1. Le crisi
Una nazione è un luogo di contraddizioni, di conflitti, di
forze che non possiedono nessuna ragione per compensarsi mutuamente. Perciò una
nazione non raggiunge mai l’equilibrio ottimale. Se consideriamo queste
caratteristiche come la norma, non si potrà mai dire che esse costituiscano il
punto verso il quale tendono i processi concreti o intorno al quale essi si
realizzano.
Al contrario, quando le controtendenze al ribasso e la
tendenza all’equiparazione del tasso di guadagno tra industria ed industria si
impongono sulla tendenza e le controtendenze contrarie, vale a dire che quando i
processi sociali di regolazione sono efficaci, il processo di accumulazione
conosce una stabilità strutturale di lungo periodo ed il capitale si riproduce
ampliandosi; l’ordine tecnologico è stabile, le evoluzioni delle tecniche non
lo destabilizzano; le strutture dei prezzi sono relativamente stabili come se la
moneta esercitasse, di norma, un’influenza positiva.
La storia del capitalismo ha conosciuto diversi periodi di
questa natura. Dalla metà del secolo XIX, quando l’industria si impose come l’attività
dominante, fino ai giorni nostri, possiamo distinguere tre di questi periodi: il
periodo corrispondente al Secondo Impero francese (anni ’50 e ’60 del XIX
sec.), quello che parte dalla fine del secolo XIX fino agli inizi della Prima
Guerra Mondiale, e quello che va dal New Deal o dalla Seconda Guerra Mondiale
fino alla fine degli anni ’60.
Questa stabilità strutturale del processo di accumulazione
è stato accompagnato sempre di più da contraddizioni endogene importanti. La
speranza di vita delle controtendenze all ribasso del tasso di guadagno è
limitata e, all’interno di un ordine tecnologico dato, la possibilità di dare
luogo a nuove controtendenze è ridotta.
Finché non è molto grande la distanza tra il grado
effettivo, crescente e senza interruzioni, della centralizzazione e la
concentrazione del capitale, ed il suo livello nel momento in cui si esce da una
crisi, cioè finché i processi sociali che assicurano le funzioni della
competenza sono adeguati, le crisi cicliche finanziarie servono per eliminare
gli scompensi che non possono rovesciarsi sul mercato mondiale.
Ma con l’evoluzione dell’accumulazione, questi processi
diventano sempre meno adeguati al loro obiettivo ed il mercato mondiale si
ritrova saturo di tutti gli squilibri che le diverse nazioni pretendono di
fargli sopportare. Il commercio estero potrebbe porre rimedio a queste
situazioni di eccesso di offerta, assorbendo l’eccedenza di merci. Ma il
commercio estero non fa altro che estendere le contraddizioni ad una sfera più
ampia, ampliando il loro campo di azione: trasferendo all’esterno la
contraddizione economica, questa si diffonde, abbraccia nuovi territori e
ritorna amplificata al punto di partenza.
Il mercato mondiale rimette, in un certo modo, ad ognuna
delle nazioni gli squilibri che queste pensavano di potere scaricare su quello.
Pertanto la caduta effettiva del tasso di guadagno penetra la distorsione dei
tassi di guadagno tra industria ed industria, le norme che regolano il sistema
dei prezzi diventano inefficaci, le imprese più potenti cercano di mantenere il
proprio tasso di guadagno per mezzo di innovazioni tecnologiche che
contribuiscono, a loro volta, a destabilizzare il sistema. È l’inizio della
crisi, e non è strano che si manifesti in primo luogo sotto forma di
perturbazioni monetarie internazionali né che sia accompagnata, per un breve
periodo, dal rialzo degli indicatori di produzione, stimolati dalle nuove
innovazioni. Crisi di questo genere si sono avute approssimativamente tra il
1873 e il 1896 (la prima “grande depressione”), durante il periodo tra le
due guerre mondiali, e dal 1967, data della rottura effettiva del sistema di
Bretton-Woods.
Queste crisi sono nazionali, ma si sviluppano seguendo
calendari molto simili nelle differenti nazioni perché la loro evoluzione,
regolata dalla necessaria risposta alle stesse evoluzioni strutturali, conosce
gli stessi tipi di contraddizioni interne. L’aspetto internazionale di queste
crisi - che provoca un effetto di ritorno - si deve al fatto che tutte le
nazioni hanno tentato di far riassorbire le proprie contraddizioni dal mercato
mondiale e che questo ha finito col non riuscirci. Le due primi crisi indicate
conobbero, all’inizio, un periodo di forte apertura nei confronti dell’economia
mondiale, prima del 1882 e prima del 1929, ma la deflazione implicò, per le
nazioni, un ripiego su loro stesse nella ricerca di una soluzione nazionale,
anche se sono state adottate strategie simili tra una nazione e l’altra.
È durante la crisi che si progettano gradualmente le linee
principali del nuovo sistema di regolazione, attraverso processi di prova ed
errore, momenti di impasse, fino a che una di queste prove ha successo, una
volta che il “lavoro della crisi” ha distrutto sufficientemente l’ordine
antico, per permettere l’emergere di un ordine nuovo.
Oltre a questo lavoro di crisi, ciò che caratterizza la
rottura è l’incertezza profonda che questa genera. Questa incertezza non
proviene solamente dalla difficoltà di trovare una via d’uscita, ma dal fatto
che mentre la crisi si svolge, non possiamo essere sicuri né della sua
esistenza (la guerra, il marciume della situazione sono sempre possibilità
presenti), né della sua natura. Il fatto che la storia delle crisi precedenti
sia stata scritta solo dopo che queste si sono chiuse, tende ad occultare il
carattere dell’incertezza che troviamo nella letteratura dell’epoca. L’incertezza
è ancora più importante in relazione alle tecniche che si impongono, ai tassi
di scambio (ed oggi ai tassi di interesse) e da qui, in relazione ai costi e ai
prezzi: appaiono forti tendenze a ritirare la liquidità dalla sfera produttiva
ed a trasferirla alla sfera finanziaria, gonfiando gli attivi finanziari in un
momento in cui si sviluppano forti tendenze deflazioniste.
Pertanto, bisogna mostrare una gran prudenza prima di
costruire schemi delle relazioni internazionali che si pretendono a-storici: i
fenomeni economici non si articolano nello stesso modo durante i periodi di
stabilità strutturale del processo di accumulazione e durante i periodi di
crisi del sistema di regolazione; inoltre ogni sistema di regolazione ha la sua
specificità, come ognuna della sua crisi.
2. Dominazione e sistemi produttivi
F. Perroux definì con precisione i concetti di dominazione e
di effetto di dominazione: “l’effetto di dominazione, desiderato o no, è un’influenza
asimmetrica o irreversibile. La sua misura si determina nel vantaggio esterno al
contratto o nel margine di indeterminazione dovuto alla comparazione con il
livello (teorico) di equilibrio dell’interscambio puro. I suoi componenti sono
la forza contrattuale dell’unità, la sua dimensione e la sua appartenenza ad
una zona attiva dell’economia. La sua azione si esercita direttamente o per
intermediazione” (F. Perroux: “L’economie du XXe siècle”, PUF 1969).
Gli effetti di dominazione sono in se stessi “effetti dinamici” o “effetti
di blocco”. La cosa certa è che “l’effetto di dominazione rompe gli
schemi dell’interdipendenza generale e reciproca” (F. P ibidem).
Il concetto di dominazione è una delle chiavi della
comprensione delle relazioni economiche internazionali. In particolare, permette
di prendere in considerazione due tipi di situazioni. Per comprendere cosa
significhino la destrutturazione e la ristrutturazione dei sistemi produttivi e
delle sue articolazioni durante le crisi del sistema di regolazione, si possono
considerare quindi due economie dominanti a livello internazionale, l’Inghilterra
del secolo XIX e gli Stati Uniti del XX, e la “lotta”, nel periodo tra le
due guerre mondiali, tra l’economia che si sente e si vede come dominante e
quella che, dopo un’esperienza secolare, non può disabituarsi ad esserlo,
Una nazione che costruisce il suo apparato produttivo in una
situazione di forza relativa nel proprio ambiente, può utilizzare questo per
superare, in parte, i propri limiti (approvvigionamento di materie prime, spese
per le merci ed i capitali). Questa ha pertanto la tendenza ad integrare altri
spazi oltre al proprio territorio nel suo sistema produttivo.
Così possiamo dare un contenuto preciso ad una formazione
sociale o a una nazione dominata: le sue attività produttive fanno parte di un
sistema produttivo esterno e la cui moneta viene imposta; non possiede i mezzi
per assicurare in forma autonoma la propria riproduzione; non ha in sé stessa
il proprio principio di regolazione. Queste “affiliazioni” o questa
definizione spaziale dei sistemi produttivi sono profondamente modificate a
causa delle crisi del sistema di regolazione. A titolo di esempio, possiamo
evocare la Conferenza di Berlino (“Distribuzione dell’Africa”) organizzata
nel 1884-85, il trasferimento del dominio sull’America Latina dall’Inghilterra
agli Stati Uniti durante la crisi tra le due guerre, la volontà degli Stati
Uniti di entrare in Africa ed in Medio oriente, o la sostituzione degli Stati
Uniti da parte del Giappone come economia dominante nel Sud-est Asiatico e la
lotta tra queste due economie con vocazione mondiale in molti posti del mondo,
perfino in America Latina durante la crisi attuale.
Questo impianto di analisi porta a non considerare più la
Divisione Internazionale del Lavoro in forma arciglobale, su scala mondiale. La
DIL può essere meglio compresa quando la consideriamo frammentata in diversi
sistemi produttivi centrati sui paesi sviluppati. Il fenomeno della dominazione
si trasferisce all’interno dello stesso processo di accumulazione. Ciò
permette di spiegare come gli spazi dei sistemi produttivi siano decostruiti e
ricomposti durante ognuna delle crisi del sistema di regolazione.
Un progetto lineare può indicare che la concentrazione farà
sì che questo processo si prolunghi fino a completarsi.
Non si può affermarre che non sarà così. L’esperienza
storica - quella dell’apertura al mondo delle economie nazionali nelle prime
fasi delle crisi del sistema di regolazione, prima della crisi di deflazione e
della chiusura delle frontiere - non può dimostrare niente rispetto al futuro.
La resistenza delle nazioni e degli Stati a sparire, che si manifesta in
numerosi fenomeni, per esempio quello che chiamiamo “crescita del
protezionismo”, può essere eventualmente piegata. Ma non è questo il
problema. Il fatto è che attualmente non si può parlare di un sistema
produttivo mondiale, neanche di un sistema produttivo europeo (CEE). Il fatto
che il dollaro sia riuscito a imporsi come mezzo di pagamento internazionale,
non lo trasforma in una moneta mondiale. Che in numerosi mercati il sistema dei
prezzi relativi dei paesi più sviluppati abbia potuto imporsi parzialmente nei
paesi sottosviluppati, non significa in assoluto che esista un sistema mondiale
di prezzi relativi. Il fatto che i sistemi produttivi che hanno funzionato
durante le due decadi successive all’IIGM si trovino profondamente
destrutturati dalla crisi, non ci dice niente rispetto alla ricomposizione di un
sistema produttivo mondiale. Se è esistito un “modello” della Trilaterale e
delle Cime Mondiali che potesse far presagire un sistema di potere di tipo
statale emergente al livello dalla sfera capitalista dell’economia mondiale,
questo sembra essere stato distrutto dalle contraddizioni proprie del
capitalismo nordamericano: le riunioni dei primi ministri dei 5 grandi non
garantiscono né la pace economica, né la stabilità macroeonomica e monetaria,
né il ritorno ad un sistema monetario internazionale stabile.
3. Cambiamenti nella Divisione Internazionale del Lavoro: Industrializzazione
e Commercio Mondiale
La struttura tradizionale del commercio mondiale si basava
sugli scambi di materie prime, prodotti agricoli e prodotti industriali, in una
divisione internazionale del lavoro che stabiliva un modello di specializzazione
tra paesi poveri e paesi ricchi, come se fossero divisi tra produttori di beni
primari (paesi poveri) e produttori industriali ed agricoli sovvenzionati (paesi
ricchi: questi sovvenzionano con 150.000 milioni di dollari i propri produttori
agricoli, con 19.000 milioni di dollari i paesi sottosviluppati e 4.000 milioni
i paesi in transizione; in media, tra il 1986 e il 1990 i paesi sviluppati hanno
sovvenzionato annualmente esportazioni per 48,2 milioni di tonnellate di grano;
19,5 milioni di tonnellate di cereali; 1 milione di tonnellate di zucchero; 1,2
milioni di tonnellate di carne bovina e 1,2 milioni di tonnellate di formaggio e
burro. Sutherland: “Los resultados de la Ronda Uruguay: valorar lo invalorable”
in ICE, ottobre 1994 N. 734 p.51)
Dagli anni 70, la realtà dei flussi internazionali si
modifica in modo sostanziale: se il Round Uruguay del GATT si incentrò nelle
sovvenzioni agricole della UE ed il suo conflitto con gli USA, la realizzazione
di una cornice di libero commercio per altri servizi ha obbligato a creare un
nuovo organismo che si occupasse del commercio mondiale, l’OMC, con maggiori
poteri di rappresaglia contro i paesi che pongono ostacoli alla circolazione dei
prodotti del settore dei servizi, facilitando la pirateria commerciale e
frenando le operazioni delle multinazionali del settore.
Ci stiamo riferendo, tra le altre attività, a tutti i
servizi commerciali; architettura e design; telecomunicazioni ed elaborazione
dati; contabilità e consulenza di gestione;banche e assicurazioni; trasporti di
ogni tipo; e soprattutto l’ampia varietà di servizi del settore dei viaggi ed
il turismo: i “servizi centrali” offerti da hotel e ristoranti; le agenzie
di viaggio e l’organizzazione di viaggi di gruppo; le guide turistiche;gli
organizzatori di congressi; gli operatori di porti sportivi; le imprese di
formazione turistica; le compagnie di trasporti turistici (autobus per gite
turistiche, affitti di imbarcazioni ecc.).
4. Massachusetts-Birmania: Passando al di sopra dei Diritti umani
Negli Stati Uniti, diversi stati e località hanno
manifestato da tempo le proprie inclinazioni politiche per mezzo della
promulgazione di leggi di “acquisti selettivi”,per fare pressione sulle
imprese transnazionali affinché cessino di fare commerci con regimi repressivi.
Per esempio, dal 1996 il Massachusetts ha imposto una sanzione del 10% sui beni
e servizi forniti da imprese che hanno interessi finanziari in Myanmar. Prima
conosciuta come Birmania, il Myanmar è celebre per i brutali abusi del suo
governo militare. Fino ad ora Siemens, Unilever e varie compagnie giapponesi
sono tra quelle penalizzate dalla legislazione del Massachusetts.