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L’analisi-inchiesta

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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per Proteo (36)

Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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Sergio Cararo

 

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“The Federal Business Revolution”. Parte prima: i percorsi attuativi della “grande” riforma della Pubblica Amministrazione

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

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Con la legge del 1992 n.35 erano state previste due fasi; nella prima si attuava la trasformazione delle Aziende Autonome e degli Enti pubblici in società per azioni; nella seconda fase invece si procedeva alla vendita delle azioni pubbliche. Questo programma ha presentato però molte difficoltà, dovute soprattutto al fatto che le imprese presentavano realtà molto diverse tra loro.

Con il “programma di riordino delle partecipazioni statali“ della legge 359/92 si stabilisce che occorre:

• valorizzare le partecipazioni con la previsione di cessione di attività o settori d’azienda, con gli scambi di partecipazioni e con le fusioni, incorporazioni ed ogni altro atto necessario al riordino;

• quotare le società partecipate e definire il ricavo destinato alla diminuzione del debito pubblico;

• favorire l’azionariato diffuso con premi di fedeltà azionaria e agevolazioni fiscali, evitando assetti proprietari instabili;

limitare le dismissioni di attività considerate strategiche sotto il profilo pubblico;

• favorire la nascita di nuovi investitori istituzionali.

Il Governo Amato ha dato l’avvio effettivo alle operazioni proposte in precedenza (legge dell’8 Agosto 1992, n.359) con la privatizzazione dell’IRI, dell’ENEL, dell’ENI e dell’INA, trasformate in società per azioni.

A legittimare definitivamente gli strumenti nel nostro ordinamento per un indiscriminato ricorso alle privatizzazioni, è stato il decreto legge 389 del 27 settembre 1993 con il quale il Governo Ciampi, ha impresso una brusca accelerazione al processo di definizione del quadro istituzionale in cui si collocano le strategie di privatizzazioni. Dopo un primo incerto tentativo con il decreto legge del dicembre 1991, questo processo aveva conosciuto un avvio più deciso con il decreto 333 dell’11 luglio 1992, poi convertito con modifiche nella legge 3 59 dell’8 agosto 1992.

Quel provvedimento disponeva, con effetto immediato, la trasformazione di IRI, ENI, ENEL, e INA in società per azioni, semplificava più in generale la procedura di trasformazione in S.p.A. degli enti pubblici economici, e individuava nel Ministero del Tesoro l’azionista unico delle nuove società.

Sempre in base alla legge 3 59/1992, il Ministero del Tesoro era tenuto a sottopone al Parlamento un “ Piano di riordino e privatizzazione delle partecipazioni dello Stato”, rispetto al quale le Commissioni Parlamentari competenti dovevano esprimere un parere non vincolante.

Se si prendono in esame i singoli settori del servizio pubblico si ricorda che ad esempio per quanto riguarda il settore idrico si è avuta una quasi totale trasformazione delle aziende pubbliche in società per azioni (ad esempio a Roma l’ACEA); anche nel settore del gas è stata varata una legge che prevede la liberalizzazione del mercato.

Si comprende quanto ha inciso in questa situazione la progressiva trasformazione di quasi tutte le aziende municipalizzate in società per azioni (processo iniziato nel nostro Paese dalla seconda metà degli anni ‘90; tra i gruppi principali che hanno investito nelle imprese municipalizzate si ricorda l’ENI, l’AEM ecc.).

Per quanto riguarda i rapporti che si instaurano tra erogatore e committente va rilevato che il nostro Paese, seguendo l’esempio dei paesi anglosassoni, ha introdotto i cosiddetti “Contratti di servizio” che servono a gestire il rapporto tra la pubblica Amministrazione e l’azienda appaltatrice del servizio, mentre la “Carta dei servizi” serve per regolare i rapporti tra i cittadini (gli utenti) e l’azienda erogatrice del servizio. Per regolare la Carta dei servizi vi è una direttiva conosciuta come Direttiva Ciampi (del 1994) che determina le regole da seguire per l’erogazione dei servizi.

È interessante sottolineare che i fondamentali principi in cui si struttura la direttiva:

“a) enunciazione dei principi fondamentali cui devono attenersi i soggetti che erogano un servizio pubblico:

- eguaglianza: parità di trattamento sia fra le diverse aree geografiche di utenza, sia fra le diverse categorie o fasce di utenti;

- imparzialità: divieto di ingiustificate discriminazioni dei soggetti erogatori nei confronti degli utenti;

- continuità: erogazione continua, regolare e senza interruzioni;

- diritto di scelta: tra i diversi soggetti che erogano il servizio;

- partecipazione: del cittadino alla prestazione del servizio (il c.d diritto di accesso);

- efficienza ed efficacia: sia in termini assoluti che in termini relativi.

b) adozione degli standard di qualità e quantità del servizio...

c) semplificazione delle procedure relative agli atti concernenti la prestazione di servizio pubblico...

d) informazione degli utenti circa le modalità di prestazione dei servizi;

e) verifiche sulla qualità e l’efficienza dei servizi prestati;

f) rimborso nei casi in cui il servizio è inferiore, per qualità e tempestività, agli standard pubblicitari;

g) procedure di reclamo dell’utente...

h) sanzioni per la mancata osservanza della Direttiva...”. [1]

Anche se con questa direttiva si dichiara di tutelare i cittadini è chiaro che la sostituzione delle aziende pubbliche (che dovrebbero tutelare gli interessi della collettività) con aziende private che hanno come fine ultimo il profitto non può che accentuare i disagi già esistenti di larghe fasce della popolazione.

Il processo di liberalizzazione e privatizzazione della erogazione e produzione dei servizi pubblici in effetti sta operando un sostanziale mutamento nel ruolo dello Stato che si ritrova a “regolare” e non più “amministrare” i servizi pubblici. I cittadini instaurano così un diverso rapporto con lo Stato e soprattutto con le imprese che gestiscono i servizi. Di qui i cittadini che diventano “utenti” e “clienti” nelle due direzioni sia rispetto ai processi di privatizzazioni in atto delle imprese sia in quelli relativi al Welfare.

Qual è la considerazione finale? In effetti, se si confrontano le linee di intervento che si propone questa riforma della Pubblica Amministrazione si nota che l’unico modo per raggiungere l’efficienza e quello di arrivare ad una veloce privatizzazione di interi comparti e di interi settori dell’Amministrazione Pubblica e di tagliare il costo del lavoro e diminuire l’occupazione nel pubblico impiego.Ciò passa sia per il taglio del Welfare State, e quindi scuola, sanità, formazione, lavoro, passaggio ai fondi pensioni, quindi obbligo di tagli pensionistici e ricorso ai fondi privati, e con la mancanza assoluta di compatibilità delle politiche keynesiane. Questa riforma dell’organizzazione della PA usa come criterio di privatizzazione selvaggia non soltanto quello del taglio diretto del costo del lavoro e quindi il blocco delle assunzioni, ma anche il taglio indiretto, e ciò significa ricorso alle agenzie private, delocalizzazione produttiva anche per quanto riguarda i servizi pubblici; una parte dei beni necessari per i servizi pubblici dovranno, cioè, essere prodotti all’estero, e questo comporterà una riduzione del personale e del costo complessivo del lavoro e quindi dei contributi versati per la sanità e per le pensioni. Fino a qualche anno fa nel nostro paese erano compatibili le politiche keynesiane, e ciò significava, quindi, profitto ma parallelamente sviluppo; oggi lo sviluppo non è più possibile, non è più compatibile perché non è bastato raggiungere i parametri di Maastricht, ma si trasforma radicalmente la forma e il ruolo dello Stato. Allora “le lacrime e il sangue” dovranno continuare per mantenere una logica privatizzatrice e di parametrizzazione finanziaria a danno della spesa sociale e degli investimenti pubblici. Questa è comunque la filosofia, l’impostazione e le scelte insite nella complessiva riforma della Pubblica amministrazione che si configura come passaggio dal Welfare State al Profit State nella più generale “Federal Business Revolution”.

 

 

 


[1] Cfr. A. Quadro Curzio, M. Fortis (a cura di),”Le liberalizzazioni e le...”, op. cit. pag.110,111,112.