Risulta indispensabile, per una comprensione adeguata del
lettore, dare una idea vaga della realtà di un paese piccolo per dimensioni
territoriali, poco più di 114.000 km2, ma un gigante sotto la dimensione dei
valori e dei suoi intenti emancipatori. Purtroppo quello che viene pubblicato su
Cuba non è molto e di quello buona parte della realtà è resa deformata,
manipolata.
Cuba è un paese che negli ultimi 42 anni di dure battaglie
è padrone del suo destino, affronta le provocazioni del Golia della modernità.
Come ha potuto sopravvivere davanti ad una realtà così crudele e difficile?
Per quale motivo non è precipitato di fronte al crollo del modello socialista
euro-sovietico? Ci potremmo porre questi e molti altri interrogativi. Ma
qualunque risposta che ignori l’inquadramento storico, oltre che anacronistica
e superficiale, è oltremodo semplicista.
Che Cuba non possa essere capita attraverso manuali e formule
prestabilite, è una verità assoluta. Questa e altre verità ci proponiamo di
svelare nel presente e nei saggi futuri per Proteo.
Un tratto caratteristico nella storia delle scienze sociali e
particolarmente degli studi politici, è stato l’oscuramento dei termini, dei
concetti di significato temporale. Ciò non è casuale, non è neppure il
risultato di sotterfugi semantici, ma è la risultante delle spinte dovute alla
reazione e alla rivoluzione, del ruolo della politica nella vita sociale -
intesa come relazioni rispetto al potere -.
Ruolo che cresce, in un mondo segnato fortemente dal processo
di globalizzazione che diviene inarrestabile, persino in tutte le sfaccettature
della vita sociale, il sacrosanto spazio della vita sociale ed individuale,
convertendola ogni giorno, in sempre più pubblica e sempre meno privata,
questione in passato impensabile, -rimettendola alla legge approvata in Gran
Bretagna che autorizza le forze dello Stato a controllare le informazioni che
circolano per i canali INTERNET.
Una breve osservazione a priori della realtà, ed in
particolare della produzione di una parte importante degli scienziati sociali,
difensori del pensiero borghese, ci conduce al labirinto di apologie di taglio
nichilista politico. Alla faccia del disprezzo e della disonestà. La politica,
gli interessi principali degli uomini devono essere concentrati sul terreno dell’economia,
dell’efficienza, si legga dei guadagni. In realtà, ciò che sta succedendo
non è proprio così, nella visione tradizionale oltre ai classici rosso e nero
sono affiorate nuove tonalità.
Insieme alla tradizionale macro-politica statale, - che oggi
diviene internazionale con la formazione dei nuovi megablocchi egemonici
continentali -, con i governi mondiali in stato di incubazione, - attributo dei
decisori delle politiche nazionali cioè i “politici”-, emerge con
determinata forza, sotto dissimili forme, non senza opposizione, la
micro-politica dei fino ad oggi, predominanti consumatori delle decisioni dei
gruppi egemonici del potere, i “non politici”, i lavoratori, i cittadini.
Evidentemente l’aumento e il consolidamento del processo di
egemonia assoluta, che prevale fino ai nostri giorni, con l’intento di dare
una sfumatura apolitica al fine della storia, fortemente condizionato dagli
organismi creditizi mondiali per il Terzo Mondo, hanno obbligato ad accettare
pratiche dispotiche che dall’inizio del loro utilizzo evidenziavano l’impossibilità
di essere portate a termine. Tali pratiche già oggi fanno emergere con forza i
loro sintomi di stanchezza nella concezione e nell’efficienza ed in
conseguenza nella ribellione, nelle masse popolari dei paesi in via di sviluppo;
allo stesso tempo, si affievoliscono, sempre più nell’universo sociale, le
differenze tra le grandi masse popolari indigenti che si avvicinano o si
confondono agli strati medi, nei paesi sviluppati e in via di sviluppo,
essendone l’esempio più evidente gli avvenimenti ancora non conclusi in
Argentina. Al contempo si consolida il fenomeno dei contrasti sociali di un
Terzo Mondo all’interno del primo mondo, che cresce in maniera incalzante e si
converte in ribellione concomitante del mondo del lavoro, e non solo, secondo il
punto di vista di quelli che soffrono le vicissitudini di una simile politica.
Per contro, la caduta del socialismo europeo e in particolare
della Russia, si è mostrato “utile” alle forze reazionarie. Che è
successo? Cosa sta succedendo? Che succederà tra una generazione? Nell’immediato
diventa insensato parlare di bruschi cambi rivoluzionari.
Il lider cubano Fidel Castro ha detto che sono momenti di
calma, di pazienza per i rivoluzionari. Comunque, niente di più estraneo a
quella valutazione della realtà mondiale - al potere delle forze della reazione
mondiale, dei governi mondiali, delle forze del capitalismo -, che postulare la
rinuncia alla lotta di classe, che è e necessariamente deve essere continuata
sotto le nuove condizioni storiche che impone la realtà e in virtù degli
obiettivi strategici concepiti.
Come è ovvio, attualmente uno degli spazi della lotta di
classe dei lavoratori continua ad essere la sfida alla democrazia borghese, da
parte della critica rivoluzionaria alternativa dei lavoratori, dalla prospettiva
della sinistra responsabile dei destini dell’immensa maggioranza dell’umanità,
che non ha niente da perdere, ad esclusione delle sue catene ed ha molto da
guadagnare.
Instradare in modo adeguato il flusso ed il riflusso delle
forze dei lavoratori in un unico torrente di azione richiede oltre che
volontà politica anche spirito di sacrificio; richiede la disposizione ad
affrontare i rischi che ciò implica. La borghesia non cede, bisogna
strappargli con forza i diritti degli operai, dei lavoratori, sentenziava
anticipatamente Lenin.
Il caso cubano, - così denominato non per caso dagli
avversari e dai nemici della rivoluzione,- sollevato dalle forze più
reazionarie, ha dato sufficiente dimostrazione della capacità di resistenza, di
tenacia, di autostima. Una nazione che è stata bloccata - come nessun’altra
al mondo - per uno spazio di tempo di 42 anni dagli Stati Uniti d’America, che
ancora non cessano il loro intento diabolico di distruggerla. Nella loro
incessante e diabolica azione gli Stati Uniti contro Cuba hanno elevato al rango
di politica di Stato l’intento di assassinare i suoi dirigenti, anziani,
bambini, donne, uomini, mediante la più crudele politica di genocidio, che
include la proibizione alla vendita di generi alimentari e medicine. Gli USA, un
paese, che paradossalmente non vuole abolire il diritto dei suoi cittadini a
portare armi, che non ha mai conosciuto l’attività mondiale e le relazioni
tra nazioni indipendenti, nell’era moderna, un paese che ha inasprito a
livelli insospettabili ed inimmaginabili il blocco, per più di quarantadue
anni, con leggi extraterritoriali ed emendamenti tra i quali si distinguono il
Torricelli e l’Helms-Burton.
Tutto ciò e molto di più, nel contesto della peggior crisi
economica che abbia mai potuto sopportare un paese come Cuba, dopo la caduta del
socialismo europeo ed in particolar modo della Russia, i cui effetti si
tradussero in condizioni estremamente critiche. Basti solo pensare che il paese
perse l’85% del suo mercato estero.
Bisogna sapere, affinché il lettore possa comprendere, che
non si tratta di un mercato contrassegnato dallo stile del mercato che oggi si
vende su un piatto d’argento al Terzo Mondo, mi riferisco ad un mercato estero
per Cuba non comune, prima d’ora mai conosciuto nella storia dell’umanità
tra popoli fratelli, che si sviluppava in condizioni veramente favorevoli
attraverso prezzi differenziati, con intercambi commerciali e scambi
tecnico-scientifici. Riconoscere ciò significa giustamente secondo José Martí
“Onore e stima”.
A tutta questa serie di soprusi, azioni vandaliche,
assassini, terrorismo si è saputa imporre Cuba.
In simili circostanze, è evidente, che qualsiasi paese,
indipendentemente dal suo segno politico-ideologico, faccia ricorso ad un
inevitabile processo di incremento dei livelli di centralizzazione economica,
già esistente, necessariamente, dagli albori del trionfo rivoluzionario.
Tuttavia, il trattamento tradizionale della relazione economia-politica diviene
nella realtà cubana, nuovamente superato. Cuba viene assorbita, necessariamente
in questo quadro critico, in una delle azioni di approfondimento e
consolidamento della democrazia, cioè la creazione dei Consigli Popolari. Si
tratta di enti di potere operaio costituiti da rappresentanti scelti, e le
organizzazioni comunitarie, soggette anch’esse agli stessi principi di
elezione democratica, vincolano e uniscono eletti ed elettori nei limiti
concreti della loro giurisdizione, al fine di rendere, inoltre, i cittadini più
partecipi al controllo degli interessi comunitari.
Accostarsi al tema della partecipazione a Cuba, non è né
può esser solamente, porsi di fronte ad un processo multi-dimensionale, di
fronte ad un concetto sociale che presuppone singoli e collettività in
contraddizione ed in probabile conflitto, così come inevitabilmente è stato
detto. Se così fosse il suo contenuto e l’azione trasformatrice sarebbero
fortemente penetrati dalle soggettività, dalle abitudini e le attività
culturali degli individui. Ma è molto più che questo, è rivelare la logica di
un processo sociale di cambi qualitativi, con vecchi e nuovi attori sociali in
successione generazionale, di un’opera dei lavoratori che si assume delle
responsabilità nei confronti del futuro, quindi è un continuo e non una
frattura.
A questa realtà politica, con le sue implicazioni
socio-economiche per lo sviluppo e il consolidamento del progetto Social-Cubano,
non le è estranea una nuova razionalità, quella di rivelarsi come paradigma
alternativo all’attuale disordine mondiale. Ciò non è la fine, è il
risultato dell’opera di costruzione, ancora non conclusa, con la forza dei
lavoratori.
Oggi la crescente interdipendenza mondiale delle indipendenze
nazionali, minacciate inoltre dalla travolgente informatizzazione controllata
dai poteri egemonici mondiali capitalistici, ha implicato in maniera crescente
che il concetto di partecipazione dei lavoratori, dei cittadini, sia un percorso
obbligato ricorrente nelle agende dei partiti politici, nazioni, Stati,
indipendentemente dal loro segno politico. Sebbene nella pratica politica
risulta evidente che i processi di astensione nelle democrazie borghesi
costituiscano un risultato della perdita di credibilità, senza che ciò risulti
sufficiente per il cambiamento politico, ciò implica necessariamente l’ascesa,
lo sviluppo e il consolidamento delle forze operaie, del lavoro e della
sinistra, che dopo il tracollo del modello socialista est-europeo e sovietico
non hanno raggiunto quel torrente di azione coordinato ed efficace.
La partecipazione popolare a Cuba è un fenomeno oltre che
storico, - che si può apprezzare in tutto il processo di lotta per l’indipendenza
nazionale dal 1868 fino ai nostri giorni, e dove i lavoratori non sono stati
spettatori della lotta e dell’opera di rivoluzione, ma sono stati attori,
gestori e costruttori di un progetto che supera abbondantemente la propria
utopia di liberazione -, anche culturale perché concretizza le aspirazioni
frustrate nella cosiddetta repubblica assoggettata, in una nuova socialità
attraverso l’articolazione maggioritaria dei progetti individuali e il
progetto sociale cubano di costruzione del paradigma socialista cubano. Questa
impronta di ribellione nazionale, che storicamente ha formato gran parte dei
cubani non in maniera casuale, ma come risultato della loro lotta per la
liberazione nazionale, e che si manifesta come idiosincrasia e psicologia
comune, costituisce un sostegno che stimola l’incessante ricerca del cubano
autentico, di fronte a cotanto rifiuto delle formule esogene, che niente hanno a
che vedere con la nostra realtà e le nostre aspirazioni.
Frequentemente siamo soliti ascoltare nell’ambito della
quotidianità e anche della scienza, di taglio borghese, che il carattere
democratico di un sistema governativo viene determinato dalle elezioni sostenute
nella competitività tra i contendenti, altri autori affermano che la
democraticità è associata alla capacità sociale dei cambiamenti che si
operano in un paese. Dal nostro punto di vista il problema non è così facile,
neanche così poco sostanzioso, quando si tratta della nomina degli eletti, cosa
che alcuni autori ignorano quando dicono che la democrazia si riduce a cambiare
gli eleggibili e non nel risolvere i problemi. Il democratismo, secondo il
nostro punto di vista, è determinato dal grado di partecipazione popolare
dei lavoratori realizzato alla selezione dei rappresentanti eletti, dalla
capacità dei lavoratori di partecipazione reale nel dibattito e nel controllo
degli argomenti principali della politica, da parte degli eletti, attraverso
il confronto degli eletti nelle rappresentanze dei differenti settori della
società da parte degli elettori. Controllo che implica il diritto a revocare
gli eletti, quando questi ultimi cessano di essere creditori della fiducia dei
loro elettori, defraudando la fiducia riposta in loro. Ciò non significa forse
una nuova e reale lettura dell’ambiguo concetto borghese di democrazia?
È evidente, che noi cubani abbiamo superato abbondantemente
gli occidentali che esibiscono una lunga esperienza su questo terreno, cosa per
noi inimitabile. Per trovare degli esempi non è necessario fare un grande
sforzo, basta una sola occhiata alle più recenti elezioni al seggio
presidenziale del “paradigma” della democrazia mondiale, gli Stati Uniti d’America.
Nonostante tutto, ciò non significa che noi cubani abbiamo
raggiunto il massimo livello democratico. Continuiamo perfezionando il nostro
modello democratico; l’esempio più immediato ed eloquente è costituito dai
Consigli Popolari dei lavoratori, che senza ombra di dubbio, costituiscono un
veicolo di coinvolgimento di tutti i lavoratori a livello comunitario nell’analisi,
il dibattito e la soluzione delle proprie difficoltà e necessità. [1]
[1] Ns.
traduzione dall’originale spagnolo