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Morire di lavoro.Il fenomeno delle morti bianche
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Morire di lavoro.Il fenomeno delle morti bianche

MARIO DEL FRANCO

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1. Morti bianche: i dati

I lavoratori si rallegrino. I dati sugli infortuni denunciati all’Inail nel periodo 2001-2007, mostrerebbero difatti, secondo i dati forniti dall’ente previdenziale e secondo l’interpretazione corrente degli stessi1, un trend in discesa: nel 2007 sarebbero stati denunciati, secondo una “stima previsionale su dato annuo consolidato”2, 913.500 incidenti sul lavoro, corrispondenti a circa l’1,6% in meno rispetto ai 928.158 registrati nel 2006, e a ben il 10,7% in meno rispetto ai 1.023.379 casi del 2001. I casi mortali registrati nel 2007 dall’ente previdenziale sono invece 1.2603, circa il 6% in meno rispetto ai 1.341 decessi del 2006, e all’incirca il 18% in meno rispetto ai 1.546 casi mortali registrati nel 20014. I dati completi riferiti al 2006 pubblicati dall’ente previdenziale sono, al contrario, molto meno rassicuranti: se rispetto al 2005 si registra ancora una diminuzione degli infortuni sul lavoro5, i casi mortali aumentano, essendo 1.341 di fronte ai 1.280 dell’anno precedente6. Inoltre, gli indici di incidenza dei sinistri per il 2006 rimangono alti: il 40,4% su 1.000 lavoratori hanno subito infortuni7, e sebbene tale dato sia inferiore al 41,7 registrato nell’anno precedente8, a determinare tale stabilità complessiva sembra abbia notevolmente contribuito il netto calo dell’indice nel settore dell’agricoltura9, laddove nel comparto dell’Industria il calo si è limitato ad un punto10. Riguardo la diffusione del fenomeno degli infortuni sul lavoro, in un rapporto dell’Eurispes del Maggio 2007 contenente elaborazioni di dati forniti dall’Inail11, si mette in rilievo come tale fenomeno abbia mietuto dal 2000 al 2006 un maggior numero di vittime rispetto a quanto abbia potuto la guerra in Iraq dal 2003 al 200712. Inotre, riguardo le ultime stime, va notato come nel complesso la diminuzione rilevata per il 2007 rispetto all’anno successivo non sia in ogni caso dell’entità che sarebbe risultata auspicabile a fronte dei provvedimenti presi13. Va inoltre considerato come i dati ufficiali Inail presentino alcuni aspetti problematici: riguardo l’entusiasmo destato dalla supposta diminuzione degli incidenti nel 2007, si consideri che in passato l’ente medesimo ha invitato ad usare con cautela dati non ancora stabilizzati, ancora soggetti a variazioni dovute ai tempi burocratici14; inoltre, vi è probabilmente un elevato numero di decessi, causati non da incidenti, bensì da malattie collegate al lavoro, di cui non vi è traccia nelle statistiche Inail15. Ancora, va considerato che i dati ufficiali risultano inficiati dall’elevata diffusione del sommerso, i decessi che avvengono nell’ambito del quale non sono censiti dall’ente previdenziale16. Ancora per quanto riguarda i dati sul fenomeno, le statistiche Ilo (International Labour Organization), fondate sulle rilevazioni compiute dall’Inail, sono basate “su una serie di stime e non su un quadro di dati statistici documentati”17. In ogni caso, il trend delineato da tali statistiche non si discosta significativamente da quello riscontrato nei dati Inail: il 2006, secondo l’Ilo, ha fatto registrare una diminuzione degli infortuni totali rispetto all’anno precedente18, ma un aumento dei casi mortali rispetto al 200519. Eurostat, al netto degli infortuni in itinere20, registra 918 casi mortali per il 2005, numero leggermente inferiore a quello fornito dalle ultime rilevazioni Istat21. Secondo le rilevazioni della Fillea-Cgil, aggiornati al Gennaio 2008, i morti nel settore edile nel 2007 sarebbero stati 235, dato che lascia registrare una leggera flessione rispetto ai 258 casi mortali dell’anno precedente, per quanto vada considerato trattarsi di “un dato sicuramente in difetto a causa della difficoltà di reperire notizie sulla totalità degli infortuni che quotidianamente avvengono, che spesso vengono denunciati come incidenti domestici, automobilistici o non denunciati affatto”22. Infine, tra i dati “non ufficiali” i più frequentamente aggiornati sono quelli forniti dall’associazione Articolo 21, che sul proprio website rende disponibile un contatore degli infortuni sul lavoro avvenuti dall’inizio dell’anno: al 27/05/2008, il suddetto contatore segnala 425 morti e 425.528 infortuni23.

2. Per un’analisi del dato

Nell’ambito dei dati disponibili riguardo al fenomeno degli infortuni sul lavoro, saranno opportuni alcuni rilievi: tra i settori produttivi24 il più interessato dal fenomeno è quello di “Industria e servizi”, che nel 2007 ha fatto registrare 827.000 infortuni, di cui 100.000 nel solo comparto dell’edilizia, e 1.130 casi mortali, di cui 295 nel solo settore edile25. Va inoltre notato che se per quanto riguarda gli infortuni in complesso l’indice di frequenza più elevato si registra nel comparto della lavorazione dei metalli, gli infortuni gravi avvengono con maggiore frequenza nel settore edile, laddove i casi mortali sono più frequenti in assoluto nel campo delle estrazioni minerarie, seguito ancora dal settore edile, sebbene con un certo distacco26. Ancora, secondo gli ultimi dati Inail il settore Industria e Servizi presenterebbe nel 2007 un aumento dei casi mortali rispetto al 2005, in controtendenza con il minore numero di decessi registrato complessivamente per tutti i settori produttivi nel 2007 rispetto al medesimo anno27. Dal punto di vista della suddivisione territoriale, la maglia nera per gli infortuni va alla Lombardia, con 155.585 casi registrati28; tra gli aumenti, il più significativo è quello che si registra in Sicilia: 35.504 infortuni registrati, il 4,1% in più rispetto all’anno precedente29. Determinante per l’estensione del fenomeno è l’incidenza degli infortuni che avvengono in piccole aziende, da 0 a 15 dipendenti: ben il 31,7% degli infortuni denunciati nel 2006 sono avvenuti in aziende fino a 15 addetti30, e secondo una valutazione svolta dall’Ispesl (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro), su un campione di infortuni avvenuti tra il 2002 e il 2004, addirittura l’86% dei casi mortali e l’80,4% dei sinistri avverrebbero in aziende da 1 a 9 dipendenti31. Per quanto riguarda la ripartizione per genere, secondo dati riferiti al 2006, gli infortuni che hanno interessato lavoratrici di sesso femminile sono aumentati, in controtendenza con l’andamento della totalità dei sinistri32; il numero di infortuni tra i lavoratori migranti è invece aumentato proporzionalmente all’aumento dell’occupazione tra gli stessi33. Infine, risulta impressionante l’incremento degli infortuni occorsi nel 2006 a lavoratori parasubordinati e interinali rispetto agli anni precedenti34. Il confronto con l’Europa circa i dati riguardanti i decessi sul lavoro è impietoso: secondo un’elaborazione Anmil su dati Inail, “tra il 1995 e il 2004 si è registrato nell’ambito Europeo un trend di riduzione degli incidenti sul lavoro, pur con differenze anche ampie tra i vari paesi in conseguenza certamente del diverso livello di sviluppo economico ed in un comune quadro normativo. L’Italia rispetto a questo trend non è, purtroppo, trainante. In dieci anni gli infortuni mortali nell’Unione Europea sono diminuiti del 29,41%, mentre nel nostro Paese solo del 25,49%, un dato non esaltante rispetto a quelli di paesi come la Germania (-48,30%) e la Spagna (-33,64%). In termini assoluti, poi, l’Italia resta il paese con il più alto numero di morti sul lavoro”35. E se l’Inail in un rapporto del 2007 parla di una “favorevole posizione dell’Italia rispetto alla media europea”, e afferma che, secondo i dati relativi al 2004, “per i casi mortali l’Italia, con un indice nazionale di 2.5 decessi per 100.000 occupati si colloca perfettamente in linea con il dato rilevato per i 15 Stati membri ed al di sotto di quello registrato nell’Euro-zona (2,8)”36, gli ultimi dati Eurostat, pur confermando per il 2004 una sostanziale equivalenza dell’incidence rate italiano rispetto alla media dell’Europa a 15, sebbene con una differenza dello 0,1 (2,5 rispetto al 2,4 riferito all’E. U. 15), delineano un quadro ben più negativo in riferimento al 2005: a fronte di una riduzione del dato per quanto riguarda l’Europa a 15 (dal 2,4 al 2,3), l’Italia presenta addirittura un aumento del tasso di incidenza degli incidenti mortali, 2,6 rispetto al 2,5 dell’anno precedente, marcando un’ulteriore peggioramento rispetto alla media europea, ed in controtendenza rispetto alle nette diminuzioni registrate in Germania (1,8 rispetto al 2,2 dell’anno precedente), Grecia (1,6 rispetto al 2,5 dell’anno precedente) e Francia (2,0 rispetto al 2,7 dell’anno precedente)37. Va infine considerato che, in termini di dati assoluti, sia secondo l’Inail, sia secondo i rilevamenti Eurostat, l’Italia detiene per il 2005 il triste primato del numero di incidenti mortali in Europa38: dunque, nel nostro Paese si morirebbe di lavoro più che in tutta Europa.

3. Le cause

A proposito delle cause, riteniamo che queste ultime siano efficacemente riassunte in tal modo da Tiziano Rinaldini: “l’indebolimento, per non dire l’annullamento, di una reale contrattazione collettiva solidale e la demonizzazione del conflitto sociale sono state tra le finalità centrali dei processi che si sono strutturati in questi anni nel modello sociale ed economico che si è imposto. Da un lato la precarietà del lavoro, bassi salari e svalutazione del lavoro manuale e di quelli più rischiosi o disagiati, dall’altro frantumazione del ciclo lavorativo strutturato con imprese frantumate in un quadro integrato e dominato da chi presiede alle funzioni strategiche, a sua volta ricondotto alla massima redditività a breve termine della finanziarizzazione: questa è la sostanza dei processi di questi anni (chissà perché definiti “libero mercato”). Tutti i settori ne sono stati attraversati, sino agli esempi estremi dell’edilizia e della pulizia. Gli aspetti più selvaggi sono figli naturali, e non mostruosità inspiegabili”39; in questo senso, gli omicidi bianchi non vanno dunque considerati semplici incidenti, “quasi si trattasse di fatalità dinanzi alle quali altro non è dato se non inchinarsi impotenti - nota Alberto Burgio -. Non è così e non per caso ho evitato di parlare di “incidenti”. [...] Quando si discute dei cosiddetti “costi del lavoro”, dei contratti e della produttività [...] bisogna tenere ben presente che c’è un filo rosso (rosso, talvolta, anche di sangue) che lega il tema degli infortuni sul lavoro all’esasperata tensione alla riduzione dei costi dettata da una concezione dell’attività imprenditoriale che subordina ogni bene e ogni valore alla ricerca immediata del massimo profitto: una concezione che peraltro non conduce alla crescita del Paese, ma è invece in larga misura responsabile delle gravi difficoltà del suo apparato produttivo”40. Le morti sul lavoro non sono casi isolati, disgrazie accidentali, ma conseguenza logica di un sistema economico-produttivo regolato unicamente, appunto, dalla ricerca del profitto, la quale determina, tra le altre cose, l’imposizione di ritmi lavorativi elevati che espongono i lavoratori ad un continuo pericolo, e l’inosservanza delle norme sulla sicurezza41. Tale inosservanza è certamente facilitata dal fiorire, in particolare nel campo dell’edilizia, di appalti e subappalti non regolati e al massimo ribasso, poiché, come nota Marco Rovelli, “se una ditta appaltatrice vince una gara con il ribasso del 40% da dove può uscire il profitto? Non certo dai costi dei materiali, che sul mercato hanno un prezzo e da quello non si può prescindere, ma dal taglio del costo del lavoro (e dunque l’uso del lavoro nero) e dal taglio dei costi sulla sicurezza”42; tale sistema, a sua volta, favorisce inoltre la diffusione del lavoro nero, alla cui ombra sono presumibilmente numerosi i morti sul lavoro43, come risulta chiaro dalla testimonianza ancora una volta riportata da Rovelli: “sicurezza e lavoro nero sono due questioni strettamente intrecciate tra loro, e a loro volta intrecciate con la questione degli appalti. Gli episodi che un sindacalista di base come Donato potrebbe raccontare sono tanti. “Ricordo una volta in centro a Torino, un’azienda con un sacco di lavoratori in nero, rumeni. Stavano facendo un intervento di manutenzione alle grondaie di un palazzo in via Verdi. Alle grondaie si arriva su una piattaforma, ma quella che aveva l’azienda non era adeguata per quell’intervento, rischiava di ribaltarsi. Ne avrebbero dovuto noleggiare un’altra, ma questo significa metterci più tempo e più soldi. Vai con questa che va bene, dicevano. L’italiano, esperto, in regola, si è rifiutato. Ma ce n’era uno già pronto. Un rumeno in nero. Lui non poteva rifiutarsi. All’italiano hanno rotto i coglioni, ma poi se lo sono tenuto, anche perché bravo, e di lui avevano bisogno. Ma se avessero potuto sostituirlo, l’avrebbero fatto”44. Va inoltre considerato che i lavoratori atipici, sottoposti ad una precarizzazione del lavoro e dell’esistenza funzionale al beneficio di quel sistema economico-produttivo di cui sopra, sono una categoria particolarmente esposta al rischio di incidenti sul lavoro: un rapporto Ires-Cgil e Inail sulla percezione, da parte dei lavoratori, dei rischi da agenti chimici, chiarisce che “emerge una forte correlazione tra la tipologia contrattuale e l’esposizione ai rischi. Più un lavoratore è integrato all’interno della struttura di lavoro, perché ha un contratto standard o è assunto dall’azienda e non in appalto, più riesce ad individuare i fattori di rischio presenti, e di conseguenza manifesta livelli di attenzione più elevati rispetto alla probabilità di subire un infortunio o di contrarre una malattia”45. Ad estendere l’incidenza del fenomeno degli omicidi bianchi è inoltre, nota Luciano Gallino, “la tendenza alla frammentazione dei processi produttivi e delle imprese”46, la quale, nota ancora Gallino, “è stata accentuata dal decreto attuativo della legge 30, che ha facilitato la cessione di rami d’impresa anche nel caso in cui non erano in precedenza funzionalmente autonomi”47. A ciò si aggiunga l’assoluta insufficienza dei controlli, dovuta essenzialmente a forti carenze di mezzi e di personale da parte degli organi ispettivi48. 4. I tentativi di contrasto del fenomeno

In un intervento alla Camera, Gianni Pagliarini invita a riconoscere “il cambio di passo operato dal governo [Prodi, ndr] rispetto al tema dell’insicurezza nelle fabbriche piuttosto che nei cantieri; un cambio di passo frutto di una sensibilità e di un’attenzione politico-culturale che ha prodotto alcuni risultati non irrilevanti”49: frutto di tale “cambio di passo” sono, tra le altre cose, i provvedimenti inseriti nel decreto Bersani dell’aprile 2006, come l’obbligo, nei cantieri, di registrare i contratti con i lavoratori un giorno prima dell’assunzione50 e “di munire il personale occupato di tessera di riconoscimento”51, e lo “stanziamento dei fondi necessari per l’assunzione di 800 nuovi ispettori del lavoro”52. Nel Marzo 2008 il governo ha inoltre varato il cosiddetto “Testo unico sulla sicurezza”, che prevede, tra l’altro, “un regime sanzionatorio pesante”, sebbene “più morbido rispetto a quello originale”53, e l’elezione dei Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza in tutte le aziende, “indipendentemente dal numero dei dipendenti”54. Nell’ambito dell’operato del precedente governo vi sono, tuttavia, sia atti che risultano ambigui dal punto di vista dell’efficacia delle norme di sicurezza sul lavoro, come l’esternalizzazione, inserita nel decreto Bersani del luglio 2007, della certificazione delle macchine a vapore dall’Ispesl “ad aziende private che abbiano previa certificazione e autorizzazione ministeriale”55, sia omissioni56, in particolare per quanto riguarda gli appalti, circa i quali, come nota Alberto Burgio, “il ddl [del 2007 poi approvato nel Marzo 2008, cfr. supra, ndr] è gravemente carente per ciò che attiene agli obblighi del committente, nella misura in cui si limita a rinviare genericamente ad un principio di potenziamento del regime di responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore”57, oltre che riguardo gli Rls, in quanto “il ddl non prevede misure atte a rafforzarne il ruolo: né l’elezione diretta da parte dei lavoratori né la facoltà di redigere un proprio documento di analisi dei rischi. Non ne sancisce il diritto di ottenere dall’impresa tutte le informazioni necessarie all’esercizio delle proprie funzioni, né stabilisce che l’Rls svolga il proprio ruolo secondo prescrizioni minime di legge, anche laddove la contrattazione collettiva non ne abbia definito adeguatamente le modalità di esercizio”58. Inoltre, si è ancora in presenza di un apparato sanzionatorio che “non è adeguato alla tragedia quotidiana di quelli che non sono morti, ma omicidi bianchi: le sanzioni penali sono molto lievi e quelle in denaro non sono mai così alte da rappresentare un vero e proprio deterrente”59. Ancora troppo poco, dunque, per il Paese con la più elevata mortalità sul lavoro in Europa60.

Riferimenti bibliografici

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Ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di CESTES-Proteo

La pubblicazione delle più aggiornate statistiche Inail (cfr. infra), lo scorso aprile, ha difatti spinto i mezzi di informazione a denunciare una supposta tendenza alla diminuzione degli incidenti mortali sul lavoro, cfr. ad esempio, Inail: “Nel 2007 incidenti in calo”, Il Sole 24 Ore, 29/04/2008, da www.ilsole24ore.com: “diminuisce leggermente il numero delle morti bianche in Italia. [...] Un risultato positivo e approssimato per difetto [...]. Negli ultimi 50 anni, le morti bianche in Italia sono diminuite notevolmente”. Per quanto riguarda in particolare l’articolo citato, si noti come tale entusiastico ottimismo strida palesemente con i dati riportati in calce, tra i quali è presente la percentuale di morti bianche in Italia rispetto al totale europeo: “4 mila [...] sono, in Europa, i morti nell’Unione Europea per incidenti sul lavoro. Oltre un quarto sono italiani [a tale proposito, cfr. infra]”. Inail, dati aggiornati al 30/10/2007, www.inail.it. Riguardo tale dato, ibidem si precisa trattarsi di “dati stimati. Il numero effettivo di casi mortali acquisiti dagli archivi gestionali al 29/02/2008 è complessivamente pari a 1.147 (dato provvisorio non consolidato). Il dato riportato in tabella rappresenta il valore cautelativo (limite massimo) del range 1.240 - 1.260 risultante da procedimenti statistici di stima previsionale”. Cfr. ibidem. L’andamento di tali statistiche sembra consentire a Franco D’Amico, Morti bianche nel terzo millennio, “Dati Inail” n. 4, Aprile 2008, da www.inail.it, di affermare che “se si osserva, tuttavia, la questione da un punto di vista puramente statistico si può rilevare come il trend storico del “fenomeno infortuni mortali” sia tendenzialmente decrescente”, ma cfr. infra. Nel 2006 sono stati denunciati all’Inail 928.158 infortuni, contro i 940.021 dell’anno precedente, cfr. Inail, Dati aggiornati, op. cit. Cfr. ibidem. Cfr. Inail, Rapporto annuale sull’andamento infortunistico 2006, Milano 2007, pag. 23, da www.inail.it. Cfr. ibidem. Dal 70,2 del 2005 al 64,2 del 2006, cfr. ibidem. Dal 60,6 del 2005 al 59,4 del 2006, cfr. ibidem. Cfr. Eurispes, Infortuni sul lavoro: peggio della guerra. Una mappatura del fenomeno realizzata dall’Eurispes con il patrocinio del Presidente della Commissione Attività Produttive e della Camera dei Deputati, da pag. 2, www.ilsole24ore.com. I morti sul lavoro dal 2000 al 2006 sarebbero stati, secondo le stime Eurispes, 5.252, di fronte ai 3.520 caduti in Iraq dal 2003 al 2007, cfr. ibidem. “È importante analizzare criticamente questi dati [i dati Inail], valutando se siano imputabili alle recenti normative, come ad esempio quella della sicurezza stradale nel campo degli incidenti dei mezzi di trasporto, o quella relativa alla sicurezza sui luoghi di lavoro, la legge 626. È infatti importante sottolineare che, nonostante questo calo, il trend non è quello che ci si aspetterebbe proprio in seguito all’attuazione di presidi sanitari e di normative più stringenti. Considerato il fenomeno di trasferimento dei rischi in altre aree, come abbiamo visto nel contesto internazionale, e l’entrata in vigore dei presidi normativi, era lecito attendersi un calo ben più significativo in Italia”, Domenico Taddeo (Presidente Società nazionale operatori della prevenzione, Snop), Interpretazioni e criticità dei rapporti sugli infortuni Oms-Ilo e Inail, Epicentro, www.epicentro.iss.it. A questo proposito, cfr. Taddeo, Interpretazioni e criticità, op. cit.: “i dati Inail devono essere interpretati con prudenza, in quanto non sono completi né definitivi per motivi amministrativi che dipendono dal ritardo con cui vengono chiuse le pratiche”. “Ci sono poi le persone che la vita la perdono non perché cadono da un ponteggio o da una scala ma per una malattia collegata al lavoro. Anche qui niente numeri ma una stima dell’Oil, l’Organizzazione internazionale del lavoro: ce ne sono 4 per ogni persona morta in un incidente. E se nel 2005 le vittime sono state 1.280, il risultato (più di 5 mila) parla da solo”, Salvia, Morire di lavoro, op. cit. Riguardo gli infortuni non denunciati occorsi a lavoratori stranieri, si legga quanto notato in Eurispes, Infortuni sul lavoro, op. cit., pag. 2: “la percentuale media delle denunce per infortunio tra i lavoratori immigrati è dell’11,71% mentre quella dei decessi è del 12,03%. La sostanziale uguaglianza è quantomeno anomala, dato che per i lavoratori italiani la percentuale degli incidenti è di gran lunga superiore a quella dei morti. Il fatto che la percentuale dei lavoratori immigrati deceduti sul lavoro è leggermente più alta di quella degli incidenti fa pensare che molti infortuni non siano denunciati”. Taddeo, Interpretazioni e criticità, op. cit. L’Ilo registra 534.295 sinistri nel 2006 rispetto ai 556.380 dell’anno precedente, cfr. Ilo, 8A, Cases of injury with lost workdays, by economic activity, Laborsta, www.laborsta.ilo.org. L’Ilo registra 938 incidenti mortali nel 2006 rispetto ai 918 dell’anno precedente, cfr. ibidem. Gli infortuni cosiddetti in itinere non sono rendicontati dall’Eurostat, cfr. Inail, Rapporto annuale sull’andamento infortunistico, op. cit., pag. 25. L’Istat registra per il 2005 1.001 casi mortali “in occasione di lavoro”, cfr. Inail, dati aggiornati al 30/10/2007, op. cit. Fillea-Cgil, Monitoraggio Fillea Cgil. Infortuni mortali nel settore delle costruzioni: 235 vittime nel 2007, 14/01/2008, da www.filleacgil.it. Per quanto riguarda la parzialità dei dati riguardanti gli infortuni sul lavoro, cfr. nota 16. Cfr. Articolo 21, Articolo 21 Liberi di, Quotidiano online per la libertà di informazione e di espressione, Osservatorio sulle condizioni di lavoro e sulle malattie professionali, http://lavoro.articolo21.org. Secondo “dati stimati”, cfr. note 2 e 3. Cfr. Inail, dati aggiornati al 30/10/2007, op. cit. Tale dato è tuttavia leggermente in diminuzione rispetto agli 836.345 infortuni, tra cui 104.376 solo nel comparto edile, e 1.205 casi mortali, di cui 327 nell’edile, denunciati nel 2006, cfr. ibdem. Per il settore edile, l’indice di frequenza è dello 0,20, rispetto allo 0,37 per l’estrazione di minerali, cfr. ibidem. Cfr. ibidem. Pur essendo questi ultimi l’1,5% in meno rispetto ai 157.998 del 2006, cfr. ibidem. Cfr. ibidem. In particolare nel settore edile, la Fillea-Cgil rileva che nel 2007 le regioni con il maggior numero di morti sono state “la Lombardia con 43 casi, seguita dal Veneto 22, Campania 19 e Lazio 18”, cfr. Fillea-Cgil, Monitoraggio Fillea-Cgil, op. cit. Nelle piccole aziende (0-15 lavoratori) sono stati registrati 265.251 degli 836.345 infortuni totali avvenuti nel 2006, cfr. ibidem. È inoltre da rilevare, in questo ambito, la preoccupante diffusione di tale fenomeno nel settore edile, primo per numero di decessi sul lavoro con 270 incidenti mortali nel 2006, cfr. ibidem. Cfr. Ispesl, Inail, Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, Rapporto nazionale finale. Indagine integrata per l’approfondimento dei casi di infortunio mortale, pag. 22, da www.ispesl.it, e Inail, Rapporto annuale sull’andamento infortunistico, op. cit., pag. 56. L’Inail sottolinea che “alla diminuzione nel 2006 rispetto all’anno precedente del fenomeno infortunistico (rilevata come si è detto pari all’1,3% per il complesso delle gestioni) hanno contribuito, in pratica, quasi esclusivamente i maschi (-1,7%), mentre per le donne si deve registrare una sostanziale stabilità (-0,1%), in presenza di un incremento occupazionale rilevato dall’ISTAT nella misura dell’1,9% per il complesso e, rispettivamente, dell’1,5% per la componente maschile e del 2,5% per quella femminile”; va inoltre considerato che “nei casi mortali, invece, la presenza femminile è molto più contenuta (8% nei casi del 2006) rispetto a quella maschile[...]. All’incremento di 28 casi mortali registrato nel 2006 rispetto al 2005 per il complesso delle gestioni hanno contribuito, in valore assoluto, quasi equamente i due sessi (15 casi mortali per i maschi e 13 casi per le femmine); in termini percentuali, invece, l’aumento per il genere femminile è stato più consistente di quello maschile (+14,8% e +1,3% rispettivamente)”, Inail, Rapporto annuale sull’andamento infortunistico, op. cit., pagg. 12 e 14. Si consideri inoltre, a tale proposito, quanto affermato in Inail, Dati Inail, 2, Febbraio 2008, pag. 5, da www.inail.it: “in linea con la favorevole dinamica occupazionale, gli infortuni delle donne sono in lieve crescita negli ultimi anni, raggiungendo nel 2006 quasi 250mila unità, pari al 27% del totale”. Per quanto concerne il lavoro dei migranti, è inquietante rilevare che “l’incremento degli occupati appena delineato [tra gli stranieri, ndr] si riflette anche sugli infortuni sul lavoro per i quali si rileva una crescita nel 2006 pari al 3,7% rispetto all’anno precedente: le denunce, infatti, sono state 116 mila contro le 112 mila del 2005 e si sono riallineate ai livelli del 2004 quando se ne contarono oltre 117 mila. C’è da osservare che il dato è in controtendenza rispetto all’andamento generale degli infortuni per i quali si è registrato, come visto, un calo dell’1,3%. [...] Per quanto riguarda i casi mortali nel 2006 le denunce pervenute all’INAIL sono state 141, contro le 150 dell’anno precedente; ma ricordiamo che il dato del 2006 è ancora provvisorio, e a consolidamento si dovrebbe realizzare una sostanziale stabilità tra i due anni. Sempre nel 2006 la percentuale di infortuni attribuibili a lavoratori extracomunitari sul totale dei lavoratori è stata del 12,5%, contro l’11,9% dell’anno precedente per il complesso delle denunce, mentre per i casi mortali si è osservato, per gli stessi periodi, rispettivamente il 10,8% e l’11,8%”, ibidem, 38, e cfr. Inail, Rapporto annuale 2006. Statistiche, Milano 2007, pagg. 16-17, da www.inail.it. Va inoltre notato che ben il 33,3% degli infortuni occorsi a migranti nel settore di Industria e servizi (che a sua volta costituisce da solo il 90,8% del totale) avvengono nel comparto edile (cfr. Inail, Rapporto annuale sull’andamento infortunistico, op. cit., pag. 40), e a tale proposito la Fillea Cgil registra che nel 2007 il 16,60% degli infortuni mortali in edilizia è occorso a lavoratori migranti. Riguardo il numero di infortuni denunciati occorsi a migranti cfr. inoltre nota 16. Gli infortuni sul lavoro hanno interessato nel 2006, secondo le stime Inail, 9.003 lavoratori parasubordinati contro i 7.556 dell’anno precedente e i 7.276 del 2004; i casi mortali sono stati 22 nel 2006, rispetto ai 14 dell’anno precedente e ai 13 del 2004, cfr. Inail, Rapporto annuale 2006. Statistiche, op. cit., pag. 18. Gli infortuni che hanno interessato lavoratori interinali nel 2006 sono stati 16.085, di fronte ai 13.528 dell’anno precedente e ai 13.039 del 2004; i casi mortali sono stati 10 nel 2006, 8 nel 2005, in diminuzione rispetto ai 16 del 2004, cfr. ibidem, pag. 19. Riguardo la diffusione del fenomeno per tipologia contrattuale, cfr. infra. Anmil, Sintesi del 2° Rapporto su Tutela e condizione delle vittime del lavoro tra leggi inapplicate e diritti negati, da www.anmil.it. Cfr. inoltre Anmil, 2° Rapporto su Tutela e condizione delle vittime del lavoro tra leggi inapplicate e diritti negati, da www.anmil.it, e Anmil, Casi mortali - Infortuni sul lavoro nell’Unione Europea per Stati Membri e anno: Anni 1995 - 2004, da www.anmil.it. Inail, Rapporto annuale sull’andamento infortunistico, op. cit., pag. 66. Cfr. Eurostat, Standardised incidence rate of fatal accidents at work by economic activity, Member State and age, excluding road traffic accidents and accidents on board of any mean of transport in the course of work (rate per 100 000 workers), da http://epp.eurostat.ec.europa.eu. Riguardo la maggiore attendibilità dei tassi di incidenza rispetto ai valori assoluti circa I dati Eurostat, cfr. Inail, Rapporto annuale sull’andamento infortunistico, op. cit., pag. 66. Secondo i dati Inail, al primo posto per numero di morti bianche in Europa c’è l’Italia, con 918 vittime, seguita dalla Germania e dalla Spagna con rispettivamente 678 e 662 casi mortali, cfr. Inail, Dati aggiornati, op. cit.; anche secondo Eurostat, che tuttavia non tiene conto degli incidenti in itinere (cfr. nota 20) l’Italia è prima in Europa per incidenti mortali sul lavoro, con 401 casi, seguita da Spagna e Germania con rispettivamente 400 e 361 decessi, cfr. Eurostat, Number of fatal accidents at work by economic activity, Member State and age, excluding road traffic accidents and accidents on board of any mean of transport in the course of work, da http://epp.eurostat.ec.europa.eu. T. Rinaldini, Tanti appelli contro le morti sul lavoro. Ma è ora di verificare le risposte, Il Manifesto, 18/04/08. A. Burgio, Intervento in Aula sugli infortuni sul lavoro, intervento alla Camera dei Deputati del 06/12/2006, L’Ernesto online, www.lernesto.it. “Alle carenze formative si aggiungono i costi dei dispositivi attivi e passivi per la prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro che molte imprese, vuoi perché premute dalle pressioni sui costi provenienti dagli anelli superiori della catena di formazione del valore, vuoi perché nella loro agenda gli investimenti in tema di sicurezza non sono una priorità, cercano di limitare il più possibile”, L. Gallino, Lo scandalo del lavoro che uccide, Repubblica, 28/11/2006. A tale proposito, cfr. inoltre G. Pagliarini, Per fermare la strage, intervento alla Camera dei Deputati, 16/04/07, Aprileonline, www.aprileonline.info: “ma tocca anche al mondo delle imprese articolare una riflessione e assumersi le responsabilità del caso: i datori di lavoro non possono continuare a chiamare in causa la “fatalità”. Aggiungo una domanda: quanto realmente investono le aziende in sicurezza? Il tentativo di progettare un cambiamento sostanziale in difesa delle condizioni di lavoro e di vita chiama quindi pesantemente in causa il mondo imprenditoriale”. M. Rovelli, Lavorare uccide, op. cit., pag. 36. Cfr. inoltre le dichiarazioni di Franco Martini, segretario nazionale della Fillea-Cgil, in M. Cartosio, 2006 nero: impennata di morti nei cantieri, Il Manifesto, 12/01/2007: “senza una modifica delle norme sugli appalti, “neppure i più agguerriti sceriffi riusciranno a mettere ordine nel Far West dei cantieri”. Impossibile far rispettare la 626 in un cantiere dove tra appalti e subappalti operano due o tre dozzine d’imprese e soprattutto d’impresine. I numeri parlano chiaro: un milione e 100 mila lavoratori dipendenti, a cui vanno aggiunti 800 mila “autonomi”, in un settore che conta 700 mila imprese. Significa che in media ogni “impresa” ha meno di tre dipendenti. La frammentazione, incentivata dalla catena dei subappalti, è il vero “dramma” dell’edilizia. Per estirpare il male alla radice vanno modificate le norme sugli appalti”. Cfr. nota 16. M. Rovelli, Lavorare uccide, op. cit., pag. 42. In un ulteriore rapporto, Inca, Ires, Salute, sicurezza e tutele nel lavoro. Dinamiche d’impresa, flessibilità contrattuale e impatti sulla salute e sicurezza nella percezione dei lavoratori. Sintesi per la stampa, Giugno 2006, pag. 5-6, da www.ires.it, si afferma che “sono i lavoratori legati all’azienda con un contratto a tempo indeterminato a denunciare, nel 37% dei casi, la presenza sul luogo di lavoro di fattori di rischio “ai limiti dell’allarme”, contro il 30,1% dei lavoratori non standard che, peraltro, dichiarano la loro totale assenza nel 30,1% dei casi, contro il 16,9% delle risposte da parte dei lavoratori a tempo indeterminato. [...] Il maggiore o minore grado di esposizione dipende, e, anzi, coincide con la loro conoscenza da parte dei lavoratori. In questa prospettiva, i lavoratori atipici, che la letteratura empirica indica spesso relegati in reparti e lavorazioni più “a rischio”, i giovani e gli immigrati costiuiscono le categorie maggiormente esposte al pericolo di contrarre una malattia professionale o un inforunio, in relazione al loro minore grado di conoscenza. Quest’ultima, essenzialmente, si interrela con diversi fattori tra cui la condizione contrattuale di tipo atipico e flessibile e, per i giovani, la minore esperienza lavorativa che tendono a relegare in secondo piano i temi della salute e della sicurezza, favorendo invece le preoccupazioni relative al mantenimento del posto di lavoro. Da questa prospettiva, i dati della ricerca IRES sono eclatanti: sono gli atipici, nel 61,9% dei casi, ad essere molto preoccupati dell’eventualità di perdere il lavoro, contro il 15,2% dei lavoratori standard”; cfr. anche le tabelle di dati in ibidem, pagg. 4 e 6. L. Gallino, Lo scandalo, op. cit. Ibidem. “Dal lato delle attività di prevenzione e controllo, un fattore che incide nel mantenere elevato il tasso di incidenti sul lavoro è la perenne carenza del numero degli ispettori del lavoro in servizio effettivo presso il ministero, l’Inail e le Asl. In qualsiasi impresa, un ispettore che non si vede significa, al minimo, uno scarso impegno dei capi nelle misure di sicurezza. Su scala nazionale, gli ispettori del lavoro effettivamente in servizio sono, salvo errore, meno di 2300, a fronte dei quali operano circa un milione e mezzo di imprese non individuali. Ciascun ispettore dovrebbe quindi controllare regolarmente lo stato delle misure di sicurezza in oltre 650 imprese. Poiché una singola ispezione in una piccola azienda prende almeno una giornata, spostamenti compresi, mentre nelle aziende con numerosi dipendenti richiede parecchi giorni, se ne ricava che ogni singolo ispettore può compiere una sola visita approfondita alle “sue” imprese ogni sei anni circa. Pertanto i datori di lavoro non in regola possono, sotto il profilo dei controlli preventivi cui sono esposti, dormire sonni tranquilli”, ibidem. G. Pagliarini, Per fermare la strage, op. cit. “Pensiamo alla denuncia “del giorno prima” o all’obbligo del tesserino di riconoscimento, misure che riguardano i lavoratori nei cantieri. Mentre in precedenza vigeva l’obbligo di denunciare l’assunzione di un lavoratore nei cinque giorni successivi, adesso bisogna farlo il giorno precedente, così non è più possibile per un datore di lavoro ¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬- nel caso di notifica di un’irregolarità - sostenere che “casualmente” quel lavoratore era stato assunto proprio lo stesso giorno. Gli effetti positivi di una norma così elementare saranno rilevanti, anche rispetto al dato degli infortuni e delle morti bianche, dal momento che la data di assunzione del lavoratore incidentato risultava spesso e volentieri quella del primo giorno di lavoro”, ibidem. A. Burgio, Intervento di Alberto Burgio sugli infortuni sul lavoro, Archivio Camera dei Deputati, 05/12/06; per entrambi i provvedimenti cfr. ibidem. Ibidem. G. Pagliarini, Per fermare la strage, op. cit., a tale proposito, nota che “nel periodo settembre-dicembre 2006, per effetto delle normative introdotte nel decreto Bersani, le ispezioni svolte in particolare nel campo dell’edilizia hanno determinato la chiusura di 500 cantieri a causa di varie irregolarità. Ma il fatto più significativo è che 40 mila lavoratori sono stai fatti uscire dal “nero” e sono stati regolarizzati”. Ciò sebbene I. Udroiu, Lottiamo contro gli omicidi bianchi, op. cit., noti che “il governo si è anche vantato di aver assunto quasi 800 ispettori del lavoro: in realtà, di questi solo una settantina sono tecnici, il resto sono amministrativi”. Tutela anche per i “flessibili”. Sanzioni pesanti per le aziende, da Repubblica.it, 6/03/08, www.repubblica.it. Ibidem. A. Sciotto, Il nuovo disegno Bersani: cedere la sicurezza ai privati, Il Manifesto, 14/04/07; ancora Sciotto, ibidem, nota che potrebbe accadere “ciò che oggi accade per le caldaie di casa: può certificare l’impianto un privato autorizzato, e dopo, a campione, il pubblico verrà a farti un controllo. Ma chissà se capiterà mai. Così, analogamente, gli ispettori dell’Ispesl, che oggi in sede di impianto vanno a certificare le macchine, sarebbero “spodestati” dalle aziende professionali private. E subentrerebbero solo in una seconda fase, quella dei controlli a campione. La sicurezza degli impianti sarà garantita in questo modo?”. E il ddl 2007 è appunto definito da G. Polo, Il diritto di vivere, Il Manifesto, 14/04/07, “pieno di buone intenzioni ma anche di omissioni che rischiano di renderlo inefficace”. A. Burgio, Se di lavoro si muore, Aprile online, 16/03/2007, www.aprileonline.info. Ibidem. D. Tibaldi, 2007: già 231 vittime sul lavoro, Aprile online, 23/03/2007, www.aprileonline.info. Il decreto approvato nel 2008 ha poi inasprito le pene, sebbene non con l’intensità della stesura del provvedimento risalente al 2007, cfr. supra; ciononostante, l’aspetto sanzionatorio del decreto ha suscitato vivaci polemiche da parte di Confindustria, cfr. Sì al dl sicurezza sul lavoro ma Confindustria non ci sta, Repubblica.it, 6/03/08, www.repubblica.it. Cfr. supra.