Due importanti momenti di confronto contro le strategie di privatizzazione
A. Pastori e A. Zoli
Il punto di vista del CESTES-Proteo e delle RdB
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Nel mese di Gennaio 1999 si sono tenuti due importanti
convegni contro le ipotesi neoliberiste centrate sulle politiche di
privatizzazione. Il primo “Ridiamo luce all’ENEL” è stato organizzato dal
Partito dei Comunisti Italiani; il secondo “Strategie di privatizzazione e
linee alternative per lo sviluppo economico-sociale” dal Centro Studi
CESTES-PROTEO. Il convegno del Partito dei Comunisti Italiani, tenutosi a Roma
il giorno 12 gennaio 1999, sul tema della privatizzazione dell’ENEL, ha
considerato un problema strategico per l’intera struttura economica e sociale
del nostro Paese.
Il CESTES-PROTEO e le RdB hanno avuto un ruolo importante
anche nel primo convegno attraverso i molto apprezzati interventi del Professor
Luciano Vasapollo (Direttore scientifico CESTES-PROTEO), il cui intervento
integrale è riportato nelle pagine successive, e quello di Roberto Bonomi delle
RdB, settore energia di cui si scriverà più avanti.
L’introduzione dell’On. Nerio Nesi ha posto l’attenzione
principalmente su due questioni: la prima argomentazione è stata incentrata
sullo stato attuale delle imprese pubbliche, che benché nel passato abbiano
presentato episodi di malagestione, sia a livello strutturale-organizzativo sia
a livello degli organi politici direttivi, hanno al loro interno gli uomini e le
situazioni per dare vita ad uno stato di efficienza economica e finanziaria che
apporti benefici al settore pubblico e ai servizi che questo offre ai cittadini;
nel caso specifico l’ENEL, impresa pubblica al cui interno lavorano persone
motivate e competenti e non semplici “portaborse” di non lontana memoria. La
sua seconda considerazione altrettanto importante, si è basata su un’analisi
economica del ruolo dell’ENEL, tendente a confutare le tesi neoliberiste di
ottimalità di una libera concorrenza in un settore particolare quale quello
dell’energia elettrica e a riproporre la necessità economica del monopolio
amministrativo. Infatti, non nega Nesi i benefici effetti dalla concorrenza in
svariati settori dell’economia, ma in quelli caratterizzati da economie di
scala il meccanismo concorrenziale porta a fenomeni monopolistici basati su
accordi tra grandi produttori che riescono a diminuire i costi unitari all’aumentare
delle loro dimensioni. La sua attenzione va ad esperienze le quali dimostrano
che non vi è convenienza ad immettere sul mercato due reti concorrenziali su
una stessa area geografica, perché inevitabilmente queste tenderanno ad
associarsi portando un aumento del costo del servizio, si passa quindi da un
monopolio pubblico ad uno privato con evidenti svantaggi per gli utenti, come
sta avvenendo per la telefonia mobile, portata ad esempio da molti quale
situazione da evitare. Ferma è stata la posizione di Nesi nel ribadire la
contrarietà alla privatizzazione dell’ENEL, in quanto l’elettricità,
ritenuta “servizio pubblico fondamentale”, deve mantenere il suo carattere
di essenzialità, e dunque la necessità di assicurare a tutti la piena
disponibilità ed una uniforme accessibilità economica, da realizzare
attraverso il mantenimento della tariffa unica.
Su questo tema della tariffa unica è intervenuto tra gli
altri il Sen. Leonardo Caponi, ponendola come elemento centrale e motivando il
ruolo essenziale di un monopolio pubblico. Infatti questo dovendo dare un
servizio omogeneo ed equo a tutti i cittadini presenti sul territorio nazionale,
deve prescindere dalla zona geografica e dalle relative opportunità di
realizzare utili, basandosi sulla possibilità di compensare gli alti costi
delle forniture del servizio in certe aree con quelli più bassi in altre del
Paese. Caponi mostra preoccupazione nel caso subentrino, come previsto dal
Decreto Legislativo, nuovi gestori privati mossi da interessi di parte anziché
collettivi e nazionali, i quali impostino la loro politica sui profitti ed
escludano quindi la fornitura di servizi dove questi non siano vantaggiosi per l’azienda,
cioè dove non siano redditivi. Richieste di modifiche sono state avanzate da
Caponi, il quale ha concentrato la sua attenzione sull’articolo 4, chiedendone
una modifica sostanziale. Tale articolo stabilisce che nessuna impresa possa
produrre una quota superiore al 50% del mercato elettrico, oltre a questo viene
stabilito per l’ENEL l’obbligo di scendere al di sotto di tale limite
imponendo la cessione di almeno 15.000 megawatt che porterebbe l’ENEL stessa a
detenere una quota di mercato sulla produzione di poco superiore al 40%. Di qui
l’incongruenza, nello stabilire una soglia antitrust del 50% e nello stesso
tempo imporre all’ENEL di scendere al di sotto di tale soglia. Caponi, ha
proposto, inoltre, la riscrittura integrale dell’articolo 13 del Decreto,
relativo alla privatizzazione e non alla liberalizzazione. Infatti, si prevede
la costituzione di tre società a cui attribuire le funzioni dell’ENEL
(generazione, trasmissione e distribuzione) quando la direttiva comunitaria si
limita a chiedere la separazione contabile delle tre funzioni. Caponi ribadisce
la sua posizione di non contrarietà assoluta alla privatizzazione dell’ENEL
mediante però immissione sul mercato di pacchetti azionari rilevanti,
riservando allo Stato una percentuale minima del 51% atta a mantenere e
garantire la proprietà e il controllo pubblico.
La necessità di garantire la tariffa unica è stata espressa
anche dal Ministro Belillo, illustrando brevemente i punti essenziali proposti
dalla Commissione Attività Produttive in un documento il quale è stato
approvato dal Governo e che prevedeva tra gli altri punti di considerare il
servizio elettrico come pubblico, di evitare lo smantellamento dell’ENEL e l’applicazione
della tariffa unica nazionale tra la popolazione, prevedendo un futuro sviluppo
basato su due questioni fondamentali quali: la presenza maggioritaria dell’ENEL
nella generazione e nella distribuzione mentre solo una sua partecipazione alla
trasmissione e al dispacciamento; il mantenimento del controllo pubblico della
società per un arco di tempo non breve. Il Ministro ha dunque riaffermato l’intenzione
del governo di non di privatizzare ma, al più, di liberalizzare l’ENEL come
era stato proposto dal Governo Prodi nel 1997.
Non capiscono d’altronde le motivazioni che spingono ad una
privatizzazione dell’ENEL, anche i Popolari, che attraverso l’Onorevole
Ruggeri hanno manifestato il loro scetticismo e la loro perplessità nei
confronti di un’azione che ribalti lo spirito di nazionalizzazione che
contraddistinse lo sviluppo economico e del mercato a livello nazionale. Non si
vedono benefici se non si pone in essere, anziché lo smembramento dell’azienda,
la sua ristrutturazione rendendola snella ed efficace ed inserendola in un
contesto di competizione internazionale per guadagnare una posizione nei mercati
extranazionali. Si deve intervenire quindi non smembrando l’ENEL per ottenere
temporanei quanto inutili benefici di cassa, ma ridefinendo la missione
aziendale in un’ottica di ristrutturazione e di riposizionamento.
Da questa posizione critica nasce però anche un’esigenza
di modificare il Decreto Legislativo espressa da molti oratori: da Caponi a
Calistri, ma anche dai rappresentanti delle parti sociali e sindacali.
Notargiovanni della CGIL rileva lo stato di buona salute dell’ENEL ed esprime
le preoccupazioni relative ai problemi della tariffa unica, della
riorganizzazione del settore, del futuro dei lavoratori proponendo modifiche
riguardanti la vendita di centrali ENEL.
Carosi della CISL polemizza con il testo proposto dal
Ministro Bersani, sul quale è mancato un dibattito politico sia in Parlamento
sia con le parti sociali, ringraziando il PdCI per l’occasione di dibattito
che propone. Carosi espone poi la tesi che l’ENEL vada salvata, interrogandosi
sulle modalità e gli strumenti dell’intervento e criticando il Decreto,
definito “un bel pasticcio”, e proponendo modifiche relative all’integrazione
verticale, all’allontanamento dei vincoli temporali per la vendita degli
impianti, alla separazione tra vendita e distribuzione e infine richiedendo
maggiori garanzie per i lavoratori investiti dal processo di riassetto.
Calistri, invece, ha impostato il suo intervento sulla base
di un’analitica presentazione della Direttiva della Comunità Europea e la sua
applicazione nei paesi della Comunità; ha illustrato, infatti, che la strada
del servizio pubblico è ammessa essendo previste due vie da percorrere, cioè
quella delle concorrenza e quella dell’imposizione di obblighi di servizio
pubblico. Inoltre ha introdotto il ruolo dell’acquirente unico, che svolge
tutte le funzioni previste dalla Direttiva, il quale può essere rappresentato
da una impresa elettrica verticalmente integrata essendo necessaria e
sufficiente la separazione contabile e gestionale, non quindi separazione
societaria; e in questa categoria rientrerebbe l’ENEL. Questo è ciò che è
previsto dalla direttiva, che però è stata applicata con diverse modalità nei
singoli paesi, poiché non è imposto un modello unico di attuazione valido per
tutti, ma, anzi, ci si è basati sulle diverse esigenze nazionali provenienti da
ragioni storiche specifiche. Sulla base di queste argomentazioni si critica il
Decreto Legislativo il quale è in palese contrasto con le esperienze europee.
Infatti, invece di adattarsi all’evoluzione storica del settore se ne propone
una rivoluzione da attuare mediante un nuovo disegno di privatizzazione del
settore elettrico nazionale: ma la direttiva non lo richiede e l’ENEL non ne
ha bisogno in quanto impresa sana.
Puntuale, argomentato e deciso è stato l’intervento di
Roberto Bonomi delle RdB (Settore Energia) il quale ribadisce che il servizio
pubblico non può essere mantenuto senza un’azienda pubblica nazionale,
poiché la privatizzazione avrebbe grosse ripercussioni sul servizio offerto ai
cittadini; infatti ricorda che l’ENEL pur avendo abbassato le tariffe non è
riuscita a ricostruire un buon rapporto con i consumatori, l’utenza più
diretta; quindi è fondamentale un legame tra l’interesse pubblico e gli
interessi di una grande azienda pubblica quale l’ENEL. Bonomi ha continuato il
suo intervento puntualizzando sul fatto che la Direttiva Europea, nell’articolo
13 non prefigura nessuna particolare assetto societario, né tanto meno fa
riferimento alla questione della proprietà e in alcun modo spinge verso la
privatizzazione. Ha proseguito Bonomi, attaccando anche il sottosegretario Carpi
“ ci si chiede sul perché prefigurare uno spezzettamento così ampio, la
divisione dell’ENEL in cinque società e la possibilità di ulteriori
divisioni nella distribuzione, vendita e produzione. Era solo il 1994 quando il
sindacalista della CIGL Amato, di fronte alla liberalizzazione proposta dal
Decreto Dini, affermava di essere in presenza di un’azione di potere sorta all’interno
del Palazzo per avvantaggiare e facilitare i poteri forti di questo Paese.
Invece, oggi, tutto questo è stato dimenticato. Carpi sostiene che non si può
far riferimento al modello francese perché in Francia è presente il Nucleare,
allora per noi non si può parlare nemmeno di quello inglese in relazione alla
necessità di liberalizzare, perché questo è scarsamente interconnesso con il
resto d’Europa e, inoltre, può usufruire di materie prime; invece l’Italia
importa l’80% delle sue materie energetiche e quindi la sicurezza degli
approvvigionamenti è fondamentale. Questo principio non può essere trascurato
soprattutto da una classe dirigente di sinistra. La riforma dell’ENEL,
iniziata nel 1992, è partita con l’idea di fare soldi per lo Stato; ciò ha
condizionato tutto il sistema, tanto è vero che una volta deciso il processo di
privatizzazione, scartando l’alternativa più drammatica dell’istituzione di
un monopolio privato, si sono presentate due possibilità: la prima relativa al
mantenimento dell’azienda pubblica; la seconda allo spezzettamento del
sistema.
È la seconda quella che ha prevalso, ma che, secondo noi,
non era né necessaria, né obbligatoria e contro questa scelta che noi
combattiamo”. Contrario è risultato Bonomi anche alle questioni mosse dal
presidente dell’ENEL Testa nel corso del suo intervento, che ha avanzato una
proposta di vendita degli impianti per raggiungere gli obiettivi posti nel
Decreto che stabilisce la riduzione al 50% della produzione; Bonomi ha suggerito
di utilizzare questa sovraccapacità per fare investimenti, per riqualificare le
centrali e per esportare all’estero. E ancora afferma Bonomi “per quanto
riguarda la trasmissione si è detto giustamente che è necessario avere un
operatore pubblico come per la responsabilità e la manutenzione al fine di dare
delle garanzie agli operatori privati. Non capiamo il motivo per il quale la
rete venga lasciata all’ENEL. Viene stabilito che per avere l’imparzialità
nella gestione di una rete c’è bisogno di un operatore pubblico e allora
perché non si stabilisce lo stesso principio per un operatore di distribuzione
che va all’utenza spicciola? In questo caso forse non valgono le
discriminazioni? Certo che valgono, solamente che gli interessi della
privatizzazione in questo campo sono più ampi e forti di quelli che difendono
la libera utenza. Allora mi sembra che il Decreto, pure in un contesto generale,
fiocchettato con l’idea di nuovo capitalismo, di nuova libertà, consente al
privato un ritorno in massa nell’ENEL, cercando di accontentare un po’ tutti
tranne i dipendenti e gli utenti; così facendo si distrugge una delle più
grandi aziende nazionali.”
Altro punto fondamentale è la mancanza di considerazione dei
lavoratori sulla questione della privatizzazione, i quali non sono stati messi
in condizione di esprimersi, di dare voce ai loro problemi e alle loro
preoccupazioni. Anche Caponi ha ribadito che la privatizzazione avrebbe dei
costi anche sul piano della perdita dei posti di lavoro. Altra conseguenza dello
spezzettamento dell’ENEL, oltre ovviamente alla diminuzione della sua massa
critica, è la possibilità di una diminuzione dello sviluppo della ricerca
scientifica, finanziata da grandi investimenti pubblici. Sul tema della
soddisfazione dei consumatori torna anche Napoleone Colajanni che lo pone come
uno dei due obiettivi da raggiungere, l’altro è quello di offrire energia a
prezzi non determinati astrattamente ma schiacciati sui prezzi effettivi. Ha
suggerito quindi come strumenti per il raggiungimento dei suddetti obiettivi un
efficiente processo di feedback che misuri la soddisfazione dei cittadini e una
valutazione obiettiva dei costi.
Hanno provato a confrontarsi e a dare una risposta alle tante
questioni aperte e presentate al dibattito il sottosegretario Carpi e il
Presidente dell’ENEL Chicco Testa. Il primo ha rilevato la particolarità del
settore e ha concordato con la tesi di non lasciare tutto in mano al mercato e
alle sue leggi; tuttavia estendendo il problema a tutto il settore dell’industria
elettromeccanica italiana lo ha fatto apparire come un problema di politica
industriale. Ha risposto poi alle questioni della riduzione della capacità
elettrica, che renderebbe più competitiva l’ENEL all’estero, e dell’integrazione
verticale sulla quale ci si sta confrontando in Parlamento.
Il presidente dell’ENEL, Chicco Testa, nel suo intervento
ha preso atto dell’espressa necessità di un servizio pubblico elettrico nell’attività
di produzione, trasmissione e distribuzione; tuttavia ha ribadito la necessità
di distinguere le funzioni, le quali possono avere regimi proprietari ed assetti
di mercato diversi tra loro. Si trova d’accordo con il mantenimento unitario
della rete di trasmissione, l’unicità di un operatore per ciò che riguarda
la fase di distribuzione, ma non vede alcuna contraddizione se alcuni segmenti
dell’attività elettrica vengono messi in concorrenza tra loro, sia attraverso
operatori pubblici sia attraverso operatori privati. Trova corretto a tal fine
far dismettere all’ENEL una certa quantità di potenza istallata per dare la
possibilità di creare concorrenza. Altro obiettivo necessario è riequilibrare
le tariffe elettriche in modo da non creare disparità tra i clienti. Guardando
poi al futuro dell’ENEL e al futuro delle aziende elettriche europee e
mondiali ha posto l’accento su tre punti che occorre sviluppare per rendere l’azienda
competitiva: integrazione tra le diverse funzioni, diversificazione in più
settori e l’internazionalizzazione in cui l’ENEL è però in ritardo.
Ha chiuso il convegno con il suo intervento l’On. Armando
Cossutta, nel quale ha delineato e riepilogato le posizioni dei Comunisti
Italiani. Sono coscienti i comunisti di dover procedere ad un’azione di
liberalizzazione dell’ENEL senza arrivare però ad un’inopportuna
privatizzazione; è stato evidenziato poi il ruolo della tariffa unica nazionale
per l’unità economica del Paese; il ruolo dell’acquirente unico nazionale
assieme alla salvaguardia dell’unità dell’ENEL e la valorizzazione delle
sue attività che devono rappresentare gli elementi portanti del riassetto del
sistema elettrico. Forti contrasti sono stati quelli espressi dal Presidente del
Partito nei confronti della privatizzazione, il quale riallacciandosi alle
tematiche trattate da Ruggeri riafferma che non si è contro la privatizzazione
in linea di principio, né contro l’introduzione di operatori privati, fermo
restando però una posizione di maggioranza del 51% nel settore pubblico; detto
questo il leader ribadisce che soprattutto quando si ha un’azienda come l’ENEL
solida finanziariamente e che esercita un ruolo obiettivamente positivo sia per
la sua politica industriale sia per quella economica che per quella sociale, non
ci sono ragioni oggettive se non quelle di cassa, che ovviamente non devono
essere perseguite, né adeguate ragioni di economia industriale che debbano
portare alla privatizzazione e quindi ad una frammentazione dell’attività
produttiva anziché ad una sua concentrazione come auspicato dal PdCI nell’interesse
del Paese e dei cittadini.
Sul tema delle privatizzazioni si è tenuto sempre a Roma,
nella sede del Centro Studi economico sociali CESTES-PROTEO, un
Convegno-Dibattito al quale hanno perso parte il Professor L.Vasapollo,
Direttore Scientifico di CESTES-PROTEO; il Dottor N.Galloni, Direttore Generale,
Consigliere del Ministro del Lavoro per le politiche dell’occupazione, il
Professor P.Leon, vicepresidente dell’ENEA; l’avvocato A.Salerni del
Comitato Scientifico CESTES-PROTEO; Emidia Papi del Coordinamento Nazionale
delle Rappresentanze Sindacali di Base. Era prevista anche la partecipazione
dell’Onorevole N.Nesi, Presidente della Commissione Attività Produttive della
Camera dei Deputati e del Senatore L.Caponi, Presidente della Commissione
Industria al Senato ma essendo impegnati in un’improvvisa seduta parlamentare
riguardante proprio il tema delle privatizzazioni, in particolare dell’ENEL,
hanno inviato un messaggio di scuse, confermando attraverso l’intervento in
loro vece del Dottor Romano la loro posizione di contrasto delle attuali
politiche neoliberiste di privatizzazione in accordo con le linee del dibattito
promosso dal CESTES. Il Ministro per la Solidarietà Sociale, Onorevole Livia
Turco, ha inviato un messaggio di saluto e di adesione all’iniziativa. Dopo
una introduzione dell’Avvocato Salerni che ha presentato i diversi contributi
presenti nell’ultimo numero di Proteo, ha aperto i lavori il Direttore
Scientifico di CESTES, Professor L.Vasapollo, il quale ha introdotto l’indagine-dossier
sulle privatizzazioni pubblicata sul numero 1 e 2 della rivista Proteo. Questa
indagine è stata svolta a livello macro, basata su degli indicatori volti a
verificare il peso e le ricadute delle privatizzazioni sui conti economici
nazionali e a livello micro con un’analisi, basata su particolari aziende già
privatizzate o in fase di privatizzazione, in modo da analizzare l’efficacia e
l’efficienza di tale aziende prima e dopo la privatizzazione. I modelli di
privatizzazione che si sono realizzati in Europa non sono assolutamente univoci:
sono stati analizzati i processi in Inghilterra, Francia, Germania, Austria,
Svezia, Norvegia i paesi dell’ex blocco socialista e l’Italia. Nel nostro
Paese, le analisi effettuate avevano fatto prevedere che i processi di
privatizzazione avrebbero potuto dare un ruolo importante ai lavoratori
attraverso l’azionariato diffuso, allargando quindi la base azionaria e il
potere decisionale. Il modello italiano ha risentito della particolarità del
capitalismo del nostro Paese: infatti ci troviamo davanti ad una capitalismo
definito padronale dove quattro o cinque famiglie controllano l’economia che
con la presenza delle partecipazioni statali danno vita ad un’economia mista
in cui il ruolo dell’economia pubblica è stato quello di bloccare la spinta
al monopolio privato nel Paese. All’inizio degli anni ’80 tuttavia si è
messo in discussione il ruolo dell’impresa pubblica attraverso quei processi
di privatizzazione più formali che sostanziali che si basavano sulla logica
della vendita per poter arginare il crescente debito pubblico. Il processo di
privatizzazione ha avuto un’accelerazione a partire dagli anni ‘90 ed in
particolare del ‘92 con il Governo Amato, proseguendo con il Governo di
Ciampi, Dini, Prodi ed in ultimo con il Governo D’Alema. Infatti è di estrema
attualità il problema relativo alla privatizzazione dell’ENEL che tende a
sottolineare non solo il carattere economico ma a ridare peso al progetto
politico tendente ad abbattere il ruolo interventista dello Stato. Questa spinta
alla privatizzazione è stata sentita come esigenza alla luce degli obiettivi
inderogabili posti dal trattato di Maasthritch che prevede tra l’altro il
rispetto di indici legati al bilancio pubblico. L’avvenuta diminuzione del
rapporto deficit pubblico/PIL che si è verificata in questi anni non è da
attribuire alle entrate ottenute dalla privatizzazione ma ad un processo di
revisione e ristrutturazione del Welfare delle politiche attive e passive del
lavoro, della sanità, della cultura e dell’assistenza. Quindi il processo di
privatizzazione è stato un mero processo di finanziarizzazione dell’economia
a forti connotati politici. Ulteriori effetti della privatizzazione sono stati
rilevati nell’introduzione di capitali esteri e nell’aumento della
disoccupazione nelle industrie dovuto alla scomparsa dell’impresa pubblica e
delle imprese controllate o collegate e alle politiche di contrazione dei costi
del lavoro e di flessibilità salariale. Infatti, queste politiche di
privatizzazione si sono scontrate con motivazioni di ordine politico anche per
quanto riguarda la ridefinizione dei rapporti con i lavoratori e delle posizioni
conquistate dal movimento operaio e dei lavoratori stessi. Partendo da un’analisi
prettamente di tipo economico basata su indicatori di efficienza e di efficacia
questa può portare al raggiungimento di alcuni risultati positivi: tuttavia
questo risultato non è significativo se non è interpretato. Raffrontando i
costi e i ricavi si ha un innalzamento dei profitti, ma soprattutto un
abbassamento dei costi di produzione; questa riduzione è stata possibile però
solamente andando ad influire: sui costi del lavoro con azioni di espulsione di
manodopera attraverso meccanismi di prepensionamento, incentivi e forme occulte
di flessibilità che hanno costretto i lavoratori ad uscire dal ciclo
produttivo; sui costi di manutenzione ordinaria e straordinaria causando un
aumento degli incidenti per l’intera cittadinanza e per il singolo lavoratore;
sui costi relativi all’impatto ambientale portando alla diminuzione di misure
antinquinamento non obbligatorie. L’aumento di efficienza così raggiunto è
dovuto alla contrazione di quei costi, che devono anzi essere rafforzati a
favore della salvaguardia ambientale, sociale e dei lavoratori in un piano di
sviluppo che deve portare a risultati sul piano produttivo e non solo
finanziario. Le proposte avanzate riguardano la ridefinizione del sistema del
Welfare, per esempio con l’introduzione di un Reddito Sociale Minimo per
disoccupati e precari e altre proposte legate alla lotta alla disoccupazione: il
ruolo dello Stato deve essere assolutamente interventista e creatore di
occupazione, a partire ad esempio dalle politiche di assunzioni nella pubblica
amministrazione per i lavoratori socialmente utili.
Ha preso successivamente la parola il dott. Galloni, il quale
per argomentare sul tema delle privatizzazioni ha proposto alcune considerazioni
sulle strategie delle imprese private; fermo restando l’obiettivo principale
della massimizzazione del profitto si distingue in massimizzazione del profitto
totale, che tende ad eguagliare il costo marginale con il prezzo, e
massimizzazione del profitto per unità di prodotto. La prima strategia consente
inoltre di massimizzare la produzione e quindi l’occupazione, mentre la
seconda non riesce a raggiungere tali livelli. Le imprese scelgono, e a volte
sono costrette a scegliere, una delle due alternative in base a due fattori, uno
esterno e uno interno. Il primo riguarda il livello del tasso d’interesse, che
se non è basso porta a fare meno investimenti e a scegliere un orizzonte
temporale breve, indirizzando quindi l’impresa in una strategia di
massimizzazione del profitto per unità di prodotto. Il fattore interno riguarda
la categoria degli imprenditori, i quali non devono considerare solo i loro
interessi di classe ma anche porsi problemi a livello sociale e nazionale. È
possibile quindi applicare queste premesse al servizio pubblico, nel quale viene
applicato il principio della tariffa unica, secondo il quale a prescindere dai
singoli costi del servizio offerto il prezzo applicato all’utenza è unico.
Quindi operatori privati non sarebbero disposti a mantenere uno stato di cose
come quello prefigurato. Infatti, a tale livello di remunerazione non
assumerebbero il compito di fornire servizi in quelle zone in cui il ritorno
sugli investimenti non soddisfi le loro aspettative a causa dei maggiori costi
di produzione specifici ed ineliminabili di quelle aree. Le alternative
prefigurabili sono quindi due: l’innalzamento del costo del servizio o l’abbandono
dell’attività da parte del privato con l’assunzione di tale compito a
carico del pubblico. Conseguenza di ciò sarebbe il continuo aumentare del
debito pubblico per fare fronte a queste evidenti necessità nazionali, mentre i
privati con la loro presenza solamente nei settori con bassi costi vedrebbero
realizzarsi continui aumenti sui loro profitti. È proprio questo divario che la
tariffa unica tende ad annullare mettendo in luce le contraddizioni offerte da
una privatizzazione realizzata con queste modalità. Altra considerazione
espressa è quella delle partecipazioni di minoranza; in situazioni di
privatizzazioni di aziende pubbliche, per esempio l’ENEL, è prevista una
maggioranza azionaria pubblica, quindi l’interesse dei privati si basa su due
motivazioni: il ritorno economico delle azioni, praticamente la remunerazione
del capitale, e la presenza all’interno del consiglio di amministrazione.
Questo porta a sacrificare la ricerca, la produzione e una parte del profitto
sociale, ovviamente in contraddizione con l’idea di servizio pubblico.
Il professor Leon delinea le condizioni in materia di
privatizzazioni oltre che in Italia anche negli altri paesi europei. Rileva che
in alcuni di questi paesi governano partiti di sinistra e centro sinistra, come
ad esempio Francia e Germania dove, in alcuni casi, le privatizzazioni che si
sono realizzate e che si stanno realizzando prevedono il mantenimento diretto e
indiretto del controllo pubblico, in molteplici imprese e in svariati settori.
In Italia questo tipo di risultato non è presente; si propone quindi o di
adeguarsi o di sollecitare un intervento pubblico europeo. Dunque, sulla base di
ciò che èavvenutoinFrancia e in Germania nei sistemi e nelle aziende
privatizzate, questi procedimenti di “nazionalizzazione”, nel senso di
mantenimento del controllo pubblico, non possono essere considerati idonei alla
creazione di un mercato di capitali europei, in quanto le azioni non possono
essere scambiate facilmente sui mercati borsistici, avvantaggiando così il
controllo pubblico di quelle imprese. Vi è pertanto la necessità di portare
alla luce i processi di privatizzazione francesi e tedeschi in modo da
giustificare in essi la presenza dello Stato. Due sono gli obiettivi da
raggiungere: il primo è definire il compito delle authorities costituite in
parlamento, il quale in generale è “di realizzare il massimo benessere
attraverso le tariffe, ma non si tratta solamente di avere una tariffa più
bassa, ma di averla alle condizioni ambientali sostenibili in modo che si possa
ottenere anche attraverso l’apporto di queste imprese il massimo sviluppo
possibile per il resto dell’economia”. Il secondo è la assoluta necessità
che nel procedimento di riaffermazione dell’intervento pubblico nulla debba
essere concesso al corporativismo, cioè alla difesa di interessi personali o di
categoria che ostacolano lo sviluppo e il cambiamento. Bisogna, quindi,
migliorare le strutture che hanno amministrato le aziende pubbliche impedendo l’aumento
dell’occupazione, l’ingresso dei giovani lavoratori e il cambiamento dei
poteri all’interno delle imprese. Questa critica è poi da estendere al campo
della ricerca, dove è necessario un intervento per la difesa delle posizioni
conquistate, ma soprattutto per far progredire il settore che risente delle
difficoltà di bilancio ma anche del corporativismo degli enti di ricerca.
L’ultimo intervento è stato di Emidia Papi dell’RdB che
ha ripercorso le tappe e l’iter del processo di privatizzazione affrontato in
Italia. Questo, infatti, prese il via agli inizi degli anni ‘90 con il Governo
Amato, per poi proseguire con Dini, Prodi e D’Alema: elemento comune a tutte
queste esperienze è risultata la presenza del Ministro Ciampi. A causa di
questo processo non si sono venduti solo servizi pubblici nazionali, ma anche
locali: il motivo non è solo quello di incassare denaro, ma è da considerarsi
anche un aspetto politico-ideologico. Tutti i settori rischiano di essere
colpiti: dalla scuola al settore dell’elettricità, nei quali si prospetta l’introduzione
di privati che fungerebbero da “parassiti” per il settore pubblico. Nel caso
ENEL si ricorda che la nazionalizzazione fu un risultato negli anni ‘60 per lo
sviluppo industriale del paese. L’ENEL partì in questo processo con un grosso
debito dovuto dagli indennizzi alle industrie private produttrici di energia
elettrica, dunque un Ente nato già con un grande debito: ed ora che abbiamo di
fronte un’azienda risanata da quei debiti, senza che la Direttiva Europea lo
richieda se ne propone lo spezzettamento in più aziende gestite da privati e
quindi l’abbandono della tariffa unica e del servizio elettrico nazionale.
Questo processo provocherà un massiccio trasferimento di ricchezza, di beni
sociali e di profitti quindi dai redditi dei lavoratori al profitto privato vero
e proprio; d’altronde anche le grandi banche pubbliche privatizzate sono
andate ai “soliti padroni”, quali Mediobanca e il capitalismo familiare
attraverso alleanze anche internazionali. Questo denota la perdita di un
interesse collettivo a sfavore del cittadino, che si è tentato di difendere con
lo sciopero dei lavoratori dell’RdB all’interno dell’ENEL.
A conclusione del convegno il Professor L.Vasapollo ha
sintetizzato i temi dibattuti ponendo l’accento sulle questioni riguardanti i
danni e i pericoli avvertiti a seguito dei processi di privatizzazione su temi
quali il capitale umano e la ricerca, la quale non è più finalizzata ad un
obiettivo pubblico, ma a interessi specialistici privati: questo sta portando a
snaturare la cultura pubblica di fare ricerca. Ribadisce le perplessità
riguardo le posizioni dei lavoratori all’interno di questo processo e delinea
il percorso da intraprendere a tutela dei singoli e della collettività
nazionale affermando la necessità di dissuadere l’idea diffusa ed errata che
il pubblico non funzioni e che il privato faccia tutto meglio: purtroppo la
verità è che i grandi imprenditori sono interessati alle privatizzazioni
perché cercano così di “socializzare le predite e di privatizzare i profitti”.
Occorre continuare e promuovere un dialogo tra i centri
studio, quali il CESTES-PROTEO, e le forze istituzionali affinché si arrivi ad
una riflessione in chiave scientifica e politica. Per questo ci sentiamo dunque
di ringraziare il PdCI per il momento di confronto organizzato sul tema della
privatizzazione dell’ENEL, al quale hanno preso parte rappresentanti della
cultura, della politica e dell’economia, che esponendo i loro punti di vista,
le loro considerazioni in merito hanno fatto emergere situazioni non del tutto
esplicitate dalle autorità competenti. Per quanto riguarda il Centro Studi
CESTES-PROTEO lo si deve ringraziare non solo per aver dato vita a tali
dibattiti, ma anche per il lavoro di indagine, di elaborazione e di studio che
svolge anche avvalendosi dell’apporto di natura culturale e politico-sociale
delle Rappresentanze Sindacali di Base.
Ci auguriamo dunque che vengano organizzati altri convegni
dibattito, che pur essendo “fuori dal coro” mettano in risalto aspetti
fondamentali della vita economico-sociale e politica del nostro Paese.