Rubrica
Teoria e storia del movimento operaio

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Roberto Fineschi
Articoli pubblicati
per Proteo (2)

Dottorando all’Univ. degli Studi di Palermo

Argomenti correlati

Capitalismo

Marxismo

Nella stessa rubrica

Classi e lotta di classe dopo la “crisi del marxismo”?
Alessandro Mazzone

La storia del “capitale”
Roberto Fineschi

 

Tutti gli articoli della rubrica "Teoria e storia del movimento operaio"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

La storia del “capitale”

Roberto Fineschi

Formato per la stampa
Stampa

Se è comprensibile, se non legittima talvolta, l’istintiva repulsione che molti provano nei confronti dei “lambiccamenti” cerebrali dei teorici, è pur vero che senza consapevolezza delle categorie che si utilizzano non si fa molta strada. Il senso di molti termini impiegati nel linguaggio quotidiano è “noto” a chi li usa; ciò non significa però che ci sia una piena consapevolezza del significato “filosofico” insito nel linguaggio: molte parole “quotidiane” hanno un retroterra storico-culturale che riconduce implicitamente od esplicitamente ad una determinata concezione del mondo e quindi ad una egemonia culturale di classe. Il significato di una certa parola dunque, soprattutto se centrale nella definizione della realtà che ci circonda, ha un notevole peso “culturale” e “politico”, maggiore di quanto si potrebbe credere. [1]

Nelle righe che seguono intendo dedicare una piccola riflessione al termine “storia”. È infatti bene o male noto a tutti che secondo Marx il metodo di produzione capitalistico è “storico”; ma che cosa significa effettivamente questa affermazione? Difatti, dicendo semplicemente che il capitalismo è “storico” non si distingue tra una teoria che spiega il modo in cui i fatti avvengono implicando una “dimensione temporale determinata” e la “narrazione” di ciò che è accaduto nel passato. [2] La storicità del modo di produzione capitalistico può quindi avere due sensi: se storia significa solamente narrazione dell’avvenimento, allora Il capitale è storico al senso della descrizione, parla della situazione degli operai nell’industria del diciannovesimo secolo e del capitalismo di quegli anni. In questo caso storicità non significherebbe genericamente che caducità : ciò che esisteva ieri, non esiste più oggi e sarà differente domani. Ma si finisce allora per affermare la banalità che tutto cambia; secondo quest’interpretazione non abbiamo il “tempo del capitale”, ma una descrizione del “capitalismo nel tempo”, dove si è presupposto tuttavia sia il concetto di Capitalismo che quello di Tempo. Concepita in questa maniera la storicità del modo di produzione capitalistico, Il capitale oggi non serve più a niente, perché non parla del mondo contemporaneo ma di un periodo finito e (quasi) dimenticato.

Diversa pare però l’intenzione di Marx; egli si riferisce piuttosto all’altro senso del concetto di storia, alla determinazione teoretica del come e del perché certi fenomeni avvengono in un certo modo. Nel Capitale ci sono certamente delle descrizioni storiche nel senso della narrazione, ma non consiste in ciò la sua storicità determinata. Marx cerca di individuare piuttosto le leggi fondamentali in base a cui certi fenomeni e certe tendenze si realizzano; questa costruzione teoretica ci dice che il modo di produzione capitalistico è “storico” perché è strutturato in modo tale da avere un principio ed una fine; lo svolgimento da un punto all’altro è la sua storia, esso non è nel tempo, ma il tempo è il suo, consiste delle fasi del suo svolgimento. Per essere ancora più precisi esso è storico perché alla fine giunge non solo a porre come risultato proprio quelli che all’inizio erano i presupposti esterni, ma anche a mettere in crisi il meccanismo di funzionamento in base al quale si è potuto sviluppare. Detto schematicamente: 1) i suoi esiti “epocali” sono raggiunti grazie a delle leggi determinate (tali esiti sono l’acquisizione di una produttività del lavoro illimitata, l’integrazione progressiva di tutta l’umanità in un processo di riproduzione unitario, lo svincolamento della produzione dal soddisfacimento del bisogno necessario e la possibilità quindi di porre scopi alternativi); 2) una volta però che tali risultati sono stati ottenuti, il modello non può più agire progressivamente, perché quelle stesse leggi che hanno consentito la realizzazione adesso diventano di intralcio. 3) Per questo motivo dunque quello del capitale è un “periodo finito”, perché le sue leggi sorgono, si sviluppano e portano a conclusioni che le negano, le superano. Esse valgono solo per un tempo determinato.

Esemplificando in base alla teoria marxiana: abbiamo un modello teorico in cui la produzione di merci, basata sul valore e sulla valorizzazione si estende a tutto il mondo, lo integra in un processo unitario generalizzando determinate condizioni che divengono, nel bene e nel male, patrimonio dell’umanità intera. Ciò permette di instaurare una straordinaria produttività del lavoro che non ha precedenti nella storia dell’umanità; essa rappresenta il “contenuto materiale” del processo e si è sviluppata in questo modo straordinario grazie alla sua forma capitalistica (in questo senso quindi il capitalismo svolge una funzione progressiva!). Ad un certo punto però questa forma non solo non è più in grado di garantirne un ulteriore sviluppo ma frena essa stessa la produttività già disponibile ancorando il potentissimo processo di produzione di effetti utili alla valorizzazione del capitale che avviene sempre con maggiore difficoltà. [3] La crisi di sovrapproduzione è la forma in cui questa contraddizione si manifesta ciclicamente. [4]

 

2. - Stando così le cose si possono allargare almeno a tre i significati del concetto di “storia” :

1) il modello del modo di produzione capitalistico ha una storicità logica immanente, determinata dallo svolgimento della dialettica di valore/valore d’uso, dunque ha un principio ed una fine che non coincidono con gli avvenimenti dei differenti capitalismi empirici, passati, presenti o prossimi. È storico perché ha un tempo interno. Questo concetto di storia corrisponde in verità alla storicità interna al sistema, alla sua dinamica “logica” di autosuperamento (il che ci dà un’indicazione solo di massima sulle dinamiche reali, per pensare le quali bisogna scendere ad un livello di astrazione più basso, è cioè necessario includere nella teoria analisi più dettagliate che non riguardano il modo di produzione capitalistico come tale, ma “i” capitalismi determinati empiricamente, geograficamente e via dicendo. Al livello della teoria del Capitale si possono prevedere solo le linee di tendenza di lunghissimo periodo che, se si considera quanto tempo fa Marx scrisse, sono state sostanzialmente confermate dagli sviluppi empirici). Una variante di questa prima storicità logica è la seguente: poiché il modello teorico del modo di produzione capitalistico implica un “inizio” ed una “fine”, al momento della sua genesi esso trova delle condizioni che non corrispondono al suo funzionamento vero e proprio. Ad un certo livello di sviluppo tuttavia questi presupposti vengono realizzati, riprodotti dallo stesso capitale che quindi inizia a muoversi sulle sue gambe; comincia qui una nuova fase interna allo stesso capitale. La logica specifica di questa fase di adeguamento (che possiamo chiamare Logica 2 per distinguerla da quella generale) può essere esposta coerentemente; [5]

2) una volta che si è determinato che il modo di produzione capitalistico ha un inizio ed una fine, se ne deduce che esso abbia anche un prima ed un dopo. C’è quindi una storia generale del processo lavorativo di cui la fase capitalistica è una forma specifica di realizzazione che rimanda ad un “prima”, in cui si sono formate le precondizioni del modo di produzione capitalistico stesso, e ad un “dopo” in cui gli esiti del modo di produzione capitalistico saranno a loro volta precondizioni (ciò non significa che i passaggi siano automatici, ciascuna fase pone però la possibilità della successiva);

3) tutte queste determinazioni logiche mettono a disposizione un concetto di storia che consente la ricerca del modo attraverso cui certe categorie si sono sviluppate empiricamente o fattualmente. Quando si sa ciò che cosa significa “capitalismo”, quali sono i suoi presupposti, ecc., si può fare della ricerca storiografica. È la storia degli storici.

3. - Da ciò che si è detto si può stabilire che:

1) la teoria marxiana studia quelle che ho chiamato Logica 1 e Logica 2 del modo di produzione capitalistico;

2) ciò permette di pensare il modo di produzione capitalistico come un momento della storia generale della riproduzione umana;

3) la teoria marxiana non è una descrizione del capitalismo del diciannovesimo secolo o del capitalismo inglese, ecc. Le descrizioni nel Capitale sono esempi empirici di leggi logiche.

Quando si parla del modo di produzione capitalistico come fase storica della riproduzione umana nella natura si deve intendere allora una temporalità di tipo logico: questo significa “storicità”. Il rapporto tra modelli teorici e realtà non è immediato: per scendere a livelli di astrazione in cui si possa parlare di “capitalismi “ (italiano, francese, del diciannovesimo secolo, del ventesimo secolo, ecc.) sono necessarie ulteriori elaborazioni che, come tali, non possono essere dedotte meccanicamente dal concetto generale del capitale. Soprattutto se ci si avvicina al problema con finalità politiche bisogna tener conto di fattori empirici e contingenti oltre che di contestualizzazioni determinate legate alle vicende particolari dell’oggetto di indagine che si è scelto, che una teoria generale non può affrontare. Un compito teorico/politico per l’attualità consiste proprio, a mio parere, nel colmare lo scarto fra queste due dimensioni, per scendere dall’astratta teoria marxiana del modo di produzione capitalistico con la sua temporalità specifica, ai capitalismi attuali nelle loro dinamiche determinate.

Bibliografia

Diaz, F. (1956), Storicismi e storicità, Firenze

Gramsci, A. (1975), Quaderni del carcere, Torino, Einaudi

Fineschi, R. (2001), Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del “capitale”, Napoli, La città del sole - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

Fineschi, R. (2003), Per una rilettura della sussunzione del lavoro sotto il capitale in “Proteo” 2003/1, pp. 70-73

Hegel, G.W.F. (1995), Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, 4a ed. Francoforte sul Meno, Suhrkamp

 

Labriola, A. (1977), Storia, filosofia della storia, sociologia e materialismo storico, in Saggi sul materialismo storico, Roma, Editori Riuniti

Luporini, C. (1974), Dialettica e materialismo, Roma, Editori Riuniti

Mazzone, A. (1987), La temporalità specifica del modo di produzione capitalistico, in: Marx ed i suoi critici, a cura di L. Sichirollo, D. Losurdo e G. M. Cazzaniga, Urbino, Quattroventi.


[1] Riecheggiano qui alcuni concetti desunti dai quaderni gramsciani: cfr. Gramsci, 1975: 1375ss.

[2] Già Antonio Labriola mise in evidenza a suo tempo che col termine “storia” si indicano due differenti concetti (cfr. Labriola, 1977: 320ss.). Questa distinzione, anche se con un giudizio di valore diverso da quello di Labriola, era già in Hegel (cfr. Hegel, 1995: 83).

[3] Questo perché da una parte essa è basata sullo sfruttamento del lavoro vivo che è quindi imprescindibile al processo di valorizzazione, mentre dall’altra tende progressivamente ad estrometterlo dal processo lavorativo.

[4] Sull’argomento cfr. Mazzone 1987. Ho personalmente affrontato in modo più organico la questione della dinamica interna del capitale in Fineschi 2001 al quale mi permetto di rimandare. Per la distinzione fra “storicismo” e “storicità” vedi Diaz, 1956 e Luporini, 1974.

[5] Ho cercato di ricostruire il funzionamento di questa “seconda” logica subordinata alla prima nel mio articolo uscito sul numero di Proteo 2003/1 dedicato alla sussunzione del lavoro sotto il capitale (Fineschi 2003).