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TRASFORMAZIONI SOCIALI E SINDACATO

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Passepartout per la metropoli. Una riflessione attorno al nuovo ciclo di lotte metropolitane

ANTONIO MUSELLA

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La questione rifiuti in Campania, con il suo corollario di vicende legate al problema dello smaltimento, nonché le varie vertenze delle comunità locali in lotta hanno aperto una discussione che attraversa i movimenti e la comunità scientifica indipendente. In queste vertenze è attiva la CUB (attraverso l’RdB Ambiente e la FLAICA) la quale non manca di offrire il suo contributo politico/sindacale alle battaglie in corso. Lo stesso CESTES, attraverso il suo Osservatorio Meridionale, si è confrontato con queste esperienze di mobilitazione diretta, con la pubblicazione di un Opuscolo dedicato al tema, contenente scritti di militanti e studiosi della materia. Pubblichiamo - in questo numero di PROTEO - una riflessione di Antonio Musella (kombattino), attivista del Laboratorio Occupato Insurgencia di Napoli, un centro sociale da sempre presente nelle lotte popolari contro l’insieme delle produzioni di morte che stanno manomettendo il territorio e l’ambiente della Campania.

La resistenza delle comunità della Campania è un altro tassello importante delle battaglie per il diritto al territorio, in difesa della salute e dell’ambiente che si stanno svolgendo nel nostro paese. Lotte che hanno una controparte chiara e specifica: il governo Prodi, a cui risponde il commissariato straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania e l’amministrazione regionale di Bassolino, responsabile del piano regionale di smaltimento dei rifiuti fondato sulla logica delle discariche e dell’incenerimento dei rifiuti. Da Serre a Lo Uttaro, passando per i tanti territori che sono stati stuprati dal Commissariato di governo come Villaricca e Giugliano oppure quelli che dovranno essere oggetto di nuovi siti di mondezza come Sant’Arcangelo Trimonte, Terzigno, stiamo vedendo sotto i nostri occhi quella macchina fatta di milioni e milioni di euro, di arroganza, di polizia, di esercito, accaparrarsi sempre nuovi territori sottraendoli alla vocazione agricola, all’usufrutto dei cittadini. Già, perchè la gestione commissariale che dura da 14 anni rispetto ai rifiuti ha portato alla stesura di un complesso intreccio di rapporti e di interessi economici che vedono protagonisti le ditte di smaltimento, le assunzioni nei consorzi di bacino per la raccolta, gli interessi dei politici e, soprattutto, gli interessi della camorra che sono assolutamente trasversali a tutti gli ambiti, quello politico e quello imprenditoriale. D’altronde il coinvolgimento nel recente passato anche di sub-commissari all’emergenza rifiuti in inchieste per associazione camorristica, la dice lunga su chi sono gli attori che gestiscono l’emergenza rifiuti in Campania. Tutto con la complicità dei media main stream che hanno costruito un clima di terrore, lanciando l’allarme colera a Napoli per giustificare con ogni mezzo necessario l’apertura di nuove discariche in provincia per ripulire la città dai cumuli. Già, Napoli e la sua monnezza. Una questione assolutamente aperta: la monnezza dei napoletani è quella che viene distribuita in tutti i siti di stoccaggio e nelle discariche di tutta la Campania, luoghi in cui si è sviluppato un rapporto tra uomo e natura assolutamente unico, e che devono sorbirsi l’inquinamento delle metropoli. Ciò appare assolutamente un elemento centrale, ovvero dalla metropoli arriva la monnezza, nelle province si estende una resistenza forte, determinata, ma che non riesce ovviamente a trasmigrare nella metropoli. Ma se la centralità dei conflitti nello scontro capitale/lavoro vede la dimensione metropolitana come centrale, dall’altro, seppur i movimenti provano a declinare nelle metropoli i conflitti ambientali comprendendone le potenzialità, la capacità di generare un’insorgenza sociale, difficilmente si riesce a mettere a valore il portato di queste lotte nel contesto metropolitano. Da un lato c’è l’impossibilità per la dimensione provinciale di essere determinante nei termini del conflitto: ciò vale ad Acerra dove in migliaia si scontrarono per ore ed ore con la polizia, e vale per le comunità dove invece c’è stata una resistenza passiva, ed appare chiaro che non vi sarà mai la trasmigrazione dei conflitti dalla provincia alla metropoli. Dall’altro però, le strutture di movimento devono fare i conti, proprio sulle questioni ambientali legate allo smaltimento dei rifiuti, con una logica difficile da scardinare per la quale “la monnezza non può andare in cielo, e quindi le province devono sobbarcarsi l’inquinamento delle metropoli”. Ciò si manifesta col fatto che a Napoli la lotta contro l’inquinamento ambientale, le megadiscariche, la logica dell’incenerimento dei rifiuti, non può passare per una battaglia d’opinione, semplicemente perché è perdente in quanto tale. La percezione del tessuto sociale metropolitano è quella della dismissione di un problema rispetto allo smaltimento dei rifiuti, e non assume una dimensione conflittuale. Anche quando la dimensione provinciale assume la connotazione di un’insubordinazione sociale forte, una resistenza determinata, quando il conflitto dalla provincia si sposta nella metropoli vede come soggetti agenti le comunità “in trasferta”. Abbiamo davanti un quadro estremamente complesso, che resta in gran parte tutto da indagare. I conflitti della provincia non si riescono a declinare nelle metropoli, viceversa le strutture di movimento riescono a fornire in molti casi ai conflitti di provincia una capacità di organizzazione e di espressione della conflittualità che genera autorganizzazione, che mantiene il conflitto, per la maggior parte delle volte perde la battaglia ma soprattutto continua a non riuscire ad invadere la metropoli in termini conflittuali. In questa considerazione si inserisce una riflessione più profonda sulle lotte per il diritto al territorio, che sono un fenomeno sociale complesso e come detto ancora da indagare. Il superamento delle insorgenze denominate NIMBY (not in my back yard - non nel mio giardino) è avvenuto nel nostro paese col tempo ed ha coinvolto una parte delle lotte per il diritto al territorio, in particolar modo laddove il movimento ha saputo misurarsi con queste lotte, ha saputo avviare un rapporto di contaminazione e condivisione che ha generato processi di autonomia che in quanto tale hanno superato il piano vertenziale e provincialistico. La Val di Susa, Acerra, Vicenza, sono tutte lotte che partono dalle province ma hanno saputo sedimentare un portato di movimento che le rende oggi assolutamente particolari, seppur nei propri limiti. Infatti anche nel caso delle lotte più dure, determinate, partecipate, e capaci di generare autorganizzazione nella moltitudine, non c’è stato un riversamento del conflitto nelle metropoli. Non ci pare che Torino, Napoli, Venezia siano andate a fuoco sotto i colpi dei No Tav, No Dal Molin e del movimento contro l’inceneritore di Acerra. Questo perché non si riesce nelle metropoli a generare nella moltitudine comportamenti tali da agire il conflitto. A Torino e Napoli non si riesce ad agire attraverso un corpo sociale che diventi l’attore del conflitto, dunque nelle metropoli le strutture di movimento hanno una funzione suppletiva rispetto a quelle che sono le esperienze di lotta per il diritto al territorio che hanno sviluppato dei percorsi di autonomia ed autorganizzazione, capaci di superare la logica NIMBY, capaci di tessere nodi di rete che generano il patto del mutuo soccorso, in quanto nelle grandi metropoli questo tipo di lotte stenta ancora a prendere corpo. Ciò avviene quando siamo davanti a lotte capaci di uscire, come spiegato, dalla dimensione provincialistica. Infatti ancora molte delle esperienze di lotta per il diritto al territorio, al di là degli sforzi delle strutture di movimento, vivono ancora una dimensione che è assolutamente locale, spesso assimilabile anche a logiche delle rappresentanza istituzionale intorno ai sindaci, e che per la maggior parte finiscono una volta esaurito il conflitto in se, senza avere una capacità di tenuta e senza, laddove si vince, avere la capacità di mettere a valore ciò che si è accumulato. Ma se si giudicano le lotte per il diritto al territorio una delle novità degli ultimi anni in termini conflittuali, in termini di organizzazione, in termini di individuazione della controparte e di irriducibilità al piano della rappresentanza, se comprendiamo che la maggior parte di queste lotte si sono agite in comunità medio-piccole in giro per il paese, e se consideriamo la assoluta centralità delle metropoli nello scontro capitale/lavoro, non possiamo non comprendere le enormi potenzialità di queste lotte se venissero declinate nelle metropoli. La ricerca della chiave, di un passepartout per le metropoli, è quello su cui riflettere oggi, comprendere come nelle metropoli declinare le lotte per il diritto al territorio in termini di organizzazione, di partecipazione e di conflitto. Senza dubbio in Campania alcune realtà dell’autorganizzazione hanno svolto un lavoro importante in questi ultimi anni riuscendo a mettere in rete le diverse comunità in lotta, costruendo attraverso nodi di rete, un luogo su cui provare a produrre una crescita collettiva nel superamento della logica NIMBY. Allo stesso modo, come detto, alcune delle lotte simbolo per il diritto al territorio hanno generato percorsi importanti come il patto di mutuo soccorso. Ma senza partire dalla metropoli, dai quartieri, dalla miriade di questioni legate ai cambiamenti urbanistici, ambientali, legati allo smaltimento dei rifiuti, legati alla privatizzazione dei servizi, legati alle grandi opere, non riusciremo mai a mettere a valore il portato delle lotte per il diritto al territorio. Partire dal territorio in una metropoli significa partire dai quartieri, e farlo esattamente come le lotte per il diritto al territorio c’hanno insegnato in termini di partecipazione ed organizzazione. Solo questo lavoro può essere il passepartout necessario per dare una dimensione metropolitana ad esempio alla logica dell’incenerimento dei rifiuti, ad un movimento per la raccolta differenziata, e così via. A Napoli da svariati mesi i comitati per il diritto al territorio nati in diversi quartieri su differenti questioni stanno cominciando a comprendere come si costruisce un percorso comune, quello che noi abbiamo chiamato patto di mutua resistenza tra i comitati metropolitani per il diritto al territorio. Un ragionamento anche questo molto complesso, che parte dalla necessità di avere delle forme di partecipazione ed organizzazione estremamente aperte ed orizzontali, attraversabili, ed allo stesso tempo la giusta lucidità nel non cadere mai nel localismo di quartiere (ancora peggio del localismo di provincia). La particolarità della metropoli napoletana, dove si sta giocando una partita fatta di milioni e milioni di euro attorno alle “riqualificazioni” attraverso le Società di Trasformazione Urbana1, attorno alle privatizzazioni dell’acqua, del gas, della gestione del credito pubblico, attorno alla costruzione di nuove centrali di morte, ed ovviamente attorno “all’affaire/monnezza”, hanno generato la produzione di diversi spazi conflittuali all’interno dei quartieri che si misurano con un comitato d’affari fatto di imprenditori e politica. Uno scontro tra Davide e Golia ma che dà la forza a Davide nella delegittimazione sociale del potere locale, nel rifiuto della rappresentanza, nella difesa della salute e della vita davanti alla quale si annulla lo spazio della mediazione politico-istituzionale che vede oggi in prima fila quelli che millantano patenti di movimento pur stando al governo e sostenendo le politiche di distruzione ambientale. Il nostro tentativo è oggi questo, coscienti che probabilmente abbiamo tutti commesso un errore di fondo immaginando banalmente Serre o Vicenza come la Stalingrado del potere imperiale. Un discorso tutto da percorrere, invece, è quello del patto del mutuo soccorso tra le comunità in lotta, che resta senza dubbio lo strumento migliore non solo per dare continuità e tenuta ai conflitti ma anche e soprattutto per superare la dimensione localistica delle lotte.

Laboratorio Occupato Insurgencia - Napoli

Le Società di Trasformazione Urbana (STU) sono lo strumento con cui l’amministrazione comunale di Napoli in sintonia con gli altri Enti Locali e con il sistema delle imprese “pubbliche “ e “private” sta avviando alcuni grandi progetti di ristrutturazione urbanistica territoriale dell’area metropolitana napoletana.