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TEORIA E STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO

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Dalla crisi del movimento operaio al proletariato del secolo XXI: la costruzione di una nuova soggettivita’

MARCOS DEL ROIO

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1. Introduzione: la crisi del lavoro

Negli ultimi decenni, molto si è detto e scritto sulla “crisi del lavoro” come nucleo determinante della socialità umana. La crisi sarebbe causata dall’insieme di innovazioni scientifiche, tecnologiche e culturali, le quali, frammentando i soggetti sociali, per lo più il proletariato, delocalizzerebbe la centralità della vita sociale, che si sarebbe trasferita verso la sfera del non-lavoro, della comunicazione, dell’immateriale. L’uso immediato di scienza e tecnologia nel processo produttivo concentrerebbe l’intelletto collettivo e liberebbe tempo di lavoro. Così sarebbero i movimenti sociali i portatori di nuove soggettività emancipatrici. Una molteplicità di soggetti (e di discorsi) farebbe muovere la storia. Nella realtà, la tesi della crisi del lavoro riprende la tradizione culturale della modernità capitalista, il cui fondamento ricade nella sfera ideale soggettiva a detrimento della contraddittorietà del mondo reale e della stessa materialità dell’ideologia. Ciò che si può percepire é che le varie interpretazioni che si inseriscono in questa visione analitica della crisi del lavoro peccano di parzialità, quando la spiegazione sulla natura del nostro tempo e sulla situazione del lavoro umano richiede una messa a fuoco della totalità e della contraddizione in processo. Certamente questa opzione non implica il disprezzo per la soggettività, ma esige che essa sia osservata nella sua materialità stabilita dalla relazione di uomo sociale con l’ambiente naturale. In questa maniera, la comprensione della crisi del lavoro o, più specificamente, della crisi del movimento operaio deve essere considerata nel contesto generale della crisi del capitale degli anni ‘70 del secolo passato. Se la crisi capitalista che ebbe inizio negli anni 70 è ancora la stessa che si trascina (e si aggrava) nei nostri giorni, possiamo, senza molti dubbi, affermare che si tratta di una crisi strutturale, con congiunture alterne. Ma la crisi é strutturale fondamentalmente perché la dimensione distruttiva del capitalismo si sovrappone alla sua dimensione civilizzatrice, e la manifestazione più chiara della prevalenza della dimensione distruttiva del capitalismo sta nella relazione della vita sociale dell’uomo, così come è organizzata dal capitale, con l’ambiente naturale. Si può, mi azzardo a dire, pensare che anche la frammentazione dei soggetti e la soggettività post-moderna sono elementi costitutivi della crisi strutturale del capitale.

2. L’inizio della crisi Gli anni ‘60 del XX secolo hanno visto un significativo aumento della pressione sindacale sul capitale nei centri imperialisti, particolarmente in Europa. La domanda era quella di aumenti salariali veri, migliori condizioni di vita e lavoro, maggiori diritti, incluso quello di interferire nel processo produttivo, stabilendo cosa, quanto e come produrre. Il progresso intellettuale della classe operaia e le nuove leve di giovani che entravano nel mercato del lavoro mettevano in questione la stessa organizzazione del sapere e del processo di lavoro. La pressione sindacale e dei giovani che entravano nel mercato del lavoro hanno messo in crisi l’accumulazione capitalista, crisi poi seriamente aggravata dalla crisi energetica. Aspetto essenziale di questo processo è stata la crisi fiscale dello Stato, il quale non poteva più provvedere alle richieste sociali di maggiori diritti e giustizia sociale senza che la accumulazione capitalista fosse interessata. Infine, la classe operaia di tipo taylorista/fordista si era costituita in classe organizzata in sindacato e partito, ma non arrivò mai a proporre l’alternativa socialista, che presupponeva l’anticipazione della sua egemonia di classe. Lo Stato di assistenza sociale si diffuse a causa della distruzione della guerra dei 30 anni (1914-1945) e in risposta alla forza propulsiva originata dalla rivoluzione socialista in Russia. La base produttiva era organizzata e disciplinata intorno ai principi definiti da Taylor e Ford, mentre la politica economica e sociale dello Stato era orientata, generalmente, sulle posizioni di Lord Keynes. Qui non c’era dubbio che la fabbrica fosse il nucleo organizzatore della vita sociale. La contestazione a una vita sociale così disegnata era crescente tra lavoratori e gioventù, ma un antagonismo sociale di massa che collocasse la rivoluzione socialista all’ordine del giorno non arrivò a maturazione. Si percepì che l’organizzazione del lavoro e lo Stato di assistenza sociale generavano alienazione e che un nuovo mondo e un nuovo uomo dovevano sorgere, ma questo impulso libertario non riuscì ad imporsi come progetto di rivoluzione sociale. La crisi di accumulazione capitalista generò la crisi di organizzazione della dominazione imperialista, che ancora doveva fare i conti con movimenti nazionali di emancipazione in tutta la periferia, allora chiamata del “Terzo Mondo”. La Germania Federale e il Giappone, grazie al finanziamento americano e alle limitazioni imposte dalla sconfitta militare del 1945, si trasformarono in potenze economiche importanti, senza la necessità di sviluppare l’industria bellica, approfittando della crisi politica degli USA e della sconfitta contro il Vietnam per proporre una gestione imperialista a tre. Questa era una possibilità, ma avrebbe potuto esserci il ritorno all’unipolarizzazione intorno agli USA e anche se con minore probabilità, l’emergere di un mondo multipolare (che accettasse l’emergenza del Brasile e dell’India, ad esempio), o che potrebbe generare nuovi conflitti o anche aprire la via allo smantellamento dell’imperialismo. Infine, possiamo dire che tra il 1968 e il 1975 ebbe inizio una crisi strutturale della accumulazione del capitale e si ebbe una situazione parzialmente rivoluzionária con l’emergere di nuove soggettività anticapitaliste in varie parti del mondo, dall’Europa occidentale agli USA e al Giappone, e anche in vaste zone della periferia, in Asia, Africa e America Latina. La situazione di crisi strutturale del capitale e di emersione di nuove soggettività si sperimentò anche in regioni che si organizzavano sotto la forma del socialismo di Stato, dalla Cecoslovacchia fino alla Cina. Anche questi Paesi tendevano a organizzare la produzione sulla base del processo Taylor e a strutturare lo Stato in modo da garantire i diritti sociali e del lavoro, anche se il potere politico era concentrato e gerarchizzato a partire dalla burocrazia statale e di partito orientata verso una particolare ideologia socialista. La crisi di accumulazione non capitalista del capitale si è fatta sentire anche in questi Paesi, così come sono emerse soggettività libertarie in opposizione allo Stato socialista burocratico-feudale. C’era, pertanto, una crisi d’egemonia della dominazione imperialista capitalista nel pianeta, che si poteva indirizzare verso la rivoluzione socialista o verso la ricomposizione del potere del capitale. Intorno al 1978, la possibilità, sempre molto piccola, della possibilità della rivoluzione socialista era stata già scartata e cominciava l’offensiva del capitale in crisi contro il lavoro sociale. Cominciava anche una crisi persistente di sovrapproduzione, fase senile del capitalismo, la crisi organica.

3. La finanziarizzazione del capitale come risposta alla crisi Il principale sforzo indirizzato al recupero dei tassi di accumulazione era diretto alla finanziarizzazione progressiva. La speculazione finanziaria rende possibile la riproduzione ampliata del capitale denaro senza che siano prodotti nuovi valori d’uso. È come se il capitale si spiritualizzasse o diventasse il tenue anello che gira intorno all’economia reale senza sfiorarla. Ma non é così, perché il capitale finanziario speculativo offre rifugio alla accumulazione generata fuori dal diritto, come i profitti esorbitanti generati nel traffico di armi, di droghe, di rifiuti industriali o anche di essere umani. I fondi pensione o d’investimento aumentano la raccolta di risorse delle banche, così come l’offerta di servizi detti derivati ha orientato nuove risorse. In realtà, la stagnazione del processo produttivo del capitale e la crisi fiscale dello Stato hanno fatto aumentare il debito pubblico e indotto la finanziarizzazione anche delle stesse imprese, che investono nella speculazione. L’invasione e colonizzazione dei mercati della periferia, per mezzo dell’imposizione della deregolamentazione finanziaria e commerciale incrementano ovunque il predominio del capitale finanziario speculativo. L’innovazione proposta dall’uso di tecnologie di informazione e comunicazione è stato un altro elemento che ha rafforzato le azioni dirette alla speculazione finanziaria e alla creazione di una “economia virtuale”, la cui velocità di circolazione fosse senza misura. L’innovazione scientifica e tecnologica ha raggiunto anche il processo produttivo di merci. Certamente c’è stata l’introduzione di nuove macchine nella produzione, che incorporano conoscenza e produttività, ma la cosa fondamentale è stata l’innovazione organizzativa nei processi di lavoro. Insieme al metodo Taylor/Ford di organizzazione del lavoro, si è diffuso anche il metodo Toyota, che, sviluppato in Giappone, in circostanze molto particolari, ha cominciato a diffondersi in altri luoghi e in diverse imprese. Questi cambiamenti non hanno comunque ottenuto il salvataggio della redditività del capitale globale, anche se lo sfruttamento del lavoro è aumentato. La trasformazione delle imprese statali in proprietà diretta del capitale attraverso operazioni di privatizzazione, è stato un altro movimento per contenere la crisi fiscale dello Stato e recuperare la capacità di rendimento del capitale. Molte imprese, in tutto il mondo, sono state privatizzate, ma soprattutto le imprese di risorse naturali degli Stati della periferia (petrolio, gas, minerali). La colonizzazione dei mercati avviene per mezzo della finanziarizzazione, dell’apertura commerciale e dell’acquisizione di imprese e banche. L’invasione dei mercati ha alterato la struttura giuridica degli Stati. In primo luogo si sono dovuti cancellare i diritti sociali e del lavoro per diminuire la sua capacità di difesa e creare aree per l’occupazione imprenditoriale come la previdenza, la salute, l’educazione e il trasporto. La privatizzazione e l’apertura al capitale finanziario hanno rafforzato la frazione bancaria delle borghesie locali e indebolito lo Stato come istanza capace di guidare l’economia, oltre a far aumentare la tensione sociale non orientata e la violenza statale, come anche ha stimolato la creazione di regimi politici “democrátici” di tendenza bonapartista. Un altro movimento che tende a debilitare lo Stato é il sorgere di forme diverse d’integrazione regionale, come necessità di aree più ampie d’investimento di capitale, ma non si può dimenticare che l’integrazione si fa attorno ad alcuni stati più forti, ossia gli USA (nel caso del NAFTA), la Germania (nel caso dell’Unione Europea) o del Brasile (nel caso del MERCOSUD). Tutta l’impresa del capitale orientato alla sua riproduzione ampliata in tassi elevati, cercando di ampliare la speculazione, la produttività e i mercati, non sortisce effetti, perché i tassi di crescita restano molto bassi e molto dipendenti dalla finanza. Ma un investimento certo dovrebbe essere l’industria bellica, dato che essa lega strettamente lo Stato, il capitale finanziario e l’innovazione tecnologica. Così, l’investimento in questo settore è stato reso prioritario dagli USA, data la situazione della Germania Federale e Giappone ai quali questa via era proibita dai trattati internazionali. La militarizzazione irreversibile dell’economia americana è stata accentuata in questa fase di senilità del capitalismo, stringendo il nesso tra finanziarizzazione e militarizzazione. L’obiettivo era certamente sconfiggere l’URSS e i suoi alleati, ma anche restaurare il processo di unipolarizzazione del potere imperiale, sottomettendo i suoi stessi alleati. La disintegrazione del sistema di alleanze interstatali dell’URSS, seguita dalla disintegrazione di alcuni Stati, come la stessa URSS, la Yugoslavia e la Cecoslovacchia, tra il 1989 e il 1993, ha reso difendibile l’idea di un Impero Universale, basato sulla tradizione culturale dell’Occidente liberale in via di consolidamento. La forma dell’Impero sarebbe data dalla frammentazione politica, dall’indebolimento dello Stato, dall’enfasi sui flussi informativi e comunicativi guidati dal capitale finanziario e dal grande commercio. Agli USA e all’Europa si è aperta la via della colonizzazione della vasta zona orientale, ma non senza conflitti. La creazione dell’Unione Europea intorno a una Germania rafforzata dalla annessione della Germania orientale è stata un’operazione di scarso successo contro il dominio geopolitico USA. La vecchia prospettiva della Germania di arrivare a Baghdad è stata resa nulla dall’intervento USA in Yugoslavia, culminata nella frammentazione completa di questo Paese e nell’occupazione militare di parti del suo territorio. Ma il fatto è che l’URSS e i suoi alleati, durante gli anni 80, sono giunti al limite delle contraddizioni presenti nel socialismo di Stato. L’accumulazione non capitalista del capitale realizzata nel socialismo di Stato è stata funzionale per realizzare gli obiettivi storici della rivoluzione borghese, ma non è diventata la fase iniziale della transizione socialista. La sfida di allora era quella di incamminarsi nella rotta della transizione socialista, passando ai lavoratori la gestione della produzione e dello Stato, oppure entrare nel mercato mondiale del capitalismo come zona periferica. La classe operaia dell’URSS e degli altri Stati feudali-socialisti non poteva contare su un grado di autodeterminazione sufficiente che gli permettesse di percepire la contraddizione profonda e radicale tra il socialismo de Stato e il socialismo come processo di emancipazione dal lavoro. La borghesia esisteva come classe in quasi tutta l’Europa orientale, anche se non aveva in mano il potere politico. Nell’URSS la borghesia tornava a prosperare nel mercato clandestino e si oggettivò improvvisamente quando una parte significativa della burocrazia statale si trasformò in borghesia privata, facendo uso dei fondi sociali dei lavoratori per acquisire i mezzi di produzione. In poco tempo l’Europa dell’Est e l’ex-URSS divennero una zona balcanizzata e colonizzata, con l’acquiescenza delle nuove classi dominanti. Considerato il declino relativo del Giappone e l’inconsistenza dell’Unione Europea come polo imperialista alternativo agli USA, questo Paese ha deciso di occupare il grande Medio Oriente, potendo contare sulla risoluta e entusiastica collaborazione dello Stato sionista. Occorreva impedire che la Russia si risollevasse, bloccare i poteri che si sviluppavano ad Est, specialmente in Cina, e mantenere l’assedio all’alleato europeo, mentre le risorse energetiche venivano messe sotto il protettorato imperiale. La costruzione dell’Impero Universale del capitale, costruito a partire dagli USA in circoli e nuclei di potere diseguale, fu stimolata e appoggiata dall’ampia diffusione dell’ideologia neoliberista. Constatati in modo quasi unanime i limiti delle politiche di ispirazione keynesiana, l’alternativa socialista non è riuscita a configurarsi esattamente perché la classe operaia non era riuscita ad elevarsi al livello dell’egemonia, a proporsi come classe dirigente di un nuovo ordine sociale. Il globalismo neoliberista è stata l’ideologia che ha cospirato a favore della costruzione dell’Impero Universale del capitale retto dagli USA e sulla ipertrofia del settore finanziario speculativo, associato al controllo delle fonti di energia e l’industria delle armi, al fine di garantire la sua sicurezza. Si è diffusa la vecchia concezione imperiale e liberale di un mondo omogeneo senza incidenti e senza frontiere, governato da flussi abbondanti di merci, d’informazioni e di comunicazioni. L’individualismo dei proprietari è stato elevato all’estremo come espressione massima della libertà, al punto da rompere i lacci di solidarietà sociale e d’instaurare un mondo hobbesiano di guerra civile generalizzata, che diluisce il principio stesso dell’autorità pubblica, molto presente nel liberalismo classico. Questo disegno sembrava trovare qualche ostacolo nella sua costruzione, come con la crisi del 1991, sanata con l’aiuto della guerra del Golfo e l’occupazione del Kuwait da parte degli USA. La tendenza alla stagnazione ancora predominava in Giappone e in Europa, ma gli USA restavano forti, così come le piccole economie del Sudest Asiatico. Ma, nel 1997, si diffuse in tutto il sistema una grave crisi finanziaria (in realtà una crisi congiunturale dentro la crisi organica, che è di sovrapproduzione distruttiva). L’attacco militare definitivo alla Yugoslavia e all’Iraq avrebbe potuto sanare la malattia, insieme a misure di emergenza degli istituti finanziari internazionali, l’FMI e la Banca Mondiale. L’attacco alla Yugoslavia fu condotto con tutta la forza delle armi e della propaganda ignobile, ma l’aggressione all’Iraq fu contenuta dalla diplomazia, per il rischio di combattere su due fronti, e la questione fu lasciata ad un intervento ulteriore. A partire de allora è evidente che il problema maggiore per il consolidamento del progetto imperiale basato sugli USA e sul capitale finanziario è l’ascesa della Cina. Dal 1978 la Cina aveva intrapreso il cammino del capitalismo monopolista di Stato sotto la guida del Partito Comunista e della burocrazia. Gl’imponenti tassi di crescita e l’inserimento progressivo del paese nel mercato mondiale hanno dato nuova linfa al capitalismo, ma hanno anche provocato un cambiamento strategico geopolitico di grande importanza. La crescita della Cina (e dell’India), oltre a preservare la sovranità dell’Iran, ha cominciato a esercitare una pressione insopportabile sull’Europa, che affronta difficoltà crescenti nella competizione internazionale. Ciò significa che la tendenza unipolare dell’Impero é messa in difficoltà dall’emergere della Cina e di altri possibili poli minori, come il Brasile o la Russia. La domanda di fondo é su come funziona la gestione dell’Impero: organizzato intorno al potere politico militare degli USA o come un imperialismo collettivo con più di una testa. La possibilità di una guerra civile globale non è scartata, certamente. Che si notino gli sforzi fatti in alcuni luoghi dell’America Latina diretti al recupero della sovranità con un protagonismo importante di movimenti sociali, come nei casi del Venezuela, Ecuador e Bolivia. Nel 2003 una nuova crisi si è manifestata nel seno del capitalismo e l’uscita politica fu lo scatenamento dell’aggressione finale contro l’Iraq e la successiva occupazione. Questa operazione era la conseguenza della precedente occupazione di parte della Yugoslavia e dell’Afganistan, i cui obiettivi erano quelli di stabilire un anello e corridoi che occupassero zona ricche di risorse energetiche e allo stesso tempo esercitassero pressioni sulla Cina, la Russia e la stessa Europa. Questa guerra ha offerto respiro nell’affrontare la crisi, ma la crescita della Cina è continuata ad essere cruciale. Nel 2008, un altra grave crisi ha visto la luce con implicazioni più serie che in passato, perché la recessione è inevitabile ma la Cina potrà difendersi investendo nella sua immensa riserva di mercato interno, cosa molto più difficile per altri Paesi e regioni.

4. La devastazione della classe operaia La crisi organica del capitale si manifesta dagli anni 70, caratterizzata da bassi tassi di accumulazione e da impeti episodici, i cui rimedi approfondiscono la crisi stessa e ampliano la concentrazione della ricchezza nel settore finanziario. Il capitale scatena la sua offensiva per rialzare i tassi di accumulazione, utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione, come la diversificazione delle merci, l’ampliamento dei mercati e l’aumento della produttività tramite l’innovazione tecnologica. Comunque, l’offensiva del capitale si concentra fondamentalmente nella distruzione del movimento operaio e della stessa classe operaia, con l’obiettivo di aumentare il tasso di sfruttamento assoluto. Il fronteggiamento della crisi della valorizzazione del capitale avviene, tuttavia, tramite due assi principali. Da un lato vi è un’esponenziale finanziarizzazione del processo di accumulazione, la cui implicazione essenziale é la tendenziale rimozione della accumulazione in relazione al processo produttivo di beni materiali. Vi è quindi una smaterializzazione del processo produttivo del capitale, che si spiritualizza e si allontana dai fondamenti di essere sociale, orientandosi distruttivamente contro la sfera del lavoro e ampliando l’alienazione sociale umana. La concreta manifestazione di questo processo può essere percepita nel risparmio crescente di esseri umani necessari per garantire la riproduzione ampliata del capitale finanziario, frazione dominante del capitale globale. Il segreto dell’accumulazione sta nella compressione spazio/temporale resa possibile dalla rivoluzione informatica, che rende possibile il trasferimento di questo capitale da un punto all’altro del globo, secondo gli interessi della maggiore valorizzazione, e che tende a prescindere dal lavoro vivo e anche alla produzione di merci, anche se ciò implica un aggravamento ulteriore della crisi del capitale. La tecnologia di comunicazione e informazione, che sorge come il nucleo di una innovazione técnico- scientifica e di gestione orientata per l’incorporazione esponenziale del lavoro vivo nella composizione organica del capitale, stabilisce il nesso con un altro perno del fronteggiamento della crisi del capitale. Con l’uso della bioingegneria, della chimica, della robotica e di sofisticate tecnologie informatiche, una nuova forma di produzione tende allora a diffondersi sotto il nome generico di post-fordismo o toyotismo. In questa forma di produzione del capitale vi è la tendenza accentuata a fare avanzare forza lavoro, da un lato, in quanto vi è un nuovo ‘pianerottolo’ di sussunzione reale della forza lavoro al capitale, per mezzo delle tecnologie informatiche, che raggiunge la soggettività del lavoratore nello stesso atto del lavoro. Con la tendenza alla smaterializzazione dell’accumulazione e dello stesso lavoro produttivo vi è un uso sempre più intenso della seconda natura (quella già trasformata dall’azione dell’essere sociale) e una esteriorizzazione della natura originale. Così, l’uso immediato della scienza e della informatica nel processo produttivo del capitale permette un’immensa concentrazione di intelletto collettivo e la liberazione del tempo di lavoro. L’innovazione tecnologica e gestionale, oltre al sostanziale aumento della produttività per mezzo della incorporazione della conoscenza e del lavoro vivo nelle macchine, mira anche al sequestro della soggettività del lavoratore. La partecipazione del lavoratore in questo processo esige una nuova qualificazione, che includa elementi importanti di scienza, ma anche si esige una adesione al nuovo processo di lavoro e agli obiettivi dell’impresa. Ossia, l’ideologia d’impresa si impone al lavoratore. Il sequestro della soggettività é facilitato dalla dispersione territoriale del processo produttivo in altri Paesi, con i diversi componenti prodotti in vari luoghi. La fabbrica dimagrisce e si dissolve in tutta la vita sociale, perché la produzione di merci comincia nel laboratorio scientifico e continua fino al consumo programmato. Nella misura in cui parte dei lavoratori é qualificata per l’innovazione, una parte molto maggiore vede il suo bagaglio professionale squalificato, superato, il che suggerisce che il suo potere di contrattazione della propria forza lavoro è assai ridimensionato e le sue condizioni sono ridotte a relazioni precarie di lavoro. Il lavoro precarizzato frequentemente é anche lavoro a tempo parziale o temporaneo. La precarizzazione implica anche la restrizione o addirittura la perdita di diritti sociali, dato che lo Stato tende a disfarsi degli obblighi assistenziali e previdenziali, trasferiti direttamente alla proprietà privata, all’iniziativa imprenditoriale. La disoccupazione strutturale cresce molto non solo a causa dell’innovazione tecnologica e gestionale, ma anche a causa della riorganizzazione agraria prodotta dal capitale in tutti i quadranti del pianeta. La riorganizzazione agraria implica investimenti in biocombustíbili o in tecnologia alimentare transgenica, specializzazione di zone del pianeta in una o in un’altra produzione e la dissoluzione di colture tradizionali adeguate all’ambiente. Con la disoccupazione strutturale avvengono ridislocamenti di popolazione dalle periferie verso i centri urbani e imperialisti. Questi movimenti interessano anche il potere di contrattazione dei lavoratori locali, creando un ambiente propizio alla xenofobia e conflitti tra i lavoratori. Un’altra conseguenza della disoccupazione e della perdita dei diritti é l’aumento esponenziale della criminalità con il conseguente sovrappopolamento delle prigioni. La Stato si rafforza nella sua dimensione repressiva contro i proletari e si indebolisce nel suo aspetto assistenziale. L’offensiva del capitale in crisi, pertanto, scatena la devastazione della classe operaia nel processo produttivo e nella vita sociale, che finisce per sollecitare misura coercitive per controllare la guerra civile di bassa intensità indotta dalla frammentazione sociale. L’accumulazione di capitale procede allora per mezzo dell’estrazione del plusvalore relativo in condizioni di alta produttività del lavoro, ma anche dall’aumento di forme di accumulazione primitiva, incluso con l’uso di lavoro schiavistico. Parte essenziale di questa offensiva é lo sforzo ideologico per dimostrare che la classe operaia non esiste più, che è in via di estinzione, che non ha più senso parlare di lotta di classe. Rotta la coscienza della soggettività collettiva, operaia, si passa alla diffusione della competizione tra individui: bisogna qualificarsi per il mercato, perché non c’è posto per tutti ed occorre sviluppare uno spirito imprenditoriale come se tutti gli uomini fossero potenzialmente dei capitalisti.

5. La crisi del movimento operaio Per circa un secolo, tra il 1880 e il 1980, il movimento operaio si è costituito come soggetto sociale e politico subalterno all’interno del capitalismo. Sono state rare le irruzioni rivoluzionarie nate nel lavoro di fabbrica e nessuna di esse si è consolidata a lungo termine, perché in qualche modo sono state tutte riassorbite dall’azione del capitale. Tutte le rivoluzioni sociali del XX secolo hanno avuto una forte base sociale contadina (Russia, Yugoslavia, Cina, Vietnam, Cuba), il che portò al compimento di fasi storiche proprie del capitalismo, come la trasformazione agraria e la industrializzazione. Negli Stati capitalisti, che fossero centrali o periferici, la tendenza del movimento operaio è stata quella di organizzarsi all’interno della democrazia. Ciò implicava riconoscere lo sdoppiamento della vita sociale tra l’economico e il politico, tra il privato e il pubblico, caratteristica propria dell’epoca borghese. Così, i lavoratori si sono costituiti in classe per l’organizzazione del sindacato, strumento di difesa degli interessi economici nel capitalismo, strumento di negoziazione di migliori condizioni di vendita della forza lavoro. Anche per questo fin da subito i sindacati hanno assunto un ruolo imprenditoriale. Il partito si è configurato come il braccio politico del movimento operaio, quasi sempre sussunto alle determinazioni del sindacato. Il suo obiettivo era rappresentare il movimento operaio nel Parlamento dello Stato borghese e impegnarsi per approvare leggi che fossero nell’interesse della classe operaia. Fatte salve le enormi differenze e particolarità storiche d’ogni Paese o regione, si può affermare che il movimento operaio si è diviso in due grandi tendenze ideologiche. La prima di queste, che è stata di gran lunga quella predominante, può essere chiamata riformista. Riconosce che il capitalismo svolge un ruolo di civilizzazione e che ha ancora un lungo avvenire, motivo per cui al movimento operaio non resta che lottare per riforme che garantiscano lo statuto di cittadinanza alla classe dei lavoratori, così come condizioni degne di vita e lavoro. In nessun momento viene contestata l’egemonia della borghesia nella conduzione della vita sociale. Questa tendenza si è organizzata in forti sindacati e in partiti socialdemocratici con forte rappresentanza parlamentare, che hanno più volte governato e orientato alcuni stati verso il welfare, particolarmente in Europa. La tendenza rivoluzionaria è stata molto meno importante e numerosa e a causa dei limiti imposti dai rapporti di forza sociali e degli stessi limiti teorici, ha teso ad essere attratta, nella pratica, dal riformismo. In nessun luogo i partiti comunisti sono riusciti a dirigere una rivoluzione operaia vittoriosa (forse con l’eccezione della Cecoslovacchia del 1948) e hanno teso, come la socialdemocrazia, a rappresentare il movimento operaio nella democrazia borghese. Nella periferia, però, questa tendenza ha contribuito a realizzare la rivoluzione democratica borghese, alle volte a spese della stessa borghesia (come in Cina o a Cuba) e comunque è stata importante nella costituzione dei lavoratori come classe. Il sindacato e il partito sono stati, pertanto, le principali istituzioni sociali e politiche del movimento operaio nel corso di un secolo, contribuendo a che la classe dei lavoratori si oggettivasse e si riconoscesse all’interno del capitalismo con una prospettiva riformista. Solo in momenti eccezionali ed in alcuni luoghi il sindacato ha assunto una posizione rivoluzionaria (come nella Russia del 1917 e nella Spagna del 1936). Le ultime manifestazioni di forza del sindacalismo vi sono state all’inizio degli anni 80, in Polonia, con la fondazione di Solidarnosc, e in Brasile, con la fondazione della CUT. Da allora l’offensiva del capitale in crisi coinvolge le istituzioni del movimento operaio. La devastazione sociale della classe operaia, per mezzo dell’innovazione tecnologica, della dequalificazione professionale, della disoccupazione, della diminuzione salariale, della frammentazione occupazionale, della diminuzione dei diritti, della repressione, colpisce gravemente il sindacalismo, che non è mai stato maggioritario tra i lavoratori, ma ora perde progressivamente, capacità organizzativa e di influenza nella lotta sociale. Davanti alla perdita di sostanza, il sindacalismo cerca di adattarsi alle circostanze della crisi del capitale, non con una prospettiva anticapitalista, ma al contrario, accentuando il vincolo corporativo con le imprese e con lo Stato. E in questa direzione accentua la sua tendenza imprenditoriale. In sintesi, in maniera più o meno chiara aderisce all’ideario neoliberista come mezzo per adattarsi e sopravvivere come istituzione sociale. I partiti del movimento operaio, in egual modo, entrano in declino a partire dall’inizio della crisi capitalista. La tendenza socialdemocratica si sforzava già di ampliare la sua base sociale tra le classi medie, ma con l’avvento della crisi e la corrosione della sua base sociale, il suo discorso riformista di difesa della cittadinanza e dei diritti ha perso di senso e questi gruppi politici si adeguano sempre più al discorso della “innovazione” neoliberista, fino a diventarne i più competenti gestori. I comunisti sono entrati in una fase difensiva passando di rinculo in rinculo, organizzativo, elettorale e ideologico. La maggior parte dei partiti comunisti praticamente è sparita o si è trasformata in una organizzazione politica omologata all’ordine del capitale in crisi. Alcuni partiti comunisti continuano ad avere peso nella vita nazionale in Grecia, Portogallo, per aver insistito sulla difesa degli interessi e dei diritti dei lavoratori, ma sempre in una posizione difensiva. La devastazione del movimento operaio, particolarmente quella della tendenza comunista, è stata potenziata dalla fine delle esperienze definite socialiste dell’Europa orientale. Il crollo di quei regimi, il cui apice è stata la disintegrazione dell’URSS, ha generato il panico e l’occasione propizia affinché si completasse la mutazione ideologica di vari gruppi politici e di una massa di intellettuali che hanno aderito al capitalismo in crisi. Questo è successo principalmente a partire dagli stessi partiti espressione dei regimi decaduti, una tendenza che però si è allargata anche all’Europa occidentale e in America Latina. Nel mentre l’ondata conservatrice liberale si è manifestata così fortemente che sono stati rari i tentativi andati a buon fine da parte di partiti operai mutati di gestire la crisi del capitale. Il PT é un magnifico esempio di successo, per la capacità di preservare la sua base popolare, anche ora che governa per conto del capitale finanziario. La crisi del sindacato e del partito è diventata una seria crisi culturale e ideologica. Fa parte della devastazione sociale della classe operaia la perdita della sua soggettività collettiva, il fatto di non riconoscersi più come classe, l’accettare i diktat della classe dominante sul fatto che il capitale é l’unico soggetto della storia, che la classe operaia non esiste più, ma solo individui che lottano per essere inclusi nel mercato. Con questo voglio dire che cento anni di cultura operaia concepita nella lotta non serve a molto e particolarmente il marxismo non è usato per interpretare i nuovi tempi post-moderni. La lotta di resistenza dei lavoratori contro lo sfruttamento del capitale ha formato il movimento operaio, con le sue istituzioni e la sua cultura, che ha raggiunto un livello di coscienza classista economico-corporativa elevata, ma sempre subalterna, a significare che riconosce l’egemonia del capitale. L’offensiva del capitale in crisi ha così devastato la classe operaia che oggi a predominare socialmente sono frammentati gruppi sociali subalterni e non più una classe propriamente detta. Ossia, negli ultimi 30 anni si è avuta una grave regressione nel livello di organizzazione e coscienza dei lavoratori, con il conseguente aumento dell’alienazione. Da classe subalterna si è regrediti a frammenti di gruppi sociali subalterni, da partito operaio a sette.

6. La costituzione del nuovo proletariato L’Impero Universale del capitale, unipolare e liberale, popolato da Stati neoliberisti subalterni é un’utopia arcaica (del liberalismo e del post-modernismo) perché le sue stesse contraddizioni fanno emergere altri poli di potere. Vi è una resistenza culturale diffusa che fa emergere identità anche arcaiche fondate sulla etnia o la religione, come l’indigenismo o un certo islamismo. Movimenti sociali specifici derivati dall’ambientalismo o dal femminismo hanno offerto una certa resistenza ai disegni del capitale in crisi e speranzoso di costituirsi come soggetto unico della Storia. I movimenti sociali di lotta per la terra, i movimenti sociali di lotta per la cultura e tanti altri pressano l’Impero e gli Stati per impedire che si trasformino in Stati neoliberisti propriamente detti. Intanto il movimento operaio con le sue istituzioni classiche - sindacato e partito parlamentare - tali come si sono formate storicamente, oggi non è nulla più di un frammento o di un movimento tra gli altri movimenti. Ma questa situazione é irreversibile e irrimediabile? L’epoca del capitale in crisi é una fase in cui si disfano i soggetti sociali collettivi, di frammentazione irreversibile dell’essere sociale? E’ vero che l’umanità è dispersa come mera moltitudine, che la classe operaia non esiste se non come residuo? E’ vero che non è più possibile (se mai lo è stato), individuare il proletariato come soggetto storico della emancipazione umana? Se così fosse, il massimo che si può fare é articolare movimenti sociali per esercitare una pressione contro l’ordine sociale esistente e tentare di condizionarlo e migliorarlo. Succede, però, che il riformismo sociale, con le correlate richieste di “giustizia sociale” e “diritti umani”, non trova più sensibilità nel mondo del capitale in crisi, e quindi diventano soggettività irrealizzabili. Se, al contrario, pensiamo che é nella fase attuale che il proletariato, come massa di uomini e donne che dispongono solo della loro forza lavoro per cercare di sopravvivere, raggiunge una dimensione mondiale e che la sfida é quella di costituire in classe questa dispersa ed eterogenea massa di lavoratori, in classe che si opponga radicalmente al capitale, la via tracciata è un’altra. Di fatto il proletariato cresce in maniera molto significativa ed é sempre meno “bianco” e sempre più “donna”. In Europa l’innovazione tecnologica e le migrazioni indeboliscono la classe operaia e, considerando le condizioni di organizzazione e di diritti raggiunti storicamente, la crisi si dimostra drammatica. In Asia, particolarmente in Cina e in India, il proletariato cresce esponenzialmente, scontrandosi con durissime condizioni di vita e lavoro. In alcune regioni dell’Africa la crescita del proletariato é significativa, così come in America Latina. In questo caso il Brasile è un esempio chiaro. Anche se il proletariato è enorme é anche multiforme, frammentato, disorganizzato e pieno di conflitti interni. Il problema é come tramutare questa forza potenziale in forza reale. L’esigenza del tempo presente é, soprattutto, il recupero teorico della critica radicale del capitalismo e lo sviluppo di nuove pratiche sociali che ricreino la socialità unana, la solidarietà sociale e una nuova cultura. E’ a partire dai dispersi gruppi sociali subalterni, dai movimenti sociali che si può partire per la costruzione del proletariato globale come classe Universale, che emancipa l’umanità dallo sfruttamento del capitale e dall’alienazione. Si deve per fare questo sviluppare una cultura di autonomia e antagonismo contro il capitale e lo Stato, una nuova soggettività antagonista nei confronti dello Stato di cose oggi esistente. Lo sviluppo di lotte settoriali con la prospettiva della totalità contribuisce a realizzare un programma e un progetto di trasformazione sociale che superi il capitale in crisi, che mostri che la crisi del capitale é la crisi della specie umana e che la crisi ambientale catastrofica imminente è la conseguenza della logica del capitale. Il superamento del corporativismo di categoria professionale o quello dell’insieme dei lavoratori é essenziale per una nuova pratica sociale. Nell’immediato si tratta di articolare il movimento sociale e in questo i sindacati. Questi devono compiere il loro compito di difendere gli interessi materiali specifici dei lavoratori, ma questo non basta più, non é più sufficiente (se mai lo è stato). E’ importante che il sindacato sia anche una scuola di qualificazione tecnica e scientifica e di cultura Universale, oltre che una scuola di educazione politica, mirando a offrire un contributo al progresso intellettuale dei lavoratori, preparandosi all’autonomia. Lavoratori con cultura scientifica e tecnica si preparano a dirigere la produzione della ricchezza sociale, si costituiscono in partito (in senso ampio) e si organizzano in nuove istituzioni di un nuovo Stato, che non può essere lo Stato del capitale, lo Stato-mercato, ma lo Stato del lavoro. L’avvicinamento con lavoratori, organizzazioni e movimenti di altri Paesi, eventualmente governi, costituisce un passo imprescindibile per configurare questa soggettività che organizza il nuovo proletariato del XXI secolo. La costruzione di un mondo nuovo e di un uomo nuovo passa per l’azione offensiva contro la distruzione sociale imposta dalla dinamica del capitale, azione da realizzare attraverso un fronte unico internazionale dei lavoratori.