Un percorso verso uno sviluppo socialmente sostenibile
BILANCIO ECO-SOCIALE: contabilizzare l’impatto socio-ambientale dell’attività produttiva
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La teoria sistemica considera l’impresa come parte del
macro-sistema sociale, influenzata dall’ambiente esterno e capace di
condizionarlo a sua volta; ciò perché nell’impostazione liberista l’impresa
riveste un ruolo centrale e determinante per l’insieme delle relazioni di
carattere sia economico sia sociale. Pur essendo chiaro che per sopravvivere e
svilupparsi l’impresa deve privilegiare la propria funzione economico-gestionale
che si esplicita nel raggiungimento degli obiettivi di redditività, è
altrettanto vero che diventano sempre più gli obiettivi di socialità e di
salvaguardia dell’ambiente i perni fondamentali di una nuova progettualità
strategica d’impresa nell’ottica di uno sviluppo socialmente sostenibile.
La variabilità degli ecosistemi, la qualità del suolo, la
stabilità dell’ambiente, le politiche del lavoro, le politiche di distribuzione
del reddito e della ricchezza prodotta, diventano condizioni indispensabili da
rispettare in un’ottica di sviluppo qualitativo capace di coniugare crescita
economica per tutti e raggiungimento di obiettivi equidistributivi in termini di
reddito monetario e di benessere sociale collettivo.
Se da un lato la funzione economico-aziendale consente di
ottenere dei prodotti mercantili con un valore superiore rispetto alle risorse
utilizzate, dall’altro la funzione etico-socio-ambientale deve permettere di
valutare la politica seguita dall’impresa fornendo delle risposte alla sempre
più sentita esigenza di preservare il patrimonio naturale, umano, culturale,
accrescendo la dotazione sociale complessiva a carattere non mercantile che
appartiene alla collettività nel suo complesso.
Ci troviamo in una fase di emergenza in cui sono sempre più
grandi i fenomeni di distruzione ad opera del capitale di ogni forma di legame
con la natura, con l’ambiente, con le compatibilità sociali. La
globalizzazione dei mercati, delle produzioni sta portando sempre più l’uomo
verso una fase di annientamento di ogni forma di spazio vitale, a partire dalla
crescente alienazione del lavoro umano che viene ad essere sempre più spesso
sostituito con macchinari sofisticati. Ciò oltre a provocare la completa e
irresponsabile devastazione del patrimonio naturale collettivo, colpiscono la
qualità della vita, accrescendo le varie forme di accumulazione del capitale,
distruggendo lavoro attraverso gli incrementi di produttività che si traducono
solo in profitti senza migliorare i salari, aumentare l’occupazione e diminuire
realmente l’orario di lavoro complessivo producendo tempo liberato.
Poche grandi strutture transnazionali ( le imprese
multinazionali, le grandi Banche ecc.) dominano completamente la scena
internazionale ed impongono ai popoli la propria logica di raggiungimento del
profitto ad ogni costo; questo stato di cose ha portato alla progressiva
eliminazione di ogni forma di garanzia sociale, di Stato sociale che tuteli i
settori più emarginati, i non garantiti, gli esclusi dai processi di produzione
incentrati sulle leggi di mercato.
È ovvio infatti che la corsa sfrenata all’arricchimento dei
pochi, sta portando l’umanità verso strade catastrofiche che possono avere
conseguenze umane e sociali non più controllabili. Basti pensare al disastro
legato allo sfruttamento e neo-colonizzazione del Terzo Mondo, in cui non esiste
alcun tipo di protezione del lavoro e dell’ambiente, per comprendere quale sia
l’effettiva portata del problema.
I vari settori produttivi provocano impatti socio-ambientali
molto diversi; il settore agricolo, ad esempio, è caratterizzato da un elevato
effetto negativo sull’ambiente sia che si consideri la realtà dei paesi a
capitalismo avanzato sia quelli in via di sviluppo sottoposti a forme varie di
moderna colonizzazione. Basti pensare alle varie forme di inquinamento
fortemente causato dall’uso indiscriminato di pesticidi e fertilizzanti,
all’erosione dei territori, ai problemi legati alla desertificazione e
distruzione delle grandi foreste. Se si analizza l’attività industriale ci si
rende conto che il problema è ancora più grande; gli effetti di impatto
ambientale della produzione riguardano l’aria, il rumore, i rifiuti, l’acqua. In
questo settore è ancora più marcata la differenza comportamentale tra i diversi
paesi, poiché i vari modelli di capitalismo utilizzano, o meglio determinano, i
fattori di sviluppo compatibilmente ai locali rapporti di forza fra lavoro e
capitale, assoggettando e modellando i vari sistemi di legislazione ambientale e
sociale in modo che gli ostacoli ai processi di accumulazione siano inesistenti
o comunque poco condizionanti. In tale contesto anche le tecnologie impiegate e
l’evoluzione dei processi produttivi sono determinati senza tener in alcun conto
la necessità di sviluppare processi di miglioramento qualitativo del lavoro e
del vivere collettivo, ostacolando qualsiasi intento di mirare alla
conservazione del patrimonio naturale e all’incremento di valore sociale della
ricchezza anche non direttamente monetizzabile o quantificabile attraverso
parametri tipici dell’economia di mercato (valore aggiunto, PIL, ecc.)
Anche alcune organizzazioni internazionali che hanno tentato di
esaminare i problemi derivanti da una politica non attenta alle tematiche
socio-ambientali e alle risorse immateriali, non sono riuscite a tutt’oggi
neppure a dare delle iniziali soluzioni che riescano ad affrontare il problema
in modo globale e sufficientemente attento alle modalità della crescita
economica collettiva2. Gli strumenti adottati si sono per ora limitati a
risolvere le situazioni in modo parziale e legati ai singoli casi, realizzando
provvedimenti di facciata rivolti comunque a mantenere e rafforzare il modello
di sviluppo liberista, magari rendendolo in qualche misura più sostenibile e
compatibile, sempre però rispetto alle esigenze di incremento di profitto e di
accumulazione.
Da ciò la necessità ormai imprescindibile di cercare degli
strumenti che seppur iniziali e parziali analizzino il problema dello sviluppo
socialmente sostenibile, cioè sostenibile per i cittadini, per i lavoratori, in
modo che le tematiche ambientali e sociali siano associate in maniera organica,
sistematica e coerente alla ricerca di un diverso modello di sviluppo. Ad
esempio bisogna creare immediatamente le condizioni sociali e di attenzione da
parte della ricerca scientifica non omologata alle regole della divinità del
pensiero unico neo-liberista, per giungere a legiferare in tema di impatto
socio-ambientale dell’attività produttiva.
Si può così concorrere a spostare il baricentro dalla
centralità dell’efficienza di impresa al condizionamento forzato delle linee di
pianificazione strategica aziendale, in modo da imporre di programmare obiettivi
tali da assicurare un sistema produttivo in cui diventi prioritario e
fondamentale investire in risorse intangibili e capitale umano capace di
relazionare la propria attività lavorativa ad un positivo impatto sul sociale,
sull’ambiente, sulla redistribuzione. Intraprendere questa strada significa
allargare le tematiche rivendicative in tema di equità distributiva, poiché si
tratta di socializzare non solo il reddito prodotto, ma anche l’accumulazione di
ricchezza monetaria e sociale qualitativa, derivante dal grado di sviluppo delle
forze produttive, ricchezza determinata e quindi dovuta al fattore produttivo
lavoro, immediato o anticipato, confluito nell’innovazione tecnologica del
capitale.
Premesso che si pone ormai come inderogabile incanalare la
ricerca scientifica e il dibattito politico-economico verso problematiche,
modalità di scelta e processi decisori che collochino come centrale la
costruzione di un diverso modello di sviluppo che si ponga immediatamente su un
terreno qualitativo fuori mercato, si possono da subito sviluppare temi di
riflessione e di ricerca che almeno realizzino ipotesi di controtendenza
rispetto alla scelta di sviluppo dello Stato-Impresa.
2. Politiche gestionali d’impresa e sistemi di
autoregolamentazione
Anche in un’ottica che rispetti semplicemente le compatibilità
di efficienza aziendale va ricordato che se si considera l’ambiente come fattore
di sviluppo, anche attraverso l’introduzione di nuove tecnologie più avanzate,
si possono ottenere delle riduzioni di costi aziendali e sociali, con
particolare riguardo al risparmio di energia, di materie prime, di creazione di
nuove opportunità di lavoro3.
Una moderna e più socializzante concezione dell’attività
gestionale deve nel suo complesso, sia riguardo alle relazioni interne sia a
quelle esterne, preservare, nell’ottica della salvaguardia ambientale, il
patrimonio che l’azienda ha in “prestito” e che è tenuta a gestire accrescendone
il valore complessivo. L’impresa incrementa così anche il proprio valore, che
poi dovrebbe essere chiamata a redistribuire secondo regole di equità fra tutte
le soggettualità sociali costituenti a vario titolo i fattori produttivi.
La valutazione del patrimonio e del reddito d’impresa sono
ormai ampiamente condizionati dal rispetto di alcune normative ambientali. Il
DLgs n.127 del 9 aprile 1991 introduce nuovi principi generali da rispettare
nella redazione del bilancio d’esercizio; tra questi vanno considerate
sicuramente le “passività potenziali” ed in particolare quelle legate al
rispetto dell’ambiente; ci si riferisce in particolare alle passività
ambientali del sito produttivo (e ai danni all’ambiente che una alterazione
della zona in cui questo si trova può causare all’ambiente) e alle passività
legate all’area produttiva (impianti non rispondenti alle caratteristiche di
salvaguardia ambientale).
I diversi atteggiamenti tenuti dall’impresa nei confronti degli
enormi cambiamenti socio-ambientali avvenuti negli ultimi anni consentono di
fare una prima classificazione in: imprese adattive, imprese reattive
e imprese attive.
Le prime, rispondendo a politiche di “controllo e comando” da
parte degli operatori pubblici, agiscono in base alle normative vigenti in
materia e alla conseguenti soluzioni consolidate; vi è in questo caso una
condizione preventiva consistente in una chiarezza normativa e nella presenza
nell’organizzazione dell’impresa di un management intermedio anche esperto in
problematiche ambientali.
Le imprese reattive invece sono influenzate nel loro operato
sia dalle leggi in materia socio-ambientale sia da una sensibilità alle varie
sollecitazioni provenienti dal mercato; queste imprese hanno un atteggiamento
innovativo e si affidano per le loro decisioni all’esperienza di uno “management
ambientale” presente nell’alta direzione.
Infine vi è l’impresa attiva; in questo caso si tratta di
imprese dinamiche e moderne che si caratterizzano per la forte motivazione in
campo sociale. Queste imprese agiscono in base alle opportunità competitive
offerte dal mercato per prodotti ecocompatibili e di alta qualità; è chiaro che
diventa indispensabile avere al loro interno specialisti in problematiche
ambientali in ogni settore.
Questa suddivisione comporta una ulteriore distinzione delle
imprese in base al loro comportamento; si avranno così aziende con
comportamento passivo che attuano una gestione basata comunque sulla
minimizzazione dei costi provocati dalla propria attività; imprese con
comportamento adattativo che gestiscono l’incertezza sul verificarsi del
danno attraverso il meccanismo assicurativo. Infine si hanno le imprese con
comportamento attivo, in questo caso vi è nel contempo una strategia di
gestione razionale del rischio socio-ambientale e di minimizzazione dello
stesso; queste aziende affrontano e gestiscono direttamente i costi
socio-ambientali relativi all’attività produttiva.4
Va considerato comunque che, quale che sia la posizione assunta
in base alle precedenti distinzioni, compito principale di ogni impresa che
intenda non solo sopravvivere ma anche e soprattutto svilupparsi è ormai quello
di valutare realisticamente il rapporto con l’intero macrosistema ambientale,
naturale e sociale, che la circonda e considerare attentamente le
interdipendenze e le ricadute che i suoi output provocano sugli altri soggetti
economici.
Si parla spesso a questo proposito di sviluppo sostenibile ed
ecocompatibile come primo passo per innescare almeno processi di
diversificazione nel modello di sviluppo economico.
In questo ambito il sistema politico e istituzionale riveste un
ruolo determinante, poiché potrebbe da subito controllare e condizionare le
strategie aziendali con l’imposizione di vincoli o divieti che tendano a
salvaguardare l’ambiente naturale promuovendo nel contempo nuove dinamiche di
crescita sociale; ad esempio creando nuove opportunità di lavoro, di un diverso
lavoro socialmente e ambientalmente utile.
A questo proposito l’Unione Europea in varie direttive
recepisce l’esigenza di una crescita sostenibile che tuteli l’ambiente, la
salute umana, le risorse naturali; ciò è disposto e previsto anche nel Trattato
di Maastricht (Titolo XVI, Parte III). Va rilevato però che nonostante le “buone
intenzioni” dalla lettura del Trattato si capisce chiaramente che ancora non vi
è un organico disegno di reale politica intesa come scelta economica e sociale
strategica orientata verso uno sviluppo sostenibile per i cittadini e non solo
per le imprese. Anche in questo caso, infatti, le politiche socio-ambientali
sono sacrificate a favore di finalità economiciste di rafforzamento dell’attuale
modello economico. Dal Trattato non si recepisce una seria volontà di
superamento degli squilibri sociali ed ecologici causati dalla logica del
“profitto a tutti i costi”; la crisi socio-ambientale in atto renderebbe,
invece, necessario legiferare affinchè i vari paesi membri dell’Unione Europea
possano operare per realizzare delle linee di politica economica in grado di
considerare le scelte in funzione di una distribuzione equa del lavoro, del
reddito e della ricchezza, nel rispetto di un ambiente vivibile e del diritto ad
un nuovo equilibrio sociale ed ecologico.
Ciò che in sostanza al momento è in corso di realizzazione
nell’ambito della determinazione di uno sviluppo sostenibile, che allo stato
delle cose rimane sostenibile solo nell’ottica degli imprenditori, sono state
delle direttive attuate dai vari Paesi dell’Unione Europea, che a partire dalla
semplice constatazione e consapevolezza della necessità di un bilanciamento tra
interessi aziendali ed ecologici, hanno introdotto degli strumenti nuovi di
autoregolamentazione molto spesso volontari. Pur in presenza di
una certa confusione tra i diversi sistemi di misura e controllo della gestione
ambientale si è compreso che è diventato fondamentale approfondire la conoscenza
di strumenti a volte ancora usati ed esaminati solo da esperti del settore: ci
si riferisce a termini quali certificazione, audit, assestments, approcci
a non meglio identificate costruzioni di rapporti e bilanci
ambientali.
A questo punto è fondamentale operare una prima distinzione tra
le cosiddette tasse ambientali5 che, rappresentando il “costo
dell’ambiente”, possono a volte essere “disincentivanti”, in quanto attraverso
l’imposizione di oneri influiscono sul comportamento dei produttori, e tasse
redistributive che consentono di raccogliere fondi per l’ambiente. Va
effettuata una distinzione anche tra gli incentivi finanziari e fiscali
riconosciuti dai vari Stati per migliorare la situazione ambientale, come ad
esempio i depositi con cauzione, ossia le tasse sui prodotti, rimborsate al
momento della consegna, che consentono di limitare l’inquinamento senza gravare
eccessivamente sui contribuenti (es. i contenitori di bevande, le batterie e gli
oli usati). Infine vanno ricordati i cosiddetti diritti-permessi di
emissione che consistono un una concessione fornita dalle amministrazioni
pubbliche ai vari soggetti aziendali riguardante, ad esempio, il massimo livello
di emissione che si può raggiungere in funzione delle aree geografiche e della
tecnologia esistente.
Nel Quinto Programma d’azione ambientale ( regolamento CEE n.
880/1992), è stato istituito l’Ecolabel, uno “strumento volontario”
consistente in un marchio di qualità ambientale, una eco-etichetta che
permette di segnalare ai consumatori la qualità ambientale dei prodotti che
rispettano il patrimonio naturale. Questo strumento si ispira all’Angelo
Azzurro, istituito in Germania nel 1977 e conosciuto ormai dai consumatori
di tutto il mondo; l’obiettivo è quello di creare un unico simbolo all’interno
dei Paesi dell’Unione Europea per consentire una più libera circolazione dei
prodotti ecocompatibili ed effettuando al contempo un’opera di sensibilizzazione
verso i consumatori sulle problematiche del rispetto ambientale.
L’Ecolabel, oltre a rispondere all’esigenza di ottenere dei
prodotti dichiarati “puliti”, è soprattutto una vera e propria opportunità di
marketing per le imprese, in quanto tende a realizzare una strategia di
prevenzione; rappresenta cioè una ipotetica garanzia di qualità, trattandosi di
un marchio registrato per permettere l’immissione sul mercato di produzioni
“verdi”. Si tratta in definitiva di uno strumento volontario che dovrebbe in
teoria garantire una qualità superiore rispetto agli standard legali.
Tutte le imprese che ottengono l’eco-etichetta assicurano una
migliore informazione sui loro prodotti a tutti i consumatori in quanto:
“La misura dell’impatto ambientale si basa sul principio from
cradle to grave, < dalla culla alla tomba >, poiché deve essere riferita
all’intero ciclo di vita dei prodotti che vengono sottoposti al sistema”.6
Nel Marzo 1992, la Commissione CEE, all’interno del Quinto
Programma di azione ha approvato il regolamento riguardante l’istituzione
dell’Audit ambientale, uno schema volontario che persegue l’obiettivo di
promuovere un miglioramento delle performance ambientali nelle attività
industriali.
Le procedure di Audit ambientale sono nate in Canada nei primi
anni ’70 con lo scopo di assicurare l’igiene e la sicurezza nei luoghi di
lavoro; successivamente si sono estese a tutti i temi di sicurezza ambientale.
Nel regolamento CEE è previsto che, per realizzare la partecipazione volontaria
a questa procedura di certificazione, le imprese dovranno introdurre dei
programmi di gestione ambientale che saranno poi revisionati
sistematicamente.
Inoltre l’efficienza ambientale dell’azienda dovrà essere resa
pubblica attraverso le informazioni riportate nel report
ambientale e poi certificate da parte di accreditati verificatori. Si
tratta in sostanza di effettuare una valutazione sistematica, obiettiva e
documentata della gestione aziendale, con particolare riguardo alle sue
politiche ambientali7. Le imprese dovranno a tal fine pianificare nel “capital
budget” i propri investimenti ambientali, anche se risulta molto complesso
determinare il loro ritorno economico. Anche tale strumento può rivelarsi
soltanto un semplice approccio ad una più moderna concezione del marketing in
quanto l’impresa ottiene un miglioramento della propria immagine aziendale nei
confronti dei mercati nei quali i prodotti vengono immessi; miglioramento che
porta anche a un più alto consenso all’impresa da parte della comunità sociale
del luogo dove questa ha sede8, ma ciò non necessariamente si trasforma in un
diverso approccio alla qualità della produzione funzionale ad uno sviluppo
sostenibile ad alta caratterizzazione sociale.
In sostanza l’Audit ambientale comporta il riconoscimento
dell’importanza e della necessità di rendere minime le ricadute ambientali delle
attività produttive; ma le imprese dovrebbero finalizzare la propria gestione al
perseguimento di obiettivi a forte connotato sociale, verificando le ricadute
complessive della propria attività in termini di qualità del prodotto, qualità e
quantità di occupazione, qualità ambientale e della vita dei cittadini, di
redistribuzione complessiva del reddito. Solo in tal modo perseguire gli
obiettivi indicati dall’audit può condurre a preservare il più possibile il
patrimonio ambientale, riuscendo nel contempo ad accrescerne il valore d’impresa
e del Paese in funzione di una redistribuzione sociale della ricchezza prodotta
che investa il territorio, tutti i soggetti economici, comprendendo fra questi
oltre ai lavoratori anche coloro che, per motivi diversi, sono esclusi o ai
margini del circuito produttivo.
3. La contabilità socio-ambientale d’impresa
La consapevolezza commerciale, che assolutamente non significa
consapevolezza sociale, dell’importanza di un più moderno approccio al problema
socio-ambientale fa sì che anche nella specifica ottica di accrescere la
competitività dell’impresa diventi sempre più necessario dotarsi di nuovi
strumenti di contabilità che consentano un salto qualitativo nella
gestione di queste variabili strategiche. Per l’impresa dell’era della
globalizzazione diventa fondamentale, quindi, effettuare un monitoraggio
periodico del proprio impatto ambientale che consenta di pianificare le
decisioni di investimento in base non solo a costi e ricavi legati alla
produzione e alla vendita dei prodotti, ma anche in relazione ai costi
ambientali interni ed esterni, attuali e futuri.
Si tenta così di contabilizzare le ricadute
socio-ambientali derivanti dall’attività d’impresa; basta citarne alcune per
comprendere appieno la complessità degli effetti che ne derivano: si pensi
all’inquinamento atmosferico, idrico, sonoro, del suolo, alla soddisfazione o
insoddisfazione derivante dal lavoro, alla tassazione sull’ambiente, sui
profitti, alle condizioni del lavoro e alla relativa organizzazione del lavoro e
del tempo libero.
Le varie ricadute ambientali derivanti dall’attività d’impresa
generano i cosiddetti “costi sociali”, ossia tutte quelle poste
economiche che di solito l’impresa non considera in quanto non incidono
direttamente sul proprio Conto Economico, ma che d’altro canto comportano degli
oneri per l’intera collettività.
I tradizionali schemi contabili di un’azienda non sono
sufficienti alle necessità della gestione socio-ambientale e devono essere
integrati con nuove metodologie e strumenti, al fine di modificare i criteri di
misurazione esclusivamente di natura economica interna in quadri contabili e
fisici in grado di evidenziare la dimensione ambientale dell’attività
produttiva. I nuovi sistemi gestionali devono allora essere in grado di fornire
tutte le informazioni indispensabili alla compilazione di più complessi
quadri contabili completi dal punto di vista dei rapporti tra l’impresa e
il macrosistema socio-ambientale.
Tale esigenza ha portato all’elaborazione di nuovi strumenti
contabili in grado di fornire informazioni sull’allocazione dei costi, sulle
misure dei prezzi e in generale su tutte le decisioni che il management deve
prendere nelle fasi di programmazione e controllo in previsione delle nuove
esigenze di protezione del patrimonio ambientale. Conseguentemente l’impresa
deve fornire informazioni riguardanti l’ambiente fisico nel quale opera (ossia
notizie sulle risorse naturali, sull’impatto socio-ambientale dei propri
processi produttivi), sul livello di sviluppo socio-economico-culturale
raggiunto e sul clima politico e istituzionale esistente, per misurare e
decidere sull’utilizzo di risorse materiali e di quelle immateriali spesso a
valore infinito. In questo senso le varie analisi costi-benefici
risultano essere molto difficoltose soprattutto perché è quasi impossibile
valutare la dimensione di costi che si riferiscono ad elementi quali la vita
umana, la salute collettiva, l’ambiente ecc.
Se ci si pone da un punto di vista dell’etica sociale
collettiva è chiaro che questa analisi non è attuabile, in quanto non è
possibile attribuire un costo a valori infiniti che non possono essere
quantificati; non è cioè possibile effettuare alcun tipo di analisi
costi-benefici nell’ottica della logica e centralità d’impresa, dal momento che
nessun beneficio può essere paragonato agli eventuali danni sociali ed
ambientali che le attività produttive di mercato finalizzate al profitto possono
provocare.
Gli schemi di contabilità ambientale che sono stati fino ad ora
adottati hanno in comune tra loro il fatto di riferirsi alla teoria neoclassica,
nella quale le attività e le passività ambientali vengono analizzate in
modo simile a quello previsto per le attività e le passività che attraversano il
mercato. Si è semplicemente ed esclusivamente compreso che è diventato
fondamentale estendere la concezione di capitale produttivo includendovi anche i
fattori che rappresentano il capitale naturale i quali, pur non essendo
rappresentati da un prezzo di mercato, concorrono all’ottenimento di azioni
d’impresa razionali e ad una efficiente allocazione delle risorse. Si è
considerato in sostanza che in un’ottica prettamente di efficienza dell’attività
gestionale non deve essere protetto solo l’input ambiente ma è fondamentale
migliorare la qualità dell’output ambiente; questo perché per le imprese un
sistema di gestione non corretto comporta un notevole spreco di risorse, ed un
loro uso non corretto comporta l’allontanamento dell’obiettivo principale della
minimizzazione dei costi.
Fino ad oggi le aziende sono state maggiormente portate ad
adottare delle misure di controllo ambientale più da pressioni esterne che non
dalla reale necessità di ottimizzare i vari processi di produzione, mentre i
nuovi orizzonti di competitività internazionale, finalizzati al mantenimento del
profitto d’impresa e non alla sostenibilità sociale dello sviluppo, hanno
imposto la scelta di approcciare alla contabilità ambientale utilizzando non un
unico strumento o metodo. Oggi in sostanza le imprese più orientate allo
sviluppo di profitto derivato da una intensificazione dei processi di qualità
totale, che poi spesso significano anche espulsione di manodopera e
peggioramento delle condizioni e dei ritmi di lavoro, procedono analizzando in
primo luogo le informazioni già presenti nella contabilità tradizionale per poi
integrarle con i nuovi strumenti e ridefinire le metodologie e le finalità.
In tale ottica costruire una contabilità
ambientale, significa soltanto individuare le poste economiche collegate
al fattore ambientale, e molti di questi valori sono già rilevati nella
contabilità tradizionale e devono solo essere evidenziati. In particolare ci si
riferisce sia alle tasse, spese per contenziosi a carattere
ambientale, sia agli investimenti sostenuti per la protezione e la
gestione del territorio. Va rilevato però che mentre con le prime i costi
sostenuti non apportano alcun miglioramento alle zone interessate, le seconde
dovrebbero invece costituire l’effettivo sforzo sostenuto dalle imprese per
rafforzare la propria politica e diminuire l’impatto socio-ambientale negativo,
diventando così poste contabili da mettere in stretta relazione con la
costruzione di un potenziale bilancio socio-ambientale. Vi sono
poi dei costi che, pur non essendo ancora stati sostenuti, costituiscono dei
potenziali esborsi futuri legati ad eventi di carattere ambientale; tra questi
costi si trovano ad esempio le spese per il ripristino di un sito
inquinato che verrà dismesso in futuro e quelle inerenti i danni
ambientali causati da potenziali incidenti.
A questo proposito è utile riportare i risultati di uno studio
condotto da un’agenzia americana di protezione ambientale (US EPA) che ha
costruito una vera e propria rete di costi ambientali divisi in quattro livelli.
Va considerato che in tale individuazione e scomposizione dei costi ambientali
solo il primo livello (costi convenzionali) è di solito preso in
considerazione effettivamente dalle imprese.9
Approcciare alla considerazione, individuazione e misurazione
di tali costi ambientali significa entrare in un contesto di accettazione
da parte delle imprese di quantificazione dei fenomeni non prettamente e
direttamente riconducibili alla gestione intesa in senso classico. Accettare
cioè la contabilità ambientale e sociale come misuratore della propria
performance reddituale e finanziaria, accettare in un’ultima analisi un
giudizio, una valutazione sulle ricadute, sull’impatto sociale dell’attività
produttiva. È ovvio che a seconda di come in futuro si riuscirà a condizionare
il legislatore attraverso campagne di opinione, forti richieste in tal senso da
parte dei movimenti ambientalisti, dalla spinta dal basso che può provenire
dall’associazionismo di base e dalle forze sindacali extraconfederali dei
lavoratori che spesso si sono dimostrate sensibili a queste tematiche e ancor
prima del resto della società hanno posto in termini antagonisti il problema
dell’impatto socio-ambientale della produzione, allora tanto più si potrà
parlare di una seria contabilità socio-ambientale in grado di quantificare il
livello d’impatto a vantaggio o a svantaggio di uno sviluppo sostenibile. Il
problema della sostenibilità allora si porrà per l’intera società e non sarà più
misurato esclusivamente dalle compatibilità d’impresa.
Si ricorda che la contabilità ambientale può essere applicata
in diversi contesti: si può avere la contabilità nazionale che analizza le unità
fisiche o monetarie con riferimento al consumo delle varie risorse naturali di
una nazione, siano esse rinnovabili o non; vi è poi l’applicazione più
strettamente aziendale. In questo ambito vi sono due aree di interesse: la prima
è quella valutativa (financial accounting) che consente
all’azienda di costruire il report finanziario per tutti gli investitori
interessati all’impresa; la seconda è quella gestionale (management
accounting): si tratta di tutte le analisi di misurazione, preparazione,
comunicazione di informazioni utilizzate dal top management per pianificare ed
organizzare la gestione aziendale assicurando una esatta contabilizzazione ed
uso delle risorse.
Sono quattro le fasi da seguire per realizzare un primo
approccio di contabilità ambientale aziendale: in una prima fase vanno
rilevate tutte le spese ambientali dell’impresa per consentire una loro
riclassificazione; in seguito vengono registrate le passività ambientali
relative sia all’adeguamento a norme legislative sia ai probabili esborsi futuri
che riguardano la necessità di ripristino di siti produttivi o per danni causati
da possibili incidenti ambientali. Una ulteriore fase sarà quella di adottare
strumenti come l’eco-bilancio per affiancare l’informazione di tipo
fisico ai dati finanziari. L’ultima tappa infine, attraverso una rifondazione di
tutti i principi regolanti la contabilità, consentirà di integrare i dati fisici
con quelli monetari in modo da avere una valutazione che permetta di misurare la
compatibilità complessiva socio-ecologica dell’impresa.
Si ricorda che stiamo analizzando gli approcci attuali alla
contabilità ambientale, pertanto si parla ancora di ambiti di compatibilità
esclusivamente in un’ottica d’impresa e non in una visione sociale generale;
visione che può nascere, lo ripetiamo, solo a partire da una imposizione per
legge di una contabilizzazione di impatto socio-ambientale dell’attività
produttiva, che sia però finalizzata alla prefigurazione di un generale
diverso modello di sviluppo che si ponga in una dimensione anche di produzione
fuori mercato.
Va considerato che comunque, anche nella specifica ottica
basata sulle compatibilità delle centralità d’impresa, tutte le proposte per
integrare i conti ambientali con quelli economici sono finora parziali e molto
insoddisfacenti. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che si ritiene molto
difficile costruire uno schema di calcolo in grado di risolvere le numerose
questioni da affrontare. Ma ciò è vero perché si continua a reputare come
insostituibile e insuperabile l’attuale sistema di parametrizzazione, gli
attuali strumenti di misurazione che monetizzano e misurano solo alcune
componenti della ricchezza, quelle compatibili con il modello di sviluppo
capitalistico.
I costi socio-ambientali sono di vario genere ed è
possibile quantificarli in differenti modi soprattutto in relazione al loro
aspetto qualitativo e quantitativo; è chiaro che sono molto diversi, ad esempio,
i casi di danni provocati dal sacrificio connesso al panorama da quelli
derivanti da eventuali malattie che comportano problemi ben più gravi di quelli
riconducibili alle sole spese mediche. La distinzione tra aspetti
quantitativi e qualitativi, necessaria per avviare un processo di
valutazione in grado di estendere a tutte le risorse del pianeta il principio
dell’uso ottimale dei mezzi scarsi, consente di effettuare delle “convenienti
compensazioni” e precise prese di posizione da parte di tutti coloro che sono
danneggiati in aspetti fondamentali della propria esistenza, della propria
salute e in genere in peggioramenti della qualità della vita sociale e di
relazione.
La strada da percorrere e necessaria è quella di effettuare una
stima complessiva del danno ambientale come costo economico-sociale.
Molti studiosi sono convinti che, non essendo ancora attuabile l’impostazione in
termini di costi benefici socio-ambientali, è necessario ricorrere alla
costruzione di specifici indici in grado di misurare il tasso di nocività
di alcune sostanze introdotte nel sistema ecologico. Altri studiosi effettuano
una distinzione tra aziende ambientali e aziende non ambientali e
propongono modelli di valutazione che si basano su un inventario delle aree di
maggiore impatto ambientale alle quali riferire un insieme di dati statistici e
di misure tecniche usando in sostanza diverse unità di misura.
Il rischio di queste analisi è comunque sempre quello di non
essere in grado di arrivare a risultati confrontabili e controllabili tra loro:
infatti il miglioramento ambientale non può essere confrontato con gli altri
dati sociali e si rischia così di esaltare e favorire quelle imprese che pur
apparendo “più ambientaliste” operano però in altre direzioni di danno sociale
complessivo; va ricordato inoltre che non esiste un immediato confronto tra il
miglioramento di alcuni indici rispetto al peggioramento di altri. È vero
comunque che attraverso le analisi per indici è possibile costruire dei
valori “soglia” da non oltrepassare che possono essere utilizzati come punti di
partenza, ma che dovrebbero essere commisurati non solo a parametri di
efficienza aziendale ma ad un ipotetico valore base di indicatori di
benessere sociale validi per l’intera collettività.
Infatti di solito le decisioni dell’impresa in campo
socio-ambientale sono valutate in base all’analisi basata sulla minimizzazione
dei costi massimizzando il profitto e di costi-efficacia. Diventa così
necessario effettuare una valutazione dei costi ambientali e sociali attraverso
i prezzi di mercato che rispettano le valutazioni individuali e non collettive;
per quanto riguarda i benefici invece, va ricordato che questi non sono valutati
monetariamente ma attraverso livelli di benefici fissati e determinati tenendo
come centrale il risultato ottimo per l’impresa.
Tra l’altro non sempre è chiaramente identificabile un costo
socio-ambientale; spesso infatti alcuni costi possono essere considerati
ambientali solo in parte. Se si vuole fare una prima distinzione tra i costi
sostenuti si può ad esempio distinguere tra: costi diretti di materiale e
lavoro; costi generali di fabbricazione; costi commerciali, generali e
amministrativi, costi di sviluppo e ricerca. È possibile classificare i costi
ambientali in ognuna di queste categorie così come in tutte. Una ulteriore
classificazione distingue10: costi convenzionali o usuali, costi
potenzialmente nascosti, passività potenziali, costi
d’immagine.
I costi convenzionali rappresentati da costi in conto
capitale (impianti, macchinari ecc.) e in conto esercizio (materie prime, lavoro
ecc.), di solito non sono neanche in parte classificati come ambientali, poiché
è molto difficile individuare la loro quota di carattere socio-ambientale, che
cioè si traduce in un effettivo beneficio per l’intera collettività.
Tra i costi potenzialmente nascosti ci sono quelli
riguardanti le spese per gli studi e le ricerche sulla preparazione dei siti,
per la ricerca e lo sviluppo, per la preparazione e installazione di impianti e
macchinari “verdi”; di solito questi costi sono sostenuti prima dell’avvio dei
processi produttivi e quindi sono classificati più generalmente tra le spese di
ricerca e sviluppo. Tra i costi nascosti ci sono anche quelli sostenuti per
ottemperare alle leggi e quelli volontari quali le assicurazioni ambientali, i
monitoraggi, i report, i progetti per la protezione del patrimonio ecc., che
vengono classificati tra i costi generali. C’è poi un’altra categoria di costi
sostenuti per operazioni correnti che si sosterranno in un futuro non precisato
(quali i costi per la sistemazione di depositi contenti sostanze dannose o
quelli per l’adeguamento a regolamenti non ancora applicati ma già promulgati);
questi costi se non contabilizzati in modo preciso e adeguato potrebbero non
comparire per niente tra le poste della contabilità d’impresa.
Le passività potenziali, di natura probabilistica,
riguardano i costi per possibili danni ambientali, per adeguamenti alle norme in
vigore in materia di protezione del territorio, alle eventuali multe, ecc.; va
considerato che non essendovi obblighi per quanto riguarda l’effettivo
sostenimento e contabilizzazione di questi costi, essi possono anche essere
completamente trascurati dalla direzione aziendale.
I cosiddetti costi d’immagine riguardano tutte le spese
necessarie a mantenere e migliorare i rapporti con gli investitori esterni,
quali quelle sostenute per la costruzione del report ambientale e tutte
le informazioni di carattere ambientale che l’impresa fornisce all’esterno.
In relazione a tutti i suddetti costi elencati va considerato
che è fondamentale sia la loro determinazione monetaria ed entità sia la reale
applicazione della contabilità ambientale nella gestione d’impresa in relazione
ai bisogni, agli interessi e agli obiettivi che l’azienda si propone di
raggiungere. Tale processo sarebbe socialmente rilevante se il tutto fosse
relazionato al raggiungimento di determinati benefici validi per l’intera
collettività, misurabili in termini di parametrizzazione sociale (ad
esempio ricadute occupazionali, qualità del lavoro, quantità del tempo liberato
dal lavoro, infortunistica, danno ambientale e biologico, uso razionale delle
risorse, salvaguardia del patrimonio naturale, creazione di lavori
ambientalmente e socialmente utili, ecc.).
Le suddette varie categorie di costi sono considerate come
“costi privati” poiché l’impresa è per essi ritenuta direttamente responsabile;
le “diseconomie esterne” invece misurano il costo che l’impresa sostiene
per il suo impatto con l’ambiente; si tratta in sostanza di ciò che noi
reputiamo più importante e fondamentale nella valutazione dell’impatto reale
dell’attività produttiva, cioè le perdite sociali derivanti dalle azioni dirette
e indirette dell’azienda.
Va comunque notato che al momento essendo le normative
ambientali presenti nei vari paesi molto diverse fra loro, il confine tra costi
privati delle imprese e diseconomie esterne può variare considerevolmente; i
cosiddetti “costi sociali” possono quindi essere molti diversi. Va inoltre
considerato che, non essendovi a tutt’oggi alcun obbligo specifico di
considerare questi costi nel processo decisionale del management, la loro
rilevazione è da considerarsi volontaria, anche se ormai è tempo che sia resa
obbligatoria al fine di poter controllare per legge l’attività realizzata da
parte delle imprese che sia almeno conforme a delle regole imposte dal punto di
vista socio-ambientale.
Attualmente in ambito d’impresa vi sono varie ipotesi di
applicazione della contabilità socio-ambientale: ci può essere il caso in cui
questa venga applicata solo a livello di un processo individuale, come ad
esempio un tipo di prodotto; oppure può essere applicata a livello di sistema
come ad esempio nel trattamento degli agenti inquinanti causati dall’impresa; a
livello di attrezzature, di gruppi di attrezzature o dipartimento di determinate
aree regionali ed infine a livello all’impresa nel suo intero o in alcune sue
divisioni o affiliate.
Se si considerano, ad esempio, le metodologie adottate dalle
maggiori imprese statunitensi, è possibile distinguere la contabilità ambientale
in quattro principali componenti11:
1) la contabilità dei costi ambientali;
2) la valutazione delle passività ambientali;
3) la programmazione e le decisioni di investimento
“verdi”;
4) i costi delle esternalità ambientali ed i limiti delle
valutazioni monetarie.
Di seguito per ogni categoria se ne darà un generale resoconto
dei contenuti caratterizzanti.
1) Gli obiettivi da raggiungere per costruire una
contabilità dei costi ambientali sono: l’individuazione dei
costi/benefici ambientali e la loro allocazione in relazione al prodotto
per il quale sono realizzati. L’inventario di tali costi consente di
distinguerli in specifiche categorie determinate in relazione alla loro
destinazione di uso connessa con l’ambiente. Si avranno in tal modo costi di
rettifica e provvedimenti di riaggiustamento dei problemi ambientali
pregressi; costi di allineamento alle normative correnti e di
anticipazione di tutte le leggi che potrebbero entrare in vigore nell’immediato
futuro; infine i costi sostenuti per ottenere benefici immediati
o costi sostenuti per motivi strategici (che comporteranno
comunque un miglioramento ambientale). Questi costi saranno distinti poi in
costi in conto esercizio e costi in conto capitale. Va rilevato
comunque che molto spesso si verificano delle divergenze sostanziali tra le
imprese sul modo di contabilizzare i costi ambientali; va considerato però che
l’analisi, l’individuazione e la compilazione di informazioni che evidenziano
questi costi è un passaggio obbligato per tutte le imprese che sono almeno
interessate a decidere ed agire secondo dei criteri minimali di
ecocompatibilità.
Un aspetto rilevante riguarda poi il controllo contabile dei
costi al fine di evitare fenomeni come la duplicazione degli stessi. A tal
fine è necessario effettuare una specifica determinazione dell’ampiezza dei
costi e della loro applicazione per consentire una precisa identificazione,
quantificazione ed esatta attribuzione all’impianto o prodotto responsabile. Un
altro aspetto da non sottovalutare nella costruzione di una contabilità
ambientale è rappresentato dalla pluralità di soggetti aziendali
interessati a questo processo. Per adottare comportamenti d’impresa coerenti con
le problematiche ambientali infatti occorre una stretta collaborazione tra il
management, lo staff legale, gli ingegneri della produzione , gli ingegneri
ambientali e i responsabili della contabilità e della finanza coinvolti nei
processi informativi ambientali con il top management. Sarebbe auspicabile che
almeno, e da subito, venissero coinvolti i rappresentanti dei lavoratori e le
associazioni di base che intervengono nel territorio, che meglio di ogni altro
riuscirebbero a fornire un contributo ad alta rilevanza sociale, poiché sono
interpreti delle problematiche complessive delle popolazioni direttamente o
indirettamente coinvolte dalle attività produttive.
2) Per una esatta valutazione delle passività
ambientali si deve far riferimento alle responsabilità di un’impresa per i
danni ambientali causati dal proprio processo produttivo in passato o nel
periodo corrente e al rispetto delle norme in vigore in tale ambito; vanno poi
considerati anche i costi che l’impresa sostiene per eventuali responsabilità
che potranno esserle attribuite da leggi future.
La stima delle passività è strettamente legata
all’identificazione del sito produttivo, al suo eventuale rispristino e alle
incertezze che li accompagnano, alle eventuali assicurazioni e ai costi che
potrebbero derivare da controversie legali o pendenze in cui sia coinvolta
l’impresa. Il coinvolgimento di responsabili finanziari consente una correzione
delle sotto-sovrastime delle passività; c’è però da notare che solo le grandi
imprese saranno portate ad effettuare ed usare i risultati di queste stime,
perché quelle di piccole e medie dimensioni non sono in grado di sostenere lo
sforzo economico dell’organizzazione gestionale per ottenere dei valori
realmente attendibili.
Negli Stati Uniti, paese con una avanzata legislazione in
materia, anche se non orientata al controllo sociale delle modalità di sviluppo,
è presente una specifica disciplina relativa ai danni ambientali, che però non
considera l’insieme delle valutazioni delle passività ambientali, anche perché
queste sono molto difficili da effettuare visti anche i numerosi soggetti e
aspetti che possono interessare. Ci si riferisce sia alla salute, alla
sicurezza, all’impatto ambientale, sia alle tecniche di ingegneria, agli
strumenti normativi e ai vari regolamenti da applicare, alle ricadute
occupazionali ed in termini remunerativi per i lavoratori e la collettività nel
suo insieme.
3) Una efficace contabilità ambientale può aiutare e
promuovere una programmazione di investimento verde; introdurre in una
normale pianificazione d’impresa dei progetti ambientalmente compatibili può
risultare molto complicato a causa soprattutto di incompatibilità con le
pratiche correnti di pianificazione degli investimenti. L’incertezza della
determinazione, individuazione e ammontare dei costi/benefici ambientali è
dovuta soprattutto alla complessità delle stime dei rischi ambientali e alla
rapidità di cambiamenti delle leggi, delle norme che possono alterare e mutare
continuamente le voci di costo.
Dalla lettura della realtà possiamo evincere che comunque le
analisi dei costi ambientali favoriscono gli investimenti che non prevengono ma
distruggono gli effetti negativi prodotti dall’impresa sull’ambiente. Questo
perché la sostituzione di impianti, di materiali, finalizzata a migliorare
l’immagine ambientale dell’impresa comporta dei costi molto maggiori rispetto a
quelli da sostenere per eliminare i disagi che l’azienda ha già creato, i danni
sociali che sono difficili da quantificare e che comunque sia le imprese sia le
istituzioni non hanno attualmente alcun interesse a quantificare realmente.
Imporre una omogenea legislazione europea in tal senso
significa che lo Stato, almeno nel suo ruolo di garante e regolatore, ha
compreso che non è più possibile trascurare i costi e i benefici
socio-ambientali ed è quindi necessario adottare degli approcci di
programmazione economica orientati alla prevenzione dell’intero danno sociale
riconducibile alle attività produttive d’impresa e non più solo sollecitare
degli interventi riparatori di danni già fatti.
4) Un’impresa anche rispettando i soli obiettivi interni di
redditività ed efficienza ha molti motivi per cercare di calcolare le
conseguenze ecologiche legate alla sua produzione; è comunque per cercare di
identificare i futuri problemi in cui potrebbe incorrere che il management
aziendale è portato a dimostrare che un determinato prodotto o processo
produttivo provoca più o meno esternalità positive rispetto alle altre
alternative. Ciò anche al sol fine di produrre delle informazioni utili ai
responsabili aziendali ed istituzionali per confrontare le diverse alternative
di scelta ed evidenziare le esternalità più significative, sensibili e derivate
dalle azioni delle autorità di governo per consentire loro di agire in
considerazione nelle varie decisioni macroeconomiche. In tal modo è possibile
ottenere come ritorno dei benefici in termini di detassazione, di incentivi, di
trasferimenti in conto esercizio o in conto capitale che vanno a ricadere sulla
fiscalità generale.
La mancanza di uno scambio di risorse ambientali sul mercato e
il fatto che non può essere misurato tutto con parametri mercantili, da cui
deriva l’impossibilità di stabilirne un prezzo, crea uno dei principali problemi
ai tentativi di quantificare monetariamente il danno socio-ambientale
dell’attività produttiva. Gli economisti hanno cercato di qualificare il danno
socio-ambientale in relazione alla perdita di utilità per la società nella sua
interezza; i naturalisti invece attribuiscono un valore intrinseco ai beni e
servizi della natura indipendentemente dalle sue eventuali potenzialità di uso.
È necessario allora per le imprese e le istituzioni determinare da subito dei
sistemi almeno in grado di cercare di conciliare i dati economici con quelli
ambientali, al fine di garantire una coerenza socio-ecologico-economica nelle
decisioni di investimento e nelle politiche dell’impresa.
In tal senso è fondamentale immediatamente almeno imporre
per legge il cambiamento del sistema contabile attuale per individuare e
riconoscere i costi e gli eventuali ricavi legati al macrosistema ambientale e
per giungere a contabilizzarli. Tra questi vanno considerate senz’altro le poste
inerenti i rifiuti, l’energia, i costi legali, le passività ambientali connesse
al ripristino dei siti inquinati, gli infortuni sul lavoro, le malattie da
lavoro, il danno alla salute dei cittadini, l’impatto socio-economico
complessivo dell’attività d’impresa misurato non solo in termini di salario
diretto e di occupazione, ma anche e soprattutto in termini di benefici sociali,
di redistribuzione complessiva del reddito e ricchezza prodotta, contabilizzando
il disvalore aggiunto che ricade sull’intera collettività.
Va inoltre eliminato a tal fine ogni eventuale conflitto tra il
sistema contabile tradizionale e le questioni riguardanti la quantificazione
dell’impatto complessivo sul sistema socio-ambientale, soprattutto attraverso un
orientamento sempre più rivolto al futuro. Infine deve essere sviluppato un
sistema contabile in grado di equilibrare le informazioni fisiche con quelle di
carattere economico-finanziario e di carattere qualitativo, dando un peso
significativo alle risorse sociali intangibili difficilmente misurabili
secondo i parametri esclusivi dell’economia di mercato, per arrivare alla
costruzione di prospetti sintetici, chiari e facilmente interpretabili, a forte
connotazione sociale.
A questo punto sembra utile presentare ciò che oggi è già
immediatamente praticabile per almeno poter iniziare a percorrere un cammino
verso l’individuazione e rafforzamento di strumenti in grado di fornire un
approccio socio-ambientale alla contabilità d’impresa. Si tratta di
individuare e analizzare alcuni strumenti minimi che da subito si pongano
nell’ottica di una produzione socio-eco-compatibile, in modo da iniziare un
percorso che dovrà portare alla rivendicazione di un diverso modello di
sviluppo solidale socialmente sostenibile per i lavoratori e i cittadini
tutti.
Di seguito si presenterà un po’ lo “stato dell’arte” in
materia, rappresentando ciò che c’è o è in progetto in termini di costruzione di
una contabilità eco-sociale d’impresa, fornendo un nostro contributo
nella speranza di arrivare presto a legiferare a livello europeo su tali
contenuti omogenei minimali. Ciò nella certezza che l’imposizione di un diverso
modello di sviluppo non necessariamente mercantile e legato alle leggi
neoliberiste e al mondo dei finanzieri e degli imprenditori, è possibile
determinarlo a partire solo da una inversione dei rapporti di forza fra capitale
e lavoro, in modo da innescare dinamiche di sviluppo compatibili con i bisogni
dei popoli.
Di seguito, quindi, oltre all’eco-audit già analizzato saranno
esaminati altri mezzi, altre tecniche che contribuiscono a individuare e a
valutare l’impatto complessivo che l’attività produttiva d’impresa ha sul
macrosistema socio-ambientale; tra questi si ricordano il bilancio
sociale e il bilancio ambientale.
4. Il Bilancio Sociale
Il bilancio sociale è ritenuto da alcuni studiosi come
una parte del tradizionale bilancio d’esercizio, mentre da altri è considerato
uno strumento autonomo.12 Si tratta di una tecnica contabile a prospetto che
consente di valutare e misurare il clima sociale, economico e culturale nel
quale l’azienda opera; permette cioè di valutare i rapporti che l’impresa
instaura con i propri dipendenti, con i consumatori, con i fornitori, i
finanziatori, con la Pubblica Amministrazione, insomma con tutti colori che a
vario titolo hanno rapporti con l’azienda, cioè i cosiddetti stakeholders.
Va rilevato che è molto complicato redigere un completo
bilancio sociale poiché deve tener conto di molte variabili
socio-economico-ambientali difficili da quantificare e contabilizzare, in
particolare se si utilizzano le misurazioni quantitative classiche.
Vi sono diversi motivi che inducono le imprese a redigere un
bilancio sociale; in primo luogo c’è la necessità di migliorare la propria
immagine nei confronti dell’esterno. Va rilevato, però, che se quest’ultimo è
l’unico fine si può arrivare alla costruzione di un bilancio inattendibile
perché spesso incompleto e ambiguo che, pur di mostrare i migliori risultati
della politica sociale d’impresa, trascura importanti variabili
socio-economiche.
A volte lo scopo di un bilancio sociale è puramente
“difensivo”; in questo caso l’impresa tenta solo di proteggersi da attacchi dei
consumatori o di associazioni ecologiste, o di condizionare il conflitto
sindacale e sociale, oppure si tenta tramite la redazione di tale strumento
informativo-contabile di evitare maggiori controlli da parte delle Autorità
Pubbliche che potrebbero fissare rigide norme da seguire obbligatoriamente.
La American Accounting Association ha proposto nel 1976 diverse
modalità utili per definire i contenuti e le procedure necessarie per costruire
un bilancio sociale. La Commissione in sostanza consiglia di effettuare in primo
luogo delle valutazioni della reazioni della collettività ai programmi di
responsabilità socio-ambientale delle imprese; è necessario, poi, calcolare il
valore del capitale umano impiegato e misurare i costi sociali che l’impresa
causa con la propria attività (inquinamento, danni ambientali, ricadute sociali
complessive, ecc.). Infine dopo un calcolo dell’impatto sociale determinato
attraverso un dettagliato calcolo del valore aggiunto, della sua
distribuzione e del surplus dell’impresa, deve essere stilato un rendiconto
sociale che tenga conto di tutti gli elementi esposti.13 Va considerato,
però, che lo studio effettuato dall’American Accounting si basa essenzialmente
su parametri che si riferiscono unicamente alla realtà americana e quindi è
difficilmente applicabile nella realtà europea.
A tutt’oggi non esistono né obbligo di redazione né delle
regole precise per la costruzione del bilancio sociale; le imprese che
volontariamente desiderano farne uso, soprattutto a fine di miglioramento della
propria immagine sul mercato, hanno quindi adottato diversi procedimenti per la
sua compilazione.
In primo luogo occorre specificare che si hanno due approcci
diversi per la costruzione di un qualsiasi bilancio sociale : quello
interno e quello esterno. Nel primo tipo viene analizzato il
rapporto impresa-dipendenti, la formazione e distribuzione del Valore Aggiunto e
il processo produttivo; diventano fondamentali in questo tipo di bilancio gli
indicatori che consentono di evidenziare la qualità della vita dei
lavoratori che operano nell’impresa. Va però considerato che il bilancio sociale
interno non evidenzia il consumo di risorse non rinnovabili ed inoltre trascura
il reale collegamento tra impresa e realtà esterna non riconducibile
immediatamente al mercato.
Il bilancio sociale esterno, invece, rappresenta ogni
tipo di rapporto e relazione non mercantile che l’impresa instaura con la
collettività: si tratta quindi non solo di lavoratori, di banche, di azionisti
ma anche di consumatori, di fornitori, di istituzioni ecc.; vengono poi
contabilizzate le ricadute dell’attività d’impresa sulla complessiva qualità
della vita della collettività che gravita intorno al sito produttivo.
Tra i metodi utilizzati attualmente dalle poche imprese che
effettuano la costruzione del bilancio sociale il più semplice è il bilancio
a spese sociali; si tratta in sostanza di un semplice elenco delle spese
sostenute a scopi sociali. L’aspetto negativo di questo approccio va ravvisato
nel fatto che si opera una sorta di svalutazione delle attività e del valore
delle imprese che lo mettono in pratica. Le spese sociali, infatti,
rientrando tra i costi del Conto Economico e non tra le “spese volontarie”,
fanno diminuire il Valore Aggiunto dell’azienda; ciò porta a ritenere da parte
delle imprese questo tipo di bilancio poco praticabile, poco attendibile e poco
sicuro, se non addirittura negativo per la valutazione del complesso aziendale
nel suo insieme.
L’inventario sociale, invece costituisce un allegato del
bilancio e fornisce informazioni statistico-economiche “sull’attività sociale
d’azienda” in generale; attraverso questo strumento sono evidenziate le
ricadute in termini contabili dell’impatto socio-ambientale dovuto alla
gestione, elencato per singole voci e raggruppamenti contabili.
Vi è poi il bilancio sociale basato sull’analisi dei
programmi; in questo caso si effettua una precisa valutazione dell’intero
macrosistema ambientale esterno, degli obiettivi d’impresa e sociali, delle
tecniche e delle varie operazioni necessarie per raggiungerli. In sostanza
questo metodo si basa sulla completa libertà dell’impresa riguardo alle azioni e
agli obiettivi da perseguire in conformità agli scopi sociali dell’attività
produttiva, scopi individuati e prefissati secondo principi esclusivamente
interni all’impresa.
Il bilancio sociale costruito su indicatori sociali
standardizzati, invece, è incentrato su una serie di indici e dati
statistico-economico-sociali. Va rilevato che tale strumento essendo più di
natura statistica non è in grado di fornire un’analisi completa dell’attività
gestionale d’impresa e fa riferimento a valori soglia predeterminati in base
agli standard di imprese simili e appartenenti allo stesso settore
produttivo.
Il bilancio socioeconomico a Valore Aggiunto (V.A.) si
serve della determinazione del Prodotto Lordo seguendone il calcolo sia in fase
di formazione sia in fase di distribuzione, costruendo e allegando a volte il
connesso Conto del Surplus14.
Questo tipo di bilancio presenta però degli svantaggi legati
soprattutto al fatto che il V.A. coinvolge membri che a volte hanno solo
rapporti saltuari con l’impresa, quali i consulenti esterni, ed esclude invece i
“fornitori unici” e “clienti unici” che essendo ritenuti esterni all’impresa
hanno un rapporto troppo indiretto con la ricchezza prodotta da quest’ultima e
non sono individuati come fruitori diretti della redistribuzione del V.A.
Bisogna inoltre considerare che la contabilizzazione del V.A., che per
aggregazione fornisce il PIL del paese considerato, non può, per la natura della
sua costruzione, essere considerato la misura certa, oggettiva e completa della
ricchezza di un’azienda, o a maggior ragione dell’intero paese ( si pensi ad
esempio alla determinazione del V.A. nel terziario, al V.A. derivante in genere
dall’utilizzo di risorse immateriali, al fatto che produrre beni mercantili
spesso significa distruggere ricchezza sociale). Pertanto tra le voci che
devono trovare posto nella contabilizzazione del bilancio sociale vanno
considerati oltre agli aspetti di distribuzione sociale della ricchezza
prodotta, anche i problemi e gli elementi che determinano disvalore
aggiunto, o comunque una qualche riduzione della ricchezza collettiva o
del patrimonio sociale nel suo complesso (impatto della produzione
con l’ambiente, con la salute, con il danneggiamento di opere d’arte, con i
problemi connessi ai portatori di handicap e comunque collegati alla tutela
delle minoranze, alle discriminazioni sessuali, alle situazioni di particolari
fasce di consumatori ecc.).
È interessante rilevare che in alcuni paesi dell’Unione Europea
già da alcuni anni si è compresa l’importanza di legiferare in materia di
bilancio sociale. In Francia, ad esempio, già dal Luglio 1977 è stata approvata
una legge che stabilisce l’obbligo di redigere un bilancio sociale per imprese
con più di 300 dipendenti. Tra le principali voci considerate dal bilancio
sociale francese vi è la contabilizzazione monetaria delle condizioni di
sicurezza e igiene del lavoro presenti in azienda, per consentire ai lavoratori
e ai loro rappresentanti sindacali di essere sempre a conoscenza delle ricadute
socio-ambientali dell’attività produttiva, di compartecipare ad organizzare le
politiche sociali e pianificare gli interventi futuri complessivi dell’impresa.
Le principali norme della legge del 1977 riguardano la specifica e dettagliata
contabilizzazione relativa alle retribuzioni, all’occupazione, alla formazione,
alle condizioni di sicurezza e igiene, alle varie forme di benefit salariali e
al contributo aziendale per spese sociali e opere sociali, ecc.
Anche in Germania e in Gran Bretagna, pur non essendovi ancora
dei veri e propri bilanci sociali, sono stati elaborati comunque dei documenti
simili che tengono conto delle nuove esigenze socio-ambientali dell’attività
d’impresa.
5. Il Bilancio Ambientale
In questi ultimi 20 anni molte imprese, più costrette dalla
concorrenza, dalla competitività e dalla determinazione d’immagine che da una
sensibilità ai problemi ambientali, hanno compreso sempre più l’importanza della
contabilizzazione delle esternalità; è diventato, quindi, ormai fondamentale per
realizzare una buona politica di marketing inserire nella contabilità le voci
relative ai vari costi ambientali.
Pur se ancora molti ritengono che alla tutela dell’ambiente si
accompagni una riduzione del margine di profitto, è sempre più sentita
l’esigenza da parte dell’impresa dell’inserimento nel ciclo produttivo di
fattori di carattere ambientale procedendo poi alla loro contabilizzazione, in
modo da meglio comprendere quanto questi condizionano la pianificazione
aziendale e l’organizzazione gestionale dell’impresa stessa. Si parla a tale
proposito di eco-bilancio, come parte del più ampio concetto di bilancio
sociale, al fine di contabilizzare le ricadute economiche dovute all’impatto
della produzione aziendale con i costi di natura ambientale.
Molti autori ritengono il bilancio ambientale come uno
strumento da usarsi esclusivamente all’interno dell’impresa per calcolare i dati
che rispecchiano l’impatto ambientale sia in termini di input ( ossia materie
prime, energia, acqua, semilavorati ecc.) sia in termini di output
(semilavorati, prodotti finiti, rifiuti, emissioni ecc.). In questo senso tale
documento contabile viene considerato come un inventario ambientale
dettagliato e diviene una componente del report ambientale d’impresa
attraverso il quale sono delineate le politiche e le prestazioni ambientali
dell’attività d’azienda.
Molto spesso il bilancio ambientale viene considerato come uno
strumento informativo del tutto autonomo dal bilancio contabile d’esercizio e
costruito per contenere esclusivamente dati dell’ecogestione, relativi cioè alle
grandezze relative alla funzione ambientale della produzione. Nel caso, quindi,
di questa visione dell’ecobilancio la sua costruzione è basata sulla contabilità
ambientale riportata su un documento autonomo rispetto al bilancio
sociale e dal bilancio d’esercizio. Diversamente da quest’ultimo, non esiste a
tutt’oggi uno schema di riferimento cui le aziende possano richiamarsi per le
valutazioni quantitative delle voci più specificatamente a carattere di
protezione e salvaguardia dell’ecocompatibilità produttiva, valutazioni
indispensabili per misurare le performance di efficienza e di efficacia
ambientale.
Un’altra nozione di bilancio ambientale indica delle semplici
raccolte di statistiche riguardanti gli inputs del patrimonio
naturale. In tal caso si può pensare ad un documento contabile che
ancora viene considerato come uno strumento in grado di proporre le
interrelazioni organiche che legano la produzione all’ambiente naturale e il
conseguente sforzo finanziario ed economico che l’azienda sostiene per
proteggere il patrimonio ambientale. L’obiettivo che si vuole raggiungere con la
costruzione di questo tipo di bilancio è in sostanza quello di integrare gli
strumenti di decisione tradizionali con le principali variabili ambientali. Di
solito la maggior parte delle informazioni necessarie sono già presenti
nell’impresa anche se sotto diverse forme: è necessario quindi lavorare per
effettuare una loro riclassificazione ed organizzazione al fine di consentirne
un pieno utilizzo nelle decisioni strategiche ed operative da un punto di vista
ambientale. Per ottenere queste informazioni interne, utili per una coerente
gestione ambientale, è necessario effettuare un monitoraggio periodico del
proprio impatto ambientale per arrivare ad assumere delle decisioni di
investimento sulla base dei costi/benefici sia interni sia esterni collegate
alla loro compatibilità ambientale.
Anche la comunicazione ambientale all’esterno è necessaria per
ottenere un miglioramento dell’immagine aziendale con conseguenti aumenti delle
vendite; infine va rilevato che tutte le informazioni devono essere coordinate e
consolidate in tutti i differenti siti produttivi dell’impresa per evitare il
fenomeno delle duplicazioni. Un altro aspetto fondamentale da prendere in
considerazione riguarda l’utilizzo di un linguaggio standard comprensibile da
tutti per consentire di utilizzare le informazioni anche all’esterno.
A questo proposito vanno ricordati alcuni dei principiali
requisiti necessari per una efficace rappresentazione del bilancio ambientale
d’impresa:
1) In primo luogo la quantificazione in valori
assoluti, ossia nella unità di misura corrispondente (es. per le materie
prime e le sostanze emesse in kg., in litri per i liquidi e l’acqua
ecc.);
2) è necessaria poi una esatta correlazione tra
emissioni, consumi ed unità di servizio; in questo senso l’unità funzionale
potrà riguardare la quantità dei pezzi lavorati, la quantità di prodotto
ecc.;
3) dovrà essere effettuata anche una correlazione dei
valori ambientali con quelli economici, e tra emissioni ambientali e
costi sostenuti per diminuirle;
4) va infine rappresentata con correttezza l’evoluzione
temporale delle variabili ambientali ossia dei rifiuti, delle emissioni ,
dei consumi ecc.15
In sostanza un bilancio ambientale deve avere una struttura che
si avvicini il più possibile a quella del classico bilancio d’esercizio con una
parte contabile-quantitativa e una parte descrittiva. È necessario inoltre
garantire la trasparenza ambientale dell’attività produttiva; in
definitiva deve nascere e consolidarsi all’interno dell’impresa una vera e
propria filosofia manageriale in grado di gestire le risorse, la produzione e la
qualità.
Il bilancio ambientale è necessario in questa chiave di lettura
quale strumento da affiancare alla contabilità generale ordinaria per garantire
l’inserimento di tutti i costi ambientali che l’impresa deve sopportare e che
non vengono considerati nel tradizionale bilancio d’esercizio. A questo fine
quindi, vanno inseriti nella contabilità quei costi capitalizzati per lo
sviluppo innovativo legato alle politiche ambientali, mentre non è corretto
inserire quei costi impiantistici che pur determinando un danno ambientale, e
risultando questo non apparente ed immediatamente rilevabile, non comporta
nessun rischio di penalità per l’impresa. Speriamo che non debba rimanere questo
l’esempio di sensibilità socio-ambientale d’impresa! Infine vanno inseriti nella
contabilità ordinaria quei costi che derivano dalle ricerche e gli studi che si
effettuano per produrre macchinari e prodotti non inquinanti. Va considerato
inoltre che, essendo il danno ambientale un costo che deve essere sostenuto da
chi lo produce e non da chi lo subisce, diventa necessario effettuare delle
stime che possano quantificare questo costo. Tra gli studiosi che hanno
affrontato questo problema Dierkes e Preston hanno proposto la distinzione tra
“environmental firms” e “non environmental firms”, con un’analisi dei risultati
a livello sociale di queste ultime e la costruzione di un inventario delle aree
produttive da includere nelle valutazioni,con particolare riguardo all’energia,
all’inquinamento dell’acqua e dell’aria, ai rifiuti solidi, alle materie prime,
ai trasporti, al verde e al rumore; il tutto corredato con un insieme di misure
tecniche e dati statistici direttamente riguardanti tali aree
gestionali-produttive.
La Fondazione ENI Enrico Mattei ha predisposto già dal 1991, in
collaborazione con l’ISTAT, un programma operativo di studio che, attraverso
l’aiuto di un gruppo di esperti in tematiche ambientali, si adopera per
consentire la realizzazione di un approccio albilancio ambientale.
“Le caratteristiche fondamentali della metodologia sono
riassunte nei seguenti punti:
a) vengono rilevati i dati di tipo fisico relativi sia alle
risorse naturali utilizzate come input nei processi produttivi, sia alle
emissioni nell’atmosfera, agli scarichi idrici, ai rifiuti e al rumore prodotti
dalle attività d’impresa;
b) vengono rilevati i dati di tipo monetario relativi alla
spesa sostenuta dall’impresa per la protezione dell’ambiente;
c) consente, per quanto possibile, collegamenti organici
tra la contabilità fisica di cui al punto a) e la contabilità monetaria di cui
al punto b);
d) è basata su una metodologia che sia applicabile alle
differenti realtà d’impresa e che pertanto sia dotata di un elevato grado di
flessibilità”.16
Viene proposta una struttura di bilancio formata da tre conti :
il conto delle risorse, il conto delle emissioni, il
conto delle spese per la protezione dell’ambiente. La difficoltà
maggiore di questo schema proposto risiede nel fatto che questi tre conti
necessitano di un collegamento che risulta essere molto difficile da
attuare.
In specifico il conto delle risorse ( a titolo di
esempio vedi Tab.1)17,” fornisce indicazioni sulla pressione ambientale
esercitata dall’impresa sulle fonti delle emissioni gassose, degli scarichi
idrici e dei rifiuti ed infine sulla composizione fisica del prodotto finito... Il
conto delle emissioni (a titolo di esempio vedi Tab.2), rileva la
produzione di rifiuti (distinguendo tra rifiuti tossici e nocivi, rifiuti
speciali e rifiuti assimilabili ai rifiuti solidi urbani), le emissioni in
atmosfera (distinguendo tra emissioni convogliate ed emissioni diffuse), gli
scarichi idrici.... ed infine la produzione di rumore..... Il conto delle
spese per la protezione dell’ambiente ( a titolo di esempio vedi Tab.3),
rileva le spese sostenute dall’impresa per prevenire, controllare, ridurre od
eliminare gli effetti negativi arrecati all’ambiente dalle proprie attività
produttive, e per proteggere il patrimonio naturale...”18.
L’UNEP nel 1994 ha effettuato un’analisi dei rapporti
ambientali di circa 100 imprese europee, giapponesi e americane ( Nord America);
questo studio ha evidenziato cinque diversi livelli di applicazione degli
strumenti riguardanti le strategie di applicazione della contabilità ambientale,
ed in particolare : un primo livello nel quale si è in presenza di sintetici
documenti allegati al bilancio ordinario (bollettini, newsletter ecc.); un
secondo livello nel quale si trova un rapporto ambientale “una tantum”;
un terzo livello caratterizzato dalla presenza di un reporting ambientale
formato più da testo che da figure; c’è poi il livello nel quale si trovano
tabelle input-output per le risorse e le materie prime, con disponibilità
di un supporto informatico e la redazione di un vero e proprio rapporto
ambientale da allegare alla relazione di bilancio annuale. Nel quinto
livello, infine, sono presenti aspetti sia ambientali sia sociali ed
economici, vi è un’integrazione con la contabilità “full cost”, il
tutto per dimostrare che non esiste una perdita netta di capacità di carico
ambientale.
Molte imprese hanno comunque ormai recepito la gravità del
problema ambientale, se non altro hanno intuito i vantaggi competitivi e di
immagine rispetto alla concorrenza nel proporre un ciclo di produzione e un
prodotto più pulito; da ciò si sviluppa la conseguente necessità di dotarsi di
nuovi strumenti in grado di relazionare e coordinare il risultato economico con
quello della protezione del patrimonio naturale. Il più valido strumento per
consentire un miglioramento delle performance ambientali è rappresentato proprio
dal bilancio ambientale; va rilevato però che è necessario delimitare il
campo nel quale muoversi attraverso la creazione di una raccolta di dati
confrontabili tra loro, anche attraverso la creazione di una vera e propria
“contabilità ambientale”, che necessita, al pari dei bilanci economici di
gestione, di una comparazione tra grandezze univoche e uniformi. Il bilancio
ambientale, infatti, consente di analizzare sia lo stato generale delle
condizioni ambientali di un’impresa sia la sua compatibilità con l’esterno.
Le informazioni che questo strumento permette di ottenere
garantiscono un’analisi precisa della “salute ambientale dell’impresa” al fine
di valutare in modo complessivo l’evoluzione eco-compatibile della sua
attività.19
A questo punto è interessante mostrare in modo schematico altre
proposte, evidenziando le voci principali di un bilancio sulle quali incide la
variabile “ambiente”; l’esempio successivo mostra chiaramente come alcuni costi
ambientali abbiano già assunto una loro importanza e in che modo possono essere
messi in evidenza in uno schema di bilancio aziendale tradizionale.20
Verrà a questo punto di seguito presentato un altro esempio che
tenta di realizzare la proposta di un bilancio ambientale completo, al
fine di rappresentare allo stato della realtà attuale quali sono le voci
necessarie alla sua compilazione.21
Questi schemi evidenziano che il bilancio di esercizio non è
sufficiente da solo a garantire l’inserimento e la contabilizzazione corretta di
tutti i costi ambientali che l’impresa dovrà sopportare. È conseguentemente
necessario, fondamentale e non più rimandabile costruire un vero e proprio
bilancio ambientale che si affianchi alla contabilità tradizionale.
Un eco-bilancio deve essere strutturato in modo da fornire
informazioni esatte da un punto di vista di compatibilità ambientale
dell’attività produttiva così come un bilancio d’esercizio provvede ad
effettuare un confronto tra le informazioni consuntive per effettuare delle
valutazioni economico-finanziarie sull’attività dell’impresa.
Il bilancio ambientale non deve essere considerato come il
bilancio sociale relativo alle compatibilità delle logiche d’impresa, ossia come
documento orientato al miglioramento delle pubbliche relazioni, soprattutto
perché in questo modo vi sarebbero molte conseguenze negative riguardanti
specialmente la mancanza di notizie precise, trasparenti e chiare sulle ricadute
ambientali dell’attività d’impresa e soprattutto sulle ricadute sociali
misurabili in termini di costi per l’intera collettività.
Occorre ricordare che mentre è possibile misurare il ritorno
del capitale finanziario con elementi della stessa natura (denaro contro
denaro), al contrario il ritorno del “capitale ambiente” si misura in
termini di valore che l’impresa fornisce o sottrae alla collettività.
Ed è questo l’elemento fondamentale che ci stimola nel
continuare i nostri studi per giungere ad imporre per legge alle imprese
un completo bilancio socio-ambientale capace di evidenziare e
quantificare l’impatto complessivo dell’attività produttiva sull’intero
macrosistema socio-ambientale, cioè sulle risorse naturali, tecnologiche e
soprattutto sul capitale umano sociale complessivo; ci sembra più idoneo infatti
parlare di determinazione di una diversa qualità della vita dell’intera umanità
nel rispetto della natura.
Va rilevato allora che, già da subito, per dare un senso
socio-economico alla costruzione dei bilanci ambientali, è necessario
effettuare delle scelte strategiche di politica economica generale che
operino congiuntamente sulle emergenze dell’occupazione e della salvaguardia
ambientale. È fondamentale coordinare il concetto di sviluppo sostenibile con
quello di incremento di una diversa ricchezza, realizzabile anche attraverso
investimenti in processi, di innovazione ad alto contenuto di capitale
immateriale ed ambientale, in grado di modificare radicalmente i modi di
produzione e la funzione e natura stessa dei beni prodotti.
6. Imporre per legge un completo bilancio socio-ambientale.
Costruire un movimento capace di realizzare un modello di sviluppo solidale
fuori-mercato socio-ecocompatibile.
Le politiche ambientali attuali non sono sufficienti
a garantire neppure dei cambiamenti parziali ma significativi dell’attuale
modello socio-economico di sviluppo; diventa quindi necessario dare un
riconoscimento legislativo al tema del bilancio ambientale d’impresa per
stimolarne la diffusione e soprattutto per superare la logica di adozione di
strumenti volontari, dell’autoregolamentazione e autocertificazione, che
rispecchiano e rispettano solo le compatibilità d’impresa e la sostenibilità di
mercato e non quella dei lavoratori, dei popoli.
È necessario un riconoscimento legislativo che renda
obbligatoria la presentazione del bilancio socio-ambientale, che integri e
affianchi il normale bilancio d’esercizio, per costringere le imprese ad
analizzare e pubblicizzare il grado di perturbazione delle condizioni
socio-ambientali causate dal proprio ciclo produttivo e consentire così di
avviare un processo di profonda modifica della cultura d’impresa che sia
orientata non solo al raggiungimento del “profitto ad ogni costo” ma che si
ponga come obiettivo prioritario la salvaguardia degli interessi
socio-ambientali collettivi.
Si tratta in sostanza di realizzare un diverso modello di
sviluppo incentrato non solo sulle leggi ferree del mercato, ma che si basi
fondamentalmente sull’attuazione di forme di economia sociale a carattere
ecosolidale e cooperativo con connotazioni e logiche
fuorimercato.
Diventa allora centrale per un’iniziativa politico-ecologica
antagonista aprire una battaglia per modificare le forme di organizzazione
produttiva attuali con altre più rispettose dell’ambiente, della vita umana,
delle risorse a partire dall’inversione delle regole del modello neo-liberista;
il valore della competizione e del profitto ad ogni costo deve essere sostituito
dal “non avere di più ma essere di più”(Wolfgang Sachs).
I principi ispiratori di un diverso sviluppo, di un nuovo
modello riguardano certamente la prevenzione e il miglioramento della
performance ambientale d’impresa ma mettono al centro del dibattito non
necessariamente la crescita economico-produttiva, ma la crescita della valenza
sociale del vivere collettivo. Questi principi fanno riferimento non alle
priorità aziendali ma alle priorità sociali, al miglioramento continuo della
qualità della vita, alla formazione del personale non incentrata sulle logiche
di competitività di un nuovo darwinismo economico, alla valutazione preventiva
degli impatti socio-ambientali riguardanti il Nord e il Sud del mondo, dei
prodotti e dei servizi orientati a una nuova qualità dei bisogni, all’assistenza
al consumatore e a garantire universalmente i consumi di sopravvivenza, ai piani
di emergenza sociale, al trasferimento di tecnologia non con finalità da
neocolonialismo, ecc.
Va considerato, poi, che non vi è ancora una cultura adeguata
che si indirizzi alla formazione di personale specializzato. È fondamentale
comprendere che vanno contrastate non solo le diversità economiche ma anche le
differenze di istruzione e di informazione che portano a condizionamenti più o
meno pesanti dal punto di vista culturale. Gli emarginati, gli esclusi possono
arrivare a raggiungere una propria dignità anche attraverso la parità culturale.
Quindi “l’eguaglianza di accesso ai mezzi di conoscenza- con la creazione di
libere reti di informazione e di cultura “alternative” rispetto a quelle del
Sistema- va messa al primo posto tra i nostri obiettivi”.22
È indispensabile quindi sviluppare nuove politiche
socio-ambientali in grado di mettere in discussione l’attuale modello di
sviluppo, a cominciare dalla possibilità concreta di generare nuova e diversa
occupazione, di incrementare la ricchezza sociale in un’ottica di miglioramento
della qualità della vita dell’intero genere umano e di ogni specie vivente.
È necessario analizzare in che modo una seria politica
ambientale influenzi l’occupazione, soprattutto in termini di crescita, di
contrazione o nel senso di riduzione del tempo sociale del lavoro. A volte,
infatti, le misure di tutela del patrimonio sociale e naturale comportano dei
costi aggiuntivi per l’impresa e delle conseguenti perdite di competitività
rispetto ai parametri di mercato, ma ciò realizza nel contempo degli importanti
benefici per il macrosistema della società che decide di far uso di parametri
diversi a forte connotato sociale e non solo monetario. L’atteggiamento
economico di un diverso modello di sviluppo a forti contenuti di
eco-socio-compatibilità, di sviluppo realmente sostenibile per l’intera
collettività, deve infatti tener conto sempre di tali principi di socialità che
si indirizzano conseguentemente ad una attenta salvaguardia dell’intero
patrimonio socio-ambientale, in modo tale da rendere possibile un equilibrio tra
impresa e ambiente, non solo naturale, capace di sviluppare nuovo valore
aziendale, nuova ricchezza anche e soprattutto derivante dalla valorizzazione
del capitale intangibile, ricchezza che va distribuita nell’intero tessuto
sociale, determinando così processi di socializzazione dell’accumulazione.
Il fine è quello di sostituire le idee economiciste del sistema
attuale con quelle di solidarietà umana, internazionale e anticapitalistica;
questo per contrastare la crescente globalizzazione dell’economia che al grido
di “vincano i più forti” sta devastando e distruggendo ogni dimensione della
civiltà umana, dell’ambiente, delle solidarietà sociali.
E allora è necessario contrastare il potere del mercato,
realizzando un miglioramento delle condizioni umane e ambientali attraverso
l’articolazione di un vero e proprio sodalizio fra ricerca scientifica e
iniziativa politico-sindacale che ponga al centro i bisogni reali dei popoli,
per arrivare a una effettiva solidarietà internazionale capace di realizzare
un modello di sviluppo solidale fuori-mercato
socio-ecocompatibile.
La necessità di un movimento internazionale della sinistra di
classe che trova le sue ragioni nelle problematiche socio-ecologiche e il suo
fondamento sulle ragioni delle masse dei non garantiti, è diventato ormai sempre
più fondamentale soprattutto in vista della crescente crisi del capitalismo
mondiale e del peggioramento delle condizioni economiche, sociali ed ecologiche
globali. La classe lavoratrice, inserendo ovviamente in questa i disoccupati e i
non garantiti, deve comprendere che il degrado dell’ambiente è ormai una
problematica cruciale per ogni movimento antagonista, poiché derivata dal
complessivo meccanismo di sfruttamento del modello di sviluppo neo-liberista.
È allora centrale per l’iniziativa sociale e di riflessione scientifica di
una nuova sinistra antagonista ”sviluppare una sensibilità verso la scienza e
l’ecologia” e al tempo stesso riconoscere che” la distruzione della natura nel
mondo capitalista si basa sullo sfruttamento di classe e sulle leggi che muovono
il capitale”.23