Analisi statistico-economica dei mutamenti strutturali e localizzativi dello sviluppo del sistema socio-economico italiano
Luciano Vasapollo
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Le Zone Economiche Omogenee [1]
Nei capitoli precedenti l’analisi è stata sviluppata a partire
dalle singole attività economiche considerate, in modo da studiare la distribuzione
territoriale delle sei attività produttive considerate separatamente.
Qui di seguito l’analisi viene effettuata considerando le attività
economiche congiuntamente, in modo da costruire profili economici globali dei
bacini. Si sono analizzati i 291 bacini occupazionali ISRIL, associando loro
i rispettivi indici di dotazione per le sei attività considerate, e, attraverso
la tecnica di cluster analysis, si sono costruite le Zone Economiche
Omogenee (ZEO) non contigue e formate da bacini con profili economici
simili tra loro e certamente dissimili da quelli inseriti in gruppi formati
da altre Zone [2].
Si è in tal modo potuto procedere ad una suddivisione del territorio
italiano in Zone Economiche Omogenee, così da ottenere mappe geografico-economiche
immediatamente confrontabili tra l’inizio degli anni ’80 e gli anni ‘90, ed
evidenziare, quindi, i mutamenti nella geografia dello sviluppo economico in
Italia (vedi la Nota Metodologica alla fine del lavoro).
In questa parte della ricerca sono confrontati i risultati
ottenuti dal processo di aggregazione dei bacini in Zone Economiche Omogenee
per il decennio considerato. Premesso che, escludendo le attività classificate
nei Servizi a destinazione collettiva, si ottengono indici di dotazione medi
totali nazionali pari al 30,62% per il 1981 e al 31,66% nel 1991, il Paese risulta
suddiviso in cinque macroaree economiche, ognuna delle quali individua una o
più Zone Economiche Omogenee, così come emerge dalla Tav.2 [3].
La situazione a inizio degli anni ’80 conduce all’individuazione
di sette Zone Economiche Omogenee. Di queste, due sono tipiche del Mezzogiorno
d’Italia, raggruppano 129 bacini e presentano un basso livello di attività complessivo.
Tali Zone riguardano : a) la “ZEO Solo Agricola”, caratterizzata da una
dotazione di attività agricole superiore a quella media nazionale, mentre l’industria
e i servizi evidenziano tutti significativi livelli di sottodotazione; b) la
“ZEO Basso Terziaria Agricola” la quale, a fronte di una dotazione all’incirca
media per l’agricoltura, appare, rispetto alla precedente Zona, meno sottodotata
per quanto riguarda le attività industriali, dei servizi al sistema produttivo
e di rete, e presenta inoltre una struttura occupazionale prossima alla media
nazionale nei servizi alle famiglie. Altre due Zone economiche Omogenee, che
raggruppano 65 bacini, sono individuabili nel Nord Italia e riguardano: a) la
“ ZEO Industriale” che evidenzia dotazioni molto elevate per l’industria
e in media nazionale per le attività del terziario, mentre bassa è la dotazione
per l’agricoltura; b) la “ZEO Terziaria-Industriale” per la quale, alle
alte dotazioni nell’industria e basse in agricoltura, corrispondono tassi di
attività significativamente alti nel terziario, in particolare per i servizi
al sistema produttivo. Si possono ancora definire altre due Zone a struttura
produttiva omogenea, con 81 bacini, che evidenziano livelli medi di attività
complessiva e che si distribuiscono in maniera molto diffusa nelle aree centro-settentrionali
del Paese. Esse si riferiscono : a) alla “ZEO Polivalente Industriale-Agricola”,
che presenta dotazioni medio alte in tutte le attività produttive considerate
ma a più spiccata propensione nelle attività industriali e agricole; b) alla
“ZEO Terziaria Media Diffusa”, con basse dotazioni in agricoltura, medie
per le attività industriali e dei servizi al sistema produttivo, cui si accompagnano
tassi di attività medio alti nei servizi di rete e in quelli indirizzati esclusivamente
alle famiglie.
Infine è individuabile una macroarea di 15 bacini formata da
Centri Direzionali, situati nel Centro-Nord del Paese, che non
presentano mai fra loro carattere di contiguità, per i quali risulta una struttura
occupazionale caratterizzata da dotazioni molto basse per l’agricoltura e in
media nazionale per l’industria, mentre alte appaiono le dotazioni in tutte
le attività terziarie, in particolare in quelle dei servizi di rete.
Nel decennio considerato le Zone Economiche Omogenee passano
da sette a otto; di queste, sei presentano un profilo economico molto simile
a quello delle corrispondenti Zone di inizio degli anni ‘80, anche se si verificano
“travasi” di bacini da un’area all’altra. Rispetto al decennio precedente, però,
quasi tutte le Zone sono caratterizzate da un apprezzabile aumento del valore
dell’indice di dotazione medio delle attività terziarie.
Un cenno merita quanto avvenuto nelle rimanenti due Zone per
l’importanza economica che la questione riveste. Nel decennio la Zona del Nord
a pura vocazione industriale registra una profonda trasformazione del suo apparato
produttivo: agli elevati indici dell’attività industriale si accompagna negli
anni ‘90 una specifica ed alta dotazione di terziario per l’impresa. Tale trasformazione,
che sta ad indicare il ruolo decisivo che il terziario presenta nella determinazione
dello sviluppo e dell’efficienza della produzione industriale, ha suggerito
il mutamento della precedente denominazione “ZEO Industriale” in quella,
più aderente alla realtà territoriale ed economico-funzionale, di “ZEO Industriale
Terziarizzata”. Nasce, infine, una nuova Zona detta “ZEO Turistica-Polivalente
Commerciale” che evidenzia specifiche caratterizzazioni da area turistica
fortemente attrezzata, con una struttura occupazionale che in tutte le attività
è nella media nazionale, mentre presenta una forte dotazione nei servizi alle
famiglie.
Nelle Figg. 14 e 15 si ha una visione completa e particolareggiata
del fenomeno, che aiuta a individuare e a far comprendere i processi di mutamento
nella geografia di sviluppo, anche in relazione ai processi di terziarizzazione,
anche se a volte derivanti da fenomeni tra loro diversi, che stanno interessando
il nostro Paese in maniera così profonda e significativa. Per facilitare
l’osservazione delle Figg.14 e 15 si leggano i colori delle varie Zone relazionandoli
al numero di cluster identificato nelle prime due colonne della Tav.2.
L’Italia meridionale e insulare continua nel decennio di riferimento
ad evidenziare uno sviluppo a caratterizzazione prevalentemente agricola accompagnato
però da una più significativa presenza di attività dei servizi, che cominciano
a differenziare e qualificare processi di crescita basati su un terziario non
più legato solo alle attività delle Amministrazioni Pubbliche. Il Centro-Nord,
presenta profonde trasformazioni del suo apparato produttivo. Tali mutamenti
sono soprattutto dovuti ad una diminuzione del peso delle attività agricole
e alla diversificazione delle attività industriali; quest’ultime perdono di
importanza quantitativa ma si rafforzano qualitativamente, poiché spesso intorno
all’industria si è creato o consolidato un tessuto connettivo economico a carattere
terziario, spesso di terziario moderno e avanzato.
Dall’osservazione delle Figg. 14 e 15, infatti, risulta
evidente che alla crescita nel Mezzogiorno della “ZEO Basso Terziaria
Agricola” corrisponde una sostanziale diminuita presenza della “ZEO Solo
Agricola” e un aumento dei bacini meridionali appartenenti alla “ZEO Polivalente
Industriale-Agricola” e alla “ZEO Terziaria Media Diffusa”. La decisa
tendenza del Paese alla terziarizzazione appare però più evidente nelle dinamiche
evolutive della crescita del Centro-Nord, dove, come già evidenziato,
oltre alla trasformazione dell’area prettamente industriale del Nord in “ZEO
Industriale Terziarizzata”, si assiste ad un forte incremento dei bacini
appartenenti alla “ZEO Polivalente Industriale-Agricola”, i quali, passando
da 38 a 51, rafforzano il tessuto produttivo della fascia costiera adriatica
fino ad interessare località della Puglia. A ciò si aggiunge una più spiccata
e rilevante caratterizzazione della “ZEO Terziaria Media Diffusa”: questa
assume una configurazione geografica continua quasi a forma di S, interessando
le aree alpine e subalpine per scendere in Liguria e toccare i bacini dell’Alto
Tirreno, rafforzandosi poi sul dorsale medio appenninico, fino a perdere il
carattere di contiguità coinvolgendo diversi bacini sparsi del meridione e delle
isole.
La propensione alla specializzazione delle attività terziarie
trova conferma nella nuova presenza di una Zona a specifica caratterizzazione
turistica che include nove importanti bacini del Trentino, della Valle d’Aosta,
della Liguria, l’isola di Ponza, le Tremiti e Taormina.
Un discorso a parte merita la macroarea a carattere direzionale,
poiché più che di una vera e propria Zona si tratta di bacini costruiti intorno
a capoluoghi di provincia e/o di regione, a conferma di una specializzazione
economica tipica di un centro urbano-metropolitano. Si tratta cioè di centri
che appaiono spesso isolati, che sono tutti situati al settentrione e al centro
dell’Italia (uniche eccezioni nel Sud sono Pescara e Olbia), e che assumono
un’importanza strategica per le modalità di sviluppo non solo delle aree a queste
contigue ma per l’intera crescita del Paese. In tutti questi centri (15 nel
1981 e 17 nel 1991, come ad esempio Roma, Firenze, Bologna, Venezia, Trieste,
Genova, Savona , Milano ma solo per il 1981, Siena e Aosta solo per il 1991)
si realizzano fondamentali funzioni direzionali di irradiazione delle linee
di sviluppo, contagiando e fertilizzando le località limitrofe di attività di
crescita basate, soprattutto, su servizi per il terziario.
La tendenza del Paese ad intensi e diversificati processi di
terziarizzazione emerge con evidenza anche dall’analisi territorialmente disaggregata
a livello regionale (Tav.3).
Infatti, per le regioni settentrionali, sia quelle appartenenti
all’area Nord-Occidentale sia quelle del Nord-Est, si rileva, sempre nel decennio
di riferimento, una trasformazione dei bacini a dotazione industriale in una
nuova caratterizzazione da industria sempre più supportata da specifiche, ridefinite
e più diffuse attività di servizio. Le regioni dell’Italia centrale fanno registrare
trasformazioni similari a quelle registrate nel Nord, anche se è maggiormente
evidente la riqualificazione di un tessuto terziario più connesso e qualificante
le altre attività produttive. Le regioni meridionali e insulari, pur confermando
nella quasi totalità una struttura economica complessivamente depressa e a scarso
potenziale di sviluppo economico equilibrato, fanno comunque registrare, a fronte
di una significativa diminuita presenza di bacini a quasi esclusiva caratterizzazione
agricola, una più marcata presenza di un tessuto terziario misto, che prevalentemente
si innesta sulle attività agricole. Ma il Sud non va considerato come sviluppo
localizzativo determinato da variabili indipendenti e lo scompenso economico
si è avuto per il voluto e mancato coinvolgimento del Meridione nelle scelte
connesse al modello nazionale di sviluppo. Il dualismo nella struttura produttiva,
la distorsione nei consumi, la distanza economica tra Nord e Sud è conseguenza
della crescita dei comparti avanzati dell’economia nei luoghi dove si trovano
già elementi ereditati dell’industrializzazione. Il sottosviluppo del Sud è
funzionale al modello voluto dal grande capitalismo nazionale, cioè una distorsione
imposta e funzionale del modello di capitalismo italiano, non solo di natura
congiunturale ma strutturale, perché così voluto dalle scelte di politica economica
nate dal connubio affari-politica, capitalismo e sua rappresentazione statuale-istituzionale.
A questo punto appare abbastanza evidente la tendenza del nostro
assetto produttivo ad intensi e qualificati processi di terziarizzazione, dimostrati
non solo attraverso la contrazione del numero di bacini nelle Zone a prevalente
caratterizzazione agricola, ma da più o meno evidenti processi di deindustrializzazione.
Tali processi realizzano nel contempo un consolidamento quantitativo e qualitativo
del tessuto terziario, provocando mutamenti soprattutto in termini qualitativi
nella struttura occupazionale delle Zone a profilo più spiccatamente industriale.
Quest’ultime, poi, risultano rafforzate e maggiormente orientate ad un forte
ed equilibrato sviluppo a causa del mix che si crea quando l’industria viene
supportata da una specializzata, diffusa e ben orientata attività di servizio.
Alcune riflessioni sui risultati
Di seguito si presentano delle considerazioni aggiuntive alle
riflessioni sui mutamenti
avvenuti tra gli anni ’80 e questi primi anni ’90
nella geografia dello sviluppo economico del Paese scaturite dall’osservazione
e dal commento dei risultati ottenuti.
Potendo ora avere una visione d’insieme ci si rende conto di
quanto sia stato importante lavorare in due ottiche diverse; la prima indirizzata
allo studio della distribuzione geografica degli indici di dotazione delle sei
attività economiche prese singolarmente, che ha permesso di individuare le vocazioni
economiche dei singoli bacini, evidenziando successivamente quelli a spiccata
vocazione in una o più attività, definiti “poli”. Il secondo punto di vista,
realizzato attraverso la metodologia di cluster analysis, ha permesso
l’individuazione di Zone Economiche Omogenee, abbandonando l’approccio precedente
basato sulle singole attività, ma andando invece a considerare la similarità
dei profili economico-produttivi complessivi dei bacini, in modo che si potessero
ritrovare nella stessa Zona Economica l’insieme dei bacini fra loro “più simili”
e quindi “meno distanti” in quanto ad omogeneità rispetto alla dotazione nelle
attività economiche che le caratterizza.
Si sono così meglio potute individuare le dinamiche evolutive
dello sviluppo economico, i mutamenti in atto e i diversi modi di presentarsi
delle attività produttive, in particolare delle attività a carattere terziario
che evidenziano una loro diffusa presenza su tutto il territorio nazionale diventano
fattore caratterizzante dello sviluppo dell’economia del Paese nel suo complesso.
Continua la tendenza del nostro assetto produttivo alla terziarizzazione,
accompagnata oltre che da un evidente diminuito peso dell’agricoltura anche
da più o meno evidenti processi di deindustrializzazione.
Infatti i risultati ottenuti dalla comparazione dei profili
produttivi dei diversi bacini e la diversa articolazione e composizione delle
Zone Economiche Omogenee indicano con chiarezza che la trasformazione della
geografia dello sviluppo nel nostro Paese, avvenuta nel decennio considerato,
è dovuta, oltre che ad un intenso processo di terziarizzazione, anche ad una
diversa connotazione sia quantitativa sia, soprattutto, qualitativa delle attività
di servizio, di cui l’analisi proposta individua forti processi di ridefinizione,
specializzazione e diversificazione.
In particolare, dai risultati emerge un terziario che sempre
più interagisce e si integra con le altre attività produttive, specialmente
con quelle industriali, determinando un nuovo modello localizzativo di sviluppo
che può definirsi come “tessuto a multilivello di irradiazione terziaria”.
Si tratta, cioè, di un terziario che è venuto assumendo un ruolo sempre più
propulsivo e trainante del modello di sviluppo economico, non spiegabile soltanto
da semplici processi di deindustrializzazione o di ristrutturazione e riconversione
industriale, ma dalle esigenze di ristrutturazione e diversificazione del modello
di capitalismo italiano.
Tali processi necessitano di una diversa e più articolata documentazione
statistico-economica e di una più attenta lettura socio-politica; ha bisogno
di nuove logiche interpretative, di nuovi strumenti ignorati dalle analisi di
impostazione industrialista. Le trasformazioni strutturali che stanno caratterizzando
il sistema socio-economico sono soprattutto trasformazioni che nascono dalla
continua interazione del terziario con il resto del sistema produttivo nate
dall’esigenza di ridefinizione produttiva e sociale del capitale. Per poter
essere lette sono pertanto necessarie analisi fortemente disaggregate della
distribuzione localizzativa delle attività da confrontare con una lettura più
squisitamente sociale e politico-economica anche dei nuovi fenomeni imprenditoriali
che come vedremo nel seguito, si configurano in forme occulte di lavoro subordinato,
precarizzato, non garantito, di lavoro autonomo di seconda generazione che maschera
la cruda realtà dell’espulsione dal ciclo produttivo; si tratta di nuova emarginazione
sociale altro che autoimprenditorialità!
4. Un’analisi statistico-economica ulle dinamiche socio-localizzative della
funzione imprenditoriale [4]
Introduzione alla costruzione dei coefficienti di localizzazione
imprenditoriale
Dall’analisi precedente e da un’attenta lettura della realtà
odierna, sia sociale sia aziendale, si individuano un nuovo ruolo e una diversa
funzione delle dinamiche dello sviluppo che vanno relazionate alle connotazioni
del soggetto imprenditoriale.
La gestione dell’azienda in Italia, sempre avvenuta nell’interesse
di pochi soggetti economici, sta portando sicuramente ad un suo lento declino
a forti processi di ridefinizione. Il capitalismo italiano non è stato in grado
di realizzare imprese con caratteristiche nuove, dotate di dinamismo, di autonomia,
con facile accesso ai finanziamenti e soprattutto tali che non siano guidate
da vertici ristretti ma piuttosto da una varietà di soggetti economici. I rapporti
fra lavoratori e impresa hanno sempre al più riguardato solo la responsabilità
e la contrattazione, aumentando ritmi, produttività e quindi lo sfruttamento
dei lavoratori, sempre più utilizzati in funzione di forme diversificate di
conflitto orizzontale interno alla classe finalizzato alle motivazioni, aspirazioni
e compatibilità con gli obiettivi aziendali. Le varie nuove forme di collaborazione
a connotato cooperativo e concertativo hanno solo portato alla compressione
dei diritti sindacali acquisiti con lunghe stagioni di lotte operaie, acutizzando
peraltro gli svantaggi sociali dello sviluppo, realizzando un blocco sociale
di un vero e proprio modello consociativo incentrato su relazioni industriali
esclusivamente finalizzate alla performance d’impresa e alla rottura della solidarietà
ed unità di classe dei lavoratori.
Nonostante l’enunciazione di vari principi innovativi espressi
in fasi diverse da varie componenti imprenditoriali governative e sindacali,
non si è realizzata una forma-azienda libera dai vincoli imposti dalle famiglie
proprietarie, dai grandi azionisti, con obiettivi di lungo periodo realizzabili
con il contributo di tutti gli operatori interessati al suo sviluppo.
In questa parte del lavoro si vuole porre l’accento sull’evoluzione
delle figure e del ruolo dell’imprenditore, individuando nella funzione imprenditoriale
una valenza socio-economica predominante e capace di determinare i modi di essere
degli aspetti caratterizzanti soggettualità produttive che man mano si presentano
sulla scena sociale. Tale funzione imprenditoriale ha ormai assunto una valenza
strategica nella regolazione e nel governo-controllo del multiforme conflitto
sociale. Si realizza così un nuovo blocco sociale che si amalgama intorno ad
una centralità dell’organizzazione aziendale che sempre più interagisce con
l’intero macro-sistema ambientale, che nel territorio si alimenta e si sviluppa
attraverso la realizzazione di flussi informativi e comunicazionali che attraversano
e condizionano i comportamenti dell’intero corpo sociale.
È, quindi, il processo, il potere decisionale a valenza strategica
basato sulla centralità d’impresa, il momento cruciale della moderna funzione
imprenditoriale, la quale, diffondendosi nel territorio, crea, oltre a nuove
unità produttive, nuovi soggetti interni rispetto alle compatibilità economiche
del capitalismo, ma che in ogni caso si allontanano dal punto di vista dell’antagonismo
della classe lavoratrice, realizzando più o meno coscientemente consenso intorno
alla formula d’imprenditorialità e alla cultura d’impresa. Una cultura che spesso
finge di far propri gli interessi generali e di potersi basare su solidi presupposti
finalizzati al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale.
Il momento di diffusione della cultura d’impresa, almeno inizialmente
è, necessariamente, legato alla località in cui si è originata l’idea imprenditoriale,
dove si è generata la funzione imprenditoriale e dove continua ad avere sede
l’unità decisionale d’impresa.
Come il sistema economico, nella sua accezione di sistema di
relazioni socio-economico-giuridiche attinenti alla interrelazione decisionale
e allo scambio di diritti-doveri a finalità economica, è tenuto distinto dal
sistema produttivo, inteso come intreccio relazionale riguardante i vari aspetti
del processo produttivo, così l’attività economica va differenziata tra il momento
decisionale e il momento produttivo. Il primo è riferito alla “unità decisionale”,
ossia all’impresa propriamente detta, individuata nella sede centrale dove è
nata e risiede la funzione imprenditoriale originaria. L’unità decisionale,
ha quindi le modalità e i caratteri di soggettività imprenditoriale, in grado
conseguentemente di esprimere autonoma capacità e potere decisionale, sia verso
l’organizzazione aziendale interna sia verso tutto il macro-sistema ambientale
esterno, verso il tessuto sociale territoriale.
Non tutte le unità produttive sono dotate di tale autonomia
decisionale e di autonoma funzione imprenditoriale; quando tali requisiti di
autonomia mancano, si è in presenza di unità produttive decentrate (dette anche
stabilimenti, unità locali), dove materialmente si realizzano i prodotti attraverso
la combinazione dei fattori produttivi; tali unità produttive sono destinatarie
di una funzione imprenditoriale generata dall’unità decisionale e poi diffusa
nel territorio. Le unità locali sono unità del sistema produttivo e non coincidono
numericamente con le imprese (unità decisionali), giacchè un’ impresa può essere
formata e/o può controllare più unità locali anche mediante la trasmissione
della formula e della funzione imprenditoriale originaria.
Indagare l’economia di un paese attraverso parametri riferibili
alle unità decisionali oppure alle unità produttive, conduce ovviamente ad avere
sotto controllo quadri di riferimento diversi e, quindi, un’errata impostazione
nelle unità d’indagine può portare a distorsioni nelle analisi politico-economiche.
A questo punto occorre porre l’accento su una problematica
che appare indispensabile alla comprensione della complessa realtà imprenditoriale
che si sviluppa in un ambiente innovativo e turbolento come quello attuale.
È da ritenersi superata l’impostazione neoclassica secondo la quale l’impresa
e l’imprenditore costituiscono un’unità inscindibile che trovano la realizzazione
in una funzione di produzione condizionata e definita dalle leggi di mercato.
La funzione imprenditoriale moderna, intesa come insieme di
processi decisori a valenza strategica, non è sempre vincolata all’esistenza
dell’impresa come unità organizzativa autonoma e, ormai, considerata non necessariamente
dipendente dal mercato. Va sottolineato inoltre, che nella realtà aziendale
moderna la funzione imprenditoriale, i processi, i momenti, le formule decisionali
strategiche non sono più incarnate nell’imprenditore singolo (il capitalista-proprietario)
ma in un “team”, in un pool di soggetti,in un imprenditore plurimo.
Anche per questo oggi non disponiamo di un indicatore in grado
di fornire valutazioni oggettivanti la dotazione imprenditoriale delle varie
realtà territoriali e conseguentemente capace di indagare la dinamicità della
funzione imprenditoriale. Nelle pagine che seguono verrà proposta e illustrata
una “mappatura” delle dotazioni imprenditoriali realizzata attraverso la costruzione
di un indicatore, studiato da chi scrive, che, utilizzando le statistiche oggi
disponibili, sembra presentare un contenuto e un significato tali da permettere
valide misurazioni del grado di dotazione e conseguentemente del grado di dipendenza
che tra le varie aree del Paese si registra in ordine alla disponibilità di
forze e funzioni imprenditoriali.
Determinata la modalità di costruzione dei coefficienti di
localizzazione imprenditoriale [5]
i dati comunali sui lavoratori dipendenti sono stati successivamente aggregati
in riferimento ai “bacini occupazionali” individuati dall’ISRIL. Si è voluto
così inserire anche questo lavoro nel filone di studi che analizza i processi
dello sviluppo economico in Italia in relazione alla molteplicità e diversità
economica esistente tra le varie parti del Paese. Per far ciò, come si può vedere
in una ormai ricca letteratura, si deve abbandonare la tradizionale ripartizione
del territorio basata sulle entità amministrative (comuni, provincie, regioni)
sostituendola con quella delle aree economiche di riferimento, molto più significativa
in un’ottica di analisi economico-territoriale, basata sulla divisione del Paese
in 291 bacini occupazionali, anche detti “mercati locali del lavoro”. Si può
in tal modo immediatamente effettuare una comparazione relativamente agli stessi
bacini territoriali fra dotazione e vocazione ad una o più attività economiche,
così come indagato nel precedente Capitolo 3, e dotazione di una propria funzione
imprenditoriale sviluppata in loco o acquisita attraverso una dipendenza imprenditoriale
originatasi in altre aree territoriali.
Partendo dalla costruzione dei coefficienti di localizzazione
imprenditoriale e scegliendo di aggregare i dati comunali relativi ai lavoratori
dipendenti in aree economiche di riferimento, si giunge a visualizzare, attraverso
“mappe” a significato geografico-economico, delle partizioni territoriali del
nostro Paese più o meno dotate in termini di imprenditorialità.
Si individuano così bacini, o per accorpamento intere aree,
con una dotazione imprenditoriale “più che sufficiente”, quindi capaci non solo
di “generare” imprenditorialità ma anche in grado di diffonderla (di
“esportarla”) in altre località. Nel senso già descritto, si tratta di
località che hanno mostrato nel tempo una capacità di rendere dinamica la funzione
imprenditoriale, in una o più attività economiche, generata nel luogo diffondendola
nel territorio; si tratta in ultima istanza di Comuni, di località in grado
di propagare la cultura e la formula imprenditoriale in altre località attraverso
l’insediamento di nuove unità produttive.
All’inverso, si possono individuare località a dotazione imprenditoriale
“insufficiente” quando il Comune indagato, pur presentando ad esempio
un elevato numero di unità produttive in una determinata attività economica,
dipende dal punto di vista decisionale da una funzione imprenditoriale che è
stata generata altrove, che è originaria di un’altra località e si è poi “dinamizzata”
e diffusa, “contaminando” la località oggetto di studio. Tali Comuni a sottodotazione
imprenditoriale, cioè dipendenti da una imprenditorialità generata altrove,
ad “insufficienza” imprenditoriale locale e destinatari di una funzione imprenditoriale
proveniente da un’altra località, sono, in ultima analisi, da considerare aree
“importatrici” di imprenditorialità in una, diverse, o addirittura nella
totalità delle attività produttive considerate in questa indagine.
Così se si rapportano i lavoratori dipendenti rilevati dall’INPS
e quelli rilevati dall’ISTAT con riferimento allo stesso bacino occupazionale
e allo stesso tempo di riferimento, si hanno dei coefficienti di localizzazione
imprenditoriale che nel caso in cui risultino maggiori di 1, proprio in funzione
delle diverse modalità di rilevazione dei dipendenti [6], forniscono un indice della capacità di “esportazione”
imprenditoriale della località indagata; evidenziando, cioè una dotazione imprenditoriale
“più che sufficiente”, quindi in chiave dinamica, una capacità di propagare,
trasferire e diffondere in altre aree territoriali una funzione imprenditoriale
originatasi nella località studiata. Tale coefficiente, avrà un carattere
generale nel caso si consideri il totale delle attività produttive indagate,
cioè il totale dei lavoratori riferiti a tutte le unità economiche dipendenti
operanti in quel territorio; oppure si tratterà di un coefficiente specifico
di localizzazione imprenditoriale se il rapporto è costruito tra il numero
dei lavoratori dipendenti operanti solo in determinate attività produttive presenti
nella stessa unità territoriale [7].
È ovvio che se il rapporto risulta inferiore ad 1 si ottengono
coefficienti, generali o specifici, che manifestano la scarsa propensione a
generare imprenditorialità locale dell’unità territoriale indagata, evidenziando
cioè una situazione di sottodotazione, di “insufficienza” imprenditoriale originata
in loco, e quindi di dipendenza, di “importazione” imprenditoriale di
tale bacino occupazionale.
Si vengono in tal modo a determinare per ognuno dei 291 bacini
occupazionali e per ciascuna delle attività economiche considerate dei valori
dei coefficienti di localizzazione imprenditoriale che, in pratica, ne indicano
il grado di “dotazione” imprenditoriale.
[1] Cfr. Vasapollo L., (1997).
[2] Continuando sulla stessa linea di impostazione del lavoro tenuta fino a questo punto, non si entrerà nella descrizione e nell’analisi di carattere metodologico sulla tecnica statistica utilizzata; sembra opportuno soltanto precisare che attraverso la cluster analysis si sono potute misurare le “distanze” tra i vari bacini per quanto concerne i loro profili economici, dal confronto dei quali è possibile aggregare i bacini “più vicini”, nel senso che hanno “minore distanza” nella caratterizzazione, in uno stesso cluster o gruppo formato da bacini a profilo simile.
[3] Per il 1981
sono stati considerati 290 bacini e non 291, come per il 1991, essendo stato
escluso il bacino relativo alle isole Tremiti perché, presentando un
profilo economico del tutto dissimile da quello degli altri, si è ritenuto
un dato anomalo.
[4] Cfr. Vasapollo L.(1995b), Vasapollo L. (1996).
[5] A tal proposito si confronti Vasapollo L. (1996).
[6] Nel caso INPS tutti imputati
alla sede legale accentratrice, oppure, nel caso ISTAT, imputati alle unità
locali, cioè alle dipendenze dove i lavoratori considerati prestano la
propria opera.
[7] Per “esportazione” d’imprenditorialità
si vuole intendere che ad esempio un determinato Comune, presentando un certo
numero di “sedi accentratrici” a carattere decisionale e trovandosi
quindi attribuiti un numero di dipendenti maggiori di quelli che effettivamente
lavorano nelle aziende operanti nel proprio territorio, è caratterizzato
da fattori determinanti “genesi imprenditoriale” che gli fanno assumere
la peculiarità di località a dotazione imprenditoriale “più
che sufficiente” e conseguentemente caratterizzati da una più o
meno accentuata inclinazione alla formazione, diffusione ed esportazione di
imprenditorialità. Situazione opposta si presenta nel caso di Comuni
“importatori” di imprenditorialità perché a dotazione
imprenditoriale “insufficiente”, e quindi dipendenti imprenditorialmente
e destinatari di una funzione imprenditoriale generata in un altro Comune.