Anche se in Grecia i sindacati non si sono sviluppati tanto
quanto in Italia, o in altri paesi dell’Europa Occidentale, essi hanno
tuttavia una lunga storia e la lotta della classe operaia è stata a volte anche
molto forte. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che, tra l’altro, le
ineguaglianze economiche e sociali in Grecia sono particolarmente intense.
L’iscrizione ai sindacati è aumentata considerevolmente
negli ultimi due decenni, specialmente nel settore pubblico e bancario, e ciò
proprio nel periodo in cui il ‘Partito Socialista’ (PASOK) è stato al
potere. Allo stesso tempo il carattere ed il ruolo dei sindacati è cambiato
significativamente, anche se la partecipazione e l’attivismo sindacale sono
rimasti limitati in molti settori, in particolare nel settore industriale e
privato, e ciò a causa dell’alta disoccupazione e incertezza occupazionale e
a causa delle restrizioni dei diritti sindacali e civili che pongono alti rischi
di rappresentanza ai lavoratori. Continua, inoltre, una quasi completa assenza
di sindacati, nel senso di unioni di classe di lavoratori, nel settore rurale:
le lotte necessarie per proteggere gli interessi dei contadini sono generalmente
fatte o dirette da associazioni di cooperative e/o da associazioni
interclassiste di contadini.
L’affiliazione politica (di partito) di coloro che dirigono
i sindacati è stata tradizionalmente uno dei maggiori problemi nelle lotte
sindacali indirizzate a proteggere gli interessi dei lavoratori e per migliorare
le loro condizioni di lavoro. Un partito al potere in genere si può assicurare
un comportamento obbediente da parte del sindacato se è controllato da una
maggioranza dei membri affiliati ad esso mentre i partiti dell’opposizione
parlamentare possono esercitare una forte influenza politica nella misura in cui
possono controllare e mobilitare anche indirettamente la militanza sindacale.
Questa dipendenza parlamentare dei sindacati è causata non solo dalla scarsa
coscienza di classe dei membri sindacali ma anche dei partiti politici borghesi
(attualmente la Nuova Democrazia e il Pasok) e della sinistra tradizionale.
Quest’ultima, e in particolare il Partito Comunista Greco (KKE), hanno diffuso
tra i lavoratori l’idea che i sindacati devono lottare solo per fini
economici, cioè per miglioramenti salariali o per migliorare le condizioni di
lavoro, mentre la lotta politica e per porre fine allo sfruttamento sociale
dovrebbero essere la prerogativa esclusiva del Partito. Allo stesso tempo, il
KKE tenta di aumentare la sua influenza elettorale attraverso il coinvolgimento
diretto nelle attività sindacali.
Alcuni dei principali problemi dei sindacati in Grecia hanno
anche a che fare con la struttura organizzativa, con la penetrazione sempre
maggiore dell’ideologia borghese nei sindacati stessi, e con la loro voluta
incapacità a dar vita o appoggiare lotte che promuovano gli interessi reali dei
lavoratori.
Vi è anche una lunga storia di interventi da parte dello
Stato che hanno ristretto la libera, autonoma e indipendente attività, così
come anche la stessa credibilità, dei sindacati.
La degenerazione organizzativa e ideologica, così come il
crescente discredito dei sindacati ufficiali, sono dovuti principalmente alla
loro crescente burocratizzazione e ai privilegi economici e socio-politici
accumulati dai quadri sindacali, particolarmente negli ultimi decenni. I
privilegi economici dei quadri sindacali sono spesso scandalosi, mentre le
mansioni dei dirigenti sindacali sono spesso intercambiabili con alte mansioni
amministrative nel mondo aziendale o nella Pubblica Amministrazione o con
incarichi ministeriali. Nella misura in cui tale interscambio avviene entro una
dominazione politica e ideologica borghese, non è l’ideologia e la politica
della classe lavoratrice che permea la politica parlamentare o della Pubblica
Amministrazione ma al contrario è l’ideologia e la politica borghese che
penetrano e dominano la politica e la pratica sindacale.
Così spesso i sindacati tendono a funzionare come un “Cavallo
di Troia” all’interno della classe lavoratrice rendendo possibile in ultima
istanza sia la supremazia ideologica borghese sia l’avanzamento degli
interessi dei capitalisti contro i lavoratori. Questa degenerazione
organizzativa e assunzione dell’ideologia del capitale nei sindacati è anche
dovuta sia al consociativismo socialdemocratico (un consenso concertativo a tre
tra industriali, lo Stato e i sindacati) che ha prevalso negli ultimi due
decenni, sia alla ideologia diffusa nazional-patriottica (sfortunatamente fatta
sua anche dal KKE). Dato che il KKE gode di una influenza considerevole in
alcuni sindacati, il carattere che tende ad assumere piccolo-borghesi di questo
partito (politiche anti-monopolistiche invece di politiche anti-capitaliste) è
quindi importante e determinante.
Questi elementi hanno dato luogo e hanno riprodotto una larga
aristocrazia operaia, ridotto la militanza sindacale, hanno sviato la lotta di
classe verso basse rivendicazioni occupazionali o corporative, hanno finanche
contribuito ad alcuni fenomeni razzisti, e hanno ridotto la solidarietà
internazionale della classe operaia. Alcune pratiche o iniziative dei sindacati,
o meglio delle forze politiche operanti al loro interno, hanno occasionalmente
funzionato coscientemente per far saltare scioperi o lotte operaie.
Alcune forze politiche della sinistra, come ad esempio la
Corrente della Nuova Sinistra (NAR), il cui scopo è quello di ristabilire la
prospettiva di classe, hanno analizzato attentamente le condizioni
contraddittorie in cui attualmente si trovano i lavoratori (la tendenza sia
verso l’emancipazione che verso l’incorporazione) e le prospettive per una
riorganizzazione radicale ed un ri-orientamento delle lotte operaie. Anche se ha
ancora una influenza politica limitata, la NAR ha identificato il problema ed ha
prodotto, già dall’inizio degli anni ‘90, una elaborazione soddisfacente
della situazione attuale e delle precondizioni per lo sviluppo di un ‘Nuovo
Movimento Operaio’. Questa nuova concezione è abbinata ad una proposta per
una radicale riorganizzazione del lavoro, con criteri di emancipazione, al fine
di soddisfare simultaneamente una doppia necessità, sia dal punto di vista
logico che pratico, superando gli attuali sindacati concertativi, creando le
condizioni per un confronto sociale e di classe.
All’interno di questa concezione, le lotte operaie
dovrebbero essere indirizzate verso prospettive contrarie alle scelte politiche
del capitale, dell’Unione Europea, e dell’attuale governo. Tale terreno di
lotta dovrebbe abbinare la resistenza contro l’offensiva sociale sferrata
contro la classe lavoratrice, ponendo le basi per superare le attuali relazioni
sociali di sfruttamento con una prospettiva di solidarietà internazionale. Si
pensa che l’impulso principale di tale processo di ripresa dell’iniziativa
sindacale dovrebbe essere il compito di una auto-organizzazione indipendente e
di un coinvolgimento sulla base di una democrazia diretta degli stessi
lavoratori, principalmente partire dal proprio luogo di lavoro. Qualsiasi
coordinamento della classe lavoratrice, da questo livello in su, dovrebbe essere
fermamente ancorato a questo ambito e controllato dai lavoratori. Le unioni
sindacali o i collettivi dei lavoratori organizzati su tale terreno di lotta
dovrebbero includere solamente i lavoratori dello stesso posto di lavoro,
azienda, o organizzazione, e non avere carattere interclassista. Per queste
ragioni uno slogan originale e comune a forze sindacali affini è quello che la
lotta deve svilupparsi “all’interno, all’esterno e contro” i sindacati
ufficiali.
Le nuove condizioni socio-economiche, particolarmente durante
più o meno l’ultimo decennio, hanno spinto verso una convergenza ideologica e
politica tra le principale frazioni sindacali, compreso persino forze affiliate
ad una delle sezioni della sinistra tradizionale (SYN). La modernizzazione, un
corporativismo che riconcilia le classi, e una prospettiva a favore dell’Unione
Europea hanno costituito un terreno ideologico e politico comune a tutte queste
forze. Anche se talvolta il confronto verbale si intensifica, vi è
essenzialmente un accordo di contenuto sulle linee politiche principali tra
quelle forze che costituiscono la maggioranza all’interno dei sindacati.
La politica neo-liberale voluta dal PASOK, specialmente dalla
metà degli anni ’80, che include l’austerità economica, la
deregolamentazione dello Stato sociale, la liberalizzazione del commercio, le
privatizzazioni e lo smantellamento e la privatizzazione della previdenza
sociale hanno ristretto ancor di più il terreno per un intervento di un
sindacato indipendente, hanno aumentato la corruzione dei funzionari sindacali e
delegittimato il ruolo tradizionale dei sindacati. È emblematico, per esempio,
che la leadership della Confederazione dei Lavoratori stia attualmente
partecipando ad un finto dialogo e appoggi un progetto governativo per la
ristrutturazione della previdenza sociale che conduce ad un aumento del tempo di
lavoro e dei contributi dei lavoratori, a tagli delle pensioni, ad una riduzione
delle indennità per lavori faticosi, usuranti e dannosi, ad una appropriazione
ed uso illegale del patrimonio del Fondo della previdenza sociale per usi
finanziari speculativi, e a premi per favorire le società private di previdenza
sociale e i giochi di Borsa. E tutto ciò nonostante una grandissima
manifestazione e tante iniziative lotta contro una proposta simile presentata un
anno fa, e poi ritirata, alla cui mobilitazione la Confederazione stessa
partecipò con scarso entusiasmo. La pratica dipendente, conciliatoria,
concertativa e sottomessa della burocrazia sindacale sottolinea sempre di più
la necessità di un attivismo operaio autonomo e di base; vi sono diversi casi
di una tale attività indipendente e di successo nelle lotte maggiori che si
sono sviluppate negli ultimi anni.
Allo stesso tempo, la protratta austerità economica (per la
stabilizzazione e i piani di aggiustamento nel processo dell’Unione Monetaria
Europea) e la crescente crisi capitalistica hanno recentemente teso a
restringere i privilegi dell’aristocrazia operaia e limitano le potenzialità
per una cooptazione e subordinazione sociale della grande maggioranza dei
lavoratori. Questo è ancor più attuale e vero in seguito alla privatizzazione
delle imprese e degli enti pubblici, all’intensificazione della lotta
competitiva tra le diverse frazioni del capitale, e al manifestarsi di fenomeni
di scandalose interconnessioni e corruzione.
In questa situazione, le pratiche autoritarie sia del
capitale privato che degli apparati statali, così come quelle della burocrazia
sindacale, diventano sempre più presenti. È caratteristico di questa
situazione il fatto che, negli ultimi mesi, molti attivisti sindacali di
sinistra siano stati o rimossi dalla loro posizione nei consigli sindacali dalla
burocrazia sindacale oppure licenziati (sia nel settore privato che in quello
pubblico). Il largo movimento di solidarietà che si è formato attorno a loro
non è sufficientemente forte per neutralizzare o capovolgere tale fenomeno. E
nonostante la necessità di una riorganizzazione e sviluppo di una lotta di
classe indipendente che è più forte che mai, la crescita della coscienza
politica e ideologica della maggioranza dei lavoratori procede piuttosto
lentamente.
In questo contesto, le forze associate al KKE si conformano
in maniera eccessiva al sindacalismo ufficiale e autoritario. Esse rimangono
attaccate al principio “un sindacato, una federazione, una confederazione” e
privilegiano la necessità dell’unità di fronte al rischio di “frammentazione”
del movimento sindacale. Tuttavia, nonostante esse abbiano una grande
responsabilità per la loro cooperazione con forze di governo e di destra e per
il loro sostegno ai sindacati ufficiali negli anni passati, tali forze politiche
e sociali hanno recentemente incominciato a porre in dubbio la “struttura” e
il “contenuto” delle attività dei sindacati ufficiali. È caratteristico
che, mentre le forze radicali e di sinistra sindacale hanno manifestato per
molti anni per il Primo di Maggio indipendentemente dalla confederazione
sindacale ufficiale, le forze associate con il KKE hanno fatto lo stesso
solamente nell’ultimo paio d’anni e solo in una maniera controllata
strettamente dal partito. In altre parole, una “frammentazione” è permessa
nella misura in cui assicura una “unità” sotto l’egemonia del partito.
Mentre il Partito Comunista (KKE) sta ancora battendosi per
essere ufficialmente legittimato, vacillando tra “unità” e “frammentazione”,
la crisi attuale generalizzata del sindacalismo concertativo e la sua sempre
più evidente separazione dagli interessi della classe lavoratrice conducono
oggettivamente sempre di più verso la nascita di un movimento sindacale nuovo e
indipendente, sia in relazione alle sue caratteristiche politico-sociale che
nelle forme specifiche di lotta.
Come già detto, la NAR e le altre forze del movimento dei
lavoratori indipendente anticapitalista sottolineano da anni la necessità dell’emancipazione
della coscienza e delle lotte dei lavoratori contro le restrizioni del
sindacalismo ufficiale e autoritario. Vi sono segni che queste organizzazioni di
base stiano lentamente guadagnando vitalità nelle lotte in corso e in molti
luoghi di lavoro o settori dell’attività produttiva, ma esse sono ancora
deboli in termini puramente quantitativi. Sta diventando sempre più chiaro,
tuttavia, che un “fronte” autonomo per sostenere delle politiche vere a
favore dei lavoratori si può realizzare solo sulla base di processi di
democrazia diretta e di auto-organizzazione della lotta della classe operaia,
attraverso una coordinazione indipendente e di classe dei sindacati, attraverso
collettivi, assemblee, o comitati di lotta, contrari ad una logica di
manipolazione e di falsa “rappresentatività” che promuove la logica
moderata della delega e della concertazione.
È di questo tipo di politica operaia e della sua “separazione”
dalla politica e dal sindacalismo concertativo che il sistema capitalistico e
tutti gli attori del consociativismo hanno maggior paura. Ma questo è anche
ciò che un nuovo movimento sindacale dovrebbe promuovere nell’immediato
futuro.
[1] Ns. traduz. dall’originale inglese