1. Introduzione
Imposteremo la fase di avvio del lavoro di ricerca e discussione 
  propria del settore giuridico del Centro Studi CESTES-PROTEO muovendoci su alcuni 
  terreni che riteniamo essenziali:
 
a) l’analisi delle modifiche intervenute nel campo del diritto 
  del lavoro nell’ ultimo ventennio;
b) l’individuazione - o meglio il tentativo di individuazione 
  - di obiettivi di trasformazione normativa unificanti per ampi settori del mondo 
  del lavoro;
c) la lettura delle trasformazioni intervenute nel campo del 
  diritto sindacale e della legislazione in materia di diritto di sciopero, ovvero 
  con riferimento ai tradizionali strumenti di organizzazione e di lotta del movimento 
  operaio e del mondo del lavoro.
Nell’ articolo che compare in questo numero zero della rivista 
  cercheremo in particolar modo - tenendo presenti le linee fondamentali della 
  nostra attività di ricerca - di valutare gli intrecci esistenti (a nostro avviso) 
  tra la modificazione della struttura economico-produttiva e gli interventi legislativi 
  che si sono succeduti nell’ ultimo ventennio in Italia sul terreno del diritto 
  del lavoro (o forse è meglio dire della trasformazione - della mutazione genetica 
  - del diritto del lavoro).
Nella necessaria generalizzazione propria di un intervento 
  di natura introduttiva, peccheremo (inevitabilmente) di schematismo, difetto 
  che nel corso delle pubblicazioni cercheremo di abbandonare.
2. Le trasformazioni del diritto del lavoro
Possiamo innanzitutto affermare che sino alla metà degli anni 
  settanta la tendenza seguita dal movimento sindacale, e - sia pure con inevitabili 
  contraddizioni e lacune - recepita dal nostro sistema normativo, era quella 
  di perseguire la tutela della stabilità del lavoro mirando a fare emergere quale 
  forma dominante (anzi quasi esclusiva) del rapporto di lavoro quella del lavoro 
  subordinato a tempo indeterminato.
Ovvero si mirava a limitare (principalmente con la legge 18 
  aprile 1962, n. 230) le ipotesi di lavoro a tempo determinato, a stabilire una 
  tutela incisiva dai licenziamenti ingiustificati (art. 18 dello Statuto dei 
  Lavoratori del 1970 e legge 15 luglio 1966, n. 604), ad impedire la intermediazione 
  e la interposizione nella gestione della manodopera (legge 23 ottobre 1960, 
  n. 1369), ad imporre le assunzioni di personale per chiamata numerica (legge 
  29 aprile 1949, n. 264).
In tal modo si mirava sostanzialmente a limitare il potere 
  di ricatto e di intimidazione in capo al datore di lavoro (“fai quello che ti 
  dico, non avanzare rivendicazioni, in caso contrario ti butto fuori dall’ azienda”), 
  e attraverso l’ obiettivo strategico della stabilità si creavano i presupposti 
  per una maggiore incisività e forza del complesso dei lavoratori (o meglio del 
  movimento sindacale dei lavoratori) nei momenti decisivi di contrattazione dei 
  livelli salariali, degli orari, dei ritmi, delle condizioni - anche ambientali 
  - del lavoro.
Affermare ed imporre la oggi tanto vituperata “rigidità del 
  lavoro” ha significato (sia pure non come conseguenza meccanicamente discendente 
  e sempre a costo di conflitti durissimi) imporre conquiste significative sul 
  piano della complessiva dignità e qualità del lavoro.
E tale avanzamento non ha prodotto i suoi riflessi solo nell’ 
  ambito lavorativo (ed in primo luogo nella fabbrica) ma si è riverberato sull’ 
  interezza dei rapporti sociali, sul complessivo grado di democrazia del nostro 
  Paese.
La crisi economica determinatasi a metà degli anni settanta, 
  l’ esplodere della disoccupazione e la contestuale strategia di decentramento 
  delle lavorazioni (con l’ incrinarsi progressivo della centralità produttiva 
  - e politica - della grande fabbrica, come luogo di sviluppo massimo delle contraddizioni 
  sociali) è stata occasione anche per una inversione di tendenza sul piano della 
  produzione legislativa.
Quello che scorgiamo, volgendo lo sguardo al recente passato, 
  è la subalternità del movimento sindacale tradizionale a tale (per ora apparentemente 
  inarrestabile) inversione di tendenza..
A tale subalternità ha corrisposto - e corrisponde - un riconoscimento 
  del nuovo ruolo svolto dal sindacato nella determinazione e nella gestione 
  delle nuove linee guida del processo di crisi/ristrutturazione/nuova legislazione.
Anzi, più che di subalternità bisogna parlare di protagonismo, 
  di ruolo fattivo e creativo del movimento sindacale “ufficiale” nella determinazione 
  dei momenti portanti e qualificanti della legislazione lavoristica “dell’ 
  emergenza”.