Le trappole dell’ideologia dominante: come si manipola il senso comune
Alessandra Ciattini
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1. Pensiero acritico e comunità illusorie
Oggi tra gli studiosi della religiosità si parla molto di
revival religioso, il quale, a smentita del processo di secolarizzazione e di
razionalizzazione prefigurato nell’Ottocento, sarebbe determinato dalla
diffusione nella società capitalistica avanzata di vari movimenti religiosi e
dalla forte attrazione, che eserciterebbe sulle masse la dimensione del sacro,
del miracolo etc. Basti pensare alle molteplici celebrazioni della chiesa
cattolica, che hanno proprio messo al centro questa dimensione, come del resto
è già avvenuto in altri momenti storici (si pensi al miracolo di Fatima e di
Lourdes avvenuti rispettivamente nel 1917 e nel 1858 nell’arretrato ambiente
contadino contrapposto al ribelle mondo operaio e urbano).
Come vedremo, alcuni studiosi mettono in connessione tale
risveglio religioso con i limiti o con la crisi della razionalità
capitalistica, la quale lascerebbe insoddisfatte una serie di esigenze
esistenziali ed emotive dell’individuo, che troverebbero soddisfazione solo
nell’orizzonte religioso. Questi studiosi finiscono così col sollecitare un’apertura
verso le varie forme di religione e i valori che esse contengono, perché in
esse si troverebbero i fondamenti necessari a mantenere in piedi ogni struttura
sociale (compresa quella odierna). Ciò che viene messo tra parentesi - e che è
invece a mio parere di somma importanza - è che il pensiero e la pratica
religiosi presentano una struttura, le cui caratteristiche analizzaremo nel
dettaglio, che si riscontra non solo nella dimensione religiosa vera e propria,
ma anche e soprattutto nella maggior parte delle manifestazioni dell’attuale
ideologia dominante. Da questo punto di vista, a mio parere dobbiamo parlare di
un modo di pensare, che impiega processi mentali individuati dai filosofi, dagli
psicologi, dagli antropologi nelle religioni, e che mi sembrerebbe opportuno
definire “religiosità”. La sua caratteristica principale è quella dell’acriticità
e non il riferimento alla dimensione sovrannaturale, ma storicamente tale
atteggiamento acritico è sempre stato messo in relazione dagli studiosi alle
varie forme religiose susseguitesi nella storia.
Lo studio di tale modo di pensare acritico o “religioso”
è fondamentale, perché il modo di rappresentarsi la realtà sociale (ossia la
coscienza) può spingere gli individui a tentare di cambiarla oppure ad
accettarla acriticamente e con atteggiamento rassegnato.
Per sottolineare il fallimento del modello socialista altri
studiosi sostengono come nei paesi dell’est europeo (prima della loro
dissoluzione e del loro inserimento nella sfera capitalistica) la religione - a
livello individuale - non avrebbe avuto un significativo ridimensionamento,
anche se aveva ormai perso molte delle sue funzioni sociali tradizionali. A me
pare, invece, che le tesi relative ad un ridimensionamento della religione come
istituzione nella società in transizione verso il socialismo (questa è la
definizione più opportuna) non siano state falsificate, e che, se esiste oggi
la possibilità di costruire una forma di società diversa da quella
capitalista, avremo modo (probabilmente non noi direttamente) di verificare la
validità o la non validità di tali tesi. Come sappiamo si tratta di processi
di lunga durata e la disillusione forte derivata da un gravissimo fallimento,
non deve portarci ad una conclusione pessimistica di carattere generale a
proposito dell’affermarsi di una società socialista. E’ fallito un certo
tipo di società, non il socialismo in generale. Credo, tuttavia, che il
sentimento religioso, come desiderio di un appoggio assoluto e incondizionato,
come grido di disperazione sia connaturato alla condizione esistenziale dell’uomo.
Tornando al cosiddetto revival religioso nella società
capitalistica avanzata, esso presenta caratteristiche contraddittorie. Da un
lato, è sicuramente riscontrabile un risveglio di varie forme religiose, che
hanno legami deboli con le religioni tradizionali (il cristianesimo). Dall’altro,
la frammentazione delle manifestazioni religiose mostra una loro intrinseca
debolezza, che impedisce loro di affermarsi come visione complessiva del mondo
propria delle grandi masse.
Come dicevo prima, questo è a mio parere solo un aspetto dei
caratteri e dei contenuti religiosi dell’ideologia dominante, che dobbiamo
analizzare nel suo complesso se vogliamo comprendere a fondo le sue funzioni
socio-politiche. Per procedere in questa direzione è opportuno dare una
definizione più astratta e generale di atteggiamento religioso, così come è
stato descritto dai filosofi e dagli studiosi nel corso dei secoli; allora,
vedremo che esso è onnipervadente, ed in particolare lo ritroveremo nelle
concezioni del mondo relative alla vita quotidiana e proprie soprattutto di quei
gruppi, che sono subordinati dal punto di vista economico sociale. Per il fatto
che gli studiosi nel corso dei secoli hanno riscontrato la persistenza di una
serie di meccanismi mentali nel pensiero cosiddetto spontaneo (ossia non oggetto
di riflessione e critica), secondo alcuni (cfr. Boyer, 1994) tale atteggiamento
avrebbe probabilmente a che fare con certe proprietà della mente. Come vedremo,
tale atteggiamento ha certamente molti aspetti in comune con la magia - così
come la conosciamo dalle molte pratiche e credenze diffuse in tutti i tempi
presso le varie culture e società (compresa quella capitalistica avanzata) -;
su di essa così si esprimeva Plinio il giovane: <<Sulla magia sono d’accordo
in tutto il mondo, benché i diversi popoli siano tra loro discordi e ignoti l’uno
all’altro>>.
Si potrebbero dire molte cose sulle caratteristiche dell’atteggiamento
religioso. Mi limito ad enumerare quattro caratteristiche, che ci consentono di
associare concezioni esplicitamente religiose, a concezioni implicitamente
religiose. In primo luogo, ricordo l’entificazione, ossia la trasformazione di
un sistema di relazioni in un ente, di solito un essere antropomorfico. Ad
esempio, l’Inca è l’incarnazione dell’impero incaico e della sua
strutturazione; analogamente gli eventi disastrosi, che stiamo vivendo, frutto
di una serie di relazioni tra paesi ricchi e paesi poveri e del desiderio di
controllare militarmente ed economicamente il mondo, sono attribuiti alla
supposta azione criminale di pochi individui.
Anche l’Europa di Mastricht, identificata comunemente con
una situazione di pace e di prosperità, nasce da un processo di entificazione,
nel quale sono cancellate le relazioni economico-politiche tra i vari paesi dell’Unione
europea, i rapporti tra le diverse classi sociali in essa presenti e il preciso
disegno economico, sul quale si fonda la costituzione e il funzionamento di
questo organismo politico. Quando tutti questi aspetti vengono portati alla
luce, procedendo alla disarticolazione della nozione “Europa di Mastricht”,
il volto bonario e civile del cosiddetto modello europeo non appare meno crudele
e rapace di quello del modello anglosassone. Considerazioni analoghe si possono
sviluppare sul modo in cui sono presentate al grande pubblico le Borse, spesso
rappresentate come il luogo in cui in maniera quasi automatica si produce la
ricchezza, dando per scontato che sia qualcosa di disponibile per tutti. Si
tratta invece di denaro accapparrato da lobbies finanziarie, che devono la loro
collocazione privilegiata alla strutturazione sociale vigente.
Un’altra comunità illusoria, assai propagandata, è
costituita dalla cosiddetta “democrazia economica”, in base alla quale i
lavoratori condividono la proprietà delle aziende con i loro datori di lavoro,
ricevendo in cambio azioni e una diminuzione dei salari. La democrazia
economica, spacciata per l’organizzazione che mette lavoratore e datore di
lavoro sullo stesso piano, occulta gli svantaggi che essa produce per il primo:
una perdita certa di salario in vista di guadagni incerti. Occulta anche il suo
obiettivo principale: la cancellazione della conflittualità sociale. Molto
probabilmente, infatti, il lavoratore non se la sentirà di scioperare,
bloccando le attività di una fabbrica, di cui detiene qualche azione,
rinunciando da solo a uno strumento che gli darebbe forza nello scontro col suo
datore di lavoro.
Come si è visto, anche qui ci siamo limitati a disarticolare
l’ente (la comunità illusoria) nel complesso di relazioni che lo
costituiscono.
L’entificazione può comportare anche un altro processo
definito dai filosofi naturalizzazione, in base al quale eventi storici e
sociali (ad esempio, lo sciopero) sono presentati come catastrofi naturali,
occultando così il conflitto e la ragioni che provocano il prodursi di questo
fenomeno ed evitandone la contestualizzazione storica (cfr. Barthes, 1974:
130-33).
Il secondo elemento è dato dal cosiddetto inferential gap,
ossia dalla giustapposizione di due eventi o cose, magari sulla base della loro
somiglianza, ma senza che venga stabilita una relazione causale o sviluppata un’argomentazione,
che giustifichi il loro accostamento.
Un buon esempio di questo modo di procedere è dato dalla
magia [1] o dall’astrologia, nella quale senza alcuna
spiegazione e giustificazione sono accostati la configurazione astrale e il
momento della nascita di un certo individuo. In questo caso, la cooccorenza è
intesa come relazione di causa/effetto. Qualcosa di analogo si trova nel senso
comune quando, ad esempio, si collegano senza nessuna giustificazione ed
argomentazione la propria difficile situazione economico-sociale e la politica
governativa (sono tutti ladri, si dice in Italia degli uomini politici).
[2]
Nella tradizione filosofica tale forma di giustapposizione
non argomentata è identificata col misticismo (Platone contrappone proprio in
questo senso il mythos al logos, in quanto discorso argomentato e dimostrato).
Non è necessario ricavare esempi dalle cosiddette religioni primitive, si pensi
ad un qualsiasi film americano, in cui le preferenze del protagonista (per il
gioco, un certa donna, per la giustizia) sono ricondotte ad una scelta
irrazionale e quindi non spiegabile.
Il terzo elemento è dato dalla mancanza di criticità, per
usare le parole dello psicologo J. Piaget, ossia dall’incapacità di
distinguere tra pensiero ed essere, dal non capire che sono io che attribuisco
un significato alle cose e che queste non ne sono dotate intrinsecamente. Il
rito del battesimo è protettivo - e probabilmente lo diventa effettivamente -
perché io credo in questa sua capacità; un certo abito firmato è segno di una
certa appartenenza sociale, perché così lo si giudica in un certo ambiente.
Il quarto elemento lo riscontriamo nel modo di costruire
generalizzazioni, che non sono assimilabili ai concetti scientifici. Queste
generalizzazioni producono sulla base di accostamenti, somiglianze,
assimilazioni quelli che L. S. Vygotskij chiama complessi; ossia un insieme di
elementi messi insieme inconsapevolmente, utilizzando criteri diversi e
focalizzandosi soprattutto sulle qualità percepibili dai sensi. In questo modo
si producono quelle categorie che associano, ad esempio, tutti gli esseri e le
cose che sono collocate in un certo punto cardinale, il colore ad esso
considerato inerente, le piante dotate di certe caratteristiche etc. E’ questo
il pensiero concreto e analogico di cui ci parla C. Lévi-Strauss (1964), e che
egli definisce “scienza del concreto” per le sue capacità conoscitive.
Diversi sono concetti, perché nascono da una precisa esigenza conoscitiva e
dalla volontà consapevole di risolvere un problema; per raggiungere questo
scopo non ci si accontenta della dimensione sensibile, si vanno a cercare
collegamenti più consistenti tra le cose e si procede in maniera sistematica e
rigorosa, evitando contraddizioni. Mentre un concetto raggruppa oggetti in base
al possesso, da parte di questi, di almeno un attributo comune (inclusione in
una classe), i legami che collegano gli elementi del complesso al tutto e fra di
loro possono essere tanto diversi quanto lo sono i contatti e i legami che
questi elementi possono avere fra loro nella realtà. Vygotskij paragona i
complessi alle famiglie, nella quali ciascuna delle molteplici, diverse
relazioni (padre/figli, madre/figli, nonni/nipoti, marito/moglie etc.) è
sufficiente per il bambino per dare a un elemento il nome di famiglia.
Un buon esempio di complesso, e quindi di generalizzazione
mal costruita, si riscontra nel modo in cui comunemente si parla oggi di
democrazia; nozione applicata indiscriminatamenbte a paesi con ordinamenti
profondamente diversi (Francia, Usa, Israele, India etc.) e in cui, in molti
casi, la consistenza dell’astensione dal voto fa sì che i governanti siano
eletti solo da una piccola parte della popolazione. Per questa ragione, in tutte
queste situazioni, viene a mancare proprio uno dei requisiti fondamentali della
cosiddetta democrazia rappresentativa: i governanti non rappresentano in maniera
compiuta il popolo. Se pertanto volessimo essere conseguenti sul piano logico,
nonostante gli artifici retorici usati dai mass media, in tali contesti non si
deve assolutamente parlare di democrazia.
Ho indicato quattro processi mentali che - a mio parere -
riscontriamo nelle varie manifestazioni religiose, ma anche in quello che i
filosofi chiamano senso comune, pensiero spontaneo, pensiero non critico e non
autocritico e che contrappongono al sapere critico, argomentato e dimostrato.
Nella mia opinione, esso caratterizza la coscienza delle masse nella società
capitalistica avanzata, sia nella sua forma religiosa, che nella forma
criptoreligiosa, che si manifesta nel modo di interpretare la realtà sociale,
impedendone un comprensione effettiva.
2. Un esempio: il fanatismo delle nuove religioni, cioé
religiosità come acriticità
Le caratteristiche delle nuove manifestazioni religiose nella
società capitalistica avanzata ci fanno capire il perché della loro
diffusione. In primo luogo, esse forniscono una concezione onnicomprensiva della
realtà (ad esempio, in termini di energia intesa come realtà psico-fisica
misticizzante), spiegano il perché degli eventi positivi e di quelli negativi,
attribuiscono un ruolo agli individui, li inseriscono in piccole comunità meno
disumane dell’anonimato, in cui si vive nelle grandi città. Nascono da una
visione, in qualche misura paranoica, della realtà - come quella che si
riscontra nella stregoneria, secondo la quale ogni cosa negativa che mi accade
deve avere un responsabile. Tale paranoia è sollecitata dalla reale
interconnessione del mondo attuale: ciò che capita a Singapore può avere
ripercussioni a Milano (si pensi al mercato borsistico); per cui anche nella
solitudine della nostra casa possiamo essere travolti da qualque evento malefico
inatteso. Inoltre, queste religioni hanno elaborato una concezione completamente
diversa di salvezza. Non si tratta più di salvezza nell’altro mondo, si
tratta piuttosto di raggiungere un equilibrio psico-fisico soddisfacente in
questo mondo, per evitare la sofferenza e superare i traumi. Ciò predicano
raggruppamenti parareligiosi come scientology, new age, neosciamanismo,
umanesimo del sesso, movimenti del potenziale umano etc. E’ interessante che
in molti casi gli obiettivi su indicati sono raggiunti con una strana mescolanza
di motivi scientifici (fisica, psicologia e religione). Queste forme religiose
assolvono dunque una funzione magico-terapeutica, che in molti casi dà un
sollievo reale a una serie di problemi psicologici, che non avrebbero alcuna
soluzione. Sono una sorta di psicoanalisi, che non richiede l’impegno
psicologico e finanziario di una vera e propria psicoterapia.
Mi interessa sottolineare che tutte le nuove forme di
religiosità, ma anche le vecchie, sono caratterizzate dall’uso di quei
quattro meccanismi mentali, che ho cercato di illustrare sulla base della
tradizione filosofica, sociologica ed antropologica.
Mi limiterò a fare qualche esempio, perché dell’inferential
gap parlerò successivamente quando mi soffermerò sullo studio sociopsicologico
di Adorno (1985) sull’astrologia statunitense.
Ad esempio, il fanatismo, che caratterizza molti di questi
nuovi movimenti, scaturisce proprio dalla mancanza della consapevolezza che
esiste una netta distinzione tra il nostro modo di descrivere le cose e l’effettiva
realtà di esse. Con questo non voglio ricadere nel totale relativismo, ma
ribadire che pensare è un’attiva creativa e non meramente riproduttiva, che
per essere efficace deve sottoporsi a certe regole. D’altra parte, il non
distinguere il pensiero dalla realtà e quindi non analizzarlo criticamente in
quanto tale produce quegli insiemi eterogenei e disgregati, che Gramsci (1952:
cap. VI) identificava col folclore e contrapponeva all’ideologia delle classi
dominanti.
[1] Ad esempio, nei riti magici l’oro è associato all’itterizia, perché
entrambi sono gialli. Per questa somiglianza l’oro potrebbe far scomparire le
cause di questo sintomo.
[2] Naturalmente il vuoto inferenziale è presente in tutte le religioni, in
quanto il riferimento al sovrannaturale non è mai giustificato logicamente né
verificabile fattualmente.