetti, anche se l’aumento delle tariffe pubbliche è risultato essere, dal 1984 il poi, in linea con l’inflazione, il prezzo pagato dai consumatori italiani rispetto a quelli dei principali paesi europei è risultato essere, in termini reali, sostanzialmente crescente a causa dell’incremento contenuto della produttività.

In materia di controllo dei prezzi, si introducono meccanismi semiautomatici di adeguamento delle tariffe («price-cap»), in grado di garantire per ciascun servizio una dinamica tariffaria inferiore all’inflazione ma vincolata all’andamento predeterminato della produttività e della qualità.

OECD Review of Regulatory Reform in Italy (2001)

Il Rapporto sulle Riforme Economiche è stato presentato dall’Italia, fino al 2004, alla Commissione Europea secondo quanto indicato dal Consiglio europeo di Cardiff del 1998.

La riforma è contenuta nella legge 24 Novembre 2003 n. 326, che ha modificato il precedente art.35 della legge 448/01.

Review on regulatory reform of Italy (2001).

10° Rapporto sulla liberalizzazione delle TLC della Commissione UE (dicembre 2004).

Il nuovo quadro normativo poggia su tre perni fondamentali: a) estensione della disciplina comunitaria dal settore delle telecomunicazioni al comparto allargato della comunicazione elettronica, comprensivo delle reti radiotelevisive ed informatiche; b) il progressivo spostamento dei poteri di intervento a sostegno della concorrenza dalla regolazione ex ante al potere di controllo ex post sulle posizioni dominanti; c) attivazione di procedure di raccordo tra le varie Autorità di regolazione nazionali, le Autorità antitrust e la Commissione europea ai fini della determinazione di criteri comuni di intervento nei mercati della comunicazione elettronica.

Universal Mobile Telecomunications System

Di questi circa il 20% vanno in ricerca per le telecomunicazioni (30% in USA).

Martin Cave, “Reforming European Regulation”, disponibile sul sito www.thinktel.org