Rubrica
ANALISI-INCHIESTA: PER UNA ECONOMIA PIANIFICATA A COMPATIBILITA’ ECO-SOCIALE

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

RITA MARTUFI, LUCIANO VASAPOLLO
Articoli pubblicati
per Proteo (4)

Argomenti correlati

Nella stessa rubrica

Educazione ambientale sindacale per lo sviluppo sostenibile
GILBERTO JAVIER CABRERA TRIMINO

Capitale contro ambiente e lavoro: movimenti e lotte per lo sviluppo autodeterminato, solidale e qualitativo
RITA MARTUFI, LUCIANO VASAPOLLO


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Capitale contro ambiente e lavoro: movimenti e lotte per lo sviluppo autodeterminato, solidale e qualitativo

RITA MARTUFI, LUCIANO VASAPOLLO

Formato per la stampa
Stampa

1. Come il capitale distrugge l’umanità

Il modo di produzione capitalistico, che è alla base dell’attuale società, continua a sopravvivere solo attraverso la dominazione delle altre civiltà e lo sfruttamento delle risorse umane e naturali del mondo. La finanziarizzazione dell’economia, la selvaggia economia di mercato e la sempre maggiore disuguaglianza tra offerta di beni e bisogni effettivi delle persone sono i risultati di una competizione globale incentrata sullo sviluppismo capitalista, sulla crescita quantitativa per pochi, senza freni e senza limiti. Il neoliberismo con i suoi obiettivi di consumismo per l’accumulazione è un modello economico che si basa sul raggiungimento ad ogni costo del profitto attraverso disuguaglianze e ingiustizie sociali; il tanto decantato aumento del PIL ha portato con se un attacco allo Stato sociale, un aumento della disoccupazione e dello sfruttamento del lavoro oltre che naturalmente l’accrescersi sempre maggiore del divario tra ricchi e poveri. Il continuo attacco alle garanzie sociali viene mistificato attraverso una forma di celebrazione dell’instabilità che viene presentata come la possibilità per tutti i lavoratori di acquisire nuove esperienze attraverso la normalizzazione dei lavori instabili, flessibili e a tempo. Il posto di lavoro stabile viene sostituito da quello a termine, a contratto in nome della flessibilità e della competitività. Il modello di capitalismo renano (pur trattandosi sempre di capitalismo!) viene oggi sostituito dal modello di capitalismo anglosassone che si caratterizza per le minori garanzie sociali e per i minori costi del lavoro con l’attacco alle condizioni generali del lavoro. Va ricordato che ancora oggi oltre tre quarti della popolazione mondiale è in condizioni di estrema povertà e sono moltissime le popolazioni che vivono con meno di un dollaro al giorno. Ad esempio le figure precedenti mostrano con chiarezza come l’Africa sub-sahariana e gran parte del Sud America si trovino in situazioni di povertà estreme.

La crescita della produzione alimentare negli ultimi decenni non è stata in alcun modo sufficiente a risolvere il problema; si calcola che negli anni 2000-2002 fossero ufficialmente oltre 850 milioni le persone sottoalimentate in forte aumento rispetto agli anni precedenti e gli ultimi dati aumentano tali drammatiche cifre. Dati dell’ONU ci dicono che circa la metà della popolazione urbana che vive in Africa, Asia, America Latina e Caraibi accusa malattie connesse alle carenti condizioni sanitarie dell’acqua. Le Nazioni Unite prevedono che se continuerà l’attuale ritmo di crescita della popolazione mondiale entro l’anno 2050 si avranno sul pianeta quasi 9 miliardi di persone e aumenterà molto la quota di persone che non hanno acqua sufficiente per la sopravvivenza; ad oggi sono circa 1,7 miliardi di persone che soffrono per problemi legati alla carenza di acqua ma si prevede che nel 2025 arriveranno a quasi 5 miliardi. Tutti gli studiosi del mondo affermano che in base alla stima delle riserve dell’acqua e dei generi alimentari di prima necessità per i prossimi anni non vi è la garanzia di un adeguato sviluppo alle popolazioni povere del mondo. Cinquanta anni di sviluppismo quantitativo non hanno portato ad alcun miglioramento nel tenore di vita degli abitanti dei Paesi in Via di Sviluppo; infatti nel 1950 avevano un reddito pro-capite pari solo al 5,3% di quello dei paesi industrializzati, e nel 1998 gli oltre 5 miliardi di abitanti nei paesi poveri avevano un reddito del 4,9% rispetto a quello degli 800.000 milioni dei paesi ricchi. A inizio del 2003 il quinto delle popolazioni ricche possedeva l’86% del PIL mondiale, a fronte dell’1% delle popolazioni povere, mentre i tre più grandi miliardari avevano un reddito maggiore a quello complessivo dei 600 milioni di abitanti dei paesi più poveri1. Le statistiche ufficiali riguardanti popoli in condizioni di analfabetismo, povertà e malattia ci dicono che oltre 1 miliardo di persone vive con meno di un dollaro al giorno; più di un miliardo di persone non ha la possibilità di utilizzare acqua potabile e sicura perché meno dell’1% di acqua dolce è disponibile all’uomo; sono poi oltre 2,5 miliardi le persone che non hanno la possibilità di usufruire di servizi igienici di qualità; le risorse energetiche continuano a non essere accessibili a tutti e il settore è dominato dai carburanti fossili che producono rifiuti gravemente dannosi per l’inquinamento dell’aria. L’intera economia mondiale è sottoposta alla variabilità del mercato del petrolio. L’intero sistema di benessere e salute della popolazione mondiale è influenzato dalle scelte imposta dal modello neoliberista e malattie come l’AIDS, la malaria e la tubercolosi, ricadono pesantemente nel bilancio economico dei Paesi in Via di Sviluppo essendo gestite a proprio vantaggio dalle multinazionali. Per quanto riguarda in specifico i cambiamenti climatici è utile osservare la tabella di seguito che evidenzia chiaramente come i cambiamenti climatici abbiano riguardato tutto il pianeta. L’Unione Europea con il suo programma “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”, sta sulla carta cercando di programmare dei piani per contrastare i cambiamenti climatici, per salvaguardare la flora, la fauna, l’ambiente, la salute e le risorse naturali; tutto ciò per cercare di contrastare la desertificazione, l’inquinamento, l’aumento dei rifiuti, ecc. Il Presidente di Legambiente commentando i risultati dell’ultima conferenza sul tema ha detto:

“Grazie allo sforzo congiunto dell’Europa e dei Paesi in Via di sviluppo è stato evitato un passo indietro nella lotta ai cambiamenti climatici. Gli USA sono stati isolati e costretti a ritrattare le loro posizioni: se il miope ostruzionismo di Washington ha impedito di raggiungere un risultato efficace, si è aperta comunque una nuova prospettiva....Ci auguriamo che all’appuntamento di Copenhagen gli Stati Uniti siedano al tavolo dei negoziati con una nuova amministrazione che sappia liberarsi dell’eredità negazionista dell’era Bush. Dal canto suo - conclude - l’Italia oggi è ferma al palo e deve recuperare il distacco dal resto”. 3

Ma in che modo questo programma potrà essere attuato senza danneggiare ancora di più i paesi più poveri del mondo? Si calcola che si hanno processi di desertificazione in tutti i continenti con la sola eccezione dell’Antartide; ad oggi le terre aride sono popolate da oltre 2 miliardi di persone ed occupano oltre il 40 % della superficie terrestre. I paesi del Sud del mondo sono in uno stato di vessazione e “schiavitù” nei confronti dei paesi ricchi e non si può pretendere che agiscano in modo rispettoso dell’ambiente poiché come dice Eduardo Galeano: “Con devozione ed entusiasmo il Sud del mondo copia e moltiplica le peggiori abitudini del Nord... fa sua la religione nordamericana dell’automobile e il suo disprezzo per il trasporto pubblico e tutta la mitologia della libertà di mercato e della società di consumo”.5 È chiaro poi che se i paesi poveri cominciassero ad avere livelli di consumi vicini a quelli dei paesi ricchi il nostro sistema macroambientale avrebbe conseguenze disastrose in pochi anni. Si può però pensare di negare acqua, fertilizzanti,ed energia alle popolazioni più povere del mondo e contribuire così a peggiorare la situazione di questi paesi che contano ogni giorno migliaia di morti? Lo sfruttamento delle risorse naturali e umane per la ricerca del massimo profitto, l’aggressione sempre maggiore alla natura e alle popolazioni altro non è che una nuova forma di conquista e di dominio; il cosiddetto sviluppo, meglio lo sviluppismo della crescita quantitativa con tutti i suoi effetti negativi è legato al modo di produzione capitalista. La globalizzazione che doveva operare il miracolo di maggiore benessere e una migliore speranza di vita per tutti in realtà ha accresciuto i problemi: la competitività senza controllo, lo sfruttamento dell’uomo e della natura hanno portato non solo alla distruzione dell’ambiente e a crescenti disuguaglianze tra ricchi e poveri ma anche a crisi sempre più gravi del sistema, con andamenti economici sempre più incerti, collassi economici di multinazionali, di intere aree economiche. La globalizzazione neoliberista è in sostanza la continuazione dello sviluppismo e delle colonizzazioni che l’hanno preceduta, ecco perché già in tempi non sospetti l’abbiamo definita e studiata come competizione globale. Nell’attuale sistema capitalistico le grandi imprese nazionali, finanziarie, trasnazionali, seguendo solo i propri interessi, generano uno sviluppo diseguale. È fondamentale dimostrare che il sistema capitalistico attuale e le teorie che lo legittimano sono ingiuste, e generano povertà, disuguaglianze, e tragici problemi di sopravvivenza. “Giorgio Nebbia conclude il suo saggio (‘Lo sviluppo sostenibile’, Edizioni Cultura della Pace, Firenze 1991) con un’importante osservazione: ‘Occorre avviare un grande movimento di liberazione per sconfiggere le ingiustizie fra gli esseri umani e con la natura, una nuova protesta per la sopravvivenza capace di farci passare dalla ideologia della crescita a quella dello sviluppo. Nessuno ci salverà se non le nostre mani, il nostro senso di responsabilità verso le generazioni future, verso il “prossimo del futuro” di cui non conosceremo mai il volto, ma cui la vita, la cui felicità dipendono da quello che noi faremo o non faremo domani e nei decenni futuri. La costruzione di uno sviluppo sostenibile e la pace si conquistano soltanto con la giustizia nell’uso dei beni della Terra, unica nostra casa comune nello spazio, con una giustizia planetaria per un uomo planetario, [Ernesto Balducci]. Senza giustizia nell’uso dei beni comuni della casa comune, del pianeta Terra, non ci sarà mai pace’.6

2. Le cosiddette energie “pulite”; gli agrocombustibili e i programmati crimini contro l’umanità

“La critica marxista dell’economia politica si occupa di analizzare i fenomeni della società capitalista svelando dietro ad essi le leggi e le categorie del modo di produzione capitalistico come riflesso dei rapporti sociali di produzione, quindi dei rapporti di classe della società capitalistica. Dunque: l’oggetto dell’economia politica, i “rapporti degli uomini nella produzione”, è la produzione e riproduzione di uomini, sempre, ma di volta in volta in rapporti e condizioni determinate. Il modo specifico in cui il lavoro vivo e il cosiddetto “lavoro morto”, i mezzi cioè di lavoro e in genere i “mezzi di produzione” in cui lavoro vivo antecedente è depositato, definisce le figure fondamentali, epocali, della produzione e riproduzione di uomini, cioè i modi di produzione. Nel MPC il lavoro vivo ha forma di forza-lavoro salariata, il “lavoro morto” ha forma di capitale, e la produzione avviene solo e in quanto il capitale, nel suo processo, incorpora il lavoro vivo.” 7 I sempre più frequenti casi di “disastri ambientali” che si abbattono sul pianeta ha fatto comprendere agli economisti il fallimento della teoria classica che si basava sul “libero mercato”. L’economia mondiale sta cambiando profondamente: la globalizzazione neoliberista, le privatizzazioni, la liberalizzazione dei commerci e dei mercati di capitali, hanno peggiorato lo standard di vita anche dei paesi a capitalismo maturo e i paesi in via di sviluppo rischiano di arretrare ancora di più: Ogni anno, i movimenti internazionali di capitali sono trenta volte più alti del valore del commercio mondiale. La crescita delle rendite e dei profitti ha avuto come ripercussione la diminuzione dei salari diretti, indiretti e differiti. Questo ha aumentato la differenza tra le classi sociali e la concentrazione della ricchezza in poche mani. La finanziarizzazione dell’economia è, quindi, una tra le maggiori cause del critico stato dell’economia mondiale, anzi è una scelta del capitale internazionale per tentare di uscire dalla crisi strutturale di accumulazione che si protrae ormai da oltre trenta anni. Il processo di finanziarizzazione dell’economia genera una ricchezza fittizia, svincolata dal lavoro e dalla redistribuzione della ricchezza. Eppure lo sviluppo della ricchezza finanziaria, senza lavoro vero, sembra incontrollabile. La teoria economica classica attesta che se la domanda supera l’offerta i prezzi crescono; in questo senso il mercato dei Futures è uno mezzo che utilizzano gli speculatori finanziari che comprano il grano ad un prezzo molto basso dai contadini e poi fanno in modo che questo prezzo aumenti sostenendo artificiosamente la domanda e contenendo l’offerta, realizzando così forti guadagni; è chiaro che con questi meccanismi di giochi finanziari i prezzi dei raccolti, del cibo ecc. subiscono aumenti molto elevati; e il gioco diventa sempre più sporco: rendite per gli speculatori, morte per fame per milioni di persone. Con l’accattivante e fuorviante termine di biocombustibile si consuma la nuova mostruosa truffa degli agrocombustibili, cioè lo sfruttamento capitalistico da parte delle multinazionali dei beni agricoli per il mercato energetico. Gli agrocombustibili sono proposti sia come alternativa al petrolio sia come mezzo per combattere il riscaldamento climatico globale, e per questo le maggiori imprese internazionali si stanno lanciando in questo nuovo mercato, che risulta essere però contrario alle necessità alimentari dei popoli. La FAO afferma che nell’anno tra il marzo 2007 e il marzo 2008 si è registrato un aumento di circa l’88% del prezzo dei cereali mentre quello dei grassi e degli oli addirittura del 106%;la Banca Mondiale sostiene che nell’ultimo anno e mezzo i prezzi delle granaglie sono cresciuti di oltre l’80%. Il Biodisel è un agrocombustibile che deriva da oli vegetali, principalmente olio di palma, di soia, di masi e può essere utilizzato per sostituire il carburante dei motori diesel convenzionali. Argentina, Brasile, Colombia, Paraguay, stanno sostituendo le foreste e i pascoli con piantagioni di canna da zucchero, di palma per olio, di soia con lo scopo di ottenere prodotti atti alla raffinazione per agro combustibili; negli Stati Uniti è prevista la produzione di circa 133 miliardi di litri di bio-etanolo all’anno per il 2017. Gli Stati Uniti destineranno il 20% della produzione di mais alla produzione di etanolo che porterà alla sostituzione di solo l’1% del petrolio (si pensi che nel caso fosse utilizzato tutto il mais nella produzione di etanolo si arriverebbe alla sostituzione di solo il 7% del petrolio!). Anche l’Unione Europea ha previsto di utilizzare quasi il 20% dei terreni agricoli entro il 2020 per arrivare alla soddisfazione di solo il 10% del proprio fabbisogno energetico grazie agli agrocombustibili. La produzione mondiale di biofuel,ad esempio, è raddoppiata negli ultimi cinque anni e sicuramente continuerà la sua crescita nei prossimi anni. Sono cinque i cosiddetti miti che inseguono i fautori degli agrocombustibili ed in specifico : 8
  Gli agrocombustibili sono puliti e verdi; questo non è vero perché ad esempio una tonnellata di olio di palma prodotta provoca 33 tonnellate di emissioni di anidride carbonica ossia circa 10 volte in più del petrolio. La distruzione delle foreste tropicali per realizzare etanolo attraverso la canna da zucchero immette il 50% di gas serra in più e utilizzando lo stesso quantitativo di benzina.
  Gli agrocombustibili non provocheranno deforestazione; anche questo è un falso perché ad esempio basta guardare in Indonesia dove la causa principale della perdita delle foreste è causata proprio dalle piantagioni di palma da olio per il biodiesel.
  Gli agrocombustibili promuoveranno sviluppo rurale; anche questo è un mito da sfatare: si consideri che ai Tropici, 100 ettari dedicati all’agricoltura familiare realizzano 35 posti di lavoro mentre la palma da olio e la canna da zucchero solo 10, l’eucalipto 2 e la soia solo mezzo
  Gli agrocombustibili non provocheranno fame; secondo la Fao il cibo nel mondo sarebbe sufficiente per sfamare tutti ma la povertà, legata anche agli alti prezzi dei combustibili che fanno aumentare i generi alimentari, non consente a tutti di nutrirsi adeguatamente; questa è una mera utopia dal momento che non è sicuramente aumentando la produzione di agrocombustibili che si può porre rimedio alla fame nel mondo.

Si intravede già la seconda generazione di “agrocombustibili” perfezionati, ossia si prevede per il prossimo futuro la possibilità di introdurre piante geneticamente modificate. La nuova generazione di agrocombustibili nuocerà grandemente anche alle riserve di acqua nel mondo. Secondo l’Istituto Internazionale per l’Acqua di Stoccolma la produzione su larga scala di agro combustibili provocherà nel 2050, il raddoppio della attuale richiesta di acqua per l’agricoltura. Al momento, circa l’80% del totale di acqua dolce consumata dall’umanità è utilizzato in agricoltura. E anche nel primo Forum mondiale dell’industria agroalimentare che si è tenuto a New Delhi, il 9 aprile 2008 si è rimarcata l’esigenza di attuare dei provvedimenti urgenti per limitare gli aumenti dei prezzi degli alimenti e la loro scarsità. Il Forum permanente ONU sulle tematiche indigene ha sostenuto in più di una occasione che le coltivazioni monocolturali su larga scala utilizzate per la produzione di agrocombustibili danneggiano aree forestali o agricole indispensabili per le popolazioni indigene del mondo; i rischi maggiori sono in Indonesia e Malaysia, produttrici insieme dell’80% dell’olio di palma, utilizzato dall’industria alimentare di tutto il mondo. Per salvare la terra dai cambiamenti climatici non servono piantagioni di agrocarburanti ma politiche e strategie per diminuire il consumo e lo sperpero di energia; ad esempio un pieno di benzina utilizza la stessa quantità di cereali che nutrirebbe un bambino africano per un anno. E a questo proposito sostiene Fidel Castro “Il capitalismo trasforma in merce tutto quello che gli giunge a portata di mano.... L’utilizzazione dei beni alimentari per fabbricare energetici è un atto mostruoso. Il capitalismo è pronto a praticare un’eutanasia di massa ai poveri, soprattutto per coloro che vivono nel sud, perché è proprio lì che s’incontrano le maggiori riserve di biomassa del pianeta, necessaria alla fabbricazione dei carburanti biologici. Anche se i discorsi ufficiali assicurano che non si tratta di scegliere tra alimenti e carburanti, la realtà dimostra che è questa e non un’altra, l’alternativa, perché o si utilizza la terra per la produzione alimentare o per la fabbricazione di carburanti biologici. La crisi alimentare è oggi aggravata dagli alti prezzi del petrolio e dall’impatto su questi di tanti fattori come quelli conseguenti alla guerra in Iraq, all’effetto di questi prezzi nella produzione, al trasporto degli alimenti, ai cambiamenti climatici, per l’aumento di grandi quantità di cereali e di legumi degli USA e della Unione Europea, per la produzione di agrocombustibili, per le pratiche speculative del grande capitale internazionale che utilizza gli alimenti a costo della fame dei poveri. Ma l’essenza della crisi è nella disuguaglianza e l’ingiusta distribuzione della ricchezza a livello globale e nell’insostenibile modello economico neoliberista imposto con irresponsabilità e fanatismo negli ultimi 20 anni. I paesi poveri che dipendono dall’importazione degli alimenti non sono in condizione di resistere al colpo. Non hanno protezioni e il mercato non ha la capacità nè il senso di responsabilità di offrirle. Non siamo di fronte a un problema di carattere economico, ma di fronte ad un dramma umanitario di conseguenze incalcolabili che inoltre pone a rischio la sicurezza nazionale dei nostri paesi. La direttrice esecutiva del Programma Mondiale degli Alimenti - PAM - delle Nazioni Unite, Josette Sheeran, ha riferito che a causa dell’aumento dei prezzi del cibo, questo organismo può comprare nel 2008 il 40% in meno di alimenti che nel giugno dell’anno scorso con lo stesso denaro, rendendo molto più difficile il lavoro e collocando così altri 100 milioni di persone in una situazione di povertà. Non si tratta solo di un problema di fame, ma anche d’instabilità, ha dichiarato la Sheeran, ed ha rammentato che si stanno già vedendo proteste e rivolte sociali contro la crescita dei prezzi in decine di paesi del mondo. Questi sono i principali elementi forniti dalla FAO che riguardano le superfici agricole e il consumo dei fertilizzanti. La superficie agricola pro-capite nel capitalismo sviluppato è quasi il doppio di quella esistente nelle aree sottosviluppate: 1,36 ettari per persona al Nord contro lo 0,67 del Sud, per il semplice fatto che nelle zone sottosviluppate vive circa l’80 % della popolazione mondiale. In Brasile il pro-capite di superficie agricola è di poco superiore a quello dei paesi sviluppati. Evidentemente questo paese dovrà destinare grandi estensioni della sua enorme superficie per rispondere alle esigenze del nuovo paradigma energetico. La Cina e l’India dispongono rispettivamente di 0,44 e 0,18 ettari a testa”. 9 I prezzi degli alimenti di base sono aumentati moltissimo in questi ultimi mesi penalizzando ancora di più le comunità più povere; ad esempio il prezzo del mais è cresciuto in un anno di oltre il 50%; questo aumento però non è stato causato dalla scarsa produzione perché nell’anno 2007 si è avuta una produzione molto più alta degli anni precedenti. Le principali cause del rincaro dei prezzi sono da imputare all’aumento dei cereali utilizzati per la produzione dei biocarburanti; all’aumento dei costi di gasolio e dei fertilizzanti; all’aumento del consumo di carne che ha come conseguenza l’aumento della domanda di mangimi. Ma a che scopo tutto ciò? Il miglioramento della sicurezza energetica e l’abbassamento delle emissioni di CO2 risultano essere molto marginali se rapportate al disastro alimentare che queste nuove politiche portano come conseguenza. Tra i primi effetti si registrano infatti un aumento vertiginoso del prezzo del mais a livello mondiale (va ricordato che gli Stati Uniti sono tra i maggiori esportatori di mais nel mondo e il cambiamento di coltivazione ha influenzato fortemente il prezzo del mais che è raddoppiato in pochi mesi) e un aumento di oltre il 50% di quello del grano. “L’industria degli agrocombustibili è un nonsenso economico, sociale e ambientale. Il suo sviluppo dovrebbe essere fermato e la produzione agricola dovrebbe focalizzarsi sui prodotti alimentari. I contadini non traggono beneficio dai prezzi più alti. I prezzi da record degli alimenti danneggiano i consumatori, ma al contrario di quanto ci si aspetti non favoriscono tutti i produttori. I primi a trarre beneficio dai prezzi più alti dei prodotti agricoli sono le agro-industrie e i grandi rivenditori, che aumentano i prezzi molto più di quanto dovrebbero”.10 Non è possibile togliere il cibo, la terra e l’acqua alle comunità povere per sostenere i lussi dell’Occidente del mondo. “La denutrizione oggi minaccia 52,4 milioni di Sud Americani e di Caraibici, ossia il 10% della popolazione del continente. Con l’espansione delle superfici convertite alla produzione di etanolo, si corre il rischio di trasformare di fatto i cosiddetti “biocombustibili” in “necrocombustibili”, in predatori di vite umane.” 11 Dal punto di vista ambientale la produzione in massa di agrocombustibile diventerebbe più dannosa del problema dell’inquinamento che si pensa di risolvere; questo perché in una economia capitalista basata sulle sfrenate leggi di mercato se l’etanolo e gli agrocombustibili danno alle imprese maggiori profitti rispetto al mais, al grano, ai fagioli, ecc. saranno privilegiate queste colture e quindi si avranno intere aree a coltivazione di mono-coltura che,come è appurato, sono notoriamente dannosa per natura e ambiente.

3. Vertici, controvertici e movimenti di base

Il tema della crisi alimentare non era previsto nell’agenda del Vertice di Lima, che aveva come temi principali “Povertà, disuguaglianza e inclusione” e “Sviluppo sostenibile, medio ambiente ed energia”, ma si è deciso di d’inserirlo per la sua notevole importanza. “L’idea del fondo è condivisa dal presidente ospite Alan García, ha aggiunto Chávez, specificando che l’entità servirebbe per la distribuzione di fondi destinati all’acquisto di macchine, sementi e tecnologie per la produzione di alimenti “Che ci diano crediti senza interessi per comprare prodotti scarsi nei mercati” .12 Quaranta tra capi di Stato e di Governo, oltre cinquemila delegati che rappresentavano 181 paesi si sono riuniti per tre giorni a Roma dal 3 al 5 giugno 2008 nel vertice FAO sull’alimentazione. Tra gli argomenti più “scottanti” da affrontare c’è stato lo scontro sugli agrocarburanti, sulle politiche agricole e commerciali, scontro che ha visto da un lato i paesi latinoamericani e dall’altro gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Nella Dichiarazione di chiusura del vertice della FAO di Roma viene espressa la necessità di dare una risposta duratura alla crisi alimentare, che ha bisogno di azioni coordinate della comunità internazionale. Tutti i paesi e le organizzazioni hanno preso l’impegno di destinare 6,5 miliardi di aiuti; la Banca Mondiale ha assicurato 1,2 miliardi di dollari, gli USA 1,5 miliardi, la Francia 1,5 miliardi su 5 anni, il Regno Unito 590 milioni di dollari; l’Italia, ha destinato 190 milioni di euro. Il vertice si è concluso in maniera deludente semplicemente con l’impegno dei capi di Stato e dei tanti ministri presenti di assumere un generico impegno per sconfiggere la fame nel mondo, senza assolutamente individuare le responsabilità politiche delle grandi potenze occidentali, delle multinazionali, e della stessa crisi strutturale del modo di produzione capitalista. Ma insieme alla dichiarazione finale si è avuta una netta presa di posizione di alcuni paesi dell’America Latina, con a capo Cuba che hanno dichiarato: “Vogliamo solo dichiarare le nostre obiezioni su tutta la dichiarazione - ha ribattuto l’Argentina - non ci opponiamo che gli altri membri approvino la dichiarazione ci rammarichiamo che, pur condividendo molti passaggi delle dichiarazioni di Venezuela e Cuba, che molte delegazioni presenti abbiano cancellato con un solo colpo di spugna ciò che in tutta la settimana era stato dichiarato su come risolvere i problemi della fame”. Il Viceministro agli investimenti stranieri di Cuba, Orlando Requeijo nel dar lettura della dichiarazione di Cuba nell’assemblea generale finale della FAO ha ribadito e rinforzato alcuni passaggi chiave dell’intervento tenuto il giorno prima dal capo della delegazione cubana Ramon Machado Ventura. Cuba ha ribadito che “la politica ostile e di aggressione degli Stati Uniti nei confronti di Cuba non ha rinunciato all’uso della fame come strumento politico. Speriamo che questa conferenza sia servita almeno a creare una coscienza sulla situazione in cui si trovano i Paesi dell’emisfero sud”. Secondo il rappresentante dell’Avana, “non abbiamo trovato una soluzione al problema della fame. I ricchi e i potenti continuano ad impedirlo”. A rafforzare queste argomentazioni è intervenuto anche l’Ecuador. “Venezuela, Argentina e Cuba non sono soli. Siamo tanti paesi a non essere d’accordo.”13 La delegazione cubana ha denunciato apertamente che tale poco significativo risultato, raggiunto nella dichiarazione finale del vertice, dipende dalla mancanza di volontà politica dei paesi a capitalismo maturo a dare soluzioni sostanziali e durature ad una crisi alimentare mondiale che è ormai connessa fortemente ad una crisi energetica e ambientale, denunciando nel contempo che nel documento finale non vi sono riferimenti all’impatto dei sussidi agricoli protezionistici, al controllo monopolistico della distribuzione degli alimenti, alla strategia criminale dell’uso degli agrocombustibili in contrapposizione all’utilizzo dei cereali per risolvere i problemi alimentari del sud del mondo; così come nel documento finale nessun riferimento è presente sulla focale questione del cambio climatico dovuto ai modelli di produzione e di consumo imposti dal neoliberismo, unendo a ciò le conseguenze della speculazione finanziaria sull’aumento dei prezzi degli alimenti. La delegazione di Cuba, nell’esprimere il ringraziamento per l’appoggio ricevuto dalla maggioranza dei paesi presenti sul porre fine al criminale blocco imposto dal governo degli Stati Uniti, ribadisce che il proprio paese continuerà a lavorare in difesa della giustizia, dell’equità della solidarietà “affinché la fame si converta al più presto in un flagello sradicato dalla storia dell’umanità”. I delegati di Argentina, Nicaragua, Ecuador, Bolivia e Venezuela hanno appoggiato la posizione di Cuba. In particolare l’ambasciatore alla FAO della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Gladys Francisca Urbaneja Duran, nel suo intervento ha sottolineato che la crisi alimentare non è un problema tecnico ma un problema sociale e politico, “è la maggiore dimostrazione del danno e la rovina storica del modello capitalista... tutte queste cause di potrebbero riassumere in una sola: il carattere di merce che si attribuisce agli alimenti nella attuale struttura economica internazionale rappresentata dal modello di produzione e consumo capitalista, che privilegia la massimizzazione del profitto in contrapposizione al benessere collettivo dei popoli e dell’uso sostenibile delle risorse naturali.” È per tali motivi, sottolinea la delegata del Venezuela, che bisogna dare un forte impulso all’ALBA, cioè l’Alternativa Bolivariana dei popoli di Nuestra America, per contrapporsi così alla logica capitalista, alla logica del profitto e della competizione globale, proponendo altresì la creazione immediata di un Fondo Especial Agricola dove raccogliere una percentuale concordata del prezzo del barile del petrolio per finanziare la meccanizzazione dell’agricoltura, il finanziamento delle tecnologie agricole, per sviluppare la produzione di alimenti, determinando così una vera sovranità alimentare dei popoli contro gli interessi delle multinazionali. Tali importanti temi sostenuti dalla delegazione cubana e venezuelana e appoggiati fortemente da Argentina,. Bolivia, Ecuador e Nicaragua sono state le idee portanti anche, di chi come noi del CESTES-PROTEO ha voluto promuovere un vertice alternativo, insieme a vari altri centri studi e associazioni e movimenti di base, per accusare direttamente l’attuale ordine economico internazionale che aumenta sempre di più la povertà, la disuguaglianza e l’ingiustizia. Infatti mentre si inaugurava il vertice della FAO sull’emergenza alimentare, all’Università La Sapienza di Roma si svolgeva molto partecipato e con interventi molto qualificati, l’incontro internazionale per un vertice alternativo “Terra, acqua ed energia: quali politiche sui beni comuni”. Durante l’iniziativa si è dichiarato anche il sostegno alla lettera aperta in difesa dell’Amazzonia firmata a Brasilia il 14 Aprile 2008 e inviata al presidente Lula e al governo brasiliano, inoltre si è espresso l’appoggio alle campagne internazionali per il sostegno dei movimenti indios e di base dei paesi dell’America del sud che lottano per la difesa e la socializzazione dei beni comuni, e di quelle in difesa dei processi di democrazia partecipativa e di autodeterminazione dei governi della Bolivia, Venezuela, Cuba, Ecuador e di tutti i popoli che lottano per la propria indipendenza. Tutti gli interventi hanno sottolineato come la crisi alimentare, la crisi energetica e la crisi ambientale sono i prodotti della crisi del modo di produzione capitalistico, di un modello cioè che si sostiene con un consumismo sfrenato che per realizzare i profitti delle multinazionali sempre più sta provocando guerre, sfruttamento, miseria e fame ed è per questo che vanno create da subito le alternative radicali anche appoggiando i percorsi in atto di costruzione del Socialismo del XXI secolo. Solo così si possono fermare sempre, comunque e dovunque le guerre di aggressione e di espansione imperialista, redistribuire ricchezza al mondo del lavoro e del lavoro negato, legare il concetto di sviluppo a quello di Stato sociale, del vivere bene per tutti; uno sviluppo qualitativo, quindi, a forte compatibilità sociale e ambientale basato sulla centralità dell’uomo e della natura, quindi con al centro i diritti dell’umanità. È necessaria quindi una globalizzazione della solidarietà fra i popoli in modo che si equilibri con le regole di uno sviluppo qualitativo, compatibile e sostenibile sul piano sociale, ambientale, dei diritti umani, civili e del lavoro e sia realmente efficace per tutti i paesi, una globalizzazione, quindi dei diritti dell’umanità.

4. Brevi conclusioni: partire dalle lotte del movimento di classe e dai governi rivoluzionari

Il peggioramento delle condizioni delle classi subalterne nel mondo intero, resa più acuta dalle guerre necessarie ai nuovi assetti del modo di sviluppo del capitalismo evidenziano una buona possibilità per una solidarietà internazionale rinnovata. Tale internazionalismo rinnovato e militante dei movimenti di classe non è più rinviabile; è reso più necessario dal contesto della “guerra infinita” guerreggiata e sociale.

“La possibile instaurazione di un’autentica democrazia partecipativa di base è l’idea di fondo che percorre tutte queste pagine; ma perché la cittadinanza universale sia anche un diritto oltre che una rappresentazione, molta strada è da percorrere. Alla reale cittadinanza universale si oppone il sistema perverso del capitalismo che dà a chi ha già molto e toglie a chi non ha, e che concede il potere del denaro solo a chi l’ha già, affinché l’usi con l’obiettivo di fare più denaro che gli permetta di ottenere più potere. Nel sistema della cosiddetta “società di mercato” si subordina in realtà la società al mercato, e il mercato capitalista è mezzo per dominare la maggioranza dei cittadini”14.

È necessario, allora, già nell’immediato sviluppare teorie d’alternativa e lotte sociali per imporre la redistribuzione del reddito e della ricchezza a favore dei lavoratori, dei disoccupati, degli indios, salvaguardare l’ambiente, la salute, sviluppare istruzione, formazione, cultura del sociale e saperi sociali, a partire da una rinnovata economia ecologica capace di configurarsi come ecologia politica dello sviluppo fuori mercato e alternativo al capitalismo e quindi in grado di superare in chiave socialista le leggi dello sfruttamento sull’uomo e sulla natura. La questione ha due facce: la prima è il problema di andare da un movimento sociale alla costruzione di una organizzazione politica (partito o movimento) con un programma definito, un gruppo dirigente e la capacità di condurre numerose forme di lotta con l’orizzonte strategico non solo antimperialista ma soprattutto anticapitalista. L’altro lato è la questione dello Stato, e la presa del potere statale. Il problema chiave, in teoria e in pratica, come spesso ci sottolinea James Petras, è la questione dello Stato e più precisamente la questione del potere statale. È chiaro che senza una guida e una soggettività politica organizzata i movimenti di massa sono più forti nell’opporsi ai regimi che nel passare dalla “protesta” alla conquista del potere statale. Il Socialismo del XXI secolo si riempie così di contenuti reali di classe. Questa formulazione, apparentemente generica, trova un contenuto concreto precisamente all’interno della vita quotidiana con le decisive riforme di struttura di Chavez, di Evo Morales, di Correa, che per radicalità di forme e contenuto rappresentano con Cuba l’orizzonte rivoluzionario dell’America Latina che è il nuovo riferimento concreto per tutto l’universo delle lotte sociali globalizzate di resistenza e di ripresa dell’offensiva di classe. Ed è fondamentale che queste azioni abbiano, nella loro natura più profonda, una direzione essenzialmente contraria alla logica del capitale e del mercato. Vi è una relazione dialettica tra i movimenti socio-politici emergenti ed i governi antimperialisti e anticapitalisti cubano e venezuelano: più è grande la loro mutua solidarietà, più grande diventa il loro potere di trasformare lo Stato in senso socialista e sconfiggere l’impero USA ponendosi immediatamente sul terreno del superamento del capitalismo. Solo muovendosi sulle linee guida di Cuba, del Venezuela, della Bolivia, dell’Ecuador le riforme parziali possono essere consolidate, le tattiche e le lotte per rivendicazioni parziali trasformarsi in vere strategie per il superamento del capitalismo. E proprio perché i mezzi di produzione sono del popolo, Cuba, con tutte le difficoltà e le contraddizioni di un processo socialista ovviamente tutto ancora da ultimare, può proporre una relazione diversa con il sociale, con l’ambiente, con l’uomo perché la produzione rimane orientata alla soluzione dei bisogni della gente, alle possibilità di redistribuzione sociale e quindi al rispetto e alla protezione della natura. Su questo terreno sta lavorando la rivoluzione cubana, e nonostante le grandi limitazioni imposte dall’aggressione imperialista, sta realizzando risultati sociali e ambientali che vengono ormai riconosciuti da tutti i più importanti organismi internazionali. Ad esempio da una notizia ANSA di qualche mese fa si legge: AMBIENTE: CUBA UNICO PAESE A SVILUPPO SOSTENIBILE, STUDIO (ANSA) - LONDRA, 5 OTT - Lo “sviluppo sostenibile” può essere stato al centro dei discorsi di molti politici in questi ultimi tempi ma, secondo un recente studio, il paese dove lo si può vedere realizzato è uno solo: Cuba. Una ricerca del Global Footprint Network, ripresa dal settimanale britannico New Scientist, ha infatti messo a confronto le condizioni di vita (in termini di Pil individuale, istruzione, sanità, aspettativa di vita, ecc.) di 93 paesi con la loro “impronta ecologica”, un indice che misura l’impatto ambientale dello stile di vita di una determinata nazione. Lo studio, che sarà pubblicato sulla rivista Ecological Economics, fa parte della ricerca piu’ vasta su 150 Paesi che viene presentata nel giorno del debito ecologico mondiale, domani. I risultati sono stati, in larga misura, quelli attesi: i paesi occidentali hanno standard di vita molto elevati ma consumano troppe risorse. Gli scienziati autori della ricerca hanno addirittura calcolato che servirebbero cinque pianeti come la terra se tutta la popolazione mondiale vivesse secondo gli standard statunitensi. All’altro capo della scala, i Paesi dell’Africa, dell’America Latina e di buona parte dell’Asia consumano le risorse della Terra in proporzione sostenibile - tanto che il nostro pianeta basterebbe tranquillamente a farci vivere tutti come un cittadino, ad esempio, della Malaysia - ma gli standard di vita sono troppo bassi. L’unica nazione dove lo sviluppo sembra andare d’accordo con la sostenibilità è, sorprendentemente, il paese guidato da Fidel Castro. “I cubani - spiega Mathis Wackernagel, coordinatore dello studio - hanno alti livelli di istruzione e di aspettativa di vita, e sono stati costretti dall’embargo petrolifero ad avere una piccola ‘impronta ecologica”’. “Nessuno ha il coraggio di dire cosa sia veramente la ‘sostenibilità’ - aggiunge lo scienziato - ma noi crediamo di averne fornita una misurazione solida”. 05/10/2007 12:51 (ANSA). Z08-NS15

Si tratta di un’unica battaglia del movimento internazionale dei lavoratori, del sindacalismo di base e di classe dell’Europa, dell’America Latina dei movimenti indios e di classe in tutto il mondo da vincere insieme per mettere fine alle cause di questo sempre più disumano sistema sociale capitalista, nell’orizzonte della costruzione di un mondo diverso, di un mondo socialista.

La sfida, pertanto, è quella di perseguire una società che vada oltre il capitale, ma, nello stesso tempo, di dare risposte immediate alla barbarie che flagella la vita quotidiana dell’essere sociale che lavora, della classe dei lavoratori.

Ricercatrice socio-economica, Comit. Scient. di CESTES e Dir. redaz. di PROTEO

Univ. “La Sapienza”; Direttore Scientifico CESTES e di PROTEO

Cfr. P.Paolo Poggio, “La crisi ecologica. Origini, rimozioni, significati”, Jaca Book. Ed. Milano,2003

http://www.scia.sinanet.apat.it/Documentazione/report2006.pdf, pag.11

http://www.rainews24.rai.it/notizia.asp?newsid=76732

Cfr. PER UNO SVILUPPO DUREVOLE E SOSTENIBILE testi a cura di Cristina Rapisarda Sassoon in collaborazione con Stefania Anghinelli, Francesca Feller, Daniele Ferrero 2005, pag. 15

P.Paolo Poggio, “La crisi ecologica. Origini, rimozioni, significati”, Jaca Book. Ed. Milano,2003, pag.24

Cfr. http://www.miw.it/Definizione.htm

Cfr. Vasapollo L., “Trattato di Economia applicata. Analisi critica della mondializzazione capitalista.”, Jaca Book, Marzo 2007, pag. XIX

Missione Oggi;”I cinque miti degli agro combustibili”; In http://www.trentinosolidarieta.it/article/articleview/2020/1/156/

http://www.granma.cu/italiano/2007/mayo/juev10/sintensifica-il-dibattito.html

Cfr. Altragricoltura in http://acuconsumagiusto.blogspot.com/2008/02/una-risposta-alla-crisi-globale-dei.html

Cfr. Frei Betto, “I necrocombustibili”, in http://www.che-fare.org/news/Frei%20Betto%20I%20necrocombustibili.html

Cfr. “Il V Vertice di Lima adotta misure urgenti contro la crisi alimentare” http://www.granma.cu/italiano/2008/mayo/sabado17/adopta-it.html

Cfr. 2008-06-06 12:53; FAO: VERTICE CHIUSO, APPROVATA LA DICHIARAZIONE FINALE; http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_77952538.html

Cfr. Vasapollo L., “Trattato di Economia applicata. Analisi critica della mondializzazione capitalista.”, Jaca Book, Marzo 2007, pag. XXVIII

http://www.ansa.it/ambiente/notizie/notiziari/mondo/20071005125134454118.html