Rubrica
IL PUNTO , LA PRATICA, IL PROGETTO
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Anche gli abitanti della Valle del Vajont si sono stretti in solidarietà con gli abitanti della Valle di Susa e con il Comitato NO TAV. Ricordano, infatti, la ferita profonda prodotta in seguito alla realizzazione del progetto “Grande Vajont”, una delle prime “grandi opere” realizzate in Italia per la costruzione della diga più alta del mondo per sfruttare le ricche risorse idriche e anche allora i dirigenti dell’impresa (SADE) e lo Stato sentivano questo progetto come un trampolino di lancio per lo sviluppo. Anche allora si determinarono in fase di progettazione e di realizzazione: una spinta prevalente verso gli interessi economici; una sottovalutazione delle problematiche idrogeologiche e ambientali; un tentativo strategico di zittire e sedare qualunque volontà di protesta e/o di corretta informazione (Vedi Carta settimanale n. 45 del 12/12/2005). Le conseguenze: 2000 morti e ferite incancellabili nelle coscienze dei sopravvissuti. Ferite inferte alla coscienza collettiva, all’intero Paese, ed è per questo, perché sappiamo, che da Scanzano Jonico, il Comune in provincia di Matera dove, un paio di anni fa, si lottò con successo contro la costruzione di un centro di smaltimento di scorie nucleari (Scanziamo le scorie), agli abitanti di Acerra e al suo sindaco Marletta Espedito, che lottano contro il termovalorizzatore, fino a Napoli - con i disobbedienti, la Rete Antagonista, centri sociali e sindacati di base - che solidarizzano con la Val di Susa contestando il progetto per la linea Roma-Napoli, passando per i blitz a Mestre, nella sede della Rete Ferroviaria Italiana SpA, rivendicati con lo slogan “Siamo tutti valsusini”, e dicendo di aver agito “contro la società che tiene il 50% delle azioni Tav” e in segno di solidarietà al popolo della Val di Susa e in segno di protesta per le “vergogne della polizia contro la Val Susa: “No Polizia, No TAV: la nostra lotta contro non si fermerà qui” ha concluso l’anonima interlocutrice. Anche la Valnerina “risponde” solidarizzando con la comunità montana Val di Susa ricordando il suo nemico, che si chiama “metanodotto”, per la tutela del suo paesaggio “Medioevale”.
Sembra davvero, salvo che per le bypartisan “Istituzioni”, l’ultima frontiera di un paese gravemente ammalato, dove la democrazia oltre ad essere sospesa è anche “manganellata” e umiliata. E i cittadini della Val di Susa sembrano essersene accorti, così la loro lotta assume un significato che va oltre la necessaria e strenua difesa del territorio. “In un mondo politico fatto di tappi di sughero che galleggiano sugli eventi”, dice Marco Revelli su Il Manifesto del 2 dicembre scorso, “come i metalmeccanici (i valsusini) hanno la serietà delle cose che manca alla politica mediatica. Tengono fermo un discorso sulla democrazia che viene da lontano - dalle assemblee, dai gruppi omogenei...- ma si proietta nel futuro. L’ultima parola tocca, appunto, ai diretti interessati”. Oggi La democrazia, dice, è ridotta a clava nella retorica con cui si motiva l’aggressione armata a un paese, o con cui si mette a tacere un territorio in nome di presunti interessi generali... ti rendi conto che è ormai impossibile nominare la democrazia senza dovergli affibbiare un aggettivo, per qualificare o squalificare un termine il cui significato si è offuscato. Le persone che attraverso la democrazia tornano soggetti attivi sono un antidoto alle derive oligarchiche nelle imprese - con l’arrogante rivendicazione dell’autonomia del comando sugli uomini e sulle donne - e nel territorio - con l’arrogante rivendicazione dell’autonomia del comando sulle popolazioni. Attraverso processi decisionali che ignorano gli argomenti di chi si oppone, usano la retorica dei falsi luoghi comuni - penso ad alcune dichiarazioni di Ciampi - e impongono soluzioni unilaterali che riflettono interessi che tutto sono tranne che generali - come quelli della Cmc e della Impregilo.
Ed è per questo che oggi, l’intera Valsusa è in rivolta. Per dire che l’alta velocità non passerà; non per un problema di principio o per ostinazione, ma perché le alternative a una grande opera così nociva per l’ambiente e la salute ci sono e sono molto meno costose.
Quello che stupisce di questo movimento è la sua trasversalità. Contro l’alta velocità in Val di Susa, infatti, si sono schierati tutti: cittadini anziani e giovani, vecchi partigiani, studenti, donne e lavoratori. Ci sono i sindaci e gli amministratori locali, uniti a prescindere dal colore politico. Perché questo progetto che sventrerebbe la montagna tanto cara ai valsusini non piace proprio a nessuno. Nonostante tutto, questo movimento non si è mai posto di fronte alla Torino-Lione con un atteggiamento di ottuso rifiuto. Ha invece sempre cercato il dialogo con le istituzioni e soprattutto ha offerto proposte alternative al progetto sponsorizzato da Governo, Regione e Provincia.
A partire dal 31 ottobre la mobilitazione popolare NO TAV ha visto una resistenza collettiva alle trivelle: migliaia di persone si sono opposte alla forza pubblica per impedire la presa di possesso da parte di LTF dei terreni in cui si dovevano svolgere i sondaggi geognostici. Fin dalla notte il popolo NO TAV si era preoccupato e attrezzato per occupare i siti dei sondaggi e sopra a Mompantero, a Urbiano e al ponte del Seghino ha resistito per ore al tentativo di passaggio delle forze dell’ordine. Così un movimento popolare, nei suoi canoni e nelle sue decisioni ha interpretato e messo in atto la sfida lanciatagli dalla lobby del Tav.
Le risposte sono state iniziative di massa che hanno visto il blocco della ferrovia, il Tgv e le statali della valle. Un territorio intero ha lottato e lotta senza farsi imbrigliare dai vari “escamotage” politici, mirando al risultato, allargando il consenso sociale e radicando sul territorio e sulla popolazione la propria lotta fino ad arrivare allo Sciopero generale del 16 novembre chiesto dai lavoratori, sostenuto dai sindaci, dalla Fiom, dalla RdB, dai Cobas, dalla Cub e da pezzi della Cgil.
La presidente della Regione, Mercedes Bresso ha liquidato la manifestazione sostenendo che “gli amministratori sono ostaggio di quelli che, essendo contro, li tengono sotto tiro, non fisico ma morale. “Ormai”, aggiunge, “è impossibile andare in valle a fare informazione”. In Valle ancora l’aspettano. Il 18 novembre sono partite le lettere di esproprio per i proprietari dei terreni di Venaus, dove dovrebbero partire i lavori della galleria di servizio. La risposta dei cittadini valsusini non si è fatta attendere.
Prima della manifestazione del 30 novembre ci sono state diverse assemblee preparatorie. Di nuovo la cittadinanza ha partecipato compatta. La sala polivalente di Bussoleno è diventata un po’ il quartier generale dei cittadini. È qui che si discute, si decidono strategie, si fanno progetti. Tutti uniti. Com’è stato fin dall’inizio di questo movimento. Che proprio perché ha fatto delle decisioni collettive il suo punto di forza riesce a rimanere compatto. E quindi più difficile da scalfire. C’è in questi cittadini la consapevolezza di poter diventare in qualche modo un esempio di come una comunità si organizza contro le scelte calate dall’alto, da politici che mettono al primo posto interessi economici di nessuna utilità nazionale. Come dimostra il progetto alternativo all’alta velocità: con una spesa di un miliardo si risolverebbero i problemi di trasporto merci e passeggeri almeno fino al 2020.
Dal 30 di novembre Venaus è diventata la località “presidio”. Fa parte della toponomastica del territorio di Venaus. Tutti sapevano dov’era: il simbolo della resistenza al Tav era davvero la casa di tutti, anche per chi ci metteva piede per la prima volta. Tutto questo ha fatto scappare la pazienza e infastidito qualcuno al punto tale che quel luogo nella notte fra il 5 e il 6 dicembre è diventato un vero e proprio inferno. Centinaia di poliziotti e carabinieri si sono riversati in val Cenischia e hanno dato via al blitz. Scene di violenza inaudita: chi dorme in tenda viene svegliato di soprassalto e trascinato fuori. Donne, anziani, amministratori, non c’è distinzione di fronte alla legge del manganello.
La risposta della popolazione a questa violenza è immediata: una giornata di blocchi e barricate. Gli studenti escono dalle scuole formando dei cortei, vengono proclamati gli scioperi nelle fabbriche persino in quelle torinesi.
Si arriva fino all’8 dicembre, una marea di persone in marcia da Susa verso i prati di Venaus con l’obbiettivo di riprendere i terreni del presidio. La gente è dappertutto, canta “Bella Ciao”, una canzone che ben si adatta ad una valle “partigiana”. La provinciale per Venaus è deserta se non per la gente che cammina. Comincia a nevicare e la situazione sembra surreale. Cinquecento, poi mille, cinquemila, diecimila... la gente continua ad arrivare. È un vero e proprio assalto al prato. Venaus è di nuovo dei valsusini.
Il 17 dicembre si è tenuta una grande manifestazione a Torino ma, per gli accordi sopraggiunti, forse per qualcuno si è trattato solo di una “kermesse”, forse nello spirito delle Olimpiadi. Ma per i lavoratori, per i cittadini si è trattato di un vero corteo di lotta; anche nei prossimi mesi i cittadini della Valle ci saranno e faranno sentire forte e chiaro il loro disperato e determinato urlo: “Sarà dura! Ma non molliamo”.
* Circolo Gramsci del PRC di Collegno - TO.
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