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Per la critica del capitalismo

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Joaquín Arriola Palomares
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Professore di economia, Fac. Economia all’Università dei Paesi Baschi, Bilbao

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Le ragioni economiche del conflitto internazionale

Joaquín Arriola Palomares

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1. Le crisi

Una nazione è un luogo di contraddizioni, di conflitti, di forze che non possiedono nessuna ragione per compensarsi mutuamente. Perciò una nazione non raggiunge mai l’equilibrio ottimale. Se consideriamo queste caratteristiche come la norma, non si potrà mai dire che esse costituiscano il punto verso il quale tendono i processi concreti o intorno al quale essi si realizzano.

Al contrario, quando le controtendenze al ribasso e la tendenza all’equiparazione del tasso di guadagno tra industria ed industria si impongono sulla tendenza e le controtendenze contrarie, vale a dire che quando i processi sociali di regolazione sono efficaci, il processo di accumulazione conosce una stabilità strutturale di lungo periodo ed il capitale si riproduce ampliandosi; l’ordine tecnologico è stabile, le evoluzioni delle tecniche non lo destabilizzano; le strutture dei prezzi sono relativamente stabili come se la moneta esercitasse, di norma, un’influenza positiva.

La storia del capitalismo ha conosciuto diversi periodi di questa natura. Dalla metà del secolo XIX, quando l’industria si impose come l’attività dominante, fino ai giorni nostri, possiamo distinguere tre di questi periodi: il periodo corrispondente al Secondo Impero francese (anni ’50 e ’60 del XIX sec.), quello che parte dalla fine del secolo XIX fino agli inizi della Prima Guerra Mondiale, e quello che va dal New Deal o dalla Seconda Guerra Mondiale fino alla fine degli anni ’60.

Questa stabilità strutturale del processo di accumulazione è stato accompagnato sempre di più da contraddizioni endogene importanti. La speranza di vita delle controtendenze all ribasso del tasso di guadagno è limitata e, all’interno di un ordine tecnologico dato, la possibilità di dare luogo a nuove controtendenze è ridotta.

Finché non è molto grande la distanza tra il grado effettivo, crescente e senza interruzioni, della centralizzazione e la concentrazione del capitale, ed il suo livello nel momento in cui si esce da una crisi, cioè finché i processi sociali che assicurano le funzioni della competenza sono adeguati, le crisi cicliche finanziarie servono per eliminare gli scompensi che non possono rovesciarsi sul mercato mondiale.

Ma con l’evoluzione dell’accumulazione, questi processi diventano sempre meno adeguati al loro obiettivo ed il mercato mondiale si ritrova saturo di tutti gli squilibri che le diverse nazioni pretendono di fargli sopportare. Il commercio estero potrebbe porre rimedio a queste situazioni di eccesso di offerta, assorbendo l’eccedenza di merci. Ma il commercio estero non fa altro che estendere le contraddizioni ad una sfera più ampia, ampliando il loro campo di azione: trasferendo all’esterno la contraddizione economica, questa si diffonde, abbraccia nuovi territori e ritorna amplificata al punto di partenza.

Il mercato mondiale rimette, in un certo modo, ad ognuna delle nazioni gli squilibri che queste pensavano di potere scaricare su quello. Pertanto la caduta effettiva del tasso di guadagno penetra la distorsione dei tassi di guadagno tra industria ed industria, le norme che regolano il sistema dei prezzi diventano inefficaci, le imprese più potenti cercano di mantenere il proprio tasso di guadagno per mezzo di innovazioni tecnologiche che contribuiscono, a loro volta, a destabilizzare il sistema. È l’inizio della crisi, e non è strano che si manifesti in primo luogo sotto forma di perturbazioni monetarie internazionali né che sia accompagnata, per un breve periodo, dal rialzo degli indicatori di produzione, stimolati dalle nuove innovazioni. Crisi di questo genere si sono avute approssimativamente tra il 1873 e il 1896 (la prima “grande depressione”), durante il periodo tra le due guerre mondiali, e dal 1967, data della rottura effettiva del sistema di Bretton-Woods.

Queste crisi sono nazionali, ma si sviluppano seguendo calendari molto simili nelle differenti nazioni perché la loro evoluzione, regolata dalla necessaria risposta alle stesse evoluzioni strutturali, conosce gli stessi tipi di contraddizioni interne. L’aspetto internazionale di queste crisi - che provoca un effetto di ritorno - si deve al fatto che tutte le nazioni hanno tentato di far riassorbire le proprie contraddizioni dal mercato mondiale e che questo ha finito col non riuscirci. Le due primi crisi indicate conobbero, all’inizio, un periodo di forte apertura nei confronti dell’economia mondiale, prima del 1882 e prima del 1929, ma la deflazione implicò, per le nazioni, un ripiego su loro stesse nella ricerca di una soluzione nazionale, anche se sono state adottate strategie simili tra una nazione e l’altra.

È durante la crisi che si progettano gradualmente le linee principali del nuovo sistema di regolazione, attraverso processi di prova ed errore, momenti di impasse, fino a che una di queste prove ha successo, una volta che il “lavoro della crisi” ha distrutto sufficientemente l’ordine antico, per permettere l’emergere di un ordine nuovo.

Oltre a questo lavoro di crisi, ciò che caratterizza la rottura è l’incertezza profonda che questa genera. Questa incertezza non proviene solamente dalla difficoltà di trovare una via d’uscita, ma dal fatto che mentre la crisi si svolge, non possiamo essere sicuri né della sua esistenza (la guerra, il marciume della situazione sono sempre possibilità presenti), né della sua natura. Il fatto che la storia delle crisi precedenti sia stata scritta solo dopo che queste si sono chiuse, tende ad occultare il carattere dell’incertezza che troviamo nella letteratura dell’epoca. L’incertezza è ancora più importante in relazione alle tecniche che si impongono, ai tassi di scambio (ed oggi ai tassi di interesse) e da qui, in relazione ai costi e ai prezzi: appaiono forti tendenze a ritirare la liquidità dalla sfera produttiva ed a trasferirla alla sfera finanziaria, gonfiando gli attivi finanziari in un momento in cui si sviluppano forti tendenze deflazioniste.

Pertanto, bisogna mostrare una gran prudenza prima di costruire schemi delle relazioni internazionali che si pretendono a-storici: i fenomeni economici non si articolano nello stesso modo durante i periodi di stabilità strutturale del processo di accumulazione e durante i periodi di crisi del sistema di regolazione; inoltre ogni sistema di regolazione ha la sua specificità, come ognuna della sua crisi.

2. Dominazione e sistemi produttivi

F. Perroux definì con precisione i concetti di dominazione e di effetto di dominazione: “l’effetto di dominazione, desiderato o no, è un’influenza asimmetrica o irreversibile. La sua misura si determina nel vantaggio esterno al contratto o nel margine di indeterminazione dovuto alla comparazione con il livello (teorico) di equilibrio dell’interscambio puro. I suoi componenti sono la forza contrattuale dell’unità, la sua dimensione e la sua appartenenza ad una zona attiva dell’economia. La sua azione si esercita direttamente o per intermediazione” (F. Perroux: “L’economie du XXe siècle”, PUF 1969). Gli effetti di dominazione sono in se stessi “effetti dinamici” o “effetti di blocco”. La cosa certa è che “l’effetto di dominazione rompe gli schemi dell’interdipendenza generale e reciproca” (F. P ibidem).

Il concetto di dominazione è una delle chiavi della comprensione delle relazioni economiche internazionali. In particolare, permette di prendere in considerazione due tipi di situazioni. Per comprendere cosa significhino la destrutturazione e la ristrutturazione dei sistemi produttivi e delle sue articolazioni durante le crisi del sistema di regolazione, si possono considerare quindi due economie dominanti a livello internazionale, l’Inghilterra del secolo XIX e gli Stati Uniti del XX, e la “lotta”, nel periodo tra le due guerre mondiali, tra l’economia che si sente e si vede come dominante e quella che, dopo un’esperienza secolare, non può disabituarsi ad esserlo,

Una nazione che costruisce il suo apparato produttivo in una situazione di forza relativa nel proprio ambiente, può utilizzare questo per superare, in parte, i propri limiti (approvvigionamento di materie prime, spese per le merci ed i capitali). Questa ha pertanto la tendenza ad integrare altri spazi oltre al proprio territorio nel suo sistema produttivo.

Così possiamo dare un contenuto preciso ad una formazione sociale o a una nazione dominata: le sue attività produttive fanno parte di un sistema produttivo esterno e la cui moneta viene imposta; non possiede i mezzi per assicurare in forma autonoma la propria riproduzione; non ha in sé stessa il proprio principio di regolazione. Queste “affiliazioni” o questa definizione spaziale dei sistemi produttivi sono profondamente modificate a causa delle crisi del sistema di regolazione. A titolo di esempio, possiamo evocare la Conferenza di Berlino (“Distribuzione dell’Africa”) organizzata nel 1884-85, il trasferimento del dominio sull’America Latina dall’Inghilterra agli Stati Uniti durante la crisi tra le due guerre, la volontà degli Stati Uniti di entrare in Africa ed in Medio oriente, o la sostituzione degli Stati Uniti da parte del Giappone come economia dominante nel Sud-est Asiatico e la lotta tra queste due economie con vocazione mondiale in molti posti del mondo, perfino in America Latina durante la crisi attuale.

Questo impianto di analisi porta a non considerare più la Divisione Internazionale del Lavoro in forma arciglobale, su scala mondiale. La DIL può essere meglio compresa quando la consideriamo frammentata in diversi sistemi produttivi centrati sui paesi sviluppati. Il fenomeno della dominazione si trasferisce all’interno dello stesso processo di accumulazione. Ciò permette di spiegare come gli spazi dei sistemi produttivi siano decostruiti e ricomposti durante ognuna delle crisi del sistema di regolazione.

Un progetto lineare può indicare che la concentrazione farà sì che questo processo si prolunghi fino a completarsi.

Non si può affermarre che non sarà così. L’esperienza storica - quella dell’apertura al mondo delle economie nazionali nelle prime fasi delle crisi del sistema di regolazione, prima della crisi di deflazione e della chiusura delle frontiere - non può dimostrare niente rispetto al futuro. La resistenza delle nazioni e degli Stati a sparire, che si manifesta in numerosi fenomeni, per esempio quello che chiamiamo “crescita del protezionismo”, può essere eventualmente piegata. Ma non è questo il problema. Il fatto è che attualmente non si può parlare di un sistema produttivo mondiale, neanche di un sistema produttivo europeo (CEE). Il fatto che il dollaro sia riuscito a imporsi come mezzo di pagamento internazionale, non lo trasforma in una moneta mondiale. Che in numerosi mercati il sistema dei prezzi relativi dei paesi più sviluppati abbia potuto imporsi parzialmente nei paesi sottosviluppati, non significa in assoluto che esista un sistema mondiale di prezzi relativi. Il fatto che i sistemi produttivi che hanno funzionato durante le due decadi successive all’IIGM si trovino profondamente destrutturati dalla crisi, non ci dice niente rispetto alla ricomposizione di un sistema produttivo mondiale. Se è esistito un “modello” della Trilaterale e delle Cime Mondiali che potesse far presagire un sistema di potere di tipo statale emergente al livello dalla sfera capitalista dell’economia mondiale, questo sembra essere stato distrutto dalle contraddizioni proprie del capitalismo nordamericano: le riunioni dei primi ministri dei 5 grandi non garantiscono né la pace economica, né la stabilità macroeonomica e monetaria, né il ritorno ad un sistema monetario internazionale stabile.

3. Cambiamenti nella Divisione Internazionale del Lavoro: Industrializzazione e Commercio Mondiale

La struttura tradizionale del commercio mondiale si basava sugli scambi di materie prime, prodotti agricoli e prodotti industriali, in una divisione internazionale del lavoro che stabiliva un modello di specializzazione tra paesi poveri e paesi ricchi, come se fossero divisi tra produttori di beni primari (paesi poveri) e produttori industriali ed agricoli sovvenzionati (paesi ricchi: questi sovvenzionano con 150.000 milioni di dollari i propri produttori agricoli, con 19.000 milioni di dollari i paesi sottosviluppati e 4.000 milioni i paesi in transizione; in media, tra il 1986 e il 1990 i paesi sviluppati hanno sovvenzionato annualmente esportazioni per 48,2 milioni di tonnellate di grano; 19,5 milioni di tonnellate di cereali; 1 milione di tonnellate di zucchero; 1,2 milioni di tonnellate di carne bovina e 1,2 milioni di tonnellate di formaggio e burro. Sutherland: “Los resultados de la Ronda Uruguay: valorar lo invalorable” in ICE, ottobre 1994 N. 734 p.51)

Dagli anni 70, la realtà dei flussi internazionali si modifica in modo sostanziale: se il Round Uruguay del GATT si incentrò nelle sovvenzioni agricole della UE ed il suo conflitto con gli USA, la realizzazione di una cornice di libero commercio per altri servizi ha obbligato a creare un nuovo organismo che si occupasse del commercio mondiale, l’OMC, con maggiori poteri di rappresaglia contro i paesi che pongono ostacoli alla circolazione dei prodotti del settore dei servizi, facilitando la pirateria commerciale e frenando le operazioni delle multinazionali del settore.

Ci stiamo riferendo, tra le altre attività, a tutti i servizi commerciali; architettura e design; telecomunicazioni ed elaborazione dati; contabilità e consulenza di gestione;banche e assicurazioni; trasporti di ogni tipo; e soprattutto l’ampia varietà di servizi del settore dei viaggi ed il turismo: i “servizi centrali” offerti da hotel e ristoranti; le agenzie di viaggio e l’organizzazione di viaggi di gruppo; le guide turistiche;gli organizzatori di congressi; gli operatori di porti sportivi; le imprese di formazione turistica; le compagnie di trasporti turistici (autobus per gite turistiche, affitti di imbarcazioni ecc.).

4. Massachusetts-Birmania: Passando al di sopra dei Diritti umani

Negli Stati Uniti, diversi stati e località hanno manifestato da tempo le proprie inclinazioni politiche per mezzo della promulgazione di leggi di “acquisti selettivi”,per fare pressione sulle imprese transnazionali affinché cessino di fare commerci con regimi repressivi. Per esempio, dal 1996 il Massachusetts ha imposto una sanzione del 10% sui beni e servizi forniti da imprese che hanno interessi finanziari in Myanmar. Prima conosciuta come Birmania, il Myanmar è celebre per i brutali abusi del suo governo militare. Fino ad ora Siemens, Unilever e varie compagnie giapponesi sono tra quelle penalizzate dalla legislazione del Massachusetts.