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Guglielmo Carchedi
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Professore Università di Amsterdam

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Logiche viziate e risposte mancate.
Guglielmo Carchedi

“Deorumque nominibus appellant secretum illud, quod sola reverentia vident”
Andrea Micocci


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Logiche viziate e risposte mancate.

Guglielmo Carchedi

Una replica a Micocci

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Nel mio articolo “I vecchi miti non muoiono mai” (Carchedi, 2006a) ho risposto alle critiche di Petri, Rappuoli e Screpanti dimostrando che il cosiddetto problema della trasformazione dei valori in prezzi esiste solo nell’ambito di un metodo di ricerca in cui il tempo non esiste. Questo non solo non è il metodo di Marx ma non ha neanche nessuna attinenza con la realtà. Dal punto di vista temporale non vi è problema, coloro (Marxisti e non) che pensano diversamente si sbagliano. Essi sono ovviamente liberi di scegliere una interpretazione del capitalismo in cui il tempo non esiste ma, se questa è la loro scelta, non possono sostenere che vi sia una incoerenza logica nel metodo di Marx, per quanto riguarda sia il problema della trasformazione sia quello della caduta tendenziale del tasso di profitto (per quest’ultimo, si veda Carchedi, 2006b, pp.100-105). Questo approccio che ho sottoposto all’attenzione della critica anglo-sassone fin dal 1984, non è mai stato ribattuto e Rappuoli, Screpanti e Petri non fanno eccezione (almeno fino ad adesso). Micocci tenta una critica diversa. Prima di tutto, egli riconosce l’aspetto temporale del mio (ma non solo mio) approccio ma sostiene che il mio “tempo” sarebbe “inutile dal punto di vista Marxista. Non è storico né ha a che fare, sembra, con il semplice problema del ciclo produttivo” (p.107). Strana critica, questa. Invece di valutare se l’approccio temporale risolva le cosiddette contraddizioni e incoerenze in Marx, l’autore decreta che esso è inutile dal punto di vista Marxista perché non storico e non ha a che fare col ciclo produttivo! Ma, se il mio tempo non è storico, Micocci dovrebbe spiegare cosa è un tempo non storico e perché la mia nozione di tempo sarebbe tale. Inoltre, come si può sostenere che un approccio che considera il tempo come dimensione essenziale del ciclo produttivo non ha a che fare con “il semplice problema del ciclo produttivo”? Infine, che io proponga (senza volerlo) una “comune formula” della matematica finanziaria è una asserzione che non ha sta né in cielo né in terra. In secondo luogo, Micocci nega che il problema della trasformazione sia “la differenza tra valore prodotto e appropriato”. Per l’autore “Tutto si basa sul fatto che se il mercato funzionasse si dovrebbero avere uniformi livelli di salario in tutte le industrie e anche uniformi saggi di profitto. A quel punto, in teoria, il sistema dei prezzi può essere desunto dal sistema dei valori (lavoro). Ciò però implica che i prezzi e i costi di produzione siano identici per tutti i prodotti: il prezzo deve essere proporzionale al costo di produzione, ma quest’ultimo comprende, oltre al lavoro, il capitale (costo del capitale). Il lavoro non sembra dunque determinare univocamente il prezzo.” (107). Questo passaggio è oscuro. Cerchiamo di fare chiarezza. Prima di tutto, per Micocci il problema sorge quando si introduce il capitale costante. Facciamo dunque un esempio in cui solo il capitale variabile più il plusvalore appaiono. Sia v il capitale variabile, s il plusvalore e V è il valore totale prodotto, quindi incorporato nel prodotto: Settore I 10v+5s = 15V Settore II 6v+3s = 9V In questo caso, “il sistema dei prezzi” di produzione “può essere desunto dal sistema dei valori” perché i primi sono identici ai secondi, cioè perché i prezzi di produzione sono identici ai lavori contenuti. Non vi è problema nella trasformazione semplicemente perché non vi è trasformazione. L’errore sorgerebbe perché i prezzi di produzione comprendono “oltre al lavoro, il capitale (costo del capitale)”, cioè per usare una terminologia più corretta, perché oltre al lavoro vivo (capitale variabile) si introduce il lavoro morto (capitale costante). Per esempio Settore I 90c+10v+5s = 105V Settore II 94c+6v+3s = 103V dove c è il capitale costante. La perequazione dei tassi di profitto implica che tendenzialmente entrambi i settori realizzano 104V. Il settore I realizza tendenzialmente 104V invece di 105V, il valore contenuto, e il settore II realizza 104V invece di 103V, il valore contenuto. Ora, i prezzi di produzione non sono più identici al lavoro contenuto. Micocci conclude: “Il lavoro [contenuto, G.C.] dunque non sembra determinare unicamente il prezzo [di produzione, G.C.].” Questo dunque sarebbe l’errore. Ma questa critica è invalida. Micocci introduce, anche se non esplicitamente e in modo alquanto confuso anche terminologicamente, un concetto alieno alla teoria di Marx, i.e. il concetto che i prezzi di produzione dovrebbero corrispondere al lavoro contenuto.1 Tuttavia nella teoria di Marx i prezzi di produzione sono per definizione diversi dal lavoro contenuto perché sono una redistribuzione, attraverso la perequazione dei tassi di profitto tra settori con diverse composizioni organiche di capitale, del plusvalore contenuto nelle merci. Si noti per inciso che la nozione di prezzi di produzione di Micocci è incoerente con la realtà capitalista stessa. Per esempio, se i prezzi di produzione dovessero essere tendenzialmente uguali al valore contenuto, un settore che introducesse delle innovazioni tecnologiche, aumentando così la propria composizione organica, produrrebbe meno plusvalore e dovrebbe quindi realizzare meno plusvalore. Quel settore sarebbe punito per aver introdotto nuove tecnologie e il dinamismo del capitalismo diverrebbe inspiegabile. La critica di Micocci riecheggia in modo confuso quella di Böhm-Bawerk (che però l’autore non menziona) secondo cui vi sarebbe una incoerenza tra il primo volume del Capitale, in cui Marx sosterrebbe che i prezzi sono determinati dal valore contenuto, e il terzo volume in cui Marx sostiene che essi sono determinati dai prezzi di produzione. L’argomentazione di Micocci è una variazione di quella di Böhm-Bawerk. Egli introduce una definizione di prezzi di produzione (prezzi = valore contenuto) aliena a quella di Marx (prezzi = valore realizzato attraverso la perequazione dei tassi di profitto) e conclude che, una volta introdotto il capitale costante, i prezzi di produzione non possono più essere uguali al lavoro contenuto e che quindi Marx ha commesso un errore logico. Micocci non è l’unico ad usare tale metodo insensato. In ciò l’autore non differisce da molti altri commentatori che creano artificiosamente errori nella teoria di Marx semplicemente sostituendo concetti chiave in Marx con concetti totalmente alieni alla sua teoria per poi scoprire incoerenze logiche in Marx. Un altro esempio di tale illecita procedura è appunto la negazione del tempo nella trasformazione. Più che la critica di Böhm-Bawerk è quella di von Bortkiewicz che ha dominato la controversia sulla trasformazione. Questa critica è considerate come la prova definitiva della incoerenza logica (circolarità) della procedura di Marx. Anche questa critica è ignorata da Micocci. Secondo tale critica, data la riproduzione semplice, nella procedura di Marx la domanda non potrebbe essere uguale all’offerta se gli input sono valutati ad un prezzo (il prezzo di mercato) mentre gli output sono valutati ad un prezzo diverso (il prezzo di produzione). Questa è la critica della circolarità. Se ciò fosse vero i prezzi di produzione e quindi la teoria dei prezzi di Marx sarebbero incoerenti con la riproduzione del sistema capitalista. Ma questo non è il caso. La critica vale solo in un contesto a-temporale, cioè se i prezzi degli input e degli output dello stesso periodo sono determinati contemporaneamente, cioè se si abolisce il tempo. Ma dal punto di vista temporale, non vi è alcun errore o incoerenza logica nella trasformazione, come da me sostenuto fin dal lontano 1984. La tabella 3 in Carchedi, 2006a lo esemplifica chiaramente. In essa i prezzi di mercato degli input a t1 sono differenti dai prezzi di produzione degli stessi beni come output a t2 e tuttavia vi è riproduzione (semplice). È su questo punto e su questa tabella che i critici, compreso Micocci, si devono esprimere. In terzo luogo, vi è in Micocci una totale incomprensione del metodo temporale (si veda l’ultimo paragrafo di p.107 in Micocci 2006). Per Micocci, se i prezzi di mercato “fossero empiricamente dati sarebbero incongrui al resto della spiegazione.” Ma ciò dovrebbe essere vero per ogni teoria che partisse (come deve) dai dati empirici. Ogni commento mi pare superfluo. Inoltre, per Micocci, i prezzi di mercato “sarebbero già “trasformati” e non ... potrebbero spiegare la trasformazione” (p.107). Stranamente, l’autore non comprende che i prezzi di mercato sono valori non trasformati (prima della perequazione) e i prezzi di produzione sono valori trasformati (dopo la perequazione). Essi, ancorché non empiricamente dati, sono altrettanto reali quanto i prezzi di mercato. Vediamo perché. Marx trasforma i prezzi di mercato in prezzi di produzione attraverso la perequazione dei tassi di profitto in un tasso medio. Esso indica lo stato di salute dell’economia (capitalista). Se l’economia va male il plusvalore (profitti) cade e quindi il tasso medio cala e se va bene cresce. Un settore può realizzare più del tasso medio se la domanda per i suoi prodotti cresce di più di quella di altri prodotti (la cui domanda può anche cadere). I suoi prezzi crescono relativamente a quelli degli altri prodotti. Ma in questo caso i prezzi di altre merci cadono (relativamente o in assoluto). La redistribuzione dei profitti non cambia il tasso medio di profitto. Quindi, i profitti realmente realizzati fluttuano attorno al tasso medio e i prezzi di mercato fluttuano attorno ai prezzi di produzione. Se il tasso medio di profitto cresce, i prezzi di produzione crescono e i prezzi di mercato fluttuano attorno a questa media più alta, e vice versa se il tasso cala. I prezzi di mercato non dipendono solo dalle valutazioni soggettive degli operatori economici (domanda e offerta) ma sono ancorati ad un substrato oggettivo, la quantità di plusvalore prodotto. I prezzi di produzione quindi hanno un ruolo regolatore dei prezzi di mercato. Questi ultimi possono essere calcolati alla fine di ogni ciclo per capire la direzione tendenziale dei prezzi di mercato. Per chiarificare, consideriamo la successione temporale di due periodi, t1-t2 e t2-t3. A t2, la fine di t1-t2, gli output sono venduti ai loro prezzi di mercato (valori non trasformati) cosicché i vari settori realizzano diversi tassi di profitto. Sempre a t2 quelle stesse merci sono comprate come input di t2-t3 ovviamente allo stesso prezzo. A t2 si calcolano i prezzi di produzione al fine di stabilire la direzione tendenziale di quei prezzi di mercato. A t3, la fine di t2-t3, gli output vengono venduti di nuovo ai loro prezzi di mercato che tendono verso i loro prezzi di produzione. E così via. Lungi dall’esserci “un ciclo di trasformazioni già avvenute”, vi è un susseguirsi di trasformazioni alla fine di ogni ciclo. In quarto luogo, sembrerebbe che io abbia un approccio in cui “nulla si muove” e questo sarebbe il motivo che mi permette di respingere “la regressione infinita”. Ma anche qui Micocci, come gli altri critici, ignora la mia critica della regressione ad infinitum. Non so chi sia l’oggetto della critica di Micocci ma chiunque esso sia, non è Carchedi. In quinto luogo, “errori” a parte, per Micocci “Le tabelle di Carchedi (ma anche quelle di Marx sul problema della trasformazione) non hanno alcun contatto con la realtà” (p.108).2 Se ciò fosse vero, bisognerebbe abbandonare la teoria della distribuzione di Marx e siccome la produzione di un periodo dipende dalla distribuzione del periodo precedente, bisognerebbe abbandonare anche la teoria della produzione di Marx. Ma ciò non sembra turbare il nostro autore. Infatti per lui “l’economia non serve a molto” (p.112) anzi non serve a nulla perché “lo studio della trasformazione dei valori in prezzi è ... lo studio del capitalismo stesso. Si tratta dell’analisi di un mondo illogico ... che ... non è ... quello della teoria economica” (p.111). Insomma, il cosiddetto problema della trasformazione è risolto abbandonando la teoria dei prezzi di Marx e quindi, per coerenza interna, tutta la teoria economica di Marx (e non solo di Marx). Siccome però i prezzi ci sono, bisognerà pure cercare di spiegarli. A questo punto Micocci cessa di disdegnare la teoria economica. La sua posizione teorica è che il lavoro concreto diventa astratto al momento dello scambio e la “trasformazione valori-prezzi ... è ... ‘automizzata’ dall’esistenza della moneta” (p.111). Questo assomiglia molto alla interpretazione di Marx conosciuta nel mondo anglo-sassone come la “Value Form Theory”. Ma ciò a parte, l’implicazione della posizione di Micocci è che i prezzi sono i prezzi monetari e che essi non hanno nessuna relazione quantitativa con il valore contenuto nella produzione delle merci perché il lavoro diventa astratto solo al momento dello scambio (contrariamente a Marx per il quale il lavoro è già astratto al momento della produzione). I prezzi monetari quindi non possono che essere determinati solamente dalla domanda e dall’offerta. A questo punto perché scomodare Marx, Smith, Hegel, Bacon e tutti gli altri? Sono Walras (che avrebbe giustamente intuito che il mercato è statico, p. 112) e Samuelson che hanno i “punti di contatto” con la realtà, cioè un sistema di prezzi determinati unicamente dalla domanda e dall’offerta, tendente verso una efficiente distribuzione e quindi verso un sistema economico in equilibrio. Questa è pura apologia del capitalismo. Conclusione. La critica che Micocci muove all’approccio temporale e a me in particolare è basata su tali e tanti fraintendimenti che parrebbe che sia mossa da partito preso piuttosto che da un serena esamina della validità o meno di tale approccio. In secondo luogo, l’autore sostituisce il concetto di prezzi di produzione di Marx con una nozione che non ha nulla a che fare con Marx. In tal modo egli non solo inserisce artificiosamente un errore nella teoria di Marx ma rende anche impossibile la comprensione del carattere dinamico del sistema capitalista. In terzo luogo, lungi dal suo proposito all’inizio del suo articolo (“Non faremo scienza ma filosofia”, p.106) l’autore fa scienza (economica), solo che approda ai lidi della ‘value form theory’ che porta dritto dritto all’introduzione surrettizia della teoria dei prezzi della micro-economia classica nel corpo teorico Marxista. Questa, a sua volta, è funzionale ad una visione apologetica del capitalismo. E infine Micocci, come tutti gli altri critici, ignora la dimostrazione che l’approccio temporale (che piaccia o no) risolve il problema della trasformazione (che si basa su un approccio simultaneo) e che quindi non vi è incoerenza logica in Marx. I critici dovrebbero inficiare questa dimostrazione. Se non possono, che lo ammettano. La cosa peggiore che possano fare è tacere.

Bibliografia

Carchedi, G. (1984), The logic of prices as values, Economy and Society, Vol. 13, No.4 Carchedi, 2006a, I vecchi miti non muoiono mai, Proteo Carchedi, G. 2006b, Il ruolo delle innovazioni tecnologiche nello sviluppo capitalistico, Proteo, Numero 2, Maggio-Agosto, pp. 100-106 Micocci, A. (2006), Il mistero della speculazione. Il lavoro e l’uso che se fa sotto il cosiddetto capitalism, Proteo, Numero 2, Maggio-Agosto, pp. 106-112

note

* Professore Università di Amsterdam.

1 Infatti, egli afferma che “il valore-lavoro è confermato solo nei casi di tasso di profitto pari a zero e composizione organica del capitale uguale in tutti i settori” (107). Chiaramente, se i tassi di profitto sono pari a zero, non vi è redistribuzione di plusvalore e ciascun produttore realizza il lavoro contenuto che è pari a c più v. Se le composizioni organiche sono uguali in tutti i settori, i tassi di profitto sono già parificati e di nuovo non vi è redistribuzione di plusvalore. Anche qui tutti i produttori realizzano dei prezzi di produzione uguali al lavoro contenuto.

2 Strana affermazione per un autore che sostiene che “l’aporia della sostituibilità lavoro-capitale nel valore, tipica del problema della trasformazione, esiste in realtà perché tutta intellettuale”, che “le attività capitalistiche, pur avendo un risultato materiale, esistono soltanto intellettualmente” e che “per capire la trasformazione dobbiamo dunque penetrare il “mistero della speculazione (110).””