Convegno del Partito dei Comunisti Italiani
Difendiamo il servizio elettrico nazionale contro la distruzione dell’ENEL
Luciano Vasapollo
Del ruolo dell’economia
pubblica nel nostro Paese, del suo smantellamento in favore dei processi di
privatizzazione, compreso quello dell’ENEL, il Centro Studi Trasformazioni
Economico-Sociali se ne è ampiamente occupato anche attraverso le pagine
della rivista PROTEO |
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Se nel 1962 la nazionalizzazione del settore energetico
è stata una battaglia politica ed economica che ha unito tutte le forze progressiste,
di natura socialista e liberale, per affermare il ruolo di uno Stato imprenditore
nei servizi di pubblica utilità ed in particolare in un settore strategico come
quello dell’energia, ci sembra che oggi attraverso la privatizzazione dell’ENEL
si voglia perseguire un disegno tutto politico incentrato su un ruolo
dello Stato come portatore degli interessi dell’impresa privata
e non per favorire i cittadini e l’interesse pubblico inteso nella sua forte
accezione politico-sociale redistributiva.
Che il fine dello smantellamento del servizio elettrico pubblico
sia un’operazione tutta politica e tutta interna alla ridefinizione del modello
di capitalismo italiano, lo si vede da come il Governo vuole interpretare e
recepire la Direttiva Comunitaria n. 96/92/CE. Infatti è un falso
sostenere che la privatizzazione del sistema elettrico nazionale è imposta dalla
Direttiva Comunitaria n. 96/92/CE. Tale direttiva, come ha già egregiamente
sottolineato nel suo intervento Franco Calistri, prevede norme comuni per il
mercato dell’energia elettrica indicando criteri cui lo Stato italiano dovrebbe
attenersi entro il 19 Febbraio 1999 o chiedere un periodo supplementare di uno
o due anni per l’attuazione della direttiva come hanno fatto ad esempio Belgio,
Irlanda e Grecia. Premesso che i contenuti di tale direttiva comunitaria si
ispirano a criteri di prudenza e gradualità, il tema affrontato è soprattutto
quello della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, che
è cosa diversa da un processo di completo riassetto in senso del tutto privatistico
dell’intero settore elettrico nazionale.
E’ infatti lo stesso Trattato dell’Unione Europea che
prevede per i paesi aderenti la possibilità di salvaguardare in ogni caso gli
interessi generali e gli obblighi di servizio pubblico. Infatti
nel 1980 (Direttiva 723/80/CEE del 25 Giugno) la Comunità Europea ha fornito
una prima definizione di impresa pubblica intesa come “public undertaking”,
ossia come un soggetto “su cui le pubbliche autorità possono esercitare direttamente
o indirettamente un’influenza dominante in virtù della loro proprietà su di
esso, della loro partecipazione finanziaria, oppure delle regole che lo governano,
definendo per autorità pubblica, sia le autorità statali e regionali, che quelle
locali”. [1]
In sostanza comunque l’impresa pubblica viene considerata
nel Trattato dell’U.E. “.... in due distinte accezioni. Anzitutto è impresa
pubblica quella in cui l’influenza dominante dei pubblici poteri si esercita
attraverso diritti e facoltà inerenti alla proprietà od alla partecipazione
finanziaria indipendentemente dall’attività svolta (si pensi alla
miriade di società in partecipazione statale). In secondo luogo va considerata
pubblica l’impresa esercente una attività ad inerenza pubblicistica per
la quale l’ordinamento interno prevede la possibilità di deroghe al regime
ordinario delle libertà di iniziativa sino al limite della sua completa soppressione,
con il contestuale affidamento riservato (nel nostro ordinamento sicuramente
trasporti, telecomunicazioni, energia, acquedotti, attività
portuali, ecc.) ai pubblici poteri, i quali possono esercitarla direttamente
(con amministrazioni a personalità indistinta) o a propria volta affidarne lo
svolgimento (in esclusiva anche per singoli aspetti) ad enti costituiti appositamente,
società in proprietà comune o di proprietà privata (nel caso dello svolgimento
delegato dell’attività in riserva i diritti speciali od esclusivi saranno per
lo più conferiti utilizzando gli schemi organizzatori della concessione).” [2]
Il diritto comunitario (Trattato Istitutivo della
CEE) analizza da vicino il problema delle privatizzazioni soprattutto
in due articoli: nell’art. 90, comma 1 [3], si sancisce il principio di parità di trattamento
tra imprese pubbliche e private e l’art. 222 decreta il principio
dell’indifferenza comunitaria nei confronti dei meri profili soggettivi della
proprietà. In sostanza comunque appare chiaro che il diritto comunitario
dà una rilevanza molto minima al profilo soggettivo dell’impresa in
quanto le norme enunciate non consentono di ritenere che l’affidamento privato
di azienda ed attività sia maggiormente conforme alle finalità del Trattato
di quanto lo sia l’esercizio effettuato da parte dello Stato, di enti pubblici
ovvero di imprese da esse detenute. [4]
La stessa Direttiva 96/92/CE prevede la possibilità
da parte dei paesi membri di non aderire a quanto previsto
dall’articolato della direttiva stessa, laddove la direttiva entri in
contrasto con gli obblighi da parte delle imprese pubbliche di tutelare
l’interesse economico generale. In base a tale principio si può quindi derogare
dal principio della concorrenza per giustificati motivi addotti dai paesi
interessati che siano intimamente motivati dalla difesa dell’interesse economico
generale legato a problemi di regolarità e qualità di servizio, determinazione
e diversificazione di prezzo e salvaguardia del patrimonio ambientale e dell’assetto
complessivo del territorio.
Non si può certo non pensare che nell’interesse economico generale
non rientri quello di rifornire di energia elettrica tutti gli utenti di
ogni zona, anche la più impervia e disastrata, differenziando
e regolamentando le tariffe anche in funzione di principi di socialità.
In particolare in un paese come l’Italia, con la sua struttura geografica e
socio-economica, è certo da ritenersi come interesse economico generale anche
quello di concentrare gli sforzi a favore delle aree depresse del Mezzogiorno
e dei ceti meno abbienti in generale.
Proprio pensando alla diversità dei sistemi elettrici nei vari
paesi europei, la direttiva 96/92, ponendosi l’obiettivo di liberalizzazione
del mercato elettrico, spinge per un approccio graduale e diversificato
nei diversi Stati membri proponendo un quadro di riferimento comportamentale
nel riassetto degli specifici sistemi elettrici nazionali, incentivando di fatto
un recepimento della direttiva con approcci diversi da paese a paese
tenendo conto delle specificità dello sviluppo economico che li caratterizzano.
Ecco quindi che all’Italia si presenta un ventaglio di opportunità
di come recepire la direttiva, anzi ci sono tutti i presupposti per non aderire
a quanto previsto dall’articolatodella direttiva comunitaria. Tranne
che proprio il Governo italiano non riconosca che per il proprio Paese non sussistono
motivi di interesse economico generale, o non si voglia forse riaprire il dibattito
relativamente ai monopoli naturali e all’effettiva ed equilibrata tutela della
concorrenza e su cosa significhi regolarità e qualità del servizio e come questa
contrasti con i meri obiettivi di profitto. Forse questo Governo, per la
sua composizione politica, più di quelli che lo hanno preceduto, dovrebbe riflettere,
invece, sul fatto che è estremamente pericoloso modificare il monopolio dell’ENEL
senza distruggere quel patrimonio ideale e prima di tutto di equità sociale
ed economica che ha contraddistinto la politica elettrica italiana, basata su
l’uguaglianza delle tariffe su tutto il territorio nazionale prescindendo dal
reale costo marginale relativo al singolo utente, e imponendo inoltre la tariffazione
sociale.
Comunque, come opzione di secondo ordine, se il problema
è soltanto quello della liberalizzazione del settore, e non tanto
quello della distruzione completa del servizio pubblico attraverso la privatizzazione
dell’ENEL, allora ci potrebbe anche essere da parte nostra un approccio non
necessariamente di rifiuto preconcetto. Innanzitutto va precisato che
la liberalizzazione del mercato elettrico nazionale, voluta dalle direttive
comunitarie, è cosa ben diversa dallo spezzettamento e smantellamento dell’ENEL
che si vuole attuare con la privatizzazione; inoltre nel nostro Paese la liberalizzazione
è già attuata in quanto insieme all’ENEL nel settore elettrico operano privati
e municipalizzate. Il Governo, allora, potrebbe accettare e proporre, ad
esempio, un modello simile a quello presente in Germania modello
che per la distribuzione dell’energia elettrica si affida ad un ruolo prioritario
delle aziende municipalizzate, imponendo inoltre, per il nostro Paese una
gestione unica nelle aree in cui queste ultime operano in presenza anche dell’ENEL.
Sarebbe anche importante fare riferimento al progetto di legge presentato dal
Governo francese incentrato su forme di perequazione territoriale
delle tariffe, realizzando nel contempo tariffe sociali per i cittadini in situazioni
di disagio economico. Nel nostro Paese si potrebbero combinare investimenti
diretti e produttivi, in particolare nel Mezzogiorno, favorendo le politiche
locali di sviluppo attraverso l’intervento combinato dell’ENEL, delle aziende
municipalizzate e gli “autoproduttori” in una politica energetica a carattere
europeo. Ribadendo, così, nel contempo un principio politico ed economico
fondamentale, e cioè che l’energia elettrica deve rimanere un servizio pubblico
tale da assicurare rispetto ambientale e del territorio concorrendo alla sicurezza
pubblica e ad un alto grado di coesione sociale, in un piano di intervento europeo
che favorisca investimenti produttivi e nella ricerca a carattere innovativo
e sviluppo eco-socio-compatibile.
Altro discorso è quello della privatizzazione in senso stretto
dell’ENEL che punta esclusivamente a favorire i processi di finanziarizzazione
della nostra economia attraverso uno “spezzatino” che passa sulla pelle dei
lavoratori dell’ENEL, del Parlamento, di tutti i cittadini-utenti in particolare
quelli appartenenti ai ceti più deboli. Lo “spezzatino ENEL” non può favorire
l’occupazione, anzi con più aziende si abbatterebbero le economie di scala,
le piccole aziende create verrebbero messe fuori mercato dai concorrenti
europei, provocando l’aumento delle bollette e diminuendo gli occupati.
Lo smantellamento dell’ENEL porterebbe esclusivamente ulteriori
profitti alle banche, ai finanzieri, agli investitori istituzionali e ai
grandi poteri finanziari nazionali e internazionali, aggravando nel contempo
gli squilibri nello sviluppo economico del nostro Paese, depotenziando le
reti elettriche nelle zone disastrate o scarsamente popolate, aumentando
pesantemente i costi per i cittadini e sfruttando contemporaneamente quel
potenziale produttivo che è stato creato con denaro pubblico, rispondendo
così al tanto caro modo di pensare dei capitalisti italiani che è quello di
socializzare le perdite privatizzando gli utili.
Anche nel caso dell’ENEL, bisogna avere il coraggio politico
di evidenziare assolutamente, in una battaglia dei lavoratori e nel sociale
appoggiata da una incisiva iniziativa parlamentare, che le contraddizioni
tra regole di mercato e garanzia di una qualità della vita dignitosa
dei cittadini-lavoratori non sono risolvibili a partire dagli automatismi interni
allo stesso mercato e imposte dalle politiche neo-liberiste.
L’ENEL va mantenuta pubblica, come azienda unica verticalmente
integrata capace di concorrere sul mercato elettrico internazionale; si deve
imporre la tariffa unica nazionale con salvaguardia di una seria tariffazione
sociale; effettuare investimenti sul parco nazionale delle centrali aumentando
la capacità produttiva attraverso tecnologie a risparmio energetico, a basso
impatto ambientale e con fonti energetiche pulite.
La logica dello smantellamento dell’ENEL è quella di un capitalismo
“selvaggio”, senza regole che insegue la mera realizzazione del profitto
senza scrupoli, senza regole, creando così seri scompensi sociali in termini
di aumento della disoccupazione e di abbassamento della qualità della vita in
genere. Il processo di riconversione, di ristrutturazione, di innovazione
tecnologica dell’ENEL non può basarsi sul calo dell’occupazione, le migliori
politiche imprenditoriali non possono essere quelle basate su maggiori profitti
derivanti da più alti tagli occupazionali.
In questo momento di mutamenti epocali bisogna avere il coraggio
culturale e politico di denunciare che l’operazione di privatizzazione dell’ENEL
ha solo connotati politico-economico-finanziari legati a quei vecchi schemi
del modello di capitalismo italiano che ha realizzato molto spesso intrecci
capaci di innescare meccanismi perversi e destabilizzanti. Si tratta di
un nodo difficile da sciogliere utilizzando i tradizionali modelli di intervento;
in un caso come quello dell’ENEL si capisse ancora di più quanto il mercato
non possa disciplinare se stesso, necessita della mediazione politica, di un
intervento da parte dello Stato che realizzi la trasparenza, l’efficienza e
la competitività del mercato, salvaguardando però l’interesse economico e
sociale generale, garantendo si redditività da coniugare assolutamente,
però, a giustizia sociale e distributiva, creando ricchezza e lavoro.
Si tratta cioè, anche per il settore dell’energia elettrica,
di distribuire socialmente l’accumulazione valoriale che il servizio
può produrre e non “gonfiare ancora le tasche” con profitti a quei potentati
economici che fanno della speculazione finanziaria la loro ragione di esistere.
Se seguisse questa impostazione di privatizzazione dell’ENEL e smantellamento
del servizio pubblico, il Governo assumerebbe la peggiore cultura d’impresa,
la cultura della globalizzazione finanziaria a facile profitto e a bassissima
compatibilità ecologica e sociale, una cultura che diventerebbe terreno di concreta
iniziativa per gestire anche la convivenza sociale secondo principi di darwinismo
economico.
Il sistema elettrico pubblico e l’ENEL hanno invece bisogno
di una sana e reale politica industriale di settore all’interno di un piano
energetico europeo a forte carattere di innovazione tecnologica a tutela ambientale,
incanalando i flussi di risparmio verso investimenti produttivi e di ricerca
in senso ampio, capaci di creare lavoro e di attuare un miglioramento complessivo
del servizio e delle condizioni di vita dei lavoratori del settore e di tutti
i cittadini-utenti.
[1] Parris H. et al.: “L’impresa pubblica nell’Europa occidentale”, Franco
Angeli, Milano, 1988, pag. 14.
[2] In
Amorelli G., “Le privatizzazioni nella prospettiva del Trattato istitutivo della
Comunità Economica Europea”, CEDAM, Padova, 1992, p.28-29
[3] “Gli Stati membri non emanano né mantengono,
nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti
speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente Trattato.....”;
le imprese di cui si parla nella norma sono quindi assoggettate alle regole
della concorrenza.
[4] Cfr. Amorelli G.., “Le privatizzazioni...”,
op. cit., pag.242-243.