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SOCIETA’ E PROCESSI IMMATERIALI

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ERNESTO DOMÍNGUEZ LÓPEZ
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La società post industriale in Europa

ERNESTO DOMÍNGUEZ LÓPEZ

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1. Strutture economico-produttive

L’Europa Occidentale e Centrale della fine del XX secolo e del principio del XXI, è stato lo scenario di una profonda trasformazione delle sue strutture economiche. La riconversione industriale, sviluppata sotto l’impulso del rinnovamento tecnologico, è stata accompagnata dalla delocalizzazione delle imprese industriali, spostate verso regioni periferiche, cercando di ridurre i costi di produzione attraverso l’impiego di mano d’opera a bassissimo costo e con la speranza di contare su una politica fiscale molto più permissiva, ovvero la forma più attuale per le esportazioni di capitali. Il risultato della delocalizzazione è stata la lenta deindustrializzazione e terziarizzazione delle economie euroccidentali. Attualmente nell’Unione Europea il settore che contribuisce di più al PIL è quello dei servizi, con il 70%; è un fenomeno molto significativo nell’Unione Europea dei 15, in cui il settore terziario rappresenta oltre il 72% del PIL, il 26% il settore dell’industria e appena il 2% quello della produzione agropecuaria. Inoltre, all’interno della sfera dei servizi ricopre un particolare dinamismo ciò che sta in relazione con la produzione e commercializzazione della conoscenza, che è diventato un settore in rapida crescita e che attualmente è uno degli indicatori fondamentali della differenza nei livelli di sviluppo su scala mondiale. Di fatto, da circa quaranta anni si parla della società della conoscenza come di una nuova forma di articolazione socioeconomica del mondo moderno che è stato imposto specialmente nel cosiddetto Primo Mondo, e che ha monopolizzato i centri principali delle reti internazionali di produzione e distribuzione in questo campo. Non si può prescindere dal ricordare che questi processi si sono sviluppati sulla scia della crescente globalizzazione, che genera vincoli che trascendono dalle frontiere nazionali e che imprimono determinati livelli di omogeneizzazione dei sistemi economici, avendo appurato ormai da tempo che questo non comporta in alcun modo l’eliminazione delle disuguaglianze, ma, al contrario, la loro introduzione in uno schema più generalizzato di relazioni di dipendenza tra i centri di potere e la periferia subordinata.

2. Le classi sociali

Questi cambiamenti si ripercuotono, come era logico che fosse, nella propagazione delle trasformazioni in altre strutture, specialmente in quella sociale che ha sperimentato un processo molto complesso di adattamento ai nuovi aspetti che si stanno pian piano delineando. Come parte fondamentale dei cambiamenti operati, va inclusa la lenta sparizione della classe operaia tradizionale, di volta in volta più disgregata, disciolta tra l’ampliamento (e degrado) della classe media e l’incremento dei lavoratori dei servizi non associati alla produzione di plusvalore, ma vincolati ai meccanismi della propria attribuzione. Questo rappresenta di fatto una profonda trasformazione all’interno della struttura sociale del complesso euroccidentale. Sicuramente questa sparizione non è tale se ci soffermiamo ad analizzare il funzionamento del suddetto complesso sociale. Le classi sociali si definiscono secondo i concetti classici del marxismo, come ad esempio:

... ampi gruppi di uomini che si differenziano tra loro per il posto che occupano nel sistema di produzione sociale storicamente determinato, per le relazioni che hanno rispetto ai mezzi di produzione (relazioni che in gran parte rimangono stabilite e formulate dalle leggi), dal ruolo che rivestono nell’organizzazione sociale del lavoro e, di conseguenza, dal modo e dalla proporzione in cui percepiscono la parte della ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sociali sono gruppi umani; uno di questi gruppi può appropriarsi del lavoro dell’altro per occupare posti differenti in un regime determinato dell’economia sociale1.

Se ci atteniamo a questa definizione la maggioranza dei lavoratori euroccidentali continua ad essere costituita da operai, poiché partecipano ancora all’organizzazione sociale della produzione attraverso le regole contrattuali che determinano la vendita della loro forza lavoro, a partire dalla persistenza dell’alienazione rispetto ai mezzi di produzione e ai meccanismi fondamentali di appropriazione. Dove sono i nuclei essenziali e il senso di trasformazione? Con il passaggio all’economia terziaria e alla creazione della società della conoscenza si produce una crescita numerica, sia assoluta che relativa, del personale di alta qualificazione impiegato nelle imprese come gruppi di esperti (tecnici o giuridici), di informatica, nei sistemi di amministrazione, in generale nelle occupazioni distanti dall’operaio industriale tradizionale.

3. Un nuovo mondo del lavoro

In questo scenario, il mercato del lavoro è diviso in due: da un lato ci sono i lavoratori altamente qualificati e specialisti che in generale percepiscono salari molto alti, ricevono una maggior quantità di offerte di lavoro e per questo affrontano un indice minore di disoccupazione; dall’altro lato ci sono i lavoratori meno qualificati, che ricevono offerte di impiego limitate e di conseguenza soffrono altissimi livelli di disoccupazione. È necessario sottolineare che, nonostante ciò, il settore più qualificato non sfugge a un tasso di disoccupazione che raggiunge la categoria strutturale, specialmente tra i giovani. Sebbene l’incidenza, come ho già mezionato, è minore, risulta imprescindibile per il capitale privato la pressione di una massa di lavoratori superiore alla domanda di forza lavoro per squilibrare a suo beneficio i contratti di lavoro. Di fatto si è prodotta una differenziazione molto marcata tra i lavoratori che dipendono dai livelli di qualifica e dalla misura in cui questi livelli determinano la possibilità di poter partecipare dei risultati della produzione. Ugualmente, i cambiamenti nelle condizioni di lavoro, in seguito alla modernizzazione e automatizzazione diffusa anche nelle imprese industriali, fa sì che si passi dall’operaio tipico con il “colletto blu” a quello con il “colletto bianco”, che si autoaliena dalla tradizione operaia. Allo stesso tempo, il settore professionale si inserisce maggiormente nell’insieme dei lavoratori salariati, in cui, in realtà, esiste un’espansione della classe operaia a partire dal suo legame contrattuale con la produzione, attraverso la quale vende la propria capacità, in questo caso intellettuale, per lavorare; ovvero, è un lavoratore ugualmente alienato dai mezzi di produzione, e a cui si toglie plusvalore attraverso il lavoro non remunerato. Le entrate più alte e le condizioni di vita e lavoro migliori, in questo settore, sono favorite dall’alta produttività del lavoro. La differenza è nel tipo di merce che si produce in questa classe economica, poiché si tratterebbe non di un bene tradizionale di consumo, ma di un sapere specializzato che diventa un valore addizionale in un valore d’uso oppure si offre come servizio. La partecipazione come impiegato dei meccanismi di realizzazione delle merci, di qualsiasi classe sia, implica una funzione nel sistema di appropriazione del plusvalore, fase imprescindibile del ciclo economico del capitalismo. Senza dubbio, si produce ugualmente una distinzione nel personale incaricato di svolgere questi compiti; all’interno del personale esiste l’importante e crescente propaggine dei cosidetti “impiegati” che, anche se in linea di massimo lo sono tutti, si sente estranea al processo produttivo reale, poiché non si tratta solo di coloro che lavorano nalla commercializzaizone delle diverse merci, ma anche di quelli che partecipano alla creazione e all’applicazione delle regole legali della struttura economica. A questo proposito è necessario ricordare che in Germania, solo tra il 1960 e il 1984, il numero di impiegati è aumentato fino ad arrivare a 5.9 milioni, mentre il numero degli operai industriali si è ridotto a circa 3 milioni, sempre nello stesso periodo2. Si è prodotta, inoltre, una crescita considerevole del cosidetto “lavoro a domicilio”, specialmente nell’area informatica che contribuisce alla separazione di importanti settori della popolazione lavorativamente attiva delle antiche concentrazioni operaie, che è stata una delle premesse per la sua creazione e sindacalizzazione. Si stima che nel prossimo decennio il numero degli occupati secondo questa modalità arriverà fino al 15% del totale dei lavoratori3.

4. La società del capitale attraverso le classi

Bisogna aggiungere a tutto ciò anche altri due elementi importanti per capire cosa sta succedendo alla classe operaia euroccidentale. Come parte dei processi di privatizzazione che si sono sviluppati, è aumentata la vendita di piccole quantità di azioni che in parte sono acquisite dagli stessi lavoratori delle imprese, che in questo modo ne diventano, a livello teorico, comproprietari. Solo per citare un esempio, in Gran Bretagna, attraverso le privatizzazioni, il numero dei proprietari minoritari di azioni ha sorpassato i 2.5 milioni4. Questa certamente è una forma di socializzazione della proprietà, però sviluppata in maniera tale che mantiene la distanza tra il capitale e il lavoratore, associando gli interessi individuali di quest’ultimo a quelli dell’impresa e contribuendo alla declassazione del proletariato. L’altro fattore è il funzionamento dei fondi privati di pensione come fondi di investimento nei mercati finanziari. Stiamo parlando dei fondi creati e sostenuti attraverso parte delle entrate dei lavoratori che invece di essere conservate per finanziare il proprio pensionamento e le altre pensioni, diventano riassortimenti della borsa, con l’idea di farli crescere con i guadagni potenziali da ottenere. Un esempio straniero, paradigmatico in questo senso, è quello degli Stati Uniti. Nel 1995, il totale degli attivi nel mercato corrispondente ai fondi pensione o ai bonus circolati per garantire i piani pensionistici è arrivato a 331.000 milioni di dollari5, cifra che ovviamente è cresciuta sempre di più negli anni passati. In realtà in entrambi i casi si tratta di manovre di successo della borghesia da tutti i punti di vista. Da un altro lato, si immettono nel mercato capitali freschi, o meglio, si rinvestono, nei meccanismi finanziari, importi di capitale destinati all’acquisizione di forza lavoro, che a partire da questo, acquisiscono una doppia funzione all’interno della riproduzione ampliata del capitale. Dall’altro, il lavoratore che partecipa a una delle due forme, o a entrambe, si sente connesso al mondo imprenditoriale, non come un subalterno sfruttato, ma come un proprietario, o almeno aspirante, che partecipa al gioco in condizioni di parità e in modo vantaggioso. Credo che questo sia uno dei punti chiave. Certamente esiste una trasformazione oggettiva del proletariato, a partire dai cambiamenti nella classe di lavoro predominante, nel tipo di merce prodotta, nelle condizioni materiali di lavoro. A tutto questo va sommato un problema di base: la soggettivizzazione della condizione della classe operaia è cambiata ancora più drasticamente. Anche se analizzando attraverso il prisma dell’economia politica le relazioni attuali di produzione, notiamo un’espansione numerica della classe operaia a causa dell’assorbimento della classe media; l’oggetto di questa espansione si autorappresenta inserendosi nella cosiddetta classe media che oltre ad essere stata sempre molto diffusa, ora è in piena disgregazione proprio in seguito a questo processo. Voglio sottolineare questa idea: il lavoratore con un’alta qualifica non si ritiene un operaio ma un membro della classe media e per questo inserito in un livello sociale superiore. Le conflittualità sociali dispiegate lungo le linee di fessura interclassista si disperdono grazie all’appropriazione della realtà, attraverso uno schema di status, nel quale questi settori intermedi, o per meglio dire, realmente intermedi per la loro azione sociale, svolgono il ruolo di ammortizzatori e mezzi refrattori di queste conflittualità.

5. Nuova composizione del proletariato

È certo che, come viene delineato nel documento del Partito Comunista dei Popoli di Spagna,

la classe operaia comprende, nelle condizioni attuali, tutte le categorie di lavoratori stipendiati privati dai propri mezzi di produzione, che vende la sua forza lavoro ai capitalisti, producendo plusvalore e quindi accrescendo il capitale6.

Senza dubbio, l’azione sociale di questa classe operaia, nell’insieme, non è tale. Dalla soggettivizzazione si è prodotta una frattura profonda e di conseguenza una perdita della coscienza di classe. Detto in un’altra forma, l’egemonia delle elité del potere del sistema capitalista diventa maggiore grazie all’assorbimento dei principi di funzionamento del sistema da parte dei riproduttori del capitale, assimilati dalla produzione culturale sistemica. La conformazione dell’egemonia globale7 ha generato anche altre ripercussioni all’interno della struttura sociale e una nuova differenziazione nella borghesia, poiché coloro che occupano posizioni nei sistemi imprenditoriali multinazionali hanno un funzionamento e un’importanza ben distinti rispetto a coloro che rimangono incastrati dagli aspetti locali o nazionali. Le relazioni tra questi settori contemplano una linea di competenza che generalmente favorisce i primi, mentre gli altri si vedono limitati a occupare spazi ancora non invasi dalla transnazionalità, di giorno in giorno sempre più pochi, e per questo sono costantemente minacciati dall’assorbimento o dall’eliminazione. Vanno aggiunti anche i cambiamenti demografici, specialmente per quanto riguarda l’invecchiamento della popolazione, con tutte le implicazioni che ha per le finanze. Secondo la Commissione Europea la crescita del numero degli anziani nell’Unione Europea è sostenuta ed è già arrivata a livelli molto importanti che si spera si mantengano nel futuro.

Nel 2003, in Europa c’erano 74 milioni di persone con 65 anni e più; nel 1960 erano solo 38 milioni. Attualmente, gli anziani rappresentano il 16% della popolazione totale o il 29% della popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Si spera che, da qui fino al 2010, questa percentuale aumenti al 27%. Nei tre prossimi lustri, il numero di persone “molto anziane” (80 anni e più) aumenterà di quasi il 50% nell’UE-158.

Gli estesi Stati di welfare non possono sopportare il carico senza che il forte indebitamento li faccia soccombere in caso di competenza con altri complessi sociali che in queste circostanze non sono redistribuitrici9. Lo Stato progettato per la società industriale non è funzionale a causa dell’inefficienza e dei costi delle sue prestazioni tradizionali. La questione trascende l’aspetto finanziario. L’incremento della popolazione della terza età è accompagnato da una bassa natalità registrata già da diversi decenni, ed in questo modo gli indici di crescita vegetativa della popolazione autoctona euroccidentale riflettono cifre negative. Questo provoca la dimunizione dell’offerta di forza lavoro nei mercati lavorativi, specialmente per gli impieghi con bassa qualifica ancora necessari. La possibile soluzione di questo problema attraverso l’inserimento di lavoratori immigrati, generalmente non europei, anche se risulta imprescindibile, implica l’assimilazione di grandi masse di persone straniere e culturalmente non affini. La reazione della popolazione davanti a questo fenomeno esprime forti sentimenti di rifiuto, fino ad arrivare alla xenofobia e al razzismo, aspetti che danno una matrice assai complessa alla questione migratoria. È diventata infatti il centro programmatico della maggioranza dei partiti politici del Vecchio Continente. Certamente, va ricordato anche il rafforzamento di tendenze nazionaliste e ultranazionaliste, fortemente associate alla xenofobia, che stanno prendendo sempre più piede nello scenario politico europeo. Il fenomeno dell’immigrazione, anche quella solo di passaggio, non è assolutamente nuovo, solo che dalla metà del secolo scorso, ha sperimentato un cambiamento di segno e porta con sé una conseguenza che altera la solidarietà e la lealtà sociale. Si tratta della formazione delle cosiddette comunità transnazionali che sono composte essenzialmente da gruppi di individui emigrati e dai rimanenti nelle loro località di origine, che mantengono vincoli economici diretti, ma che incidono anche nei meccanismi di socializzazione. In questo ambito, la vertiginosa modernizzazione dei mezzi di comunicazione e del trasporto genera conseguenze, facilitando le relazioni oltre le frontiere. Questo, oltre a contribuire al consolidamento delle reti migratorie, crea difficoltà per l’inserimento degli immigrati nella società ricettrice, aggravata dall’ostilità generale che, a volte, porta in sé il germe dell’auto razzismo. È ovvio che vengano prodotti impatti molto forti sulle comunità autoctone, all’interno delle quali cresce la mobilità e la differenziazione sociale, a partire dall’apporto monetario (le rimesse) e dall’impiego che ne fanno i recettori. Ho voluto parlare essenzialemte della riconfigurazione della struttura sociale in funzione della transizione verso una nuova congiuntura storica, che da il via probabilmente a una fase inedita del capitalismo: l’era postindustriale. L’impatto di questa trasformazione sulle strutture politiche è molto importante da analizzare, ed è oggetto dell’altro mio articolo presente su questo numero di Proteo.

Master in Storia Contemporanea Ricercatore del Centro di Studi Europei

Vladimir Ilich Lenin, “La grande iniziativa”, in Obras Escogidas tres tomos. T III, Mosca, Progresso, 1961, p. 242.

Rosa A. Jiménez Benítez, Onelio Cabrera Lorenzo e Armando Infante del Sol. “La reconversión industrial y los cambios en la estructura de la clase obrera”, in Revista de Estudios Europeos, La Habana, N. 7-8, settembre-dicembre 1988, p. 126.

Alina M. Fernández Arias, “Situación actual de los mercados laborales en la Unión Europea, in Revista de Estudios Europeos, La Habana, N. 58, maggio-agosto 2001, p. 13.

Rob. Sewell, Gran Bretaña: Ataque a los derechos de los trabajadores, (2007), in http://www.elmilitante.org/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=14.

Anthony Giddens, La Tercera Vía. La renovación de la Socialdemocracia, Madrid, Taurus, 2003, p. 42.

La clase obrera del siglo XXI en los países capitalistas desarrollados, (inedito) Partido Comunista de los Pueblos de España.

Devo segnalare che anche se impiego questo termine, comunemente usato, è certo che si possa mettere in discussione perché sebbene esistano forti legami che uniscono regioni diverse e reti produttive estese in tutto il pianeta, molte aree e grandi settori della popolazione mondiale rimangono fuori da questo tipo di economia, mantenendo le comunità come formazioni precapitaliste, o socialmente escluse.

La situación social en la Unión europea, Bruxelles, Commissione Europea, 2004, p. 26.

Vedere Wolfgang Merkel, Las terceras vías de la socialdemocracia en el 2000, in http://www.politica.com.ar/tercera_via/Las_terceras_vias_de_la_socialdemocracia_en_el_2000_Wolgang_Merkel.htm.