Se è comprensibile, se non legittima talvolta, l’istintiva
repulsione che molti provano nei confronti dei “lambiccamenti” cerebrali dei
teorici, è pur vero che senza consapevolezza delle categorie che si utilizzano
non si fa molta strada. Il senso di molti termini impiegati nel linguaggio
quotidiano è “noto” a chi li usa; ciò non significa però che ci sia una
piena consapevolezza del significato “filosofico” insito nel linguaggio:
molte parole “quotidiane” hanno un retroterra storico-culturale che
riconduce implicitamente od esplicitamente ad una determinata concezione del
mondo e quindi ad una egemonia culturale di classe. Il significato di una certa
parola dunque, soprattutto se centrale nella definizione della realtà che ci
circonda, ha un notevole peso “culturale” e “politico”, maggiore di
quanto si potrebbe credere. [1]
Nelle righe che seguono intendo dedicare una piccola
riflessione al termine “storia”. È infatti bene o male noto a tutti che
secondo Marx il metodo di produzione capitalistico è “storico”; ma che cosa
significa effettivamente questa affermazione? Difatti, dicendo semplicemente che
il capitalismo è “storico” non si distingue tra una teoria che spiega il
modo in cui i fatti avvengono implicando una “dimensione temporale determinata”
e la “narrazione” di ciò che è accaduto nel passato. [2] La storicità del modo di produzione capitalistico
può quindi avere due sensi: se storia significa solamente narrazione dell’avvenimento,
allora Il capitale è storico al senso della descrizione, parla della
situazione degli operai nell’industria del diciannovesimo secolo e del
capitalismo di quegli anni. In questo caso storicità non significherebbe
genericamente che caducità : ciò che esisteva ieri, non esiste più oggi e
sarà differente domani. Ma si finisce allora per affermare la banalità che
tutto cambia; secondo quest’interpretazione non abbiamo il “tempo del
capitale”, ma una descrizione del “capitalismo nel tempo”, dove si è
presupposto tuttavia sia il concetto di Capitalismo che quello di Tempo.
Concepita in questa maniera la storicità del modo di produzione capitalistico, Il
capitale oggi non serve più a niente, perché non parla del mondo
contemporaneo ma di un periodo finito e (quasi) dimenticato.
Diversa pare però l’intenzione di Marx; egli si riferisce
piuttosto all’altro senso del concetto di storia, alla determinazione
teoretica del come e del perché certi fenomeni avvengono in un certo modo. Nel Capitale
ci sono certamente delle descrizioni storiche nel senso della narrazione, ma
non consiste in ciò la sua storicità determinata. Marx cerca di individuare
piuttosto le leggi fondamentali in base a cui certi fenomeni e certe tendenze si
realizzano; questa costruzione teoretica ci dice che il modo di produzione
capitalistico è “storico” perché è strutturato in modo tale da avere un
principio ed una fine; lo svolgimento da un punto all’altro è la sua storia,
esso non è nel tempo, ma il tempo è il suo, consiste delle fasi
del suo svolgimento. Per essere ancora più precisi esso è storico
perché alla fine giunge non solo a porre come risultato proprio quelli
che all’inizio erano i presupposti esterni, ma anche a mettere in crisi
il meccanismo di funzionamento in base al quale si è potuto sviluppare. Detto
schematicamente: 1) i suoi esiti “epocali” sono raggiunti grazie a delle
leggi determinate (tali esiti sono l’acquisizione di una produttività del
lavoro illimitata, l’integrazione progressiva di tutta l’umanità in un
processo di riproduzione unitario, lo svincolamento della produzione dal
soddisfacimento del bisogno necessario e la possibilità quindi di porre scopi
alternativi); 2) una volta però che tali risultati sono stati ottenuti, il
modello non può più agire progressivamente, perché quelle stesse leggi che
hanno consentito la realizzazione adesso diventano di intralcio. 3) Per questo
motivo dunque quello del capitale è un “periodo finito”, perché le sue
leggi sorgono, si sviluppano e portano a conclusioni che le negano, le superano.
Esse valgono solo per un tempo determinato.
Esemplificando in base alla teoria marxiana: abbiamo un
modello teorico in cui la produzione di merci, basata sul valore e sulla
valorizzazione si estende a tutto il mondo, lo integra in un processo unitario
generalizzando determinate condizioni che divengono, nel bene e nel male,
patrimonio dell’umanità intera. Ciò permette di instaurare una straordinaria
produttività del lavoro che non ha precedenti nella storia dell’umanità;
essa rappresenta il “contenuto materiale” del processo e si è sviluppata in
questo modo straordinario grazie alla sua forma capitalistica (in questo
senso quindi il capitalismo svolge una funzione progressiva!). Ad un certo punto
però questa forma non solo non è più in grado di garantirne un ulteriore
sviluppo ma frena essa stessa la produttività già disponibile ancorando il
potentissimo processo di produzione di effetti utili alla valorizzazione del
capitale che avviene sempre con maggiore difficoltà. [3] La crisi di
sovrapproduzione è la forma in cui questa contraddizione si manifesta
ciclicamente. [4]
2. - Stando così le cose si possono allargare almeno a
tre i significati del concetto di “storia” :
1) il modello del modo di produzione capitalistico ha una
storicità logica immanente, determinata dallo svolgimento della dialettica di
valore/valore d’uso, dunque ha un principio ed una fine che non coincidono
con gli avvenimenti dei differenti capitalismi empirici, passati, presenti o
prossimi. È storico perché ha un tempo interno. Questo concetto di storia
corrisponde in verità alla storicità interna al sistema, alla sua dinamica
“logica” di autosuperamento (il che ci dà un’indicazione solo di
massima sulle dinamiche reali, per pensare le quali bisogna scendere ad un
livello di astrazione più basso, è cioè necessario includere nella teoria
analisi più dettagliate che non riguardano il modo di produzione
capitalistico come tale, ma “i” capitalismi determinati empiricamente,
geograficamente e via dicendo. Al livello della teoria del Capitale si
possono prevedere solo le linee di tendenza di lunghissimo periodo che, se si
considera quanto tempo fa Marx scrisse, sono state sostanzialmente confermate
dagli sviluppi empirici). Una variante di questa prima storicità logica è la
seguente: poiché il modello teorico del modo di produzione capitalistico
implica un “inizio” ed una “fine”, al momento della sua genesi esso
trova delle condizioni che non corrispondono al suo funzionamento vero e
proprio. Ad un certo livello di sviluppo tuttavia questi presupposti vengono
realizzati, riprodotti dallo stesso capitale che quindi inizia a muoversi
sulle sue gambe; comincia qui una nuova fase interna allo stesso capitale. La
logica specifica di questa fase di adeguamento (che possiamo chiamare Logica 2
per distinguerla da quella generale) può essere esposta coerentemente; [5]
2) una volta che si è determinato che il modo di
produzione capitalistico ha un inizio ed una fine, se ne deduce che esso abbia
anche un prima ed un dopo. C’è quindi una storia generale del processo
lavorativo di cui la fase capitalistica è una forma specifica di
realizzazione che rimanda ad un “prima”, in cui si sono formate le
precondizioni del modo di produzione capitalistico stesso, e ad un “dopo”
in cui gli esiti del modo di produzione capitalistico saranno a loro volta
precondizioni (ciò non significa che i passaggi siano automatici, ciascuna
fase pone però la possibilità della successiva);
3) tutte queste determinazioni logiche mettono a
disposizione un concetto di storia che consente la ricerca del modo attraverso
cui certe categorie si sono sviluppate empiricamente o fattualmente. Quando si
sa ciò che cosa significa “capitalismo”, quali sono i suoi presupposti,
ecc., si può fare della ricerca storiografica. È la storia degli storici.
3. - Da ciò che si è detto si può stabilire che:
1) la teoria marxiana studia quelle che ho chiamato Logica
1 e Logica 2 del modo di produzione capitalistico;
2) ciò permette di pensare il modo di produzione
capitalistico come un momento della storia generale della riproduzione umana;
3) la teoria marxiana non è una descrizione del
capitalismo del diciannovesimo secolo o del capitalismo inglese, ecc. Le
descrizioni nel Capitale sono esempi empirici di leggi logiche.
Quando si parla del modo di produzione capitalistico come
fase storica della riproduzione umana nella natura si deve intendere allora una
temporalità di tipo logico: questo significa “storicità”. Il rapporto tra
modelli teorici e realtà non è immediato: per scendere a livelli di astrazione
in cui si possa parlare di “capitalismi “ (italiano, francese, del
diciannovesimo secolo, del ventesimo secolo, ecc.) sono necessarie ulteriori
elaborazioni che, come tali, non possono essere dedotte meccanicamente dal
concetto generale del capitale. Soprattutto se ci si avvicina al problema con
finalità politiche bisogna tener conto di fattori empirici e contingenti oltre
che di contestualizzazioni determinate legate alle vicende particolari dell’oggetto
di indagine che si è scelto, che una teoria generale non può affrontare. Un
compito teorico/politico per l’attualità consiste proprio, a mio parere, nel
colmare lo scarto fra queste due dimensioni, per scendere dall’astratta teoria
marxiana del modo di produzione capitalistico con la sua temporalità specifica,
ai capitalismi attuali nelle loro dinamiche determinate.
Bibliografia
Diaz, F. (1956), Storicismi e storicità, Firenze
Gramsci, A. (1975), Quaderni del carcere, Torino,
Einaudi
Fineschi, R. (2001), Ripartire da Marx. Processo storico
ed economia politica nella teoria del “capitale”, Napoli, La città
del sole - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Fineschi, R. (2003), Per una rilettura della sussunzione
del lavoro sotto il capitale in “Proteo” 2003/1, pp. 70-73
Hegel, G.W.F. (1995), Vorlesungen über die Philosophie
der Geschichte, 4a ed. Francoforte sul Meno, Suhrkamp
Labriola, A. (1977), Storia, filosofia della storia,
sociologia e materialismo storico, in Saggi sul materialismo storico,
Roma, Editori Riuniti
Luporini, C. (1974), Dialettica e materialismo,
Roma, Editori Riuniti
Mazzone, A. (1987), La temporalità specifica del modo
di produzione capitalistico, in: Marx ed i suoi critici, a cura di
L. Sichirollo, D. Losurdo e G. M. Cazzaniga, Urbino, Quattroventi.
[1] Riecheggiano qui alcuni concetti desunti dai
quaderni gramsciani: cfr. Gramsci, 1975: 1375ss.
[2] Già Antonio
Labriola mise in evidenza a suo tempo che col termine “storia” si indicano
due differenti concetti (cfr. Labriola, 1977: 320ss.). Questa distinzione, anche
se con un giudizio di valore diverso da quello di Labriola, era già in Hegel
(cfr. Hegel, 1995: 83).
[3] Questo perché da una
parte essa è basata sullo sfruttamento del lavoro vivo che è quindi
imprescindibile al processo di valorizzazione, mentre dall’altra tende
progressivamente ad estrometterlo dal processo lavorativo.
[4] Sull’argomento cfr. Mazzone 1987. Ho personalmente affrontato
in modo più organico la questione della dinamica interna del capitale in
Fineschi 2001 al quale mi permetto di rimandare. Per la distinzione fra “storicismo”
e “storicità” vedi Diaz, 1956 e Luporini, 1974.
[5] Ho
cercato di ricostruire il funzionamento di questa “seconda” logica
subordinata alla prima nel mio articolo uscito sul numero di Proteo 2003/1
dedicato alla sussunzione del lavoro sotto il capitale (Fineschi 2003).