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LO SVILUPPO ECO-SOCIO COMPATIBILE

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L’ambiente nella politica comunitaria

GIUSEPPINA GALVANO

PRIMA PARTE

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1 - La politica ambientale nell’Unione Europea

È sempre più acuta la percezione, nell’opinione pubblica e a livello governativo, che l’attuale percorso di sviluppo economico abbia tra le sue conseguenze dei cambiamenti sempre più evidenti del clima e dell’ambiente. A due anni dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto l’impegno assunto dalla maggior parte dei Paesi industrializzati di ridurre le emissioni di gas serra si confronta con la consapevolezza che gli sforzi da attuare, per raggiungere dei risultati nei prossimi anni, dovranno essere sempre più consistenti e coinvolgere gran parte delle scelte economiche e politiche dei Governi. A livello comunitario, le iniziative a favore dell’ambiente si possono far risalire al 1970 con la prima direttiva per combattere l’inquinamento atmosferico (prodotto da veicoli a motore) e al 1973 con il primo Programma di Azione europeo per l’Ambiente. I settori di intervento della politica ambientale comunitaria sono numerosi (aria, biotecnologie, sostanze chimiche, cambiamento climatico, economia ambientale, gestione del territorio, sviluppo sostenibile, rifiuti e acqua). Il punto centrale delle strategie ambientali europee è coniugare le politiche ambientali con quelle dei diversi comparti economici (agricoltura, energia, trasporti) e con le esigenze di sviluppo e occupazione. A partire dagli anni ’90, vengono assunti impegni per lo sviluppo sostenibile ed assume rilevanza il consolidamento dei sistemi di informazione ambientale. In particolare, il Trattato di Maastricht, nel 1993, rafforza il ruolo del Parlamento europeo nei confronti delle politiche ambientali; nel 1994, a Copenhagen, viene istituita l’Agenzia Ambientale Europea (AAE); nel 1997, il Trattato di Amsterdam inserisce la tutela ambientale alla base delle politiche della Comunità, allo scopo di promuovere lo sviluppo sostenibile; lo stesso anno, viene adottato il Protocollo di Kyoto, finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas serra. L’anno successivo, viene stipulata la Convenzione di Aarus sull’accesso alle informazioni ambientali e, nel Consiglio europeo di Cardiff (1998), i capi di Stato e di Governo invitano i settori come l’agricoltura, i trasporti e l’energia ad elaborare appropriate strategie ambientali. Nel 2000, con l’Agenda Lisbona, l’Europa si pone l’obiettivo di “Diventare l’economia basata sulla conoscenza, più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Il Consiglio Europeo di Stoccolma (marzo 2001) sancisce, poi, che gli indirizzi formulati nelle BEPGs (Broad Economic Policy Guidelines) avrebbero dovuto comprendere la promozione dello sviluppo sostenibile. Il Consiglio Europeo di Göteborg (giugno 2001) approva la strategia per lo sviluppo sostenibile, definendola come strategia capace di ‘soddisfare i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere quelli delle generazioni future’. Secondo tale strategia, gli effetti economici, sociali e ambientali di tutte le politiche dovrebbero costituire parte integrante del processo decisionale. Fra le Direttive più significative di questo periodo, si segnalano la Direttiva quadro sulle acque (2000); quella sul fine-ciclo dei veicoli; nel 2001, la Direttiva sulla Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e, nel 2006, il Regolamento REACH, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, istituisce l’Agenzia Europea per le sostanze chimiche. Nel 2005, entrano in vigore l’EU Emissions Trading Scheme (ETS), che crea un mercato dei permessi di emissione di CO2, e, dopo la ratifica da parte della Russia, il Protocollo di Kyoto. La Strategia energetica ed ambientale che l’Unione Europea ha recentemente approvato, di cui si tratterà più avanti, comporterà nei prossimi 10-15 anni una nuova “rivoluzione industriale”: essa infatti richiede un sostanziale cambiamento nel modo in cui l’Europa gestisce le questioni energetiche con l’obiettivo finale di giungere ad una economia a basso contenuto di emissioni. L’uso degli strumenti di mercato sarà essenziale perché la UE possa tenere il passo e raggiungere gli obiettivi contenuti nelle tre politiche più importanti per la crescita dei prossimi anni: Lisbona, Sviluppo sostenibile, Better Regulation. Molte aree di policy dovranno essere adattate sia a livello nazionale che comunitario per contribuire a raggiungere questi ambiziosi obiettivi e in questo ambito il corretto uso di incentivi sarà essenziale per modificare i comportamenti di consumatori e imprese.

I principi della politica ambientale comunitaria Nel predisporre la sua politica ambientale, la Comunità tiene conto:
  dei dati scientifici e tecnici disponibili
  delle condizioni dell’ambiente nelle varie regioni della Comunità
  dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza di azione
  dello sviluppo socio-economico della Comunità nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni.

Nell’Atto Unico Europeo (1986) sono enunciati i principi sui quali si deve basare l’azione della politica ambientale: Principio di prevenzione: Il principio di prevenzione può essere invocato quando è necessario un intervento urgente di fronte a un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale, ovvero per la protezione dell’ambiente nel caso in cui i dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio. Esso non può essere utilizzato come pretesto per azioni aventi fini protezionistici. Principio chi inquina paga: coloro che causano danni all’ambiente devono sostenere i costi per ripararli, o rimborsare tali danni. Di conseguenza, nella maggior parte dei casi, la politica ambientale non dovrebbe essere finanziata dai fondi pubblici, ma dagli stessi responsabili dell’inquinamento, se identificabili. Tuttavia, nella prima formulazione politica del principio la Commissione ha stabilito una serie di deroghe, previste anche dall’articolo 175, paragrafo 5, del trattato. Principio di sussidiarietà: mira a garantire che le decisioni siano adottate il più vicino possibile al cittadino, verificando che l’azione da intraprendere a livello comunitario sia giustificata rispetto alle possibilità offerte dall’azione a livello nazionale, regionale o locale.

2 - L’integrazione della politica energetica nelle strategie ambientali europee

Nel percorso di avvicinamento degli obiettivi di Kyoto con quelli stabiliti a Lisbona, un importante passo è stato compiuto con la Comunicazione della Commissione UE “An Energy Policy for Europe” i cui principi base sono stati recepiti dal Consiglio europeo di Primavera 2007, con l’obiettivo di ridisegnare le politiche energetiche/ambientali dell’Unione Europea al fine di rispondere pienamente alle sfide della sostenibilità, della competitività e della sicurezza delle forniture. Il miglioramento della sicurezza dell’offerta a livello nazionale e soprattutto comunitario richiede una sempre più stretta cooperazione tra i Paesi. Allo stesso modo la protezione dell’ambiente e la protezione del clima impongono un’azione collettiva di cui l’Europa si sta facendo garante. In quest’ottica, è fortemente auspicabile che l’Unione Europea “parli con una sola voce”, soprattutto nelle relazioni esterne. Tra gli obiettivi fissati nel Consiglio di Primavera, quello relativo alle fonti rinnovabili si pone come una sfida essenziale per la UE e per l’Italia particolarmente in quanto da esso discenderà la necessità di fissare una suddivisione dell’onere (burden sharing) di produzione da fonti rinnovabili tra gli Stati, al fine di raggiungere l’obiettivo vincolante del 20% per tutta l’Unione Europea, entro il 2020 (rispetto al 1990). In tal senso, un ruolo importante sarà svolto anche dagli strumenti di mercato per l’incentivazione delle politiche ambientali, che da una parte dovranno facilitare il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e riduzione delle emissioni, ma dall’altra non potranno costituire un onere per il bilancio dello Stato e per le imprese. La rinnovata attenzione a strumenti di mercato - come tasse ambientali, sussidi e scambio di permessi - poggia anche sui maggiori vantaggi che tali strumenti presentano rispetto alla regolazione in quanto:
  migliorano i segnali di prezzo assegnando un valore ai costi esterni ed individuando i benefici delle attività economiche (questa idea è spesso richiamata dall’espressione “getting the price right”);
  permettendo una maggiore flessibilità alle imprese, riducono i costi di adattarsi alle politiche ambientali;
  forniscono alle imprese un incentivo, nel lungo periodo, a perseguire innovazioni tecnologiche per ridurre ulteriormente gli effetti delle loro attività sull’ambiente (cd. efficienza dinamica);
  supportano l’occupazione se sono utilizzati in un contesto di tasse ambientali o di riforma fiscale.

3 - La promozione e l’utilizzo degli strumenti di mercato

Il libro Verde presentato, a marzo 2007, dalla Commissione UE ha aperto una discussione sull’uso avanzato degli strumenti di mercato nella Comunità. Le conclusioni della Commissione e del Consiglio Europeo di Primavera suggeriscono, infatti, che gli strumenti di mercato e le politiche fiscali giocheranno un ruolo decisivo nei prossimi anni per raggiungere gli obiettivi energetici ed ambientali comunitari. L’applicazione di strumenti economici permette di correggere i fallimenti del mercato in maniera cost-efficient ma è anche essenziale per contribuire simultaneamente alla sicurezza dell’approvvigionamento, alla competitività e alla sostenibilità delle politiche energetiche, oltre a dare un chiaro segnale all’industria, agli investitori ed ai consumatori. La loro flessibilità permette di ridurre i costi legati alla tutela ambientale, tuttavia non possono essere considerati una panacea per tutti i problemi. Mentre infatti è necessario distinguere tra i vari tipi di strumenti economici - poiché ad ognuno di essi sono collegati dei benefici ma anche dei potenziali costi - va anche considerato il quadro regolatorio entro cui essi vengono inseriti. Se si tiene conto degli strumenti maggiormente utilizzati a livello europeo - tasse, tariffe e prezzi, sussidi e scambi di permessi di emissione - si verifica come essi siano correlati ma anche molto diversi rispetto agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Se si considera ad esempio il sistema dello scambio di emissioni esso fornisce, rispetto alle tasse, maggiore certezza riguardo il raggiungimento di specifici obiettivi (ad es. limiti di emissione). Allo stesso tempo però tasse, tariffe o prezzi danno maggiori certezze riguardo il costo correlato al raggiungimento di un determinato obiettivo, e quindi sono più semplici da gestire. Un ulteriore aspetto che li differenzia riguarda l’uso del gettito: le tasse sono state spesso utilizzate per influenzare i comportamenti dei cittadini e delle imprese e, allo stesso tempo, generare delle entrate. I sistemi di scambio delle emissioni generano delle entrate solo se i permessi sono messi all’asta dalle autorità pubbliche e solo in questo caso sono simili alle tasse. Queste caratteristiche sono estremamente importanti poiché hanno influenzato nel corso degli anni la politica ambientale europea e la scelta degli strumenti per il raggiungimento di determinati obiettivi. Oggi, di fronte alla necessità di coniugare obiettivi di natura ambientale con quelli di natura energetica e di sicurezza delle forniture, il loro ruolo e le politiche a cui hanno dato avvio (vedi ad esempio l’Emission Trading Scheme Europeo o la Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici) sono sottoposti ad una ampia revisione.

3.1 - L’uso di strumenti di mercato per facilitare le politiche comunitarie

L’Agenda di Lisbona, che ha indicato agli Stati membri la crescita e l’occupazione come gli obiettivi cruciali per aumentare la competitività dell’Unione Europea può trovare nella politica ambientale degli strumenti efficaci per la sua realizzazione. In particolare, riformare la tassazione in senso ambientale spostando l’onere fiscale da tasse welfare-negative (es. le tasse sul lavoro) a tasse welfare-positive (ad esempio tasse su attività inquinanti) potrebbe essere un’alternativa percorribile per affrontare contemporaneamente problemi ambientali e occupazionali. Si tratta in sostanza dell’argomento del “doppio dividendo” su cui si basano gran parte delle riforme fiscali ambientali. Le tasse ambientali hanno infatti in genere un doppio risultato: beneficiano l’ambiente (first dividend) e danno l’opportunità di ridurre delle tasse distorsive, come quelle sul lavoro (second dividend). Ciò potrebbe anche aiutare a ridurre gli effetti negativi sulla competitività di alcune tasse ambientali che gravano solo su settori specifici. Tali effetti sarebbero ulteriormente ridotti da una azione coordinata a livello comunitario piuttosto che da misure unilaterali adottate da singoli Paesi Membri. Il passaggio dalla tassazione diretta ad una orientata ai consumi (ed in particolare alle attività nocive per l’ambiente) è inoltre particolarmente indicato in una società caratterizzata da una parte dal progressivo invecchiamento della popolazione (che accresce le pressioni sulla spesa pubblica), e dall’altra da fenomeni di globalizzazione (che rendono sempre meno realizzabile la tassazione di capitale e lavoro). Tale passaggio ad una tassazione delle attività nocive per l’ambiente facilita il reperimento di risorse per sussidi o incentivi fiscali diretti ad incoraggiare comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale oltre che l’innovazione e la ricerca. Questo approccio è particolarmente rilevante in vista del raggiungimento degli obiettivi fissati nella Strategia europea sul cambiamento climatico e l’energia, in particolare la riduzione delle emissioni nocive del 20% entro il 2020, l’aumento sempre del 20% della quota di energia da fonti rinnovabili nonché l’aumento del 20% dell’efficienza energetica. La Commissione UE ritiene che - pur essendo compito dei Governi nazionali decidere quale debba essere il giusto equilibrio, nel sistema fiscale, tra incentivi e disincentivi - a livello comunitario la politica fiscale debba dare i giusti segnali per facilitare questo bilanciamento. L’Unione Europea si è dotata di una agenda integrata per le politiche energetiche e ambientali, con l’obiettivo di conciliare sicurezza dell’approvvigionamento, competitività e sostenibilità delle politiche energetiche con le politiche di salvaguardia dai cambiamenti climatici. In questo quadro, le politiche fiscali e la tassazione in particolare, insieme all’ulteriore affinamento del sistema ETS, avranno un ruolo essenziale. Attualmente, tre quarti delle entrate da tasse ambientali nei Paesi Membri vengono da tasse sui prodotti energetici. 1 Queste ultime combinano il ruolo incentivante della tassazione in favore di consumi energetici più efficienti e sostenibili con la capacità di generare delle entrate. Per questa ragione è necessario rivedere attentamente la Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, il principale strumento esistente a livello comunitario per definire i principi per la tassazione dei consumi energetici integrando obiettivi ambientali e di corretto utilizzo dell’energia. Questa direttiva si fonda su un approccio piuttosto generale e flessibile che non sempre permette di legare in maniera chiara la tassazione energetica agli obiettivi rilevanti delle politiche comunitarie. Tra le alternative possibili, nella revisione della Direttiva, la Commissione propone di dividere la soglia minima di tassazione, che è fissata a livello comunitario, in una parte ambientale ed una energetica. Ciò si rifletterebbe, a livello nazionale, in una tassa sui prodotti energetici ed una tassa sulle emissioni: in pratica tutti i combustibili dovrebbero essere tassati in maniera uniforme in base al loro “contenuto energetico”, mentre la differenziazione si avrebbe nella fase successiva, quando si vada a considerare l’aspetto ambientale e cioè il loro apporto a livello di emissioni di gas serra (GreenHouse Gas-GHG) durante la fase di combustione. La revisione della Direttiva sui prodotti energetici permetterebbe alla tassazione energetica di fare da complemento agli altri strumenti di mercato a livello UE. A tal fine è necessario considerare come questa vada ad interagire con uno dei principali strumenti comunitari, l’Emission Trading Scheme (ETS). L’ETS si applica attualmente alle emissioni provenienti da alcuni tipi di combustione e dagli impianti industriali, mentre la tassazione dei prodotti energetici si applica agli usi di combustibile dell’energia. In particolare essa non si applica normalmente ai prodotti energetici usati come materiali grezzi nei processi industriali o a quelli usati nella produzione di prodotti energetici (raffinerie). Ciò significa che molti settori energy-intensive sono esclusi dall’ambito di applicazione della Direttiva. La Commissione ritiene che la revisione del sistema comunitario di tassazione debba tenere conto di questa interazione per verificare che i settori esclusi dalla Direttiva siano adeguatamente coperti dall’ETS e che, nei casi in cui alcune industrie non partecipino all’ETS, l’elemento ambientale del livello minimo di tassazione assicuri una applicazione corretta del principio “chi inquina paga”. In questo contesto, quali che siano le possibili soluzioni, sarà importante tener conto della prospettiva globale del problema. L’Unione Europea dovrà attivamente impegnarsi nel dialogo con i Paesi terzi per promuovere l’utilizzo di strumenti di mercato che permettano il raggiungimento di obiettivi cost-efficient. Ciò sarà particolarmente rilevante per i partner commerciali della UE. 3.2 - Contrastare l’impatto ambientale del trasporto

Il trasporto è il settore che maggiormente contribuisce alle emissioni di CO2 e quindi all’inquinamento atmosferico, con un trend in continuo aumento. Per fare un esempio, nel 2004 il trasporto su strada era responsabile del 22% delle emissioni totali di CO2, il trasporto aereo (le cui emissioni sono cresciute dell’86% in 14 anni) e marittimo rappresentavano il 3-4% del totale delle emissioni di GHG. Per combattere gli impatti negativi sull’ambiente di questa attività, in molti casi sono state utilizzate politiche basate su strumenti di mercato. Tuttavia vi è un forte gap tra il livello nazionale e locale - dove queste politiche sono molte e di diverso tipo - e quello comunitario, dove il loro utilizzo è ancora limitato. Per questa ragione la Commissione sta valutando un ulteriore sviluppo di questi strumenti nelle politiche comunitarie. Un esempio è costituito dalla proposta di introdurre un elemento legato alla CO2 nell’imponibile delle tasse di circolazione e registrazione delle automobili. Questa misura, insieme ad altre azioni legate alla riduzione delle emissioni dalle automobili, potrebbe contribuire a raggiungere gli obiettivi europei di contrasto dei cambiamenti climatici. Inoltre, nel programma di revisione dell’ETS vi è la proposta di estensione ad altri settori, tra cui anche il trasporto su strada e quello aereo. Per quest’ultimo settore la Commissione ha annunciato la presentazione di una proposta (limitatamente alle emissioni di NOx) entro il 2008. Quando si considerano le esternalità di tipo ambientale il settore dei trasporti è particolarmente rappresentativo poiché da questa attività scaturiscono sia effetti legati alle emissioni che problematiche collegate alla congestione ed all’inquinamento acustico. In questo caso, gli strumenti di mercato sono diretti ad internalizzare i costi esterni, principalmente attraverso tasse per l’uso delle infrastrutture. La Commissione presenterà nei prossimi mesi un modello generale trasparente e comprensibile per la valutazione dei costi esterni, utilizzabile come base per il calcolo futuro della tassazione delle infrastrutture. Tale modello sarà accompagnato da un’analisi di impatto delle misure di internalizzazione, per tutte le modalità di trasporto. Oltre a ciò la Commissione continuerà a supportare l’esistente network di scambio delle informazioni sui sistemi di road pricing attualmente sperimentati in Europa (Londra e Stoccolma), anche al fine di valutare azioni concrete di supporto a livello UE.

3.3 - L’uso degli strumenti di mercato per proteggere le risorse naturali

La Commissione considera fondamentale l’eventuale applicazione degli strumenti di mercato nel settore delle acque e della gestione dei rifiuti. L’acqua è una delle risorse naturali per le quali è indispensabile prevedere un quadro regolatorio che renda consapevoli gli utilizzatori della sua scarsità. La Direttiva Quadro sulle acque del 2000 costituisce un primo punto di riferimento per l’azione comunitaria, richiedendo agli Stati membri di introdurre entro il 2010 delle politiche di pricing della risorsa idrica che ne incoraggino l’uso efficiente. In questo senso, gli strumenti di mercato potranno essere di aiuto per incoraggiare l’applicazione generalizzata del principio “chi inquina paga”. Nel settore dei rifiuti gli strumenti di mercato possono giocare un ruolo importante nel separare il trend di produzione dei rifiuti dalla crescita economica, in particolare per ridurre il conferimento dei rifiuti nelle discariche. In questo caso la tassazione delle attività di smaltimento sono uno strumento di mercato che tende a disincentivare questa forma di eliminazione dei rifiuti a favore del riciclaggio. Tuttavia vanno tenute presenti le possibili distorsioni insite in questo genere di tributi e soprattutto in un livello differente di tassazione tra Stati che potrebbe portare ad un diverso trattamento dei soggetti che operano nel settore della gestione dei rifiuti. Il ruolo della Commissione, in questo caso, è stato quello di incoraggiare lo scambio di informazioni tra i Paesi riguardo la gestione dei rifiuti. Un ulteriore passo potrebbe essere quello di stabilire dei criteri comuni ai Paesi Membri per definire tasse di smaltimento in discarica, basati su best practice riconosciute a livello europeo. Gli strumenti di mercato potrebbero poi essere utilmente introdotti per differenziare i prodotti e gli imballaggi in base al loro impatto sull’ambiente, con l’obiettivo di incoraggiare consumi più sostenibili.

4 - Il Protocollo di Kyoto

Nel 1997, l’Unione europea ha siglato il protocollo di Kyoto, impegnandosi a ridurre dell’8% le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2012, rispetto ai livelli del 1990. L’UE ne ha poi sostenuto attivamente la ratifica in tutte le principali riunioni internazionali e il 16 febbraio 2005 il protocollo di Kyoto è entrato in vigore. L’adesione al Protocollo di Kyoto comporta per l’Italia la riduzione delle emissioni a un livello medio, nel periodo 2008-2012, del 6,5 per cento inferiore rispetto al 1990. Stime recenti, tuttavia, indicano maggiori emissioni di gas serra sul territorio nazionale di circa il 12,5 per cento rispetto a quanto previsto, portando al 19 per cento circa l’impegno di riduzione rispetto all’anno di riferimento. Ciò significa un impegno a ridurre le emissioni di CO2 di circa 98 Mt/anno tra il 2008 e il 2012. Dati recenti hanno messo in luce che i costi per la mancata applicazione del Protocollo di Kyoto in Italia rischiano di aumentare fino a 2,56 miliardi di euro all’anno per il periodo 2008-2012 se non verranno adottate delle politiche rigorose e costanti di riduzione delle emissioni. Al fine di verificare i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto sarà realizzato un programma di monitoraggio da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero dell’Ambiente. La contemporanea entrata in vigore in Italia ed in Europa del Protocollo di Kyoto ha spinto i Governi a ripensare le sfide poste dalla strategia di Lisbona per la crescita economica e l’apertura dei mercati, in un’ottica di riduzione delle emissioni nocive per l’ambiente. I limiti alle emissioni impongono delle politiche necessariamente armonizzate dal punto di vista ambientale ed economico-finanziario. In Italia è divenuta sempre più forte la consapevolezza che l’attuazione del Protocollo di Kyoto deve riflettersi in politiche sostenibili per il bilancio dello Stato e che l’uso più efficiente delle risorse potrà costituire una risposta di lungo periodo alle problematiche di equilibrio tra tutela ambientale e vincoli di bilancio. Come indicato nel DPEF 2008-2011, l’applicazione del Protocollo di Kyoto in Italia rischia di tradursi in un costo significativo, stimato nell’ordine di 1,5/2,56 mdl di eu¬ro/anno per il periodo 2008-2012. Se non verranno adottate delle politiche rigorose e costanti di riduzione delle emissioni di gas serra, l’Italia, tradizionalmente caratterizzata da alti livelli di tassazione dell’energia e da una forte dipendenza dagli idrocarburi, rischia di trovarsi impreparata sia di fronte agli obblighi di Kyoto, sia di fronte alla scommessa di Lisbona. In effetti, l’attuazione di misure di tutela ambientale si scontrano con il timore, spesso diffuso, di una penalizzazione dei settori energetico e industriale, che potrebbero divenire meno competitivi se gravati da tasse ambientali applicate unilateralmente. 5 - L’ambiente nel Secondo Rapporto di attuazione della Strategia di Lisbona

Nel programma di Governo l’obiettivo del ritorno dell’Italia su sentieri di crescita più elevata è collocato all’interno della direttrice dello Sviluppo Sostenibile, che a sua volta comprende cinque grandi aree obiettivo: Competitività, Natura, Governance Pubblica, Capitale Umano e Cultura. È un ambito in cui vanno incentivati modalità produttive più rispettose della natura, maggiori risparmi di energia e la creazione di condizioni migliori per la ricerca. L’Italia è, infatti, caratterizzata da un patrimonio naturale, culturale, storico e artistico di particolare pregio, che da sempre costituisce la sua principale peculiarità e rappresenta un elemento centrale del suo sviluppo. Questo sviluppo, tuttavia, si è svolto in maniera disomogenea sul territorio seguendo nel corso del tempo percorsi diversi sia in campo economico-produttivo, che sociale ed ambientale. Dunque, l’impegno dell’Italia sullo sviluppo sostenibile è da ritenersi un fattore prioritario di scelta anche al fine di ridurre le disomogeneità territoriali. Si tratta di raccordare i principali piani e programmi nazionali in tema di crescita ed occupazione, di solidarietà sociale, di politiche di coesione territoriale e di strumenti di tutela dell’ambiente integrando le diverse istanze. In quest’ottica, l’Italia, nel Rapporto (PNR)2 sulle politiche di riforma previsto dalla Strategia di Lisbona, ha individuato le iniziative e le riforme strutturali necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati, creando le condizioni che stimolino gli investimenti, l’innovazione e la competitività, e al tempo stesso sfruttando le potenziali sinergie, fra la protezione dell’ambiente e la competitività. Gli orientamenti del Governo in tema di sviluppo sostenibile sono stati quindi parte fondamentale dell’azione di Governo nel primo anno della nuova legislatura, in particolare, essi sono stati confermati dalla Legge finanziaria 2007 ,3 che ha varato nuovi provvedimenti e destinato nuove risorse in settori ritenuti strategici attraverso:
  il Fondo per la promozione dello Sviluppo sostenibile delle politiche e dei programmi settoriali, sviluppo e consolidamento delle linee di ricerca in campo ambientale e rafforzamento e sviluppo della collaborazione con le istituzioni multilaterali nell’ambito delle Convenzioni e dei Protocolli delle Nazioni Unite;
  il Fondo per la mobilità sostenibile per il potenziamento ed aumento dell’efficienza dei mezzi pubblici e l’introduzione di una serie di incentivi a favore della mobilità sostenibile;
  il Fondo rotativo per l’attuazione del Protocollo di Kyoto per l’installazione di impianti per l’utilizzo delle fonti rinnovabili, incremento dell’efficienza negli usi finali dell’energia nei settori civile e terziario e attività di ricerca per lo sviluppo di tecnologie innovative.

In linea generale, le scelte operate con i recenti provvedimenti normativi del Governo perseguono l’obiettivo del miglioramento delle prestazioni ambientali dell’economia, la diffusione di nuove conoscenze e competenze per l’innovazione tecnologica, l’internalizzazione dei costi ambientali. Tali scelte si inseriscono all’interno di un contesto territoriale, come quello italiano, caratterizzato da una forte suddivisione in municipalità ed amministrazioni locali di medie e piccole dimensioni, che governano il territorio con propri ordinamenti e regolamenti. Numerose amministrazioni locali italiane si sono distinte per veri e propri esempi di eccellenza nel campo della sostenibilità dello sviluppo. Riprova e testimonianza ne sono l’elevato numero di sottoscrizioni di carte di principi di sostenibilità locale (Carta di Aalborg, Aalborg Committments) l’adesione alla rete degli acquisti verdi (GPPnet), la diffusione di bilanci e l’elaborazione di metodi di contabilità ambientale (Clear, ContAre, ContaRoma, Stadera). Le politiche territoriali locali si basano sul confronto con i soggetti sociali interessati e si traducono in strategie condivise, pervenendo ad un processo decisionale coerente con la sostenibilità dello sviluppo. In particolare, nel rapporto impresa-consumatori, si osserva un cambiamento sia sotto il profilo di una condivisione di responsabilità riguardo l’attuazione di metodi di produzione e di consumo sostenibili, sia per la crescente consapevolezza delle imprese della necessità di occuparsi non solo del conseguimento dei risultati aziendali, ma degli altri portatori di interessi, come i consumatori, e dei temi ambientali. La rilevanza sempre maggiore che sta assumendo il tema dello sviluppo sostenibile stimola le associazioni dei consumatori a dare il proprio contributo sui temi che interessano sempre più direttamente i cittadini-consumatori, come la certificazione di qualità, la certificazione ambientale e il bilancio sociale. Un segnale importante è costituito dall’introduzione in alcuni ambiti fondamentali per lo sviluppo sostenibile, di obiettivi vincolanti per il servizio reso ai cittadini. Si tratta della corretta gestione dei rifiuti urbani e del servizio idrico; dell’istruzione, con riferimento agli abbandoni scolastici e alle competenze degli studenti; dei servizi di cura a favore dell’infanzia e della popolazione anziana. Un meccanismo di incentivazione definito nell’ambito della politica regionale di sviluppo vincola le Regioni del Mezzogiorno verso gli obiettivi fissati.

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