PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE - Istituzione del Reddito Sociale Minimo 
                      
                     
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Art. 1) Requisiti soggettivi di accesso
1. E’ prevista la corresponsione di un reddito sociale 
  minimo in favore dei soggetti in possesso dei seguenti requisiti:
 
a) residenza nel nostro paese da almeno due anni;
b) iscrizione alle liste di collocamento da almeno un anno.
 2. Il reddito sociale minimo verrà corrisposto dal 
  Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, per il tramite degli Uffici 
  Provinciali del Lavoro e della Massima Occupazione.
 3. Presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza 
  Sociale viene istituito l’Ufficio Centrale per il rilevamento dello stato 
  di disoccupazione e per l’erogazione del reddito sociale minimo, con specifici 
  compiti di coordinamento dell’attività degli Uffici Provinciali del Lavoro e 
  della Massima Occupazione, come da regolamento ministeriale da adottarsi entro 
  il termine di giorni novanta dall’approvazione della presente legge.
 
Art. 2) Entità del reddito sociale minimo
1. L’entità del reddito sociale minimo da corrispondere 
  annualmente a ciascun soggetto in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 è 
  di dodici milioni di lire.
 2. La somma indicata non è sottoposta ad alcuna forma 
  di tassazione.
 
Art. 3) Calcolo ai fini pensionistici del reddito sociale minimo
1. Il periodo di fruizione del reddito sociale minimo 
  va calcolato ai fini pensionistici, con i criteri e le modalità che saranno 
  indicate nel Decreto legislativo che il Governo è delegato ad adottare nel termine 
  di giorni novanta dall’approvazione della presente legge.
 
Art.4) Rivalutazione del reddito sociale minimo
1. L’importo sopra indicato va rivalutato annualmente 
  sulla base degli indici I.S.T.A.T. del costo della vita.
 
Art.5) Riduzione del reddito sociale minimo
1. L’importo indicato all’art.2 sarà ridotto della metà 
  per i soggetti che svolgono attività lavorative da cui si consegue un reddito 
  inferiore all’ammontare del reddito sociale minimo.
 
Art.6) Sanzioni amministrative
1. E’ prevista per il datore di lavoro in caso di mancata 
  attestazione della esistenza del rapporto di lavoro intercorrente con il soggetto 
  che fruisce del reddito sociale minimo una sanzione amministrativa, da comminarsi 
  a seguito del procedimento di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 24 
  novembre 1981 n. 689, e pari all’ammontare delle somme che il soggetto avrebbe 
  dovuto percepire quale corrispettivo del lavoro svolto, con riferimento ai minimi 
  previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria.
 
Art.7) Decadenza
1. Si prevede in ogni caso la decadenza dal diritto 
  di percepire il reddito sociale minimo nell’ipotesi in cui il lavoratore ottenga 
  un lavoro a tempo pieno o nell’ipotesi in cui immotivatamente lo rifiuti.
 
Art. 8) Tariffe sociali nei servizi essenziali
1. Si prevede in favore dei soggetti titolari del diritto 
  al reddito sociale minimo, anche nell’ipotesi di riduzione di cui 5, la gratuità 
  dell’accesso ai trasporti urbani ed al servizio sanitario, nonché l’esclusione 
  di ogni onere per l’iscrizione e la partecipazione a corsi ed esami di formazione 
  professionale e di istruzione, anche di grado universitario.
 2. E’ previsto altresì per gli stessi soggetti il dimezzamento 
  dei costi delle utenze relative alle forniture di gas e acqua, e la determinazione 
  di una tariffa sociale con riferimento al servizio di elettricità e di telefonia 
  fissa attraverso il versamento delle relative quote ai soggetti erogatori del 
  servizio, da determinarsi da parte dal Governo con decreto legislativo che sarà 
  adottato nel termine di giorni novanta dall’approvazione della presente legge.
 3. Per gli stessi soggetti è previsto un canone sociale 
  per l’utilizzo degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, da prevedersi 
  a mezzo di legge regionale.
 4. Accedono ai benefici previsti dal presente articolo 
  anche i soggetti titolari di pensioni sociali e minime nonché i componenti di 
  nuclei familiari con reddito imponibile annuo non superiore a trentacinque milioni 
  di lire.
 
Art. 9) Copertura finanziaria
1. Per la copertura finanziaria nel primo anno di applicazione 
  della legge si prevede una imposta straordinaria, denominata  labor tax, 
  consistente in una addizionale una tantum del 2.5% sulla tassazione dei redditi 
  di impresa.
 2. Per la copertura in via definitiva degli oneri derivanti 
  dall’erogazione del reddito sociale minimo si prevede:
 
a) l’incremento dell’aliquota di imposizione sugli interessi 
  derivanti da titoli pubblici ed equiparati dal 12.5 al 30 per cento, prevedendo 
  comunque per i possessori di titoli pubblici ed equiparati la possibilità di 
  optare per l’indicazione nella dichiarazione annuale dei relativi interessi 
  ed altri proventi percepiti e dell’ammontare dei titoli pubblici ed equiparati 
  posseduti, ai fini dell’applicazione di un’aliquota di imposta del 12.5 per 
  cento sui redditi riferiti ad un valore complessivo di titoli posseduti non 
  superiore a duecentocinquanta milioni di lire, e del 25 per cento sui redditi 
  riferiti alla parte del valore dei titoli che eccede i duecentocinquanta milioni 
  di lire. In tali casi l’imposta viene applicata a titolo non definitivo e la 
  tassazione è soggetta a conguaglio in sede di dichiarazione dei redditi ;
b) la tassazione dell’incremento di valore di titoli azionari 
  (IN.VA.T.A.), ovvero del guadagno in conto capitale, con previsione di una aliquota 
  di imposta del trenta per cento ;
c) l’inserimento nella dichiarazione annuale dei redditi di 
  ogni reddito da capitale, ai fini dell’applicazione delle imposte dirette; a 
  tal fine anche le aliquote e le ritenute sui redditi da capitale saranno accorpate 
  su un unico livello corrispondente al trenta per cento;
d) la tassazione dei trasferimenti di valuta all’estero, con 
  previsione di una aliquota dell’1,8 per cento;
e) l’introduzione di una tassa sull’innovazione tecnologica 
  che produce decremento occupazionale, consistente in una addizionale del tre 
  per cento sull’ I.V.A..
 
 
INTERVENTO di LUCIANO VASAPOLLO
 
 
Docente di Statistica Aziendale (DIP) e di
Economia Aziendale della facoltà di Scienze Statistiche,
Università “La Sapienza”, Roma;
Direttore Scientifico Centro Studi Trasformazioni
Economico-Sociali (CESTES-PROTEO)
 
I processi di ristrutturazione capitalistica
e le nuove soggettualità sociali
 
I risultati macroeconomici evidenziati in questi ultimi anni 
  hanno cominciato a mettere in discussione in maniera chiara e definitiva quello 
  che continua a configurarsi come un vero e proprio dogma socio-economico; una 
  modalità dello sviluppo fondato su nuovi modelli decisori liberisti che puntano 
  su investimenti finanziari scollegati dall’evoluzione dei processi produttivi 
  reali e che seguono esclusivamente una logica speculativa attuando percorsi 
  contrapposti agli interessi collettivi. Infatti i processi e le scelte di  
  finanziarizzazione dell’economia perseguono semplicemente la loro 
  logica interna tendente alla massimizzazione dei profitti complessivi, attraverso 
  incrementi di dividendi, interessi e capital gain.
In tal modo si sono determinate le condizioni di contrazione 
  degli investimenti produttivi, percorsi negativi dell’economia reale, provocando 
  così alta disoccupazione strutturale e incremento dei costi sociali in genere. 
  Questo è il vero significato della globalizzazione; una globalizzazione 
  dei mercati finanziari in cui ha buon gioco solo la libertà assoluta dei movimenti 
  di capitale a danno del lavoro, con invece i movimenti delle persone sempre 
  più sottoposti a controlli e limitazioni che portano ad intensi fenomeni spesso 
  a connotati razziali.
Tutto ciò è dovuto da una particolare fase di ristrutturazione 
  e ridefinizione del modello capitalistico internazionale che vede anche in Italia 
  il diffondersi di mutamenti nelle dinamiche evolutive dello sviluppo sociale, 
  politico ed economico. Infatti nel nostro Paese l’attuale assetto politico e 
  i progetti di riforma del Welfare State, del sistema elettorale, della forma 
  di Stato, della Costituzione, trovano il loro punto di riferimento sul piano 
  della ristrutturazione produttiva legata alle prospettive del modello di sviluppo 
  neo-liberista. E’ in tale contesto che lo Stato Sociale si trasforma in Stato-Impresa, 
  che assume come centrale la logica di mercato, la salvaguardia e l’incremento 
  del profitto, trasforma i diritti sociali in elargizioni di beneficenza, effettua 
  comunicazione sociale che fa assumere il profitto, la flessibilità, la produttività 
  come nuove forme di “divinità sociale”, come la filosofia ispiratrice 
  dell’unico modello di sviluppo possibile. Si realizza così il passaggio definitivo 
  dallo Stato sociale della cittadinanza al Profit State del consociativismo 
  neo-liberista! Modello, questo, basato come sempre sull’intensificazione dei 
  processi di accumulazione, poi sulle riforme istituzionali in modo da piegare 
  i nuovi bisogni sociali alle esigenze di conservazione politica e di compatibilità 
  con i processi di ristrutturazione d’impresa, e più in generale del capitale.
Continua, infatti, la tendenza del nostro assetto produttivo 
  ad un evidente diminuito peso dell’agricoltura, a più o meno evidenti processi 
  di deindustrializzazione, accompagnati da una forzata terziarizzazione, spesso 
  favorita da processi di esternalizzazione di fasi del processo produttivo che 
  trovano sviluppo e redditività a partire dall’espulsione di manodopera, da un 
  mercato del lavoro deregolamentato che produce lavoro nero, precarizzazione, 
  sottoccupazione, lavoro sottopagato, atipico, disoccupazione ufficiale ed occulta, 
  fino a provocare nuove povertà, forme sempre più evidenti di emarginazione economica 
  e sociale.
L’aspetto territoriale assume un ruolo sempre più determinante 
  con il passaggio da una produzione di massa, concentrata, ad una di tipo flessibile 
  e diffusa basata nel contempo sulla mobilità, flessibilità e precarizzazione 
  della forza lavoro. Il superamento dell’era fordista pone il nostro Paese in 
  una fase di ridefinizione del capitalismo con caratteri post-industriali superando 
  nei fatti le logiche interpretative di tipo  industrialista ed “operaista”, 
  per passare ad una gerarchizzazione dei modelli dello sviluppo basata principalmente 
  sulle modalità di trasformazione sociale ed economica che vedono emergere sempre 
  più nuove soggettualità non garantite.
E’ infatti in atto un intenso processo di territorializzazione 
  dell’economia spiegabile non soltanto da fenomeni di ristrutturazione e riconversione 
  che interessano l’industria ma che sta mutando lo stesso modo di presentarsi 
  del modello di sviluppo capitalistico. Si afferma una diversa logica economico-produttiva, 
  quella di una “nuova fabbrica sociale nel territorio”, sempre più diversificata 
  rispetto ai precedenti processi produttivi, in particolare quelli di tipo industriale.
E’ in tale chiave che va letta la grande importanza che viene 
  attribuita al nuovo concetto di distretto industriale, il quale ha una 
  forte specificità, una propria dimensione socio-economico e territoriale, definita 
  in funzione delle relazioni di coercizione comportamentale complessiva 
  che si instaurano tra imprese e comunità locale e una specifica forzata capacità 
  autocontenitiva in relazione a domanda e offerta di lavoro realizzata tramite 
  marginalizzazione, precarizzazione ed espulsione dei soggetti economici e produttivi 
  non compatibili.
Il risultato più immediato è l’aumento della disoccupazione 
  che si va trasformando in strutturale, incrementando la schiera dei precari, 
  dei marginali, degli emarginati, dei disoccupati “invisibili”, non ufficiali, 
  precarizzando la qualità della vita di chi con tale sistema non riesce ad emergere 
  ed arricchirsi, rendendo così marginali ed emarginati non solo le  soggettualità 
  del lavoro negato ma anche schiere sempre più folte di soggetti economici 
  del lavoro; si pensi ai lavoratori del pubblico impiego, agli artigiani, ai 
  piccoli commercianti, ai lavoratori precari, ai sottoccupati, alle sempre più 
  folte masse di disoccupati palesi, o più o meno invisibili, fino a giungere 
  alle aree sempre più fitte di espulsione e completa emarginazione produttiva, 
  reddituale e sociale.
E’ in quest’ottica che vanno interpretate le linee di riqualificazione 
  dell’attuale modello di sviluppo che continuamente propone  nuove attività 
  economiche quasi sempre a carattere terziario,  ufficiale e atipico 
  non regolamentato. Un terziario che sempre più identifica 
  e si identifica in nuovi soggetti sociali, che tende a caratterizzarsi 
  anche con forme di lavoro a sempre più alto contenuto di precarizzazione e di 
  flessibilità del lavoro e del salario; con falsi processi di crescita imprenditoriale 
  che spesso nascondono gli incrementi di disoccupazione, la esternalizzazione 
  di commesse, soprattutto di servizi, appaltate ad ex dipendenti licenziati e 
  costretti, per realizzare un reddito, a “mettersi in proprio”, con false promesse 
  di ottenere lavori dall’impresa madre, per poi chiudere presto l’avventura di 
  “nuovi imprenditori”.
Questi sono gli incrementi di imprenditorialità di cui parlano 
  le statistiche ufficiali, causati soprattutto dallo spropositato aumento di 
  “partite IVA”, che ormai superano ampiamente i sette milioni di iscrizioni, 
  e che altro non sono che “ditte individuali”, le quali rappresentano il cosiddetto 
  lavoro autonomo di seconda generazione. Si tratta nella maggior 
  parte dei casi di ex lavoratori dipendenti di fatto precarizzati, non più garantiti 
  nella continuità del lavoro , espulsi dall’impresa madre e assoggettati a una 
  nuova forma di lavoro a cottimo, fuori dalle garanzie normative e retribuite 
  del lavoro dipendente. Si tratta di una nuova forma di lavoro subordinato, privo 
  di normativa, un supersfruttamento a cottimo, con la mancanza assoluta di garanzie 
  retributive, normative, sociali e assicurative.
In tale contesto le varie nuove forme di collaborazione a connotato 
  cooperativo e concertativo, che hanno solo portato alla compressione dei diritti 
  sindacali acquisiti con lunghe stagioni di lotte operaie, acutizzando peraltro 
  gli svantaggi sociali dello sviluppo, realizzano un  blocco sociale fondato 
  su un nuovo modello consociativo incentrato su relazioni industriali esclusivamente 
  finalizzate alla performance d’impresa e alla rottura della solidarietà 
  ed unità dei lavoratori che trova la sua realizzazione attraverso modelli comunicazionali 
  che attraversano e condizionano i comportamenti dell’intero corpo sociale.
Si è in una fase, dunque, di passaggio epocale nella trasformazione 
  delle modalità di sviluppo nel nostro Paese; una fase in cui, si stanno velocemente 
  affacciando sulla scena economico-sociale nuove soggettualità, nuove povertà 
  e quindi nuove figure da riaggregare in un progetto di ricomposizione e organizzazione 
  del dissenso sociale. Un profondo processo di trasformazione di questo tipo 
  deve necessariamente portare a riconsiderare le vecchie categorie economiche 
  e sociali, le politiche economiche ormai di stampo antico perché superate dall’evoluzione 
  dei tempi, e le stesse ipotesi di intervento per un progetto di antagonismo, 
  di alternativa, di fuoriuscita dal capitalismo.