Tra immagine e realtà: ciò che vorrebbe sembrare e ciò che invece è la democrazia americana
Maurizio De Santis
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Siamo abituati ormai da tempo immemorabile al minuzioso e
caparbio lavorio a cui si è votata la propaganda USA per accreditare una sua
immagine di potenza democratica; l’esperienza ci costringe, però, ad
interpretare e a leggere fra le righe di questi messaggi che sono solo
apparenza, mentre nascondono tutt’altra sostanza. In mezzo al bailamme di
notizie che vengono da oltre Atlantico, danno da pensare in modo particolare
quelle relative alle esecuzioni di condannati e quelle sui cibi transgenici. Le
prime perché caratterizzano la politica interna e le seconde perché sono
paradigmatiche di cosa intendono fare gli americani in politica estera. Non per
niente, un’analisi attenta dei fatti ci dimostra quanto si debba diffidare
delle apparenze.
Non stiamo qui a discutere sulla barbarie delle pene
capitali, un retaggio di quando il monarca oltre a essere re si sentiva anche
Dio e per questo riteneva di avere potere di vita o di morte sui suoi sudditi;
ma è più opportuno riflettere su un sistema giudiziario che è momento
qualificante di quella cultura a cui i più si stanno adeguando.
Il 23 giugno di questo fatidico anno 2000 un uomo di colore,
Gary Graham è stato, secondo l’accezione statunitense, giustiziato
perché ritenuto colpevole di un omicidio accaduto 19 anni orsono.
Vediamo come è andata:
1) L’unica testimone d’accusa ha riconosciuto il volto
dell’assassino dopo averlo visto solo per frazioni di secondo.
2) Due testimoni a discarico, non hanno avuto mai il piacere
di essere ascoltati.
3) La Corte di appello penale del Texas ha respinto un
ricorso contro la pena di morte con un verdetto che esprime tutti i dubbi sulla
vicenda: 5 voti contro l’accoglimento del ricorso e 4 a favore.
4) Il governatore di quello stato, il figlio d’arte in
odore di Casa bianca George Bush jr, nonostante i dubbi, ha ritenuto di non
dover sospendere la pena capitale.
Fabrizio Del Noce, inviato del Tg1 negli USA, commentando l’accaduto
suggeriva che Bush, strafautore della pena di morte per giusta causa, ovverosia
la sua elezione a presidente, sia assolutamente convinto della colpevolezza
degli oltre 130 detenuti in attesa della giusta giustizia americana che li ha
condannati a passare a miglior vita. Del Noce sostanziava la sua avversione
contro il sistema giudiziario americano sottolineando anche che, oltre il 66%
dei detenuti nel braccio della morte ha la pelle di colore nero e che negli USA
la gran parte dei cittadini non può permettersi l’onere di una parvenza di
difesa!
Non possiamo esprimere un parere in merito alla colpevolezza
perché non abbiamo sotto mano gli atti processuali relativi a questi delitti,
che peraltro nemmeno lo sceriffo Bush conosce; eppure è fermamente convinto
della colpevolezza dei detenuti in attesa di condanna a morte. Ne sa qualcosa un
giovane, figlio di italoamericani, la cui madre, in questo periodo è in Italia
nella speranza di racimolare solidarietà e qualche soldo che permetterebbero di
effettuare il test del DNA in grado di scagionarlo dall’accusa di omicidio.
L’impressione che si ricava del sistema giudiziario
americano, figlio della legge del Far West, è che il motore principale sia
quello di trovare un colpevole comunque per ogni delitto e, soprattutto in tempi
ultrabrevi che significano “efficienza”. Chi sa perché viene di pensare a
Girolimoni il presunto pedofilo dell’era fascista? Anche lui ebbe la fortuna
di essere stato scelto come colpevole di un delitto non commesso e per questo
giustiziato.
Speriamo che Bush non abbia letto la Bibbia, soprattutto i
passi che riguardano la figura di Erode: temo infatti per quegli americani in
versione mignon che vanno a scuola dimenticando i libri ma non la rivoltella,
simbolo della cultura democratica di quel paese.
E pensare che nel 1957 la propaganda USA ci aveva dimostrato
con il film “La parola ai giurati” di Sidney Lumet, interpretato da Henry
Fonda, che bastava il dubbio di uno dei dodici giurati perché un frettoloso
giudizio di colpevolezza si trasformasse in assoluzione! Onestamente, stupendo
film, ma anche bella propaganda! Infatti, nel caso di Gary Graham la pena è
stata comminata, come si diceva, nonostante il parere contrario di quasi la
metà dei giudici di appello.
Ammettiamo per assurdo che il sistema statunitense di
amministrare la giustizia, una giustizia che si potrebbe dire sommaria ma
usiamo il termine veloce, nelle migliori intenzioni volesse rappresentare
un deterrente per la criminalità, la conseguenza dovrebbe essere una
diminuzione sostanziale degli atti criminosi. Allora, perché non vanno così le
cose? Perché vi è un aumento del tasso di criminalità con il coinvolgimento
delle fasce d’età giovanili? Forse il deterrente non funziona; forse è solo
un modo di mostrare muscoli, ovverosia un’immagine di forza bruta per appagare
soltanto i propri istinti violenti; ovviamente in tal caso non si tratterebbe ne’
di giustizia, ne’ di diritto, ne’ di legge: sarebbe solo una lotta tra leoni
e gladiatori con certa parte di America seduta sulle gradinate dell’arena.
Un dato per tutti dovrebbe far riflettere i fans dei
giustizieri nostrani: tra coloro che in America hanno avuto la sospensione della
pena capitale, alla revisione processuale, ben il 7% è stato riconosciuto innocente!
La stragrande maggioranza degli altri ha avuto una pena ridotta.
L’abitudine a condannare, prima ancora di processare, è
abbastanza diffusa anche dalle nostre parti e bisogna ringraziare che resista
ancora, al di qua dell’oceano, una parvenza di democrazia e un sistema
giudiziario che è figlio del Diritto Romano per cui è difficile la giustizia
sommaria.
Certo è lunga e farraginosa l’azione giudiziale nostrana
(a detta di qualcuno, troppo garantista) ma chissà che fine avrebbe
fatto in America il presunto telefonista delle BR che qualche mese fa è stato
in galera perché riconosciuto da un giovane “testimone”?
Di quest’uomo oggi possiamo sapere che non è colpevole, di
Gary Graham forse non lo sapremo mai e può darsi che il vero assassino se ne
stia andando in giro tranquillamente e chissà, visto come vanno le cose, ci
potrebbe pure riprovare. Auguri per la prossima vittima! Vittima per mano di un
assassino, ma soprattutto di quella cultura e di quella società in cui l’immagine
conta più della dignità umana.
È evidente che questo modo di far giustizia è uno
dei tasselli che compongono il concetto americano di organizzazione dello stato
sociale. D’altronde, in una realtà in cui l’assistenza sanitaria, la
pensione, e quant’altro sono possibili solo a coloro che hanno redditi
elevati, non c’è da stupirsi che anche il diritto ad essere giudicati secondo
leggi civili sia proprio solo delle classi abbienti, le uniche in condizioni
economiche tali da permettersi un’assistenza legale.
Eppure, nonostante queste barbarie, la televisione e i
giornali ci mostrano sempre lo Zio Sam con la sua bella faccia pulita. Perché
non è vero che in America ci sono figli e figliastri. Non è vero che
esistono discriminazioni sociali, razziali, ecc.. Anzi, la magnanimità del
nostro grande fratello è tale da preoccuparsi anche della fame nel
mondo, tanto da impegnare grosse risorse economiche nella produzione di cibi
transgenici.
Poiché per principio il capitalismo non concepisce
investimenti economici a fondo perduto, chissà perché gli USA spingono per
combattere la malnutrizione fornendo semi di piante transgeniche, per esempio
agli abitanti del Corno d’Africa in perenne siccità, piuttosto che
emanciparli con la fornitura di tecnologie idonee ad una autonoma produzione
agricola? Questo stesso interrogativo se lo posero nel 1995 anche le
associazioni degli agricoltori filippini rifiutando l’importazione di riso
geneticamente manipolato che il Politecnico di Zurigo voleva loro imporre.
Una maligna voce suggerisce allo scrivente che il bello delle
piante transgeniche sta nel fatto che non producono semi fecondi, per cui per
piantarle ogni anno vanno ricomprate le semenze di cui, guarda caso, il
monopolio della produzione è in mano a multinazionali americane. Illazioni,
qualunquistico discredito per un impegno a favore del prossimo solo perché di
marca USA? Allora, per quale motivo una di queste lobbies, la Monsanto, dal nome
mistico e promettente ha avuto la bella pensata, tutta amore verso i diseredati,
di produrre il gene terminator, una sorta di killer delle
piantagioni di cui ne impone il rinnovo continuo? C’è da pensare, sempre
malignamente, che questo sia il nuovo ricatto dei paesi ricchi verso quelli
poveri. Imponendo la trasformazione da produzioni biologiche a transgeniche, i
paesi avanzati nel campo delle biotecnologie potranno sottomettere il resto del
mondo costringendolo ad approvvigionarsi dei preziosi semi. Questa pure non è
una malignità: è il pensiero espresso dal numero 3 della FAO Hartwig de Haen
in una dichiarazione rilasciata alla CNN il 13 aprile di quest’anno.
Sarà forse questa l’era di un imperialismo che, smessi i
carri armati e le bombe atomiche (tanto ormai ce l’hanno tutti) si farà forte
a colpi di patate e cetrioli biotech?