Le prese di posizione in favore della tecnica, però, non
sono state sempre improntate alla ragionevolezza e all’equilibrio: lo
stereotipo dell’integrato è quello di un intellettuale completamente
affascinato dall’innovazione e dal progresso, che perde di vista ciò che di
negativo vi può essere in cambiamenti così radicali e veloci. Infatti sono
spesso proprio i discorsi più affascinanti e suggestivi di certi futurologi ad
attirare l’attenzione e la passione del vasto pubblico e ad alimentare i
diversi miti della tecnica.
L’aura mitica, che sembra la principale responsabile della
nascita dei miti della tecnica, si origina proprio nello spazio di
incomprensione per la tecnologia. “Il punto è che, malgrado la razionalità
indubbiamente superiore delle tecniche moderne, gli strumenti e i procedimenti
della scienza e della tecnologia non hanno affatto perduto la loro aura magica,
tanto nelle società industriali quanto in quelle preindustriali. Il cittadino
medio comprende pochissimo le loro fondazioni logiche o i loro principi
operativi e svolge un ruolo puramente passivo (come consumatore), via via che
ogni stadio è superato da un altro, con rapidità sempre maggiore” [1].
In questo senso, il significato del termine mito che stiamo
prendendo in considerazione è molto vicino a quello elaborato dal semiologo
francese R. Barthes. [2] Il mito appare, infatti, come un’ulteriore
costruzione di senso, che si “installa”, su un sistema di significato già
esistente. R. Barthes, in particolare, parla di un livello di base costituito
dalla lingua e di un livello successivo che rappresenta il “piano mitico” [3]. Il significante ed il significato del primo livello, si
uniscono a rappresentare il significante del secondo livello, che, dunque, per
R. Barthes è considerabile “come termine finale del sistema linguistico o
come termine iniziale del sistema mitico” [4].
Applicando e traslando questo modello interpretativo all’argomento che stiamo
trattando si potrebbe considerare il mito telematico come una costruzione
supplementare di senso che interviene successivamente a quella primaria,
direttamente collegata ai dati oggettivi della realtà. In altre parole: esiste
una realtà della telematica, che è quella di una tecnologia che, applicata all’elaborazione
elettronica dell’informazione, permette di comunicare a distanza con
particolare efficacia. Unita alla creazione di sistemi di realtà virtuale,
essa crea tutta una serie di nuove opportunità nel mondo della simulazione e
della riproduzione di esperienze reali. Esiste però anche un mito della
telematica che, fondandosi sull’aspetto oggettivo crea una serie di
significati, di narrazioni, di scenari che con la realtà hanno ben poco a che
fare, ma sono ugualmente credibili. La stessa metafora spaziale che viene ormai
unanimemente utilizzata per descrivere il mondo delle reti appartiene, seppure
ad un livello più innocente, a questa costruzione ulteriore di senso. La
difficoltà, non solo per l’uomo comune, ma anche per l’esperto, di
raffigurarsi una serie di testi, di immagini, di applicazioni che non esistono
in nessun luogo, se non nei circuiti e nelle memorie dei computer o nei
fili telefonici che li collegano fra di loro, spinge a superare i limiti della
capacità di rappresentazione oggettiva della realtà e ad elaborare l’immagine,
suggestiva ed efficace, dello spazio virtuale [5].
Nell’era delle complessità mancano grandi visioni che
sappiano sintetizzare i nostri problemi e darci una percezione globale del loro
senso. Di fronte a questa difficoltà il mito può tornare ad essere uno
straordinario supporto al pensiero perché fornisce costellazioni di significati
che hanno presa sul nostro immaginario profondo. Ancora attuale appare il mito
di Prometeo, il Titano che ha drammatizzato nella coscienza dell’uomo il
problema della sopravvivenza, resa possibile dai doni del fuoco e della tecnica.
Il mito di Prometeo è il filo che corre lungo la storia dei tentativi compiuti
dall’uomo per sopravvivere. Da quando egli inizia a rendere artificiale il suo
ambiente ma in maniera ancora debole, subalterna e rispettosa della natura, fino
all’epoca della forte artificializzazione che ha costruito sulla terra una
gigantesca struttura tecnica e che può oggi controllare l’evoluzione della
vita. [6]
Parlando del mito, Nicola Abbagnano (1901-1990) ha scritto:
“... si possono distinguere, dal punto di vista storico, tre significati del
termine, e precisamente: 1° quello del mito come di una forma attenuata di
intellettualità; 2° quello del mito come una forma autonoma di pensiero o di
vita; 3° quello del mito come strumento di controllo sociale” [7]. Il mito telematico
risponde sicuramente alla prima e alla terza accezione del termine. Esso,
infatti, nasce, da una elaborazione abbastanza libera e ingiustificata dei dati
della realtà, originandosi, per lo più, in quegli spazi oscuri che, nel
sapere collettivo, si originano al di fuori delle aree di piena comprensione
razionale dei fenomeni tecnologici e, in questo caso, sociali. “Di fatto”
scrive ancora Barthes “il sapere contenuto nel concetto mitico è un sapere
confuso, formato da associazioni interne, indefinite. Bisogna insistere su
questo carattere aperto del concetto: non è affatto un’essenza astratta,
purificata, bensì una condensazione informale, instabile, nebulosa, la cui
unità e coerenza dipendono soprattutto dalla funzione” [8].
Si viene così formando, sostanzialmente a causa di una sorta
di “disattenzione” nei confronti di certi aspetti della realtà e di sistemi
di propaganda abbastanza ben mimetizzati, questo mito telematico, che
rappresenta, in molti casi, il nucleo fondamentale della cultura telematica.
Sarebbe estremamente complesso descrivere dettagliatamente ed esaurientemente
questo sistema mitico, ma sicuramente si può tentare di individuarne alcuni
concetti o cause fondamentali. Sembra, per esempio, che rispetto a precedenti
miti della tecnica, il mito telematico goda di una particolare forza e di
un singolare consenso forse a causa della originalità della telematica e dell’informatica
rispetto ai precedenti tipi di innovazione tecnologica. Almeno nell’immaginario
collettivo, infatti, la tecnica si concretizzava nell’immagine di macchine in
grado di intervenire nell’ambiente e sull’ambiente in modo da modificarlo e
migliorare le condizioni di vita dell’uomo. L’emblema della tecnica nella
società industriale erano i macchinari della catena di montaggio, in grado di
velocizzare e automatizzare le attività produttive, oppure i moderni mezzi di
trasporto, treni sempre più veloci, aerei sempre più potenti e pesanti, ecc.,
in grado di spostare enormi quantità di merce da una parte all’altra del
globo in tempi incredibilmente brevi, rispetto al passato. Al di là del
giudizio che se ne poteva dare, la tecnica interveniva indubbiamente sull’ambiente,
modificandolo più o meno irreversibilmente. Questo è stato il filo conduttore
di tutte le innovazioni che si sono succedute nel corso della rivoluzione
industriale e che hanno, di volta in volta, lasciato le loro tracce sotto forma
di binari ferroviari che attraversavano pianure, stabilimenti industriali che
immettevano smog nell’atmosfera, ecc. Dall’evidenza dell’opposizione fra i
risultati dell’industrializzazione e l’ordine della Natura, nasce quel
sentimento di insanabile contrasto emerso in filosofi come M. Heidegger [9]. E dalla diversità di giudizi sull’effettivo valore di questi
cambiamenti ha origine il tradizionale scontro fra oppositori e fautori della
tecnica che è stato così efficacemente cristallizzato dalle categorie di “apocalittici”
e “integrati”.
La tecnologia informatica, e la sua espansione attraverso la
telematica, non danno origine a fenomeni così drammatici. I prodotti che
vengono gestiti dai computer non hanno più materialità degli impulsi
elettrici e sono dunque necessariamente connotati dalla intangibilità e da una
misteriosa quanto affascinante assenza di peso [10]. L’elaborazione
elettronica dell’informazione è qualcosa che avviene solo nell’interno del computer,
fra i suoi silenziosi circuiti, e che al massimo riguarda, oltre alla macchina,
il suo utente. La dematerializzazione, intrinsecamente legata alla tecnologia
informatica, ha poi trovato una vera e propria cassa di risonanza nello sviluppo
e nella diffusione della tecnologia telematica [11]. La nascita delle
reti ha portato alla formazione di una serie di collegamenti attraverso i quali
passa un flusso continuo di dati. E, a differenza di quanto accadeva nel
passato, quando gli stessi fili servivano soltanto a trasmettere una distorta e
disturbata riproduzione della voce umana, oggi il risultato di questo continuo
scambio d’informazione è sempre di più una ricostruzione estremamente fedele
della realtà. [12] Il processo di imitazione realistica della realtà
che aveva avuto inizio nel corso del Rinascimento con l’impiego della
prospettiva lineare nelle raffigurazioni pittoriche [13], sembra ormai portato a compimento dagli ultimi risultati
della ricerca nel campo della realtà virtuale. La riproduzione artificiale
della realtà è ormai quasi perfetta: l’ultimo ostacolo, quello della
tangibilità degli oggetti virtuali, è in via di superamento grazie a tute
dotate di sensori in grado di riprodurre tipiche sensazioni tattili. La
simulazione percettiva, dunque, è portata a compimento e, almeno teoricamente,
non ci dovrebbe essere modo di distinguere la realtà reale e la sua
riproduzione artificiale. Assistiamo oggi a nuovi rapporti tra tecnologie e
identità sconosciute: compaiono cioè episodi problematici per la definizione
di queste sfere, sindromi di personalità multiple, giochi di ruolo. Infatti
nella fase aperta dall’uso di Internet aspetti quali genere, razza,
età, sono giocati, nel senso che ognuno tende a reinventare se stesso scoprendo
identità digitali di generi differenti dalla realtà ordinaria. La chiave di
accesso a questo tipo di cultura è costituita dall’esperienza dell’essere
umano come una cosa che sente. [14] Si annuncia il passaggio da una sessualità organica,
fondata sulla differenza dei sessi, ad una sessualità neutra, inorganica,
artificiale, sempre priva di riguardi nei confronti delle forme.
[1] W.
Leiss, The domination of Nature, Washington (1940), tr. it. Il dominio sulla
natura, Milano, Longanesi, 1976, pag. 32.
[2] Cfr. R. Barthes, Mytologies, Paris, Ed. du Seuil (1957),
tr. it. Miti d’oggi, Torino, Einaudi, 1994.
[3]
Per descrivere questo doppio sistema, Barthes elabora una precisa terminologia:
“...sul piano della lingua, cioè come termine finale del primo sistema,
chiamerò il significante: senso...; sul piano del mito, lo chiamerò forma. Per
il significato non c’è pericolo di ambiguità: gli lasceremo il nome di
concetto. Il terzo termine è la correlazione dei primi due: nel sistema della
lingua, è il segno, ma non si può riprendere la parola senza ambiguità
perché nel mito (ed è qui la sua particolarità principale) il significante è
già formato da segni della lingua. Chiamerò il terzo termine del mito,
significazione: la parola è qui tanto più giustificata in quanto il mito ha
effettivamente una doppia funzione: designa e notifica, fa capire e impone”,
pagg. 198-199.
[4] R. Barthes, op. cit., p. 198.
[5] Sembra interessante, a
tal proposito, riportare un passo tratto dalla voce W.W.W. (World Wide Web) di
un glossario dei termini dell’informatica, apparso su una rivista di settore
“PC Professionale” e curato da Roberto Mazzoni “Il World Wide Web
rappresenta uno spazio definito all’interno dell’enorme network d’interconnessione
che unisce computer diversi e distanti tra loro e che oggi conosciamo col nome
di Internet, alias la Rete. Parliamo di spazio perché è difficile
concettualizzarlo altrimenti. Infatti non si tratta di un oggetto fisico e
nemmeno di un’entità riconducibile a confini geografici, bensì è un sistema
di presentazione e soprattutto d’interconnessione fra le informazioni
concepito in modo da favorire il passaggio automatico da un documento all’altro
e consentire la navigazione in un grande mare informativo senza altro strumento
di orientamento se non quello che compare di volta in volta sul nostro schermo.
Il World Wide Web fa parte di Internet, ma comprende solo una parte delle
risorse disponibili all’interno di quest’ultima, ecco perché lo definiamo
come uno degli spazi contenuti all’interno del grande universo di Internet, il
quale a sua volta fa parte di un contesto ancora più grande che unisce diversi
sistemi per lo scambio d’informazioni elettroniche (la cosiddetta Matrice)”.Cfr
inoltre P. Lévy, Qu’est-ce que le Virtuel, Edit. La Dècouverte, Paris
(1995), tr. it. Il Virtuale, Raffaello Cortina Edit., Milano, 1997.
[6] R. Trabucchi, Prometeo e la sopravvivenza dell’uomo: tecnica e prassi
del terzo millennio, Milano, Franco Angeli, 1998.
[7] N. Abbagnano,
Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1971, pag. 586.
[8] R. Barthes, op.
cit., pag. 201.
[9] Questo
contrasto emerge, oltre che in Autori contemporanei come, appunto, M. Heidegger,
anche in un mito ben più antico, quello di Prometeo. L’acquisizione della
più rudimentale forma di tecnica (il fuoco) sembra comunque la rottura di un
ordine precostituito e va riparata con la sofferenza. “Il furto del fuoco dev’essere
pagato. Ormai ogni ricchezza avrà come condizione il lavoro: è la fine dell’età
dell’oro, la cui rappresentazione nell’immaginazione mitica sottolinea l’opposizione
fra la fecondità e il lavoro... Ormai gli uomini non nasceranno più
direttamente dalla terra; con la donna, conosceranno la nascita per generazione
e, per conseguenza, anche l’invecchiamento, la sofferenza e la morte”, in J.
P. Vernant, Mythe et pensée chez les Grecs. Etudes de psychologie, Paris,
Maspero (1965), tr. it. Mito e pensiero presso i Greci, Torino, Einaudi, 1978,
pag. 276.
[10] Cfr. T. Maldonado, op. cit.
[11] G. Lanzavecchia,
Dematerializzazione e realtà virtuale, Roma, Ediesse, 1996.
[12] J. E. Rawlins, Moths to the Flame. The seduction of Computer
Technology, The Mit Press, Cambridge (1996), tr. it. Le seduzioni del computer,
Bologna, Il Mulino, 1997.
[13] Cfr. T. Maldonado, op.
cit., pagg. 17-20.
[14] M. Perniola, Il Sex Appeal dell’inorganico,
Torino, Einaudi, 1997.