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LO SVILUPPO ALTERNATIVO ECO-SOCIO-COMPATIBILE

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La natura senza padroni. L’Educazione Ambientale come critica allo sviluppismo capitalista

DOMENICO VASAPOLLO

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Nel corso degli anni il concetto di Educazione Ambientale ha subito innumerevoli mutazioni e ridefinizioni, anche attraverso importati momenti di incontri internazionali e per voce di titolati “esperti” in materia. Nonostante questo ancora il dibattito è pienamente vivo, fino al punto che la definizione di Educazione Ambientale, e conseguentemente la sua pratica, è oggetto di innumerevoli interpretazioni. Questo è dimostrato dal fatto che ogni qualsivoglia gruppo di lavoro sull’Educazione Ambientale, sia teorico che pratico, prima di intraprendere le fasi operative, ha bisogno sempre di chiarire e definire una base comune di interpretazione del concetto stesso di Educazione Ambientale, frutto di sintesi e mediazione delle opinioni di ognuno. Paradossalmente questo è tanto più vero nonostante gli ormai quasi trenta anni passati dai primi passi di questa materia, le numerose e importanti occasioni di dibattito internazionale, le pratiche diffuse. Una cosa è ormai universalmente accettata: l’Educazione Ambientale, che alcuni definiscono anche Educazione per lo Sviluppo Sostenibile, non può essere più indirizzata solo al rispetto della natura, ma concepita invece come processo trasversale di crescita collettiva, ecologicamente, economicamente e socialmente sostenibile. Sulla linea di questa interpretazione ci sono molte affermazioni, come ad esempio: «L’Educazione Ambientale è oggi strumento non solo per accrescere la conoscenza e la sensibilità nei confronti dell’ambiente, ma anche per promuovere la coscienza critica, il senso di appartenenza, l’identità e la partecipazione necessaria ai processi di sviluppo locale, intesi come costruzione di visioni collettive e condivise per un futuro sostenibile» (Tamburini, 2004); oppure “Agire coerentemente in direzione dell’ambiente non vuol dire solo comprare un albero di Natale che abbia le radici (cosa comunque preferibile rispetto a comprare quelli senza radici), ma anche preoccuparsi di capire le dinamiche economiche, le implicazioni sociali e culturali, le scelte politiche e le conseguenze ambientali che quell’albero di Natale porta con sé” (S. Volpi e F. Paglino, Educazione Ambientale e progettazione: un cammino verso la qualità, L.E.A. Civitavecchia - Provincia di Roma, Roma 2006). Non intendo soffermarmi sui concetti di Sviluppo Sostenibile, e quindi anche di Educazione per lo Sviluppo Sostenibile o Educazione Ambientale, propri del mondo ambientalista, i quali portano con sé grandi limiti di acriticità politica e culturale, e in alcuni casi anche limiti scientifici, rispetto ai modelli di sviluppo del mondo occidentale, ma anche affermazioni come quelle sopra citate, per quanto avanzate rispetto a molte altre, mancano di alcuni elementi essenziali o inducono a riflessioni fuorvianti dal punto di vista educativo: siamo ognuno di noi quindi, con i nostri comportamenti quotidiani, esclusiva causa del mancato Sviluppo Sostenibile o, al contrario, del suo invece raggiungimento. A contribuire a tale conclusioni, nel corso di questi ultimi venti anni, anche alcuni importanti momenti di dibattito nazionale e internazionale. A giugno del 1992, a Rio de Janeiro, si è riunita la Conferenza delle Nazioni Unite per l’Ambiente e lo Sviluppo, detto anche informalmente “Summit sulla Terra”. L’obiettivo era quello di «stabilire una nuova e leale alleanza mondiale mediante la creazione di nuovi livelli di cooperazione tra gli Stati, i settori chiave delle società e i popoli, operando in direzione di accordi internazionali che rispettino gli interessi di tutti e tutelino l’integrità del sistema globale dell’ambiente e dello sviluppo, riconoscendo la natura integrale ed interdipendente della terra, la nostra casa”. A fine lavori, durati 12 giorni e ai quali hanno partecipato 172 governi (compreso quello italiano), 108 capi di Stato o del Governo, 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative, è stata redatta ed approvata una dichiarazione detta appunto “Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo», articolata in ben 27 principi (la versione integrale in italiano è visibile sul sito http://bch.minambiente.it/IT/Documenti/PDFFILES/ dichiarazionediRio.pdf )

Ecco alcuni che ritengo più significativi (anche se invito i lettori a consultare la versione integrale): Principio 1 Gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura. Principio 3 Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente e allo sviluppo delle generazioni presenti e future. Principio 4 Al fine di pervenire a uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo. Principio 5 Tutti gli stati e tutti i popoli coopereranno al compito essenziale di eliminare la povertà, come requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile, al fine di ridurre le disparità tra i tenori di vita e soddisfare meglio i bisogni della maggioranza delle popolazioni del mondo. Principio 8 Al fine di pervenire a uno sviluppo sostenibile e a una qualità di vita migliore per tutti i popoli, gli Stati dovranno ridurre ed eliminare i modi di produzione e consumo insostenibili e promuovere politiche demografiche adeguate. Principio 10 Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. Al livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nella comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo. Principio 20 Le donne hanno un ruolo vitale nella gestione dell’ambiente e nello sviluppo. la loro piena partecipazione è quindi essenziale per la realizzazione di uno sviluppo sostenibile. Principio 22 Le popolazioni e comunità indigene e le altre collettività locali hanno un ruolo vitale nella gestione dell’ambiente e nello sviluppo grazie alle loro conoscenze e pratiche tradizionali. Gli Stati dovranno riconoscere le loro identità, la loro cultura ed i loro interessi ed accordare ad esse tutto il sostegno necessario a consentire la loro efficace partecipazione alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile. Principio 24 La guerra esercita un’azione intrinsecamente distruttiva sullo sviluppo sostenibile. Gli Stati rispetteranno il diritto internazionale relativo alla protezione dell’ambiente in tempi di conflitto armato e, se necessario, coopereranno al suo progressivo sviluppo. Principio 25 La pace, lo sviluppo e la protezione dell’ambiente sono interdipendenti e indivisibili.

Ventisette principi per lo più ampiamente condivisibili. Ma due domande nascono spontanee: quale sono le regole per realizzarli? Quanti di questi sono stati realizzati dopo 17 anni? La Conferenza di Rio si concluse anche con altri documenti ufficiali come quello denominato “Agenda 21” firmato da oltre 170 Governi (tra cui quello italiano). Questo prevede una pianificazione delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale e locale dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni locali in ogni area in cui la presenza umana ha impatti sull’ambiente. La cifra 21 si riferisce al XXI secolo, in quanto, secondo la Conferenza, temi prioritari di questo programma sono le emergenze climatico-ambientali e socio-economiche che l’inizio del terzo millennio pone inderogabilmente dinnanzi all’intera Umanità. “Agenda 21” voleva essere quindi un piano d’azione per lo sviluppo sostenibile, da realizzare su scala mondiale, nazionale e locale, con il coinvolgimento più ampio possibile di tutti i portatori di interesse che operano su un determinato territorio (la versione in inglese è visitabile sul sito http://www.un.org/esa/sustdev/documents/agenda21/english/agenda21toc.htm la versione in spagnolo sul sito http://www.un.org/esa/sustdev/documents/agenda21/spanish/agenda21sptoc.htm ). Il Documento “Agenda 21” si compone di 40 capitoli divisi in 4 sezioni: Sezione I - Dimensioni Sociali ed Economiche, include la lotta alla povertà, il cambiamento della struttura dei consumi, della popolazione e delle dinamiche demografiche, la promozione della salute e dei programmi sostenibili di popolamento, l’integrazione delle problematiche relative all’ambiente e allo sviluppo nel processo di decision-making; Sezione II - Conservazione e Gestione delle Risorse per lo Sviluppo, comprende la protezione dell’atmosfera, la lotta alla deforestazione, la protezione degli ambienti deboli, la conservazione della biodiversità, e il controllo dell’inquinamento; Sezione III - Rafforzamento del ruolo dei Major Groups, comprende i ruoli dei gruppi di rappresentanza dei bambini e dei giovani, delle donne, delle ONG, delle autorità locali, del commercio e dei lavoratori; Sezione IV - Mezzi per l’Esecuzione (del programma), comprende la scienza, la diffusione della tecnologia, l’educazione, le istituzioni internazionali e i meccanismi di finanziamento. Anche questo documento, come la “Dichiarazione sull’Ambiente e lo Sviluppo”, è un insieme di nobili principi, non entrando mai nello specifico e lasciando quindi libera interpretazione ed applicazione ai Governi. Ad esempio, nella sua parte introduttiva: “1.3 Agenda 21 affronta i pressanti problemi di oggi e mira a preparare il mondo per le sfide del prossimo secolo. Riguarda l’impegno politico per lo sviluppo e la cooperazione in campo ambientale. Il successo della sua realizzazione si basa, prima di tutto e soprattutto, sui governi. Le strategie, i piani, le politiche e i processi nazionali sono di capitale importanza per il suo raggiungimento. La cooperazione internazionale dovrebbe appoggiare e integrare questi sforzi nazionali. In questo contesto, le Nazioni Unite ha una funzione chiave. Anche altre organizzazioni internazionali, nazionali e regionali devono contribuire a questo sforzo. Dovrebbe inoltre incoraggiare una più ampia partecipazione da parte del pubblico e la partecipazione attiva delle organizzazioni non governative e di altri gruppi. 1.4 Il raggiungimento degli obiettivi di Agenda 21, in termini di sviluppo e per l’ambiente, richiede un notevole flusso di nuove risorse finanziarie verso i paesi in via di sviluppo, al fine di coprire i costi aggiuntivi dovuti alle azioni da intraprendere per affrontare i problemi ambientali a livello mondiale e per accelerare lo sviluppo sostenibile. Necessitano anche risorse finanziarie per rafforzare la capacità delle istituzioni internazionali di applicare Agenda 21. In ognuna delle parti del programma è compresa una valutazione dell’ordine di grandezza dei costi. 1.6 In ogni parti del programma che costituiscono Agenda 21 si descrivono le basi per l’azione, gli obiettivi, le attività e i tempi di realizzazione. Agenda 21 è un programma dinamico. I vari attori lo realizzeranno i assonanza con le differenti situazioni, capacità e priorità dei paesi e delle regioni con piena osservanza di tutti i principi che compaiono nella Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo. Agenda 21 si potrà evolvere con il tempo in funzione dei cambiamenti delle necessità e delle circostanze. Questo processo segna l’inizio di una nuova associazione mondiale per uno sviluppo sostenibile.” Al paragrafo 1.4, quando si dice: “ In ognuna delle parti del programma è compresa una valutazione dell’ordine di grandezza dei costi” si tratta esclusivamente di stime ed indicazioni. Ma quali dovrebbero essere i reali impegni finanziari? E carico di chi? Al paragrafo 1.6, si dice: “In ogni parti del programma che costituiscono Agenda 21 si descrivono le basi per l’azione, gli obiettivi, le attività e i tempi di realizzazione”. Ma anche qui si danno solo indicazioni. Ci sono impegni ed obiettivi a cui ogni stato si deve necessariamente attenere? Anche rispetto all’Educazione Ambientale, Agenda 21 dedica una parte del Documento a questo argomento. Nella Sezione IV, il capitolo 36 è intitolato: “Promozione dell’educazione, formazione e sensibilizzazione delle persone”. Nell’introduzione di questo capitolo si legge: “36.1 L’educazione, l’aumento della coscienza delle persone e la formazione sono vincolati con tutte le parti di Agenda 21, e ancor più a stretto contatto con quelle relative alla soddisfazione dei bisogni fondamentali, la creazione delle strutture necessarie, i dati e le informazioni, la scienza e il ruolo dei gruppi principali. Nel presente capitolo si formulano proposte generali, mentre le proposte particolari relazionate con le questioni specifiche compaiono negli altri capitoli. Della Dichiarazione e delle raccomandazioni della Conferenza Intergovernativa di Tbilisi sull’Educazione Ambientale, organizzata dall’UNESCO e dal PNUMA e tenutasi nel 1997, si sono adottati i principi di base che compaiono nel presente documento. 36.2 Le aree del programma descritte nel presente capitolo sono: a) orientamento della educazione verso lo sviluppo sostenibile; b) aumento della coscienza delle persone; c) promozione della formazione.” Per ogni area seguono poi gli obiettivi, le attività, la valutazione dei costi, e così via. Insomma, nel Documento Agenda 21, come nella Dichiarazione, grandi principi, molti dei quali universalmente condivisibili, tanto universalmente da risultare sospetti. La loro genericità non implica infatti nessun vincolo all’ottenimento degli obiettivi, i quali inoltre non mettono minimamente in discussione seriamente gli attuali modelli di sviluppo, facendo intendere quindi che tutto ciò possa essere realizzabile anche all’interno di modelli che hanno come elementi intrinseci fondamentali il consumismo e il profitto. Una parte di Agenda 21 che è stata ampiamente recepita dagli Stati e dai Governi, è quella del capitolo 28 denominato “Iniziative delle Amministrazioni Locali a supporto di Agenda 21”. In questo capitolo (la versione italiana si trova anche all’indirizzo http://www.agenda21napoli.it/agenda21/documenti/a21-cap28.pdf ) si legge: “28.1 Dal momento che gran parte dei problemi e delle soluzioni cui si rivolge Agenda 21 hanno origine in attività locali, la partecipazione e la cooperazione delle amministrazioni locali rappresenta un fattore determinante per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Le amministrazioni locali gestiscono i settori economico, sociale ed ambientale, sovrintendono ai processi di pianificazione, elaborano le politiche e fissano le regole in materia ambientale a livello locale, e collaborano nell’attuazione delle politiche ambientali nazionali e regionali. Rappresentando il livello di governo più vicino ai cittadini, svolgono un ruolo fondamentale nel sensibilizzare, mobilitare e rispondere alla cittadinanza per promuovere lo sviluppo sostenibile”. Sulla base di questo articolo si sono sviluppati, da parte delle amministrazioni locali, programmi detti “Agenda 21 Locale”. Questo è successo anche e molto in Italia, dove praticamente ogni Regione, ogni Provincia e quasi ogni Comune hanno una propria Agenda 21 Locale. Questo ha prodotto la nascita di numerosi programmi complessi ed articolati, dibattiti, conferenze, appositi uffici pubblici, notevoli impegni finanziari, nascita di organizzazioni private che attingono a questi fondi per le loro attività. Gran parte delle Agende 21 Locali dedicano ampio spazio all’Educazione Ambientale, promuovendo e organizzando numerose attività le cui pratiche sono in perfetta sintonia con gli attuali concetti dell’Educazione Ambientale stessa, i quali a loro volta sono in perfetta sintonia con i vaghi principi, e per questo universalmente condivisi, di Agenda 21.

Nell’aprile 1997 il Comitato Interministeriale, tra Ministero dell’Ambiente e Ministero della Pubblica Istruzione, ha promosso un convegno dal titolo “A scuola d’ambiente” svoltosi a Fiuggi dal 21 al 24 aprile 1997, producendo a fine lavori la “Carta dei Principi per l’Educazione Ambientale orientata allo sviluppo sostenibile e consapevole” dove all’articolo 1 si legge: “L’umanità ha la capacità di educarsi a rendere lo sviluppo sostenibile e di garantire il soddisfacimento dei bisogni attuali senza compromettere le possibilità delle generazioni future. L’educazione può rendere le persone più sensibili rispetto alle questioni etiche e ambientali, ai valori e alle attitudini, alle abilità e ai comportamenti nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.” E poi più avanti all’articolo 4: “ L’educazione allo sviluppo sostenibile deve divenire un elemento strategico per la promozione di comportamenti critici e propositivi dei cittadini verso il proprio contesto ambientale. L’educazione ambientale forma alla cittadinanza attiva e consente di comprendere la complessità delle relazioni tra natura e attività umane, tra risorse ereditate, da risparmiare e da trasmettere, e dinamiche della produzione, del consumo e della solidarietà. L’educazione ambientale è globale e comprende l’istruzione formale, la sensibilizzazione e la formazione. L’educazione ambientale si protrae per tutta la durata dell’esistenza, prepara l’individuo alla vita e coinvolge, direttamente e continuamente, tutte le generazioni sulla base del principio che ognuna ha qualcosa da imparare dalle altre.” Articolo 10: “Ogni individuo ha un ruolo importante e insostituibile per l’educazione ambientale e per il mantenere, salvaguardare e migliorare la qualità dell’ambiente, quale cittadino singolo e protagonista di movimenti collettivi ed associazioni; quale produttore di beni e di servizi, di rischi, inquinamenti e rifiuti; quale consumatore di beni e servizi, di risorse esauribili in forme diseguali.” (il testo completo lo si può trovare al seguente indirizzo: http://www2.minambiente.it/SVS/biblioteca/cartaprincipi.htm )

Ad aprile del 2000, a Genova, si è tenuta la Conferenza Nazionale sull’Educazione Ambientale organizzato dal Ministero dell’Ambiente e dal Ministero della Pubblica Istruzione, con l’intento di “... capire quali “novità” oggi in campo obbligano a ripensare l’educazione ambientale, ovvero: se il mondo cambia, cambia l’educazione ambientale?” Nel documento conclusivo si legge: “Le dinamiche tra globalizzazione ed identità, tra modello liberista e modello solidale, tra partecipazione ed interdipendenze planetarie, tra coesione sociale e nuove tecnologie, tra lavoro ed espansione del peso della comunicazione, e come tutto ciò abbia a che fare con lo sviluppo sostenibile, tracciano un quadro del tutto nuovo dove sono in campo non solo le conoscenze, ma, di nuovo e ancora, valori, comportamenti, mentalità, forme e metodi di governo, ricerca e realizzazioni. Soprattutto realizzazioni; mai come ora le idee su uno sviluppo solidale tra gli uomini e con l’ambiente, lo “sviluppo sostenibile”, hanno bisogno di realizzazioni, di esperienze, di dimostrare sul campo di poter avviare pratiche efficaci.” Ed ancora:” Ne deriva la necessità di avviare un percorso intrecciato di ricerca e azioni che ha bisogno di condividere alcuni presupposti: 1) l’e.a. mantiene ad oggi tutto il suo bagaglio di innovazione metodologico - educativa, non potrà mai ridursi a diffusione di dati o informazioni o, che è lo stesso, ad attività di educazione finalizzate a far cresce la consapevolezza sulle emergenze dichiarate da quei dati e quelle informazioni, l’educazione ambientale è un progetto culturale ed educativo di cambiamento, che rende più cogente che mai l’opportunità di parlare di educazione allo sviluppo (o alla società o alla civiltà) sostenibile 2) il sistema dell’e.a. e per lo sviluppo sostenibile, solidale e partecipato, deve essere ad altissima capacità evolutiva, quindi dinamico e capace di instaurare sempre nuove relazioni 3) nel sistema dell’e.a. e per lo sviluppo sostenibile, solidale e partecipato, esiste una dimensione nazionale oggi essenzialmente rappresentata dall’INFEA, ed una dimensione regionale che dovrebbe essere fortemente integrata tra i vari aspetti del sistema formativo, sembra di poter dire che in tutti e due i casi si rende necessario un momento di organizzazione “riconoscibile” del sistema per l’e.a. e per lo sviluppo sostenibile, solidale e partecipato, ed un forte impulso all’integrazione 4) nonostante le novità in campo sia nel mondo della scuola che negli altri ambiti (parchi, sviluppo locale, imprese) non sono affatto dissolti i rischi di autoreferenzialità e di chiusura, anzi, oggi più che mai il superamento dell’autoreferenzialità è una battaglia strategica”.

I lavori della Conferenza sono stati divisi in 7 Gruppi di Lavoro. Il Gruppo di Lavoro 2, chiamato “EDUCAZIONE AMBIENTALE E AUTONOMIA SCOLASTICA”, concludeva il suo documento introduttivo così: “L’educazione ambientale ed alla sostenibilità consolida il suo ruolo nel nuovo contesto della scuola dell’autonomia, affermandosi come educazione permanente, connotandosi con metodologie di ricerca-azione, fornendo competenze trasversali capaci di leggere lo sviluppo del territorio dal punto di vista sociale, ambientale, economico e competenze capaci di formare il cittadino alla progettazione partecipata ed alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile.” Il Gruppo di Lavoro 7, chiamato “GLI STRUMENTI PER L’EDUCAZIONE AMBIENTALE”, nella parte finale del suo documento scrive: “Il tentativo di conoscenza del panorama dell’educazione ambientale a livello universitario ha confermato la tesi che il tema della formazione ambientale è lasciato alla spontaneità ed alla sensibilità del mondo universitario che non garantisce dunque una formazione omogenea di base di coloro che, usciti dagli studi universitari, svolgeranno libere professioni ed attività lavorative che implicano diretti o indiretti impatti sull’ambiente ( es. ingegneri, urbanisti, architetti, insegnanti, economisti, statistici, magistrati, ecc).”

Documenti, dichiarazioni, principi, nazionali e internazionali, che, nell’intento, nel migliore dei casi onesto, dei “firmatari”, hanno la finalità di creare coscienza rispetto ai problemi ambientali, di educare le giovani generazioni, e non solo, a comportamenti personali più consapevoli e sostenibili verso la natura. Ma tutto, sostanzialmente, si riduce a: “sono io la causa dei mali de mondo, il mio personale comportamento quotidiano sostenibile li risolve”. Ora il problema non è quello di sostituire i termini sviluppo sostenibile ed educazione ambientale con altre espressioni, ma non ricondurre questi a concetti basati sullo sviluppismo quantitativo, a non ridurli a meri esercizi di principio, a non renderli funzionali a posizioni politiche, culturali, economiche del liberismo e della globalizzazione, a non finalizzarli a conclusioni di colpevolizzazione di chi invece non è protagonista ma vittima del sistema politico, culturale ed economico. Per noi che da anni siamo impegnati, oltre che nel lavoro di editori, anche nel lavoro di educatori ambientali rivolto a bambini e ragazzi, le parole “sviluppo sostenibile” sono assolutamente familiari, ci accompagnano quotidianamente, le abbiamo pronunciate e sentite pronunciare milioni di volte. Ma ormai da tempo ci poniamo alcune domande: si possono salvaguardare gli ambienti naturali in una economia del profitto? Si possono educare le giovani generazioni allo sviluppo sostenibile in una società dei consumi? E’ leale fargli credere che la realizzazione dello sviluppo sostenibile sta nel loro impegno quotidiano verso il rispetto e il risparmio delle risorse naturali, nel rispetto delle diversità, nella solidarietà, nella soluzione pacifica dei conflitti, nell’equità, nella giustizia sociale, quando chi governa la politica e l’economia va nella direzione opposta? E’ possibile quindi parlare di sviluppo sostenibile senza mettere in discussione il modello capitalista? Quando parliamo di inquinamento, di rifiuti, di acqua, di energia, di turismo, di paesaggio, di guerra, di diversità biologiche e culturali, tutti temi strettamente legati allo Sviluppo Sostenibile e quindi all’Educazione Ambientale, come possiamo scindere questi dal modello di organizzazione politica ed economica della società? Non basta la “green economy” a risolvere il problema, quando in questa i rapporti di produzione, il fine della produzione, i rapporti sociali, sono gli stessi di prima. Come è assurdo pensare che la soluzione è la “decrescita”, in un mondo dall’economia globalizzata, dove circa l’ 80% della popolazione vive in condizioni di povertà o di estrema povertà, dove circa 800 milioni di persone non dispongono di cibo sufficiente per condurre delle esistenze normali, sane e attive, dove più di 850 milioni di persone sono analfabeti, dove più di un miliardo di persone non ha accesso alle risorse di acqua pulita, dove circa 2,4 miliardi non dispone dei servizi sanitari di base, dove quasi 325 milioni di bambini e bambine non frequenta la scuola, dove 11 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni di età muoiono ogni anno per cause che potrebbero essere evitate. E’ come dire che il metodo per non prendersi l’AIDS è praticare l’astinenza. L’Educazione Ambientale non può avvalorare queste tesi. Allora il problema non è “crescere” o “decrescere”, oppure una economia e una società del profitto e del consumo più “verde”, ma cambiare le regole del gioco, dare indicatori diversi, dove non è il PIL lo strumento di misura, ma la qualità della vita intesa come grado di cultura, di sanità, di armonia con la natura, di vita democratica partecipata, di redistribuzione sociale delle ricchezze, di proprietà e gestione collettiva delle risorse, di riconoscimento delle diversità in un mondo di uguali. La realizzazione dello Sviluppo Sostenibile è assolutamente insita nel conflitto capitale-uomo-natura e non scindibile dal conflitto di classe. Gli interessi dell’Umanità non coincidono con quelli del Capitalismo. E’ un problema di civiltà, tra quella capitalista che si è esaurita, come dimostra l’attuale crisi economica, e quella che la dovrà sostituire in futuro. Al concetto di Sviluppo Sostenibile va necessariamente affiancato un concetto diverso di sviluppo: una Società Sostenibile! Cioè uno sviluppo capace di cambiare radicalmente i concetti di proprietà, di produzione, di consumo. Uno sviluppo che parta da una rinnovata economia eco-socio compatibile, capace quindi di configurarsi come una economia dello sviluppo fuori mercato. Per questo credo quindi che sia arrivato anche il momento di dare una impronta critica all’Educazione Ambientale, che dia alla teoria e alla pratica di questa la finalità dell’educazione critica allo sviluppo capitalista. In America Latina è un processo già in atto. In Bolivia la nuova Costituzione (411 articoli), ratificata con il referendum popolare del 25 gennaio scorso, mette al centro i diritti umani e la libertà degli individui ed approfondisce la democrazia reale e partecipata. Una Costituzione “del Socialismo Comunitario”, che riconosce le diverse nazioni dei popoli originari, discriminati e sfruttati per secoli, che include il diritto delle comunità ad un’economia collettiva e recupera la sovranità della nazione sulle risorse naturali. Ad esempio sia l’acqua che gli idrocarburi sono disponibilità esclusiva di tutti i boliviani e sono esclusi da ogni possibile forma di privatizzazione, la coca diviene patrimonio culturale del paese, da difendere in nome della coesione sociale e come risorsa naturale genetica e biologica della biodiversità della natura boliviana. Grazie all’approvazione della nuova Costituzione si è messo fine anche allo strapotere dei latifondisti: il voto ha infatti stabilito che la proprietà privata di terra non dovrà superare i 5mila ettari. Dopo la vittoria nel referendum, il Presidente Evo Morales ha dichiarato:”Qui finiscono il passato coloniale e il neoliberismo”. Alle questioni ambientali, risorse naturali, biodiversità, sviluppo rurale sostenibile e salvaguardia del territorio è dedicato tutto il titolo secondo della quarta parte, con ben 66 articoli, e il riferimento alle questioni socio-economiche-ambientali è presente nella maggior parte di tutti gli altri articoli. Ne cito due per tutti: il primo “Articolo 348 Paragrafo I - Sono risorse naturali i minerali in tutti i loro stati, gli idrocarburi, l’acqua, l’aria, il suolo, il sottosuolo, i boschi, la biodiversità, lo spettro elettromagnetico e tutti quegli elementi e forze fisiche che possono essere utilizzate. Paragrafo II - Le risorse naturali sono di carattere strategico e di interesse pubblico per lo sviluppo del paese”; il secondo “Articolo 349 Paragrafo I - Le risorse naturali sono di proprietà e dominio diretto, indivisibile e imprescindibile del popolo boliviano, e spetta allo Stato la loro amministrazione in funzione dell’interesse pubblico. Paragrafo II - Lo Stato riconoscerà, rispetterà e darà i diritti individuali e collettivi sulla terra, così come i diritti all’uso e utilizzo sulle atre risorse naturali”. Il testo integrale in spagnolo della costituzione lo si può trovare su www.presidencia.gob.bo/ . Anche in Ecuador, nel settembre scorso, c’è stata una importantissima vittoria nel referendum sulla nuova costituzione, proposta dal Governo del Presidente Correa, dove forte è la presenza di concetti dello Sviluppo Sostenibile fuori dal sistema di mercato. Fondata su un modello di economia sociale e solidaristica, la nuova Costituzione considera “ el buen vivir”, concetto chiave della cosmogonia indigena andina, come obiettivo dello sviluppo. “Lo Stato ecuadoriano è proprietario ed esercita la sovranità sulle risorse naturali, in special modo quelle non rinnovabili, che sono sul suo territorio, compresa l’acqua, i giacimenti minerari e degli idrocarburi, così come la biodiversità e il suo patrimonio genetico...”. Questo solo per citare il primo articolo sulle questioni ambientali al quale ne seguono moltissimi altri, dei complessivi 444, dedicati proprio ai concetti dello sviluppo eco-socio compatibile come ad esempio: “La natura o “Pachamama”, dove si riproduce e si crea la vita, ha diritto ad esistere, mantenere e rigenerare i suoi cicli vitali, funzioni e processi evolutivi.”; “Le persone, i popoli, le comunità avranno diritto a beneficiare dell’ambiente e delle ricchezze naturali, per permettergli “el buen vivir”.”; “Lo Stato promuoverà principalmente quelle forme di produzione che asseconderanno “el buen vivir” della popolazione e disincentiverà quelle che saranno contro questo diritto e contro il diritto della natura.” Cuba è l’unico paese al mondo, a detta della relazione annuale sullo stato dell’ambiente del 2006 del WWF Internazionale (quindi presumibilmente al disopra di ogni sospetto), che ha raggiunto uno sviluppo sostenibile. Nell’organizzazione economica e sociale di Cuba, scevra del consumismo e del profitto, l’Educazione Ambientale è intesa come educazione a salvaguardia delle risorse naturali e della popolazione, con concreti programmi che mirano a questi obiettivi, come quello ad esempio delle Università che ha come obiettivo quello di affrontare e prevenire i disastri naturali (vedi capitolo di Gilberto Javier Cabrera Trimino Università ed Educazione Ambientae: come affrontare i disastri naturali su L. Vasapollo e R. Tartufi (a cura di), L’Ambiente Capitale - Alternative alla globalizzazione contro natura: Cuba investe sull’Umanità, Natura Avventura Edizioni, Roma 2008). Altro esempio ci arriva dal Venezuela dove, anche qui nella Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela di Ugo Chavez si può leggere: “Articolo 107 - L’educazione ambientale è obbligatoria ai livelli e alle modalità del sistema educativo, così come nell’educazione cittadina di carattere informale. Articolo 127 - È un diritto e un dovere di ogni generazione proteggere e preservare l’ambiente a beneficio di se stessa e del mondo futuro. Ogni persona ha il diritto individuale e collettivo di godere di una vita e di un ambiente sicuro, sano ed ecologicamente equilibrato. Lo Stato protegge l’ambiente, la diversità biologica, genetica, i processi ecologici, i parchi e i monumenti nazionali e le altre aree di speciale importanza ecologica. Il codice genetico degli esseri viventi non può essere brevettato, e la legge riferita ai principi della bioetica regola la materia. È un obbligo fondamentale dello Stato, con l’attiva partecipazione della società, garantire che la popolazione si sviluppi in un ambiente libero da contaminazioni, dove l’aria, l’acqua, le terre, le coste, il clima, la cappa d’ozono, le specie viventi, siano specialmente protetti, in conformità alla legge. Articolo 128 - Lo Stato sviluppa una politica di governo del territorio rispettosa delle realtà ecologiche, geografiche, di popolazione, sociali, culturali, economiche, politiche, in accordo con le premesse dello sviluppo sostenibile, che includa l’informazione, la consultazione e la partecipazione cittadina. Una legge organica sviluppa i principi e criteri per tale regolazione. Articolo 129 - Tutte le attività in grado di creare danni agli ecosistemi devono essere previamente accompagnate da studi di impatto ambientale e socioculturale. Lo Stato impedisce l’ingresso nel paese di rifiuti tossici e pericolosi, così come la fabbricazione e l’uso di armi nucleari, chimiche e biologiche. Una legge speciale regola l’uso, il maneggio, il trasporto e l’immagazzinamento delle sostanze tossiche e pericolose. Nei contratti che la Repubblica stipula con persone naturali o giuridiche, nazionali o straniere, o nei permessi che si attribuiscono, che concernono le risorse naturali, si considererà incluso anche qualora non espresso, l’obbligo di conservare l’equilibrio ecologico, di consentire l’accesso alla tecnologia e il trasferimento della stessa a condizioni reciprocamente convenute e di ristabilire l’ambiente al suo stato naturale qualora questo risulti alterato, nei termini fissati dalla legge.”

Insomma un continente dove, con forme più avanzate nei paesi citati e altre soggette a maggiori mediazioni, ma comunque orientate alla creazione di una nuova società, si stanno avviando modelli sociali ed economici fuori dalle leggi di mercato e alternativi al capitalismo, quindi in grado di superare le leggi dello sfruttamento sull’uomo e sulla natura, dove l’economia rimane indirizzata alla soluzione dei bisogni delle persone e quindi al rispetto e alla protezione della natura. In un panorama di questo tipo entra a far parte a pieno titolo l’Educazione Ambientale, soprattutto scevra dell’ipocrisia dello sviluppo sostenibile in un sistema capitalistico. Dove l’Educazione Ambientale è effettivamente educare al bene comune e collettivo, perché non contraddittoria al reale Sviluppo Sostenibile, ancor meglio alla Società Sostenibile.