L’agenda economica del nuovo governo del partito dei lavoratori in Brasile e il confronto con il movimento sindacale. Servirà a combattere la povertà?
Suranjit Kumar Saha
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4. Il relativo rafforzamento dei partiti politici al Parlamento e negli
Stati: la mappa della governabilità per Lula
L’ascesa della sinistra allargata in Brasile negli anni ’90
è stata impressionante. Nel 1994, i sette partiti della sinistra avevano
ottenuto 122 seggi alla Camera dei Deputati, 14 al Senato e 6 governatorati. La
loro presenza alla Camera aumentò fino a 136 nel 1998 e a 194 nel 2002, mentre
al Senato ottennero negli stessi anni rispettivamente 21 e 27 seggi. Tra il 1994
e il 2002 la rappresentanza della sinistra al Senato era quasi raddoppiata ed
era aumentata del 59% alla Camera dei Deputati. Il successo del PT è stato
ancora più straordinario. Tra il 1984 e il 2002, i suoi posti al Senato
crebbero da 4 a 14, un aumento del 180%, e quelli alla Camera da 51 a 93, con un
aumento del 82%. Nel 1994 i candidati della sinistra ottennero la carica
governatore in sei Stati; quel numero crebbe a 10 nel 2002. Anche il PPS e il
PSB ottennero risultati impressionanti sebbene partendo nel 1994 da una base
più piccola. Il PTB ha mantenuto le sue posizione sin dal 1994, mentre le
rappresentanze del PC do B e del PV scesero tra il 1994 e il 1998 e salirono di
nuovo in maniera significativa tra il 1998 e il 2002.
Il mantenimento del potere da parte della destra e del
centro, d’altro canto, è andato riducendosi sin dal 1994. La destra ottenne
30 poltrone al Senato nel 1994, riducendole a 21 nel 1998, e ottenendo un
leggero aumento a 24 nel 2002. La sua rappresentanza alla Camera scese da 207
nel 1994 a 182 nel 1998 e quindi a 171 nel 2002. I maggiori perdenti furono i
due partiti più grandi, il PFL e il PPB. Il più piccolo PL, attualmente
alleato di Lula, ha infatti migliorato la sua posizione tanto al Senato quanto
alla Camera. La rappresentanza del PSDB, uno dei due partiti di centro, si
rafforzò marginalmente in entrambe le camere del Parlamento tra il 1994 e il
1998 ma poi ebbe un vertiginoso declino nel 2002. Il PMDB, l’altro partito di
centro, mantenne le sue posizioni tra il 1994 e il 1998 ma poi soffrì di un’imponente
inversione nel 2002. I due partiti di centro ancora mantengono nel Parlamento
Federale il 37% delle poltrone del Senato e il 29% di quelle della Camera. Lula
non può effettivamente governare a meno che uno di questi partiti di centro non
sostenga le sue misure legislative. La destra e il centro insieme possedevano 21
governatorati nel 1994. Quel numero cadde a 17 nel 2002 (Cfr. Tavola 2).
5. Le promesse della campagna del PT: un programma della sinistra
attentamente formulato, ma non della sinistra radicale
È significativo che nel suo programma elettorale per le
elezioni del 2002 intitolato Un Altro Brasile è Possibile (Um Outro
Brasil è Possível), il PT non menzioni neanche una volta la parola “socialismo”
ad eccezione di un solo caso, nel contesto negativo del collasso del “socialismo”
nell’Europa Centrale ed Orientale. Si tratta di un documento suddiviso in
cinque parti. La prima parte descrive a grandi linee il concetto di un nuovo
contratto sociale per il superamento dei limiti del mercato.
“Il nuovo contratto sociale che proponiamo rappresenta un
impegno strategico per i diritti umani e un completo cambiamento di direzione.
Questo porterà a sfidare l’egemonia della cultura dell’eccessiva dipendenza
dal mercato favorita dalla globalizzazione capitalista. [...] Il nostro progetto
per la nazione possiede la chiara visione di una società che sia basata sulla
solidarietà e non sullo sfruttamento e sulla esclusività di elite” (Partido
dos Trabalhadores, 2002a)
I limiti del mercato sono così descritti:
“Il mercato non produce giustizia e non garantisce alcun
impegno etico o per il futuro. Il mercato non può sostituire il dibattito
pubblico democratico e le decisioni che ne scaturiscono. Queste soltanto possono
garantire la protezione dell’ambiente e la giustizia sociale” (Partido dos
Trabalhadores, 2002a)
La seconda parte enfatizza la necessità di evadere dalla
camicia di forza internazionale imposta dal “neoliberalismo globalizzato”.
Questa assume una posizione di contrapposizione ai propositi dell’Area di
Libero Commercio delle Americhe (ALCA), che è vista come una delle cause di “uno
scenario che prevede un aumento della perdita di potere decisionale degli Stati
locali (America Latina) e un progressivo incremento del controllo sull’economia
della regione da parte degli Stati Uniti”.
La terza parte espone l’ossatura del nuovo modello di
sviluppo. “La ridistribuzione dei redditi e delle ricchezze per la creazione
di un vasto mercato per il consumo di massa e (l’introduzione di) politiche
sociali universali e di base, sono gli elementi propulsori di questo nuovo
modello”. Per dare fondamento a questo nuovo modello vengono presi 15 impegni
politici specifici. La quarta parte promette un nuovo contratto sociale che
effettuerà cambiamenti strutturali a garanzia di una equa distribuzione del
reddito, della ricchezza, del potere e della cultura - ingredienti necessari per
una nuova agenda di integrazione sociale. Questo nuovo contratto sociale
penalizzerà i rent-seekers e gli speculatori ma beneficerà tutti i piccoli e i
grandi imprenditori che si occupano di attività produttive per l’ampliamento
dei mercati per il consumo di massa.
La quinta parte promette di respingere il memorandum d’intesa
firmato dal governo Cardoso con il FMI e di muoversi in direzione di un sistema
contemplato nel Memorandum sulla Responsabilità Economica e Sociale, che dovrà
essere negoziato annualmente sulla base di una discussione più ampia possibile
con la società brasiliana.
A giugno il PT ha anche emesso un altro documento, che è
circolato di meno, chiamato Concetti e Direttive del Programma di Governo del
PT per il Brasile 2002. In questo documento, assume una posizione più
dottrinale sul suo futuro approccio alle politiche chiave di governo. Promette
“una rottura con l’attuale modello economico basato sulla liberalizzazione
del mercato, sulla radicale deregulation dell’economia nazionale e sulla
conseguente subordinazione delle sue dinamiche agli interessi e ai capricci del
capitale finanziario globalizzato” e una determinata ricerca di “un nuovo
modello di sviluppo che sia economicamente percorribile, ecologicamente
sostenibile e socialmente giusto”. Promette di “accelerare la crescita e di
mantenere il sociale come asse portante dello sviluppo”. Il marchio distintivo
della sinistra radicale è chiaro in questo documento:
“Noi ci dovremmo opporre alla globalizzazione del capitale
e dei mercati mettendo al loro posto la solidarietà e l’internazionalismo
della gente. È in questo contesto che la difesa del socialismo democratico può
essere meglio ottenuta e che il sostegno ad un programma della sinistra su scala
internazionale può diventare assai più diffuso” (Partido dos Trabalhadores,
2002a).
Questo documento critica il programma di privatizzazioni
portato avanti dai governi Collor de Melo, Itamar Franco e Cardoso come
responsabile dello stato precario delle infrastrutture che minano la sistematica
competitività e la potenziale crescita dell’economia nazionale. Afferma che
la privatizzazione aumenta i prezzi relativi d’importanti beni pubblici come l’energia,
le comunicazioni e i trasporti, il cui onere ricade sproporzionatamente sui
poveri. Questo significa, in effetti, che il governo federale ha appena
trasferito le risorse pubbliche esistenti, create dal Brasile durante svariati
decenni, ad interessi privati nazionali e stranieri, invece di crearne di nuovi.
Lo Stato ha quindi perso il controllo sui dati di base richiesti per lo sviluppo
e l’economia ne ha perso in competitività. La continua dipendenza del paese
dai capitali stranieri e il continuo mantenimento di alti tassi d’interesse
hanno creato enormi problemi al debito. L’aver accettato le condizionali del
FMI ha significato dover dare la priorità alle spese per il mantenimento del
debito rispetto a quelle necessarie, nella gestione dei servizi pubblici, alle
infrastrutture, alla scienza, alla tecnologia e al settore sociale. L’economia
nazionale fu perciò spinta in uno stato di cronica dipendenza dai capitali
stranieri. Il PT promette di sospendere ulteriori avanzamenti dell’attuale
programma di privatizzazione e di rivalutare e di ricontrollare le sue
implicazioni ab inizio.
Il solido impegno antipovertà del documento include: (I) uno
salario minimo nazionale collegato al programma di retribuzione scolastico (bolsa-escola),
(II) la distribuzione dei terreni ai senza terra, (III) un migliore accesso alle
risorse finanziarie per i poveri e (iv) un programma di garanzia contro la fame
e sulla sicurezza del cibo.
Si esprimono a chiare lettere sei misure specifiche che il
nuovo governo del PT intende affrontare per ridurre la vulnerabilità e la
dipendenza esterna dell’economia nazionale:
(i) Migliorerà ulteriormente la già positiva bilancia
commerciale riducendo l’attuale livello di deficit nello scambio di sevizi e
nella bilancia dei pagamenti. Ciò includerà misure per aumentare i contenuti
tecnologici e di valore aggiunto delle esportazioni, per ottimizzare e
razionalizzare la struttura dei trasporti, per immagazzinare, realizzare,
specialmente beni di consumo, prodotti elettrici ed elettronici, beni
capitali, petrolio, prodotti chimici, turismo e sottosettori dei cantieri
navali.
(ii) Porrà rimedio allo squilibrio creato dall’incontrollata
apertura del mercato domestico alla competizione straniera. Ciò sarà
ottenuto con una revisione della struttura tariffaria e con l’istituzione di
misure prive di tariffe permesse dai meccanismi di salvaguardia del WTO al
fine di proteggere i settori strategici dell’industria. Saranno inoltre
messe in atto delle politiche attive, a difesa degli interessi commerciali del
paese e contro le misure anticompetizione e le pratiche commerciali aggressive
degli altri paesi.
(iii) Adotterà severe normative per l’entrata d’investimenti
stranieri diretti, con particolare attenzione nel regolare il loro flusso in
attività speculative e nei settori prioritari inclusi quelli che supportano
le esportazioni, l’espansione di industrie di beni capitali e il
rafforzamento di capacità endogene allo sviluppo tecnologico.
(iv) Regolerà il processo d’apertura dei settori
finanziari agli investitori esteri. Più specificatamente, regolerà l’apertura
di nuove banche straniere nel sistema finanziario del paese e chiuderà le
scappatoie legali che permettono operazioni finanziarie non trasparenti ad
istituzioni esterne.
(v) Per quanto riguarda il debito estero, respingerà l’accordo
esistente con il FMI, allo scopo di liberare la politica economica nazionale
dalle restrizioni imposte da quest’ultimo sulla crescita e sull’abilità
del paese di difendere i suoi interessi commerciali. Manterrà contatti con
paesi come l’Argentina e il Messico per rinegoziare la propensione al debito
pubblico esterno con le istituzioni creditrici.
(vi) Promuoverà una politica multilaterale nel commercio
estero. Ciò significherà una diversificazione geografica maggiore del
commercio con l’estero, il rafforzamento e l’espansione del Mercosud, una
maggiore cooperazione economica e tecnica con economie emergenti, come la Cina
e l’India, e l’istituzione di alleanze specifiche con aziende straniere al
fine di supportare una politica di cooperazione commerciale.
Sull’Area di Libero Commercio delle Americhe, il PT sembra
prendere inequivocabilmente una posizione contro gli Stati Uniti. E così
afferma:
“L’Area di Libero Commercio delle Americhe, nella maniera
in cui è attualmente proposta, è un progetto di annessione politica ed
economica dell’America Latina da parte degli Stati Uniti - l’obiettivo
principale, a causa delle sue potenziali risorse e della dimensione del suo
mercato interno, è il Brasile. Ciò che è in gioco, quindi, sono i nostri
interessi economici strategici, e la conservazione della nostra capacità e
autonomia di costruire il nostro proprio futuro come nazione” (Partido dos
Trabalhadores, 2002a).
6. La formazione del nuovo Governo del PT: un ingannevole atto di
bilanciamento
La formazione del gabinetto si è dimostrata essere un affare
estremamente lungo ed arduo. Il PT aveva solo 93 seggi su 513 alla Camera dei
Deputati e non avrebbe potuto formare un governo da solo. Con una serie di abili
negoziazioni ed espedienti, che durarono circa due mesi, José Dirceu, il
principale negoziatore del PT, fu in grado di mettere assieme una coalizione
includendo tutti gli altri sei partiti più il PL della destra. Le forze
combinate di questi otto partiti raggiunsero 219 voti alla Camera, ben lontano
dall’obiettivo di una maggioranza. Il PMDB fu invitato ad unirsi al gabinetto
e gli vennero offerte varie cariche, ma questo rinunciò perché i suoi
obiettivi erano più elevati di quanto Lula fosse disposto ad offrirgli. Questo
però fu d’accordo a sostenere il governo nel Parlamento, senza il quid pro
quo delle cariche di gabinetto per tutta la sua durata. Senza questo
supporto, il governo guidato dal PT non sarebbe stato in grado di ottenere il
passaggio di alcuna legge o decreto presidenziale in Parlamento. Per assicurarsi
la continuità del supporto del PMDB, il PT ha ripetutamente negato di essere un
partito socialista. João Paulo Cunha, il deputato federale di San Paolo del PT
e suo leader alla Camera dei Deputati su questa questione in 22 dicembre ebbe a
dire:
“Credo che il PT affronti una fase difficile nella
questione della definizione della sua identità ideologica. [...] Dal punto di
vista del governo e dell’amministrazione, non è un partito socialista, ma
nella sua struttura e nei suoi dibattiti cerca di proteggere valori che possono
essere riconosciuti come socialisti. [...] Noi siamo un governo democratico con
una sincera partecipazione popolare. Se siete in cerca di termini classici, noi
non siamo né socialisti né socialdemocratici. Lo stesso vale per il governo
Lula, che sarà democratico, popolare, riformista, ma non può essere definito
come socialista” (Rodrigues, 2002).
La lista finale dei ministri non fu disponibile per la stampa
fino alla notte del 23 dicembre. Questa conteneva i 28 nomi della lista dei
ministri del gabinetto; 16 appartenevano al PT, 7 agli altri partiti della
coalizione e 5 non erano affiliati ad alcun partito politico. Di questi ultimi
cinque, due erano grandi proprietari terrieri e uomini d’affari; due
diplomatici di carriera e uno giurista di professione.
La suddivisione per aree geografiche della provenienza dei
ministri del gabinetto di Lula è estremamente iniqua. Dei 28 ministri, 10 sono
nati o vissuti sin da piccoli in San Paolo, 4 in Minas Gerais, 3 nel Rio Grande
do Sul, 2 in Rio de Janeiro e uno a Brasilia. Le regioni relativamente più
sviluppate del sudest, del sud e di Brasilia contavano quindi 20 ministeri su
28. Il nordest contava sette ministri (tre da Bahia, due dal Pernambuco e due
dal Ceará) e l’Amazonia solo uno da Acré - 18 stati su 27 non ottennero
alcuna rappresentanza nel gabinetto federale.
Otto dei ministri cominciarono la loro carriera politica nei
sindacati; tre di questi nei sindacati degli impiegati di banca, due nei
sindacati dei dottori, due nei sindacati dei colletti blu dell’industria
metallurgica e chimica e solo uno nei sindacati rurali dei raccoglitori di
gomma. Solo quattro dei ministri (Dirceu, Marina Silva, Gilberto Gil e Benedita)
venivano da background chiaramente poveri e senza privilegi; due (Wagner e
Rosseto) provenivano dal background operaio dei colletti blu; gli altri erano o
benestanti o professionisti della classe media. Tutti i ministri del PT eccetto
due appartengono alle correnti di partito moderate dell’Articulação o
della Democracia Radical. Due dei ministri, Palocci e Gushiken, che
appartengono attualmente all’Articulação, hanno connessioni
intermittenti con la fazione radicale di sinistra conosciuta come O Trabalho.
Per la prima volta nella storia Brasiliana tre dei ministri di gabinetto sono
neri.
La destra è stata prodiga di consigli a Lula affinché non
stravolgesse l’attuale condizione di stabilità macroeconomica, nel suo sforzo
di risolvere il problema della povertà. In previsione di un aumento dell’inflazione,
del peggioramento degli indicatori del rischio e di una rapida svalutazione
della valuta nazionale durante il 2002, la carica di presidente della Banca
Centrale Brasiliana risultò essere materia di litigio. Pedro Malan, Ministro
delle Finanze durante il governo Cardoso, aveva dichiarato all’inizio di
giugno 2002 che il prossimo presidente del Brasile non avrebbe dovuto cambiare
il presidente della Banca Centrale, Armínio Fraga, nell’interesse di
mantenere la credibilità internazionale e la stabilità macroeconomica. Il
Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Paul O’Neill, contava sul fatto che
si seguisse il consiglio di mantenere una certa continuità (Souza e Sofia,
2002). Dopo che si conobbero i risultati delle elezioni, Côrtes Neri, del
Centro di Politiche Sociali della Fundação Getúlio Vargas, raccomandò Lula
di lasciare Fraga al suo posto al fine di mantenere la fiducia internazionale
sull’economia brasiliana, senza la quale, disse, non si sarebbe potuto
raggiungere alcun obiettivo d’importanza sociale (2002). La destra era
preoccupata sulla possibilità che Lula potesse deviare dal sentiero neoliberale
che il Brasile stava tenacemente percorrendo ad opera di Malan e Fraga. Fu anche
diffusamente creduto che Antônio Palocci, il futuro ministro delle finanze di
Lula, volesse dare continuità all’operato di Fraga (Patury e Lima, 2002).
Quando Lula finalmente annunciò che non avrebbe mantenuto Fraga, cominciò la
ricerca di un nome che avesse avuto la fiducia delle istituzioni finanziarie e
delle banche internazionali. Fábio Barbosa, il presidente della sussidiaria
brasiliana della banca statunitense ABN Amro che fu inizialmente invitato ad
assumere la carica, la rifiutò. Tra gli altri nomi che vennero presi in
considerazione ci fu quello di Pedro Bodin, uno dei direttori del gruppo di
società Icatu con sede a Rio de Janeiro che ha interessi in holding, capital
lending ed assicurazioni.
Alla fine la persona scelta per l’incarico fu Henrique de
Campos Meirelles, un multimilionario dello Stato del Goiás. Questo cominciò la
sua carriera come Director of Leasing della sussidiaria brasiliana della
BankBoston, diventando nel 1996 Head of the Global Marketing Division della
stessa banca. Nelle elezioni del 2002 fu inoltre eletto Senatore per lo Stato
del Goiás per conto del PSDB. Cardoso stesso era intervenuto per assicurarsi
che Meirelles ottenesse dal partito la carica al Senato.
Mentre il candidato di Lula al posto di presidente della
Banca Centrale era un multimilionario neoliberista, quello candidato alla
presidenza dell’altro importante istituto bancario dello Stato, la Banca
Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale (Banco Nacional de
Desenvolvimento Econômico e Social o BNDES), Carlos Lessa, era un
dichiarato anti-neoliberista e neonazionalista e un ben conosciuto economista
della sinistra del PT. Subito dopo la sua nomina, Lessa dichiarò che avrebbe
voluto integrare il programma d’investimenti del BNDES con quello del PT Fame
Zero. Questo affermò:
“Secondo la mia preparazione e inclinazione, non sono un
neoliberista. Sono un neonazionalista e le mie principali priorità sono l’integrazione
sociale e la riduzione delle disuguaglianze sociali” (citato In Santos e Gois,
2002).
Oltre alla nomina di Lessa al BNDES, Lula aveva pubblicamente
raccomandato Paul Singer, noto economista brasiliano della sinistra e principale
autore del diffuso manifesto economico della sinistra, “economia della
solidarietà (economia solidária)” (Singer e Souza, 2000). Questo
fu probabilmente un altro pezzo di quell’intricato esercizio di “checks and
balances” che Lula dovette mettere in atto per essere effettivamente in grado
di governare. Se la nomina per la Banca Centrale fu una concessione di Lula alla
destra al fine di acquisire credibilità internazionale la nomina al BNDES fu la
sua abile mossa per placare l’ala sinistra del suo partito. La BNDES è
dopotutto una stragrande istituzione nazionale che ha prestato, nel 2002, 30
miliardi di reais, una somma più grande dell’intero budget del
Ministero della Salute. Se usato come strumento per la politica sociale,
potrebbe avere un forte impatto nella lotta alla povertà.
Ci fu un ampio scontento nei ranghi e nelle file del PT,
circa le nomine di Furlan e Rodrigues nel collegio dei ministri e di Meirelles
alla Banca Centrale. Furlan il presidente della Sadia, il più grande
esportatore di prodotti per l’agricoltura in Brasile, e Rodrigues, presidente
dell’associazione brasiliana dell’agribusiness, poiché grandi proprietari
terrieri e Meirellaes poiché funzionario senior di una banca straniera. I
grandi proprietari terrieri, i banchieri stranieri e i loro alleati brasiliani
sono esattamente le persone che il PT si è impegnato a combattere nella sua
campagna per creare una società più omogenea e giusta. La senatrice senior del
PT dal Alagoas, Heloisia Melena, criticò pubblicamente la nomina di Meirelles,
facendo breccia nella disciplina del partito (Zanini, 2002). Il suo deputato dal
Pará, Babá, definì la nomina di Rodrigues “la negoziazione delle idee del
PT” (Cantanhêde, 2002b).
Anche l’MST che ha supportato con consistenza il PT in
tutte le elezioni, criticò apertamente il partito per aver stretto alleanze con
il PL ed esponenti del PMDB. Infatti proclamò: “Questo tipo d’alleanze
feriscono la tradizione della sinistra e la coerenza del partito” (Stedile,
citato in Fraga, 2002)
7. Conclusione: primi indicatori della speranza e del dubbio
Ci sono dubbi persistenti sul fatto che il PT al governo sia
in grado di crescere al di fuori delle tendenze politiche impresse su questo
dalle circostanze delle sue origini. Due vecchi professori di scienze politiche
della prestigiosa Università di San Paolo, scrivendo dopo la vittoria
elettorale di Lula, rammentano esplicitamente che i modelli di stato
assistenziale che le democrazie sociali dell’Europa avevano cercato di
costruire erano tutti fondati sulla dottrina del neocorporativismo: “gruppi
sociali organizzati (associazioni commerciali e sindacati) che lavorano insieme
allo Stato e che realizzano accordi rilevanti per affrontare le questioni
economiche e sociali più importanti” (Gonçalves and Azevedo, 2002). Questi
affermano che il nuovo governo Lula dovrebbe provare a creare un contratto
sociale in Brasile di questo genere. Ma questi stessi esprimono dubbi sulla loro
capacità di farlo.
“[...] la realtà è che il PT non ha ancora spiegato come
risolverà il suo storico dilemma. Durante i suoi 20 anni di vita, non ha ancora
definito la forma esatta della sua democrazia sociale. Ha ripudiato lo
stalinismo, ma sta ancora flirtando, qua e là, con idee che sono romanticamente
rivoluzionarie e socialiste, oltre ad essere autoritarie. Disdegna la democrazia
sociale a causa del suo “servile” impegno al capitalismo e alle mere
riforme. Ma allo stesso tempo è finito con lo sposarla” (Gonçalves and
Azevedo, 2002).
Un ben noto commentatore politico, Clóvis Rossi, ammonisce
Lula dallo stringere troppo la mano alle attuali e dominanti dottrine del
neoliberalismo ortodosso, “certi principi devono essere visti come più sacri
della vergine Maria: un surplus fiscale sufficientemente elevato a mantenere un
buon rapporto Debito/PIL, un’opportuno rimborso del debito e dell’elevato
tasso d’interesse”. I paesi dovrebbero quindi provare ad evitare situazioni
debitorie ma nel caso accadesse non farne un’apocalisse. Questo punto è reso
vivace con una logica realistica:
“È quindi meglio se ogni famiglia fosse risarcita del suo
debito in maniera religiosa, in maniera da non dovere spendere non un centesimo
in più di ciò che guadagna. Non ci sono raccomandazioni ideologiche ma senso
comune. Ma è ugualmente ovvio che in una situazione in cui non si abbia denaro
per comperare del cibo a volte non si è neanche in grado di ripagare i debiti.
Se un figlio avesse bisogno di un’operazione si spenderebbe più di quanto si
possiede e non lo si lascerebbe morire o soffrire. Questi sono atti di senso
comune. Ciò che non ha senso è terrorizzare con la minaccia di un’apocalisse
nel caso una certa politica economica non venga seguita” (Rossi, 2002).
Un’intervista che Antonio Palocci, il nuovo ministro delle
finanze, rilasciò al Folha de São Paulo il 21 dicembre non fornì
alcuna indicazione di un chiaro impegno del nuovo governo Lula a rompere
definitivamente con l’impostazione data negli otto anni di governo Cardoso.
Questo elogiò il ministro delle finanze del centro-destra di Cardoso, Pedro
Malan, l’architetto delle politiche monetarie durante i due mandati dell’amministrazione
Cardoso, per “l’aver lavorato correttamente, con dedizione, e come una delle
persone più serie che abbia conosciuto nel governo (Cardoso)”. Questo
affermò (i) che avrebbe continuato con la politica Cardoso-Malan sul surplus
nella bilancia dei pagamenti allo scopo di gestire il debito, (ii) che avrebbe
mantenuto il tasso d’interesse entro l’iniziale obiettivo del 6,5% e (iii)
che non avrebbe ridotto il tasso d’interesse fino quando una serie di
condizioni non si fossero verificate, tra cui l’inizio di una riduzione del
rapporto debito/PIL e del tasso d’inflazione, un livello positivo della
bilancia commerciale, una prevalente fluidità nella concessione del credito e
una ragionevole condizione di crescita. Inoltre, aggiunse, che il nuovo governo
avrebbe messo in atto una nuova politica dei redditi ma non specificò come
questa si sarebbe differenziata da quella di Malan. Affermò che “avrebbe
iniziato a combattere la fame in maniera sistematica” ma non disse come.
Ammise apertamente che avrebbe potuto continuare la politica macroeconomica di
Malan per circa due anni. Questo è come ha cercato di distinguere tra l’approccio
allo sviluppo del PT e quello seguito nelle due amministrazioni di Cardoso negli
otto anni precedenti:
“Il Brasile ha bisogno di una seria politica fiscale e di
monitoraggio ma ciò non può esercitare un controllo sul paese. Deve essere
beninteso che il discorso che il presidente della repubblica deve fare, può non
essere lo stesso di quello fatto dal presidente della banca centrale. Il sistema
di traguardi dell’inflazione è un sistema macroeconomico utile a raggiungere
un equilibrio economico ma non ad esercitare un controllo sui progetti della
nazione. [...] Noi dobbiamo invertire la direzione di questo processo e capire
che è la crescita sostenibile a generare più stabilità degli strumenti
macroeconomici” (Salomon e Alencar, 2002).
Palocci sembra essere impegnato in questa sede in una
difficile azione di riequilibrio. Da un lato, cerca di rimanere all’interno
dell’intelaiatura di promesse elettorali del PT “di mantenere il sociale
come asse portante dello sviluppo”, dall’altro afferma che le politiche
monetarie e fiscali di Cardoso-Malan continueranno qualunque siano le
conseguenze sociali. Questo non sembra aver avuto pienamente successo nel
rassicurare la classe media e quella dei professionisti del Brasile. Un
commentatore del largamente diffuso Folha de São Paulo mise presto in
guardia, dopo l’intervista di Palocci, che le politiche finanziarie del PT
avrebbero potuto creare un “paese limitato” e che:
“[...] avrebbero provocato una convulsione economica con
risultati incerti, escludendo il paese dal mercato mondiale. Una più delicata
transizione sarebbe più prudente ed efficace. Se questa transizione può essere
assicurata, ci sarà stabilità. Sarà poi possibile iniziare tali cambiamenti
politici ed economici di cui il paese ha bisogno e alcune idee radicali non
sembreranno più attraenti” (Freire, 2002).
Nell’affermare l’idoneità del team di Lula a combattere
la povertà, ciò che dobbiamo capire è che questa battaglia è essenzialmente
un processo politico - questo coinvolge mutamenti di posizione fondamentali nell’equilibrio
dei poteri della società civile, e comporta vincitori e vinti. In una
democrazia pluralista, il contesto in cui Lula deve operare, i cambiamenti
fondamentali possono essere apportati soltanto attraverso il consenso e non con
la forza. Assicurarsi il consenso dei ricchi, trincerati dietro le loro
posizioni privilegiate, lasciando che altri condividano alcune delle loro
ricchezze e convincendoli ad abbandonare alcuni loro privilegi potrebbe non
essere un compito facile in nessuna circostanza. Una condizione iniziale
necessaria, se non sufficiente, per assicurarsi il consenso sarebbe incrementare
la pressione al cambiamento dal basso mobilitando i poveri. Il PT è nella
migliore posizione per fare ciò d’ogni altro partito politico in Brasile.
Il PT ha già dimostrato un considerevole grado di successo
nell’assicurarsi il sostegno di parti significative del centro e della destra.
Nella realpolitik contemporanea del sistema di governo del Brasile, non
si può governare senza il sostegno del Parlamento. Ciò che deve essere
considerato, in ogni caso, è il conto che sarà chiamato a pagare in cambio del
suo sostegno. Si deve inoltre mantenere la sinistra, inclusi i membri del
proprio partito, unita su un minimo di programma accordato. Ciò ha spesso dato
prova di essere ancor più difficile dell’assicurarsi il supporto del centro e
della destra. Inoltre ci saranno crescenti pressioni dal FMI e dagli Stati Uniti
contro l’adozione di politiche che possano minare gli interessi globali del
capitalismo. L’abilità di resistere a queste pressioni dipenderà da quanto
sarà forte l’equazione domestica del potere. In questo momento, la sua
posizione in questa equazione non è molto forte. Ci sono quindi, ovvi limiti su
ciò che può ottenere politicamente durante il mandato di Lula del 2003-06. Ma
ciò può certamente indirizzare il paese verso un definitivo corso di
fondamentali mutamenti nelle politiche a favore dei più poveri. Può sfruttare
questo periodo per estendere la sua base di sostegno a quei segmenti della
società che sono ampiamente rimasti al di fuori delle sue pieghe, come ad
esempio i poveri delle campagne, i piccoli agricoltori, i poveri delle aree
urbane nei settori privi di organizzazioni e i lavoratori al di fuori delle
attività manifatturiere. Con una base di sostenitori più ampia e più forte e
con una migliore organizzazione, potrebbe ottenere ancor di più in un secondo
mandato, nel caso fosse in grado di replicare. La cronicità della povertà è,
dopotutto, un qualcosa che si trasmette di generazione in generazione. Pensare
di dover avere a che fare con una gestione di otto anni, potrebbe non essere,
quindi, del tutto non realistico.