1. Il mito di una rivoluzione telematica
Le tecnologie telematiche stanno rivoluzionando il mondo dei computer
permettendo non solo la trasmissione a distanza, ma anche la gestione in comune
di una serie di attività. I frequentatori di Internet e delle reti
telematiche che si trovano a scambiare informazioni con persone che vivono dall’altra
parte del mondo hanno delle precise esigenze linguistiche legate alla necessità
di comunicare e di capirsi ed hanno, forse, bisogno di una nuova lingua, quella telematica.
Particolarmente evidenti sono oggi stati d’animo quali l’entusiasmo
e la fiducia nelle più recenti innovazioni nel campo delle cosiddette
tecnologie telematiche. Le immagini della ragnatela, del World
Wide Web, della rete delle reti sono diventate familiari per molti, creando
l’idea di uno spazio virtuale concretamente esistente. Esperienze di
compenetrazione reale-virtuale proiettano nuove domande sullo zapping del
nostro presente, costringendoci a ripensare subito il rapporto col mondo e
obbligandoci a riconsiderare le interazioni tra soggetto, illusione e
realtà [1]. È possibile che al di sotto di questo
entusiasmo si annidi la latente diffusione di un mito della telematica.
È abbastanza recente l’introduzione di un curioso neologismo che, pur se
diffuso in un ambito limitato, non può non suscitare un certo interesse. Si
tratta dell’espressione lingua telematica, la quale è usata dai
frequentatori di Internet e delle reti telematiche [2]. Chi, per lavoro o
per passione, si trova a scambiare informazioni, di qualsiasi genere, con
persone che vivono dall’altra parte del mondo, ha innegabilmente determinate
esigenze linguistiche: deve, innanzitutto, utilizzare una lingua veicolare,
cioè una di quelle lingue ampiamente diffuse, la principale delle quali è
l’inglese, che vengono normalmente utilizzate negli scambi comunicativi fra
persone che parlano lingue differenti. Sicuramente si avrà anche la necessità
di parlare spesso di argomenti relativi all’informatica, utilizzare termini
sempre nuovi che provengono dalle più diverse aree linguistiche. Si va creando,
insomma, una sorta di koinh, di lingua comune del mondo della telematica,
fatta di un sostrato di inglese e di vocaboli sempre aggiornati di provenienza
sempre diversa. Per affermarsi questi cambiamenti linguistici devono essere
condivisi da molti, poiché l’estensione del linguaggio, così come il
linguaggio, è un atto sociale. [3]
Gran parte dei linguisti, dei filosofi del linguaggio e dei
semiologi si sono interessati, nel corso di questo secolo, al problema del
rapporto esistente fra linguaggio e pensiero, giungendo spesso ad una loro
identificazione. In questo senso interessante sembra la teoria del linguista
statunitense B. Whorf (1897-1941) che, prendendo le mosse dal filosofo tedesco
W. von Humboldt (1767-1835) [4], riconduce alla lingua le strutture di pensiero di un popolo [5]. Il
pensiero di un popolo sarebbe determinato, nel suo svolgersi, nel suo connettere
cause con effetti, in tutte le sue attività, insomma, dalle strutture della
lingua che lo stesso popolo parla. Se è vero che il pensiero si sviluppa
attraverso queste strutture, una lingua povera e arida come quella telematica
sarà un pessimo supporto al ragionamento umano, anche perché il linguaggio non
ci permette soltanto di comunicare con gli altri e con noi stessi, ma
addirittura ci consente di “forgiare l’intera visione del mondo” [6]. C’è un romanzo che ha segnato
profondamente la cultura della seconda metà del nostro secolo: 1984, di
G. Orwell [7], opera in cui viene offerta una terrificante previsione della
società futura. Nell’appendice di questo libro si può trovare una breve
esposizione delle principali regole della neolingua, l’ipersemplificato
inglese che il totalitario regime dell’Ingsoc vuole imporre ai cittadini per
annebbiare, infiacchire e disabituare al ragionamento le loro menti.
È lecito, anzi doveroso, chiedersi: la lingua telematica
è forse, con la sua frammentarietà, le sue abbreviazioni, il suo eccessivo uso
di termini tecnici, un tipo di neolingua? La risposta sembra essere negativa per
vari motivi. Innanzitutto la lingua telematica non si sostituisce a
quella normalmente utilizzata tutti i giorni, ma si affianca ad essa come
semplice gergo del mondo informatico. E, soprattutto, più che a paralizzare le
menti, sembra adatta a rafforzarle e abituarle a procedere più rapidamente.
Come già detto il pensiero filosofico contemporaneo ha abbandonato una visione
statica e tradizionale della realtà nella convinzione che sia stata la lingua,
in tutto o in parte, a determinare la rappresentazione del mondo in cui viviamo,
attraverso segmentazioni e manipolazioni che si susseguono nel tempo [8]. La lingua telematica non può non giovare alla mente
umana, costruendo ulteriori mondi, segmentati in maniera simile ma differente da
quelli delle lingue madri. Essendo, inoltre, una lingua in continuo movimento e
ripensamento, pressata com’è dall’esigenza di descrivere e render conto
dell’incessante innovazione tecnologica, richiede ai suoi conoscitori una
continua attenzione e una grande capacità di riplasmare continuamente la
propria immagine di sezioni della realtà, di accettare nuovi termini e con essi
nuovi oggetti, nuove idee, nuove prospettive, ecc. [9]
Particolarmente interessante a tal proposito è la teoria che
riguarda il rapporto fra linguaggio e tecnica, avanzata dal filosofo tedesco M.
Heidegger (1889-1976), il quale osserva che se oggi la tecnica ci domina è
perché essa ormai possiede del tutto il nostro linguaggio, e quindi è il
linguaggio che bisogna interrogare per intendere il senso di quel dominio. In
particolare il punto in cui la tecnica si svela con più evidenza nella sua
struttura di fondo è l’uso della lingua dei calcolatori dove essa omologa il
linguaggio in un sistema univoco di segni livellandoli come segnali dell’informazione.
Nel controllo retroattivo di segni, il dominio della tecnica si realizza
compiutamente come dominio linguistico.
Il nesso di tecnica e linguaggio non è presentato da
Heidegger come una connessione a una data epoca storica, quale ad esempio la
nostra, ma come una coappartenenza. [10] Il linguaggio
tecnico nasconde in sé qualcosa di non detto che è custodito da quel
linguaggio che Heidegger, per differenziarlo dalla lingua tecnica, chiama lingua
naturale.
Sembra, dunque, piuttosto ingiusto considerare in maniera
pessimistica l’affermarsi di questi nuovi linguaggi che l’innovazione
tecnologica e, a ruota, l’immaginario popolare, stanno creando. Più che un’ennesima
arma trovata dalla tecnologia essi costituiscono, in fondo, strumenti adatti
alla risoluzione di numerosi problemi teorici e pratici e, soprattutto, in grado
di offrire a molti una immancabile occasione di affinamento delle proprie
capacità cognitive. Le nuove tecnologie risolvono rapidamente un’enorme
quantità di errori. Stiamo assistendo a una rivoluzione del pensiero. [11] Se usate nella maniera
appropriata le nuove tecnologie ci permetteranno di leggere in modo diverso il
libro della natura. Quella che offrono le reti è una grande opportunità per
riorganizzare le nostre conoscenze e la nostra immagine del mondo, e insieme,
una sfida all’intelligenza e alla creatività umana.
“Gli strumenti informatici sono mediatori -scrive B. Gates-
e gran parte dei progressi dell’umanità è derivata dal fatto che qualcuno ha
inventato uno strumento migliore e più potente. Quelli manuali velocizzano il
lavoro e risparmiano alla gente le fatiche più dure: l’aratro e la ruota, la
gru e il bulldozer moltiplicano le possibilità fisiche di chi li utilizza ...
allo stesso modo gli strumenti informatici sono mediatori simbolici che
sviluppano in chi li utilizza, anziché i muscoli, le capacità intellettive...
buona parte del lavoro, oggi, consiste nel prendere decisioni; perciò gli
strumenti informatici sono diventati di fondamentale importanza per chi svolge
un lavoro intellettuale” [12]
2. La rivoluzione telematica: l’idea
La lingua telematica è comunque solamente un aspetto,
un segno, di una realtà ben più importante. Essa, infatti, può essere
considerata come il mezzo di espressione, o, meglio, come uno dei mezzi di
espressione di una più vasta cultura telematica, la cultura cioè del
mondo telematico e di chi lo frequenta. Si tratta, ovviamente, di uno dei tanti
aspetti della cultura occidentale contemporanea, e che molto probabilmente
costituiscono la inconscia risposta al crollo dei grandi ideali
ottocenteschi [13]. La
cultura telematica, però, sembra avere un fondamento positivo consistente:
la tecnologia informatica, che acquista sempre più diffusione e autonomia. Si
tratta di una cultura che ha una sua piena legittimazione all’interno della
nostra società. A differenza di quella delle sette religiose americane,
infatti, trova i suoi guru non in ambigue figure carismatiche, ma piuttosto in
accreditati professori di università statunitensi o in rispettati magnati dell’industria
dei computer. La sua credibilità è accresciuta dalla nascita di collane
pubblicate dalle più autorevoli e tradizionali case editrici, che non di rado
producono veri e propri best-seller [14]. E, inoltre,
è innegabile che la sua carica attrattiva si regga sugli effettivi vantaggi che
la cosiddetta rivoluzione telematica porta nella vita dell’uomo di fine
millennio.
Uno dei tratti distintivi della tradizione occidentale,
rispetto per esempio a quella dell’Oriente, è il ricorso alla tecnica per
raggiungere i propri scopi: la tradizione occidentale vuole plasmare il mondo a
sua immagine, e lo strumento principe per ottenere questo risultato è proprio
la tecnica. [15] Trasformata da mezzo in fine la tecnica ha conquistato il dominio sul
mondo, è diventata la forma più potente di salvezza, per questo non può
rimanere un semplice mezzo subordinato ad altri scopi ed è quindi destinata a
porsi al centro della memoria globale e della comunicazione . A fondamento di
ciò che essa comunica nel suo trattenere tutto nella memoria globale, la
tecnica comunica il suo messaggio fondamentale: il proprio carattere salvifico.
Nella memoria e nella comunicazione informatico-telematica il messaggio
essenziale della tecnica è, dunque, la sua capacità di organizzare i messaggi
della memoria e della comunicazione. La rete telematica insieme al nuovo stile
di vita che essa rende possibile, è destinata a diventare lo scopo delle forze
che mirano alla democrazia diretta.
Negli ultimi vent’anni il computer si è lentamente
fatto strada nelle case occidentali, prima in alcuni paesi-guida come gli Stati
Uniti e, poi, più lentamente e timidamente, anche in paesi che si collocano
più ai margini dello sviluppo della tecnologia informatica. Nel frattempo le
evoluzioni dei calcolatori elettronici sono state non indifferenti: sono nati
prima i personal computer, che rappresentavano le prime macchine
di questo tipo alla portata di un comune budget familiare, poi i software sono
diventati sempre più avanzati e facili da usare. Negli ultimi anni due novità
tecnologiche si sono imposte all’attenzione del pubblico: la telematica
e la realtà virtuale, che appaiono ormai sempre più legate fra di loro
nel mondo di Internet. La telematica, consiste nella trasmissione
a distanza dei dati frutto dell’elaborazione elettronica e trova la sua
applicazione più celebre e recente nelle reti, cioè in vere e proprie
ragnatele di collegamenti fra calcolatori dislocati nelle più diverse parti del
mondo. Lo stesso fondatore della Microsoft, l’americano B. Gates (1955), è
sorpreso della velocità e del modo in cui tutto ciò sta avvenendo; infatti
intervenendo in una conferenza ha affermato “Benché li avessi utilizzati
negli anni Settanta, quando ero studente, non mi aspettavo che i protocolli di
Internet sarebbero diventati degli standard per una rete destinata a esplodere
vent’anni più tardi... ovunque ci sono tracce del successo di Internet
e assisteremo ancora a molte sorprese: la rete interattiva è qui per restarci,
e questo è ancora l’inizio” [16].
[1] AA. VV., La scena immateriale. Linguaggi elettronici e mondi virtuali,
Genova, Costa & Nolan, 1994.
[2] La diffusione di
questo neologismo ha recentemente dato il nome ad una rivista pubblicata dalla
fondazione Ugo Bordoni, nel 1995, dal titolo “Telèma”.
[3] Cfr. al riguardo P. M. van Buren, The Edges of
Language. An Essay in the Logic of a Religion, McMillian, New York (1972), tr.
it. Alle frontiere del linguaggio, Roma, Armando, 1977, pagg. 87 segg.
[4] W. von Humboldt, Uber die Verschiedenheit des
menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwicklung des
Menschengeschlechts, Dummlers, Berlin (1836), tr. it. La diversità delle
lingue, Roma-Bari, Laterza, 1991. In questa opera l’Autore afferma che ogni
linguaggio è una visione del mondo e precisamente quella del popolo che lo
parla; il linguaggio è l’inframondo tra lo spirito dell’uomo e gli
oggetti.
[5] B. L.
Whorf, Language, Thought and Reality, London, Oxford University Press (1963),
tr. it. Linguaggio, Pensiero e Realtà, Torino, Bollati Boringhieri, 1970.
[6] E.
Sapir, The Language, Chicago (1927), tr. it. Il linguaggio. Introduzione alla
linguistica, Torino, Einaudi, 1969, pag. 65.
[7] G. Orwell, 1984, London, Secker and Warburg (1949), Milano,
Mondadori, 1950.
[8] Cfr. a tal
proposito la teoria semiotica esposta nel capitolo “Dizionario versus
enciclopedia” in U. Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino,
Einaudi, 1984.
[9] F. Rossi-Landi, Linguaggi
nella società e nella tecnica, Milano, Edizioni di comunità, 1970.
[10] M. Heidegger, Ueberlieferte Sprache und
Technische Sprache, Erker-Verlag, St. Gallen (1989), tr. it. Linguaggio
tramandato e linguaggio tecnico, Pisa, Ets, 1997, pag.27.
[11] 1J.
Bailey, After thought, Cambridge (1996), tr. it. Il postpensiero. La sfida dei
computer all’intelligenza umana, Milano, Garzanti, 1998, pag. 180. Cfr.
inoltre H. Putnam, Renewing Philosophy, Harvard College (1992), tr. it.
Rinnovare la filosofia, Milano, Garzanti Editore, 1998.
[12] B. Gates, The Road Ahead. Completely Revised and
Up-To-Date, Viking Penguin, Usa (1996), tr. it. La strada che porta a domani,
Milano, Mondadori, 1997, pag. 17.
[13] J. F. Lyotard, La condition postmoderne, Paris, Klincksieck
(1979), tr. it. La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981.
[14] Fra i testi più celebri si segnala N.
Negroponte, Esser digitali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.
[15] E. Severino, Il destino della tecnica, Milano, Rizzoli, 1998, pag.
20.
[16] L’intervento è avvenuto durante una
conferenza tenutasi all’università di Harvard il 25 luglio 1996.