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ANALISI -INCHIESTA: STATO DELLE PRIVATIZZAZIONI E DINAMICHE SETTORIALI

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Ignazio Riccio
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Giornalista del “Corriere del Mezzogiorno”

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Dal tuo al mio. La privatizzazione dei servizi pubblici locali

Ignazio Riccio

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Da decenni si discute della valorizzazione del ruolo delle istituzioni e delle comunità locali in Italia. Federalismo e autonomia amministrativa sono concetti che dovrebbero garantire una maggiore capacità di autogoverno democratico delle realtà periferiche, in un quadro generale condiviso. In realtà, si va consumando nei fatti un disegno avviato dagli ultimi Governi nazionali che, attraverso odiose imposizioni in materia di liberalizzazioni, lasciano al “mercato globale” la gestione di fondamentali spazi pubblici e lo sviluppo di funzioni delicate che investono diritti e bisogni primari per i cittadini. I Comuni, oggi, sono i regolatori del mercato, che dovrebbe, con i suoi virtuosismi, risolvere ogni problema. Questo mentre in Italia, proprio per effetto dei processi di globalizzazione dell’economia, aumentano le disparità sociali, e nelle realtà locali si registra il drammatico allargamento delle fasce di precarietà e, di conseguenza, di povertà.

1. Lo scontro tra pubblico e privato

L’idea di liberalizzare i servizi pubblici parte dal discutibile presupposto che il privato sia, in ogni caso, migliore del pubblico e che la concorrenza sia l’unica soluzione per i problemi di inefficienza. I sostenitori di queste tesi ritengono che il sistema pubblico non offra gli strumenti e le condizioni per rendere flessibile la gestione dei servizi e che, senza lo stimolo degli “affari”, non ci possa essere funzionalità. Si sente spesso affermare che le ingenti risorse da investire per il necessario ammodernamento di reti ed impianti renderebbero indispensabile un intervento del privato, data anche la difficile condizione in cui versa la finanza pubblica. Tutto ciò può essere confutato. Non si comprende perché il pubblico, che non deve realizzare nessuna remuneratività nell’investimento, non possa operare, se necessario, analoghe pianificazioni degli investimenti, riuscendo (al contrario del privato) a dosare il carico dell’ammortamento di tali interventi, in parte sulla fiscalità generale ed in parte sulla tariffa del servizio. Pur riconoscendo l’esistenza, nel passato, di pessimi esempi di gestioni pubbliche caratterizzate da inefficienza e da pratiche clientelari da parte del ceto politico, i sostenitori delle privatizzazioni non possono tralasciare alcune vicende tristemente note a livello internazionale. Si pensi al tasso di incidenti e alle altissime tariffe delle ferrovie britanniche privatizzate, o ai black out dell’energia elettrica californiana, in mano a produttori privati. Questo dimostra che molto spesso il privato antepone all’efficacia dei servizi la massimizzazione dei profitti, tendendo a risparmiare sugli investimenti, sulle manutenzioni e su altri fattori di gestione, non sempre ininfluenti in termini di ricadute sociali. Nel nostro Paese ciò può risultare ancora più disastroso, dato che gli enti locali hanno grande difficoltà a prevenire tali problemi attraverso una corretta impostazione e un’adeguata gestione dei rapporti contrattuali. Sotto questa luce diventano deboli le tesi giustificative del processo di liberalizzazione e di privatizzazione, secondo le quali il fine pubblico della gestione del servizio verrebbe comunque assicurato dal fatto che l’ente che esternalizza non si priva delle scelte di governo del bene; scelte che resterebbero di competenza degli organi esecutivi delle autorità di ambito. Questa debolezza risulta ancora più pericolosa quando in ballo c’è un bene prezioso come l’acqua, la cui mercificazione dovrebbe essere un tabù, in quanto bene essenziale alla sopravvivenza umana.

2. Cosa comportano le privatizzazioni e le liberalizzazioni in Italia?

A partire dagli anni novanta è stato avviato in Italia il processo di liberalizzazione dei mercati e di privatizzazione delle aziende pubbliche. Se da un lato le entrate economiche dovute a queste operazioni hanno, in parte, sollevato le casse comunali, dall’altro la possibilità di una futura e completa gestione privata apre scenari allarmanti. Le privatizzazioni comportano, così come abbiamo già accennato prima, un aumento dei costi e una diminuzione della qualità dei servizi. Il Governo in carica, pur avendo sotto gli occhi l’esempio fallimentare di molte privatizzazioni degli ultimi dieci anni, sta discutendo se allegare il disegno di legge Lanzillotta alla Legge Finanziaria 2007, facendo così un passo ulteriore verso la privatizzazione dei servizi pubblici locali, un settore che vanta, nel nostro Paese, utili lordi vicini al miliardo di euro, con un giro d’affari di 23 miliardi e 160 mila lavoratori. Il provvedimento è in continuità con leggi approvate sotto i precedenti governi, sia di centrosinistra che di centrodestra, che riconoscevano tre forme giuridiche possibili di gestione dei servizi pubblici: la società di capitale attraverso un bando di gara, la società mista pubblico-privato e la proprietà pubblica. Dopo un intervento in tal senso del governo Berlusconi nel 2002, andato a vuoto, l’attuale ministro Lanzillotta ha in programma di rendere impraticabili le forme di proprietà non private dei servizi che in precedenza erano quasi totalmente municipalizzate. Il riferimento è a enti che raccolgono e smaltiscono i rifiuti, che gestiscono i trasporti locali, che dovrebbero garantire un’efficiente gestione di strade e parcheggi, che erogano gas, energia e acqua. Quest’ultimo, comunque, è l’unico servizio che non rientra nella disciplina regolamentata dal provvedimento Lanzillotta, anche se la legislazione attuale ha ugualmente permesso, in molte città, la privatizzazione dell’acqua. In netta continuità con il governo Berlusconi, il governo Prodi persegue l’opera di smantellamento dello stato sociale, prevedendo l’obbligo di messa in gara dei servizi pubblici locali. Le sfide al ribasso da parte delle imprese per vincere le gare hanno, da sempre, la conseguenza di colpire le condizioni di lavoro e i livelli salariali. Le privatizzazioni degli ultimi anni, che avrebbero dovuto generare una sana concorrenza, l’abbassamento delle tariffe, il miglioramento della qualità dei servizi, hanno provocato il risultato opposto. I sindacati e la sinistra radicale sono di fronte ad un bivio: o dalla parte dei lavoratori, contribuendo a costruire un movimento di massa contro le privatizzazioni, o dalla parte del profitto. Non c’è spazio per una terza via. “L’alternativa potrebbe essere”, come scrive Mario Iavazzi, “una chiara svolta verso la gestione di chi davvero lavora e produce. Andrebbero rimunicipalizzate o nazionalizzate molte delle aziende privatizzate, con la proposta di darle in gestione a comitati composti dagli stessi lavoratori dei servizi pubblici, con la partecipazione di utenti. I metodi della democrazia consiliare con l’eleggibilità e il diritto alla revoca dei dirigenti che dovrebbero percepire un salario non superiore a quello di qualsiasi lavoratore qualificato delle aziende pubbliche, sarebbe la svolta verso una politica che avrebbe come obiettivo il miglioramento delle condizioni di lavoro e dei salari, un potenziamento dello stato sociale e un abbattimento delle tariffe”.

Mario Iavazzi, “Un programma di saccheggio privato dei servizi pubblici locali”, Falce e Martello 17 ottobre 2006. Franco Giordano, “Il caso italiano”, La Rivista del Manifesto, dicembre 2000. Massimo Rossi, “Enti locali, liberalizzazione dei servizi pubblici e mercificazione dell’acqua”, www.attac.it, 10 gennaio 2002. Marco Bersani, “Perché i servizi pubblici siano al servizio del pubblico”, Il Manifesto, 27 giugno 2007. “Manifesto regionale contro la privatizzazione dei servizi pubblici”, www.peacelink.it, 31 ottobre 2005.

Giornalista, ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di CESTES-PROTEO