Una panoramica del sindacalismo in Spagna (1920-2002): dall’antifranchismo al pro-liberalismo
Diego Guerrero
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3. La “negoziazione collettiva” è niente di meno che
il paradiso sulla terra, o la pietra filosofale per l’armonia delle classi,
quindi permette di “organizzare il regolamento per il conflitto
capitale/lavoro e dare una razionalità positiva all’unione dello sforzo del
lavoratore per migliorare la sua situazione e dell’impresa per aumentare le
quote del mercato”. Una simile ipocrisia non si azzardava a dirla neanche il
giustamente dimenticato filosofo massone e liberale K. C. F. Krause, l’ideologo
tedesco degli “istituzionalisti” e sinistrofili liberali spagnoli del XIX
secolo, che voleva che la sua confraternita massonica si trasformasse in un’
“alleanza dell’umanità” aperta a tutti gli esseri umani. Questa è pura
ideologia liberale neoclassica, ma rediviva in status nascendi, dove l’
“utilizzazione” -conclusione a cui era giunta l’Economia politica
classica come risultato naturale dell’analisi del processo di produzione
capitalista- deve essere sostituita a tutti i costi con il paradigma della “giustizia
distributiva”, e dove il conflitto insuperabile di classe tra operai e
capitalisti dia il via ad una armoniosa festa da ballo (finanziata dal
Ministero del Lavoro, forse) dove per primo “le parti” si prendono per
mano, dopo si apprestano al corteggiamento danzante, e finalmente, se l’occasione
è propizia, se ne vanno a letto per suggellare il loro patto
appassionatamente.
Ma Fidalgo va molto più in là, e ci mostra fino a che punto
le CCOO si sono ingoiate, senza masticare, tutto l’intero discorso del
liberalismo, ingannate da quelli che ne presentano la caricatura sotto la forma
restrittiva e ridicola del “neoliberalismo”. Sotto le apparenti critiche al
neoliberalismo (né Regan né Bush né nessun liberale effettivo hanno mai fatto
caso a Milton Friedman e tutti quanti se non nel catechismo), questi
liberali criptati -autentici liberali essenzialmente, ma ancora “vergognosi”,
sebbene alcuni già pronti a dare il via, ad uscire dall’armadio e dichiararsi
apertamente liberali- si dedicano a propagare il più stantio liberalismo
retorico e vuoto. Un liberalismo che non ha mai fatto altro che assumere un tono
arrogante e pose enfatiche nel fare degli evviva altisonanti per la “Libertà”
in astratto, quel santo patrono del calendario liberale che regna in un mondo
caratterizzato dall’assenza di libertà reali di coloro che producono tutto
persino la libertà degli altri- per quelli che non si meritano niente.
Recita Fidalgo: ”È stata la libertà, la democrazia
formale, e non altri, il seme del progresso nel nostro paese ed in qualsiasi
altro”. A quale libertà si riferisce: a quella delle Corti di Cadice (1812)
davanti all’assolutismo di Ferdinando VII, a quella di Cánovas e Sagasta, o
forse al posto “vuoto” che ha lasciato Franco quando, morto nel suo letto,
lo sotterrarono? Chi consiglia così saggiamente Fidalgo fino al punto di fargli
contrapporre oggigiorno la società “aperta” alla “strutturata” società
pre-borghese? Scrive: “i legislatori democratici creano generalmente
cambiamenti funzionali alla stabilità, precisamente per la loro qualità di
eletti ed eleggibili per una società aperta, non strutturata, con il voto
universale”. Perché nessuno si azzarda a redigere una lista di paesi
democratici, oltre alla santa alleanza dell’Unione Europea [1]?
Davvero le CCOO credono che i paesi dell’Unione Europea sono democratici?
Ma lasciatemi fare una domanda: e della “libertà di
utilizzazione”, quella pietra angolare di tutto l’edificio capitalista e
democratico-borghese, cosa dicono le CCOO? C’è o non c’è? Io ho sempre
detto che c’è, con o senza il franchismo, ed in più con un grado sempre
crescente nel tempo. Così lo spiego alle mie lezioni, per esempio: mi
obbligheranno i compagni delle CCOO a rettificare una “barbarità” del
genere? Si sono dimenticati i loro dirigenti che prima si diceva “grado di
utilizzo” e si parlava di “tasso di plusvalore” per riferirsi quasi alla
stessa cosa che adesso chiamano ingiustamente “cooperazione tra capitale e
lavoro all’interno dell’impresa”? Mi vogliono spiegare che differenza
passa tra il concetto neoliberale di utilizzazione, che equivale a negare
l’utilizzo dei salariati come fenomeno generale -riducendo l’ambito di
questa alla sfera del “sovra-utilizzo” degli immigrati, dei bambini,delle
prostitute e altri collettivi marginali-, e il concetto cripto-liberale
dell’utilizzo che difendono le CCOO? Io non la vedo.
Con la divertente dichiarazione che, per quello che abbiamo
visto, nelle “società democratiche ed aperte” i lavoratori “si sono
convertiti in cittadini”, Fidalgo ci riporta all’epoca della Rivoluzione
Francese, con la sua fiorente retorica di diritti umani e cittadini. E con l’euforia
della “costituzionalizzazione dei diritti sociali”, della conversione delle
“rivendicazioni e conquiste lavorative in rivendicazioni e conseguimenti di
interesse generale”, ci riconduce alle encicliche papali del XIX secolo. E se
qualcuno pensasse che Fidalgo alzi il tono quando parla della “appropriazione
oligopolistica di una gran parte del prodotto sociale”, si sbaglierebbe, non
è neanche questo quello che manifesta: si limita a consigliare i proprietari, e
a chi parla in loro nome, perché facciano un discorso tanto “legittimo”
come quello dei sindacati “sociopolitici”. Ma lasciando da parte nella sua
critica gli oligopoli non va oltre quello che è capace di scrivere un maestro
dei liberali come Milton Friedman (si veda Friedman, 2001), quello che reclama
la direzione delle CCOO agli impresari e ai loro portavoce è che dimostrino che
quello che difendono “proietta verso un futuro migliore, con più stabilità,
e con più sicurezza”, invece di limitarsi a “sentire la mancanza dei
privilegi strutturali” [sic].
E per finire: “I sindacati hanno prodotto non ‘operai
meglio pagati’ ma cittadini che non si sentono stigmatizzati per essere
salariati”. Mais justement! Direbbe un francese. Qui sta il problema: i
salariati, oggettivamente stigmatizzati nella società capitalista -non
potrebbero smettere di esserlo anche se lo volessero- si sentono
personalmente cittadini, e anche concittadini, dei loro protettori. Insiste
Fidalgo: “La storia del CCOO è una storia limpida e chiara in difesa della
democrazia e dei lavoratori [...] Non ha mai tradito, per far valere legittimi
interessi di classe, la democrazia né gli interessi generali”. L’attuale
CCOO non capisce, secondo me, la relazione esistente tra gli interessi
particolari e quelli generali. Sembra che non si renda conto di che tipo di
evoluzione sociale sia predominante nel capitalismo. Parla di “salarizzazione
dei lavoratori”, ma non ne capisce il significato.
La dinamica sociale, per ragioni insite nelle leggi interne
al sistema, -e queste tendenze si producono sempre a quel ritmo storico, così
lento, che gli analisti frettolosi, avidi di novità e cambiamenti per ogni
dove, non possono sperare neanche di intravedere- tende a far sì che i
salariati si identifichino con i cittadini. Ma quella tendenza non può attuarsi
automaticamente: è impossibile che si materializzi nel contesto di un tipo di
società basata nell’utilizzo del lavoro salariato a favore del capitale. Ma
ci sono altri tipi di società, per quanto le CCOO (e l’UGT) si impegnino ad
ignorarlo.
IV. Conclusione
Perché le CCOO e l’UGT si chiamano “sindacati di classe”
se non credono neanche nelle classi e nella loro lotta, essendo retrocessi,
dunque, molto più indietro di quello che sostenevano gli storici e gli
economisti borghesi evoluti di più di due secoli fa? Immagino che i compagni
italiani avranno domande molto simili da porsi rispetto agli altri sindacati del
loro paese.... Ma dovremo cercare di rispondervi in un’altra occasione.
[1] Un altro che segue
lo stesso discorso è Emilio Gabaglio (Gabaglio, 2001), Segretario generale
della Confederazione Europea dei Sindacati. Dopo aver ricordato ed essersi
congratulato che già nel 1976 le CCOO esercitassero l’ “opzione per l’Europa”,
prosegue incensandole per lasciar loro un buon odore alla fine del libro, e
chiede il “rafforzamento del “modello social-europeo” e un “progresso
dell’Europa in termini di Unione politica” perché solo per questa direzione
l’UE “potrà avere più peso sulla scena internazionale”. Ma vuole che l’Europa
abbia più peso? Cosa pretende: sostituire l’imperialismo degli USA con quello
dell’UE? Può rimanere tranquillo, dormire con la coscienza a posto, un
sindacalista che dica questo e dimentichi di esigere più peso per l’Africa, l’Asia,
l’America Latina, etc? D’altra parte, Garbaglio, come tanti sindacalisti
spagnoli, crede che “la disoccupazione di massa è ancora una
drammatica realtà in molte parti d’Europa”: “Ancora”? Che ingenuità!
Ma se il problema mondiale della disoccupazione è appena all’inizio!