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Eurobang - Il capitalismo italiano

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Federico Merola
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Esperto di finanza strutturata internazionale e docente di Statistica Economica alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università delle Tuscia di Viterbo

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Riforma dei mercati finanziari e crisi industriale permanente

Federico Merola

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Quasi un anno fa abbiamo iniziato su Proteo un ragionamento sullo stato del capitalismo italiano partendo dalla punta dell’iceberg: il sistema finanziario. Quando sembrava ormai matura da parte dell’attuale Governo l’intenzione di procedere con l’ennesima riduzione della previdenza pubblica (dopo quelle già realizzate nel corso degli anni ‘90), ci siamo chiesti se ci fossero le condizioni economiche, sociali e finanziare per percorrere ancora questa strada. Non c’erano e la riforma è stata accantonata, anche se ora sembra tornata tra le priorità dell’esecutivo. Accertato che lo scarso sviluppo della previdenza privata complementare (fondi pensione e polizze vita) si traduce già oggi in una prospettiva di insufficiente trattamento pensionistico per milioni di inconsapevoli lavoratori, abbiamo inoltre cercato di capire se alla luce dello stato di efficienza dei mercati finanziari italiani la soluzione dei fondi pensione potesse rappresentare - almeno nell’attuale momento storico - una valida compensazione alla perdita certa di un trattamento previdenziale pubblico in vecchiaia. L’analisi ha sollevato numerose perplessità circa la capacità dei mercati finanziari di intermediare in modo efficace il futuro pensionistico dei lavoratori. Perplessità che, purtroppo, sono state quasi immediatamente confermate dai fatti.

Subito dopo l’uscita dell’articolo, infatti, sono scoppiati gli scandali di Cirio e Parmalat, due eclatanti conferme della crisi strutturale dei mercati finanziari già denunciata da Proteo. Di fronte a questi episodi, scottanti per migliaia di piccoli risparmiatori, ci siamo dunque chiesti in un successivo articolo se la finanza si è limitata a riflettere lo stato di crisi dell’economia reale o ha invece dato un suo contributo “aggiuntivo” che, lungi dall’arginare i limiti del sistema produttivo nazionale, li abbia in qualche modo assecondati e amplificati. Non vi è dubbio, in proposito, che i casi Parmalat e Cirio abbiano numerose chiavi di lettura, riconducibili alla radice stessa del capitalismo italiano. Essi, tuttavia, hanno anche messo in evidenza come l’attuale crisi dei mercati finanziari derivi solo in parte dal negativo andamento dell’economia reale, dipendendo in realtà da una vera e propria crisi delle regole che governano il comportamento degli operatori e i meccanismi di sollecitazione e tutela del pubblico risparmio. Tutto questo ragionamento si è svolto sullo sfondo dei più grandi dissesti industriali degli ultimi 20 anni: non solo Parmalat e Cirio ma anche Fiat, Edison, Alitalia e, a ruota, numerosi altri casi rimasti più defilati rispetto ai “disonori” della cronaca.

In un paese in cui le imprese chiudono i battenti, il potere di spesa dei lavoratori si riduce, i mercati e i piccoli risparmiatori segnano minusvalenze finanziarie e, nonostante ciò, le banche presentano con orgoglio bilanci misteriosamente risanati con utili e fatturati in crescita, sembra arrivato il momento di sciogliere il nodo di ogni contraddizione. Rimanendo sul doppio binario finanziario e industriale, possiamo articolare l’analisi su due importanti novità, il cui esito finale è naturalmente ancora fortemente incerto e sulle quali non ci facciamo troppe illusioni:

• In primo luogo, a seguito ai casi Cirio e Parmalat il Parlamento ha avviato un’inchiesta sul funzionamento dei mercati finanziari e ha messo in agenda una riforma complessiva del settore, in discussione dal 16 giugno. Non si può dare per scontato che questo dibattito darà luogo ad un sostanziale miglioramento della situazione ma certamente è positivo che le criticità denunciate più di un anno fa da Proteo, oggi siano state in qualche modo riconosciute dall’assemblea parlamentare. Una prima valutazione del lavoro che il Parlamento sta portando avanti su questi delicati aspetti sarà oggetto del presente articolo;

• In secondo luogo, ci sembra che si stia finalmente facendo strada una maggiore consapevolezza del fatto che dall’attuale crisi economica si esce solo con un ragionamento complessivo sullo stato del capitalismo italiano, capace di riflettere criticamente sulla struttura industriale del paese e sui cambiamenti degli anni ‘90. Di questo ci occuperemo in un prossimo contributo.

 

2. I punti cardine del dibattito Parlamentare in materia di riordino dei mercati finanziari

Il dibattito che ha condotto alla bozza di disegno di legge sul risparmio attualmente all’esame del Parlamento è stato indubbiamente ampio, controverso e molto spesso sorprendentemente trasversale rispetto ai consueti schieramenti politici. Distinguere tra valutazioni di merito e opportunismo politico è per noi essenziale ai fini di formulare un giudizio sulla reale efficacia delle soluzioni prospettate.

Il primo rilevante aspetto che merita attenzione è, a nostro avviso, quello relativo ai tempi e al metodo seguiti. Di fronte alla portata macroscopica dei numerosi scandali finanziari registrati in Italia, e ai danni che sta producendo tanto per i piccoli risparmiatori quanto per le imprese, una riforma rapida e “bipartisan” sarebbe stata la risposta migliore da parte di un sistema politico realmente efficiente. Purtroppo, la compattezza dimostrata dal nostro Governo nell’elaborare e approvare altri provvedimenti (si pensi ad esempio all’abolizione del reato penale di falso in bilancio, alla riforma del sistema radiotelevisivo o all’approvazione della Legge Cirami sulle rogatorie internazionali) è venuta meno in questo caso. In un contesto di maggioranza parlamentare spaccata, spesso in modo profondo e radicale, sarebbe stato bello poter contare su un’opposizione compatta e unificata. Ma i grandi temi della finanza, che toccano gli snodi cruciali del potere, hanno diviso tutti. E il tutti contro tutti difficilmente conduce a soluzioni rapide e razionali.

A parziale giustificazione di ambo gli schieramenti c’è il fatto che la portata dei temi trattati è ampia e complessa, anche se non vi è dubbio che il Parlamento si sia fatto cogliere sorprendentemente impreparato. Dopo l’approvazione del Testo Unico della Finanza, ormai nel lontano 1998, non si era infatti proceduto ad alcuna significativa verifica e approfondimento di rilievo sul funzionamento dei mercati, nonostante il fatto che temi rilevanti fossero rimasti al di fuori di quella pur importante riforma e che gli anni ‘90 avessero introdotto importanti cambiamenti. Oggi, a distanza di tempo e sotto l’urgenza di episodi che sarebbe stato meglio evitare, le criticità degne di attenzione sono molte. Per semplicità espositiva, possiamo dividere i principali temi inseriti nell’attuale bozza del disegno di legge sul risparmio in quattro grandi tematiche: vigilanza; tutela del risparmiatore; falso in bilancio e corporate governance.

 

3. Il nodo della vigilanza

Per molti versi il tema più importante è senza dubbio quello relativo all’assetto della vigilanza. Abbiamo già sottolineato sul precedente numero di Proteo come la gravità degli eventi verificatisi in Italia negli ultimi anni abbia sollevato il problema della responsabilità e dell’adeguatezza di questo assetto.

Il profilo della responsabilità si riferisce soprattutto alle modalità con le quali, dati gli strumenti attualmente esistenti, le autorità di vigilanza hanno effettivamente condotto la loro azione di prevenzione e di controllo. È, quindi, essenzialmente un giudizio politico circa l’efficacia con la quale i vertici delle autorità di vigilanza hanno saputo interpretare il loro ruolo. Sotto questo profilo, ci sembra di poter dire che al di là delle opinioni personali la portata e la gravità degli episodi verificatisi abbia oggettivamente compromesso l’autorevolezza di Consob e Banca d’Italia agli occhi degli operatori e dei cittadini.

Consob è certamente intervenuta su Parmalat, ma lo ha fatto inspiegabilmente in ritardo. E non sembra essere stata particolarmente efficace nel controllo delle emissioni di Bond da parte della Cirio, in origine riservati ad investitori istituzionali ma poi sistematicamente collocati ai piccoli risparmiatori (anche in fase di emissione), eludendo le disposizioni in materia di sollecitazione del pubblico risparmio. Peraltro, con l’obiettivo manifesto di rimborsare i finanziamenti delle banche in un contesto di crisi aziendale conclamata. La Consob non è apparsa né esente da problemi di efficienza, forse anche per scarsità di risorse, né sufficientemente distante dalla politica. Il che porta immediatamente sul banco degli imputati i criteri di nomina dei propri commissari.

La Banca d’Italia, da parte sua, ha respinto qualsiasi addebito formale. Eppure si è trattato di episodi troppo visibili per non essere stati colti dal principale organismo di vigilanza sul sistema bancario che, sebbene non fosse chiamato ad autorizzare le singole emissioni di titoli, ha un dovere primario di vigilanza sulla stabilità dei mercati. In questo contesto sono emerse con evidenza critiche già da tempo rivolte alla Banca d’Italia ed in particolare:

• Un atteggiamento eccessivamente teocratico ed autoreferenziale, un’inclinazione al governo più che al controllo del settore e una relazione preferenziale con alcuni gruppi rispetto ad altri;

• La presenza di conflitti di interesse nell’assetto societario e talvolta nella stessa azione dell’organismo di vigilanza (ad es. il capitale sociale della Banca d’Italia è detenuto dalle banche controllate mentre la gestione diretta della liquidità dell’istituto o del suo fondo pensione forniscono opportunità di interventi in assemblea che condizionano impropriamente l’attività economica degli operatori);

• L’assolvimento di troppi obiettivi spesso in contraddizione tra loro, come la tutela della stabilità, la salvaguardia dei risparmiatori e il governo del settore.

Ma Consob e Banca d’Italia non hanno solo mancato nella loro attività di vigilanza ispettiva e di controllo. Abbiamo già segnalato nel precedente articolo come la vigilanza sia soprattutto preventiva, attraverso indicazioni informali di “persuasione etica” (moral suasion), la regolamentazione diretta dei mercati e, nei casi in cui questa è riservata ad altri soggetti, la debita segnalazione (soprattutto al Governo e al Parlamento) delle principali criticità emergenti. Da questo punto di vista, l’impressione generale è che gli organismi di vigilanza abbiano dimostrato più attenzione e sensibilità verso il governo del mercato e la salvaguardia degli operatori che non verso la tutela del risparmio, lasciata di fatto alla competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria e delle associazioni di tutela dei risparmiatori.

Un secondo profilo di analisi in materia di vigilanza riguarda invece l’efficacia e la razionalità dell’assetto complessivo, ovvero la sua adeguatezza rispetto all’obiettivo della tutela del risparmio e a quello della stabilità dei mercati. Nel precedente numero di Proteo avevamo già sottolineato quanto fosse positivo il fatto che su questi temi si sia finalmente aperto in Italia un libero dibattito. Il tabù su questo argomento, legato ai noti e spiacevoli episodi della fine degli anni ‘70, ha condizionato il necessario ammodernamento del sistema, messo a dura prova dalle profonde trasformazioni degli anni ‘90. In particolare, dopo il trasferimento del controllo sulla base monetaria alla Banca Centrale Europea e la creazione dell’Antitrust, era arrivato il momento di affrontare il tema di una modernizzazione dell’intera struttura di vigilanza sui mercati e gli operatori finanziari. Inoltre, i numerosi scandali finanziari degli ultimi anni hanno posto un rilevante problema di internazionalizzazione dei controlli. L’esigenza di una riforma era da tempo condivisa da molti.

In termini sintetici, l’attuale sistema di vigilanza italiano è in linea di principio tripartito, con una distinzione per finalità nell’ambito della quale la Consob tutela la trasparenza delle imprese, la Banca d’Italia tutela la stabilità degli intermediari creditizi e dei mercati e ha le competenze in materia di concorrenza nel settore creditizio mentre l’Antitrust tutela la concorrenza, con esclusione del sistema bancario. Non mancano, tuttavia, particolarità e anomalie, tra le quali la presenza di autorità competenti per specifici settori, come la Covip per i fondi pensione e l’Isvap per le assicurazioni, e la non sempre chiara ripartizione di competenze tra Banca d’Italia e Consob su alcuni profili di vigilanza, trasparenza e tutela dei risparmiatori.

Ogni riforma di questo sistema richiede dunque la scelta chiara di un modello tra quelli maggiormente diffusi anche negli altri paesi: ad autorità unica o tripartita per finalità, come quello italiano. Uno sguardo d’insieme mostra che non esiste una soluzione prevalente. In Europa entrambe le soluzioni sono ampiamente adottate, in modo quasi equamente suddiviso. Anche l’analisi teorica non fornisce risposte univoche. Peraltro l’autorità unica è un modello di recente applicazione, sul quale manca quindi la possibilità di una valutazione empirica. Volendo dunque pragmaticamente optare per una soluzione a tre autorità, coerente con l’impianto attuale dell’assetto italiano e con il potenziale beneficio di una certa dialettica tra organismi di controllo, i principi sui quali abbiamo auspicato da tempo un intervento del Parlamento sono i seguenti:

• Mantenere la vigilanza per finalità ma riducendo a tre il numero di autorità;

• Potenziare la Consob (che assorbirebbe Covip e Isvap) - che oggettivamente ha competenze estremamente ampie e articolate - assegnare la tutela della concorrenza bancaria all’Antitrust e eliminando le attuali aree di sovrapposizione o incertezza nelle competenze attribuite alle diverse autorità;

• Garantire la massima autonomia e indipendenza dalla politica a tutte le autorità di controllo;

• Responsabilizzare l’attività di vigilanza (accountability) verso il Parlamento e la società civile (non verso il Governo), con un mandato a termine per il Governatore della Banca d’Italia;

• Eliminare particolari situazioni di conflitto di interesse che coinvolgono le autorità (ed in particolar modo la Banca d’Italia);

• Potenziare il coordinamento internazionale dell’attività di vigilanza, a cominciare da quello Europeo nell’ambito della BCE.

Partendo da queste proposte, il lavoro parlamentare che si è svolto nel frattempo si presenta pieno di luci ed ombre. Scartato il modello unico di matrice anglosassone, l’idea che sembra oggi prevalere è effettivamente quella di mantenere una vigilanza tripartita, con Banca d’Italia responsabile della stabilità; l’Antitrust della concorrenza e una riformata e potenziata Consob a salvaguardia della trasparenza e della correttezza dei comportamenti. La vera novità sta proprio nella proposta di attribuzione all’antitrust delle competenze in materia di concorrenza e nel potenziamento della Consob, denominata Amef e allargata fino a incorporare anche l’Isvap, la Covip e l’Uic (Ufficio Italiano Cambi).

Fin qui, quindi, in una direzione sostanzialmente coincidente con la nostra proposta. Tuttavia, i termini delle attribuzioni all’Antitrust non sono ancora chiari così come l’ampliamento della Consob - che sembra scontato - è ancora indefinito nella sua effettiva portata. Inoltre, l’accorpamento di Isvap, Covip e Uic all’interno dell’Amef sembra assai poco probabile in considerazione del fuoco di sbarramento aperto soprattutto dalle assicurazioni.

Ampio sembra invece il consenso sul mandato a termine per il governatore della Banca d’Italia, che con l’attuale incarico a vita rappresenta il retaggio di una visione monarchica dell’ex istituto di emissione, oltre che espressione di una autarchia della vigilanza che non deve dare conto a nessuno. Meno chiari, invece, sono i principi di responsabilizzazione verso il Parlamento e la società civile che si ritiene di introdurre. In questo ambito, costituisce addirittura un inquietante passo indietro il tentativo di riportare l’attività di vigilanza sotto il controllo diretto del Governo, in aperta contraddizione con il necessario principio di indipendenza dalle maggioranze politiche che ogni seria azione di controllo sui mercati e gli operatori finanziari deve necessariamente mantenere. La proposta del Ministero dell’Economia di istituire un Super Cicr, al quale sostanzialmente gli enti di vigilanza devono riferire e che può a sua volta sollecitare gli enti di vigilanza in una direzione piuttosto che un’altra, è già stata respinta dalla Bce, dall’Antitrust, dall’Abi, dalla Banca d’Italia e dalla stessa Consob.

Il coordinamento internazionale della vigilanza, ragionevolmente condiviso da tutti, va comprensibilmente giocato sul tavolo internazionale e quindi può trovare ben poca soddisfazione nell’ambito del provvedimento nazionale che sarà approvato dal Parlamento italiano. Mentre il tema dei conflitti d’interesse derivanti dall’attività finanziaria diretta della Banca d’Italia e dal suo assetto istituzionale è rimasto in parte sotto silenzio e in parte è finito nel tritacarne dei veti incrociati che hanno vanificato ogni possibile proposta di cambiamento.