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Società e processi immateriali

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La telematica come nuovo linguaggio mitico

M. D. Marina Bifulco

Piero Polidoro

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1. Il mito di una rivoluzione telematica

Le tecnologie telematiche stanno rivoluzionando il mondo dei computer permettendo non solo la trasmissione a distanza, ma anche la gestione in comune di una serie di attività. I frequentatori di Internet e delle reti telematiche che si trovano a scambiare informazioni con persone che vivono dall’altra parte del mondo hanno delle precise esigenze linguistiche legate alla necessità di comunicare e di capirsi ed hanno, forse, bisogno di una nuova lingua, quella telematica.

Particolarmente evidenti sono oggi stati d’animo quali l’entusiasmo e la fiducia nelle più recenti innovazioni nel campo delle cosiddette tecnologie telematiche. Le immagini della ragnatela, del World Wide Web, della rete delle reti sono diventate familiari per molti, creando l’idea di uno spazio virtuale concretamente esistente. Esperienze di compenetrazione reale-virtuale proiettano nuove domande sullo zapping del nostro presente, costringendoci a ripensare subito il rapporto col mondo e obbligandoci a riconsiderare le interazioni tra soggetto, illusione e realtà [1]. È possibile che al di sotto di questo entusiasmo si annidi la latente diffusione di un mito della telematica. È abbastanza recente l’introduzione di un curioso neologismo che, pur se diffuso in un ambito limitato, non può non suscitare un certo interesse. Si tratta dell’espressione lingua telematica, la quale è usata dai frequentatori di Internet e delle reti telematiche [2]. Chi, per lavoro o per passione, si trova a scambiare informazioni, di qualsiasi genere, con persone che vivono dall’altra parte del mondo, ha innegabilmente determinate esigenze linguistiche: deve, innanzitutto, utilizzare una lingua veicolare, cioè una di quelle lingue ampiamente diffuse, la principale delle quali è l’inglese, che vengono normalmente utilizzate negli scambi comunicativi fra persone che parlano lingue differenti. Sicuramente si avrà anche la necessità di parlare spesso di argomenti relativi all’informatica, utilizzare termini sempre nuovi che provengono dalle più diverse aree linguistiche. Si va creando, insomma, una sorta di koinh, di lingua comune del mondo della telematica, fatta di un sostrato di inglese e di vocaboli sempre aggiornati di provenienza sempre diversa. Per affermarsi questi cambiamenti linguistici devono essere condivisi da molti, poiché l’estensione del linguaggio, così come il linguaggio, è un atto sociale. [3]

Gran parte dei linguisti, dei filosofi del linguaggio e dei semiologi si sono interessati, nel corso di questo secolo, al problema del rapporto esistente fra linguaggio e pensiero, giungendo spesso ad una loro identificazione. In questo senso interessante sembra la teoria del linguista statunitense B. Whorf (1897-1941) che, prendendo le mosse dal filosofo tedesco W. von Humboldt (1767-1835) [4], riconduce alla lingua le strutture di pensiero di un popolo [5]. Il pensiero di un popolo sarebbe determinato, nel suo svolgersi, nel suo connettere cause con effetti, in tutte le sue attività, insomma, dalle strutture della lingua che lo stesso popolo parla. Se è vero che il pensiero si sviluppa attraverso queste strutture, una lingua povera e arida come quella telematica sarà un pessimo supporto al ragionamento umano, anche perché il linguaggio non ci permette soltanto di comunicare con gli altri e con noi stessi, ma addirittura ci consente di “forgiare l’intera visione del mondo” [6]. C’è un romanzo che ha segnato profondamente la cultura della seconda metà del nostro secolo: 1984, di G. Orwell [7], opera in cui viene offerta una terrificante previsione della società futura. Nell’appendice di questo libro si può trovare una breve esposizione delle principali regole della neolingua, l’ipersemplificato inglese che il totalitario regime dell’Ingsoc vuole imporre ai cittadini per annebbiare, infiacchire e disabituare al ragionamento le loro menti.

È lecito, anzi doveroso, chiedersi: la lingua telematica è forse, con la sua frammentarietà, le sue abbreviazioni, il suo eccessivo uso di termini tecnici, un tipo di neolingua? La risposta sembra essere negativa per vari motivi. Innanzitutto la lingua telematica non si sostituisce a quella normalmente utilizzata tutti i giorni, ma si affianca ad essa come semplice gergo del mondo informatico. E, soprattutto, più che a paralizzare le menti, sembra adatta a rafforzarle e abituarle a procedere più rapidamente. Come già detto il pensiero filosofico contemporaneo ha abbandonato una visione statica e tradizionale della realtà nella convinzione che sia stata la lingua, in tutto o in parte, a determinare la rappresentazione del mondo in cui viviamo, attraverso segmentazioni e manipolazioni che si susseguono nel tempo [8]. La lingua telematica non può non giovare alla mente umana, costruendo ulteriori mondi, segmentati in maniera simile ma differente da quelli delle lingue madri. Essendo, inoltre, una lingua in continuo movimento e ripensamento, pressata com’è dall’esigenza di descrivere e render conto dell’incessante innovazione tecnologica, richiede ai suoi conoscitori una continua attenzione e una grande capacità di riplasmare continuamente la propria immagine di sezioni della realtà, di accettare nuovi termini e con essi nuovi oggetti, nuove idee, nuove prospettive, ecc. [9]

Particolarmente interessante a tal proposito è la teoria che riguarda il rapporto fra linguaggio e tecnica, avanzata dal filosofo tedesco M. Heidegger (1889-1976), il quale osserva che se oggi la tecnica ci domina è perché essa ormai possiede del tutto il nostro linguaggio, e quindi è il linguaggio che bisogna interrogare per intendere il senso di quel dominio. In particolare il punto in cui la tecnica si svela con più evidenza nella sua struttura di fondo è l’uso della lingua dei calcolatori dove essa omologa il linguaggio in un sistema univoco di segni livellandoli come segnali dell’informazione. Nel controllo retroattivo di segni, il dominio della tecnica si realizza compiutamente come dominio linguistico.

Il nesso di tecnica e linguaggio non è presentato da Heidegger come una connessione a una data epoca storica, quale ad esempio la nostra, ma come una coappartenenza. [10] Il linguaggio tecnico nasconde in sé qualcosa di non detto che è custodito da quel linguaggio che Heidegger, per differenziarlo dalla lingua tecnica, chiama lingua naturale.

Sembra, dunque, piuttosto ingiusto considerare in maniera pessimistica l’affermarsi di questi nuovi linguaggi che l’innovazione tecnologica e, a ruota, l’immaginario popolare, stanno creando. Più che un’ennesima arma trovata dalla tecnologia essi costituiscono, in fondo, strumenti adatti alla risoluzione di numerosi problemi teorici e pratici e, soprattutto, in grado di offrire a molti una immancabile occasione di affinamento delle proprie capacità cognitive. Le nuove tecnologie risolvono rapidamente un’enorme quantità di errori. Stiamo assistendo a una rivoluzione del pensiero. [11] Se usate nella maniera appropriata le nuove tecnologie ci permetteranno di leggere in modo diverso il libro della natura. Quella che offrono le reti è una grande opportunità per riorganizzare le nostre conoscenze e la nostra immagine del mondo, e insieme, una sfida all’intelligenza e alla creatività umana.

“Gli strumenti informatici sono mediatori -scrive B. Gates- e gran parte dei progressi dell’umanità è derivata dal fatto che qualcuno ha inventato uno strumento migliore e più potente. Quelli manuali velocizzano il lavoro e risparmiano alla gente le fatiche più dure: l’aratro e la ruota, la gru e il bulldozer moltiplicano le possibilità fisiche di chi li utilizza ... allo stesso modo gli strumenti informatici sono mediatori simbolici che sviluppano in chi li utilizza, anziché i muscoli, le capacità intellettive... buona parte del lavoro, oggi, consiste nel prendere decisioni; perciò gli strumenti informatici sono diventati di fondamentale importanza per chi svolge un lavoro intellettuale” [12]

2. La rivoluzione telematica: l’idea

La lingua telematica è comunque solamente un aspetto, un segno, di una realtà ben più importante. Essa, infatti, può essere considerata come il mezzo di espressione, o, meglio, come uno dei mezzi di espressione di una più vasta cultura telematica, la cultura cioè del mondo telematico e di chi lo frequenta. Si tratta, ovviamente, di uno dei tanti aspetti della cultura occidentale contemporanea, e che molto probabilmente costituiscono la inconscia risposta al crollo dei grandi ideali ottocenteschi [13]. La cultura telematica, però, sembra avere un fondamento positivo consistente: la tecnologia informatica, che acquista sempre più diffusione e autonomia. Si tratta di una cultura che ha una sua piena legittimazione all’interno della nostra società. A differenza di quella delle sette religiose americane, infatti, trova i suoi guru non in ambigue figure carismatiche, ma piuttosto in accreditati professori di università statunitensi o in rispettati magnati dell’industria dei computer. La sua credibilità è accresciuta dalla nascita di collane pubblicate dalle più autorevoli e tradizionali case editrici, che non di rado producono veri e propri best-seller [14]. E, inoltre, è innegabile che la sua carica attrattiva si regga sugli effettivi vantaggi che la cosiddetta rivoluzione telematica porta nella vita dell’uomo di fine millennio.

Uno dei tratti distintivi della tradizione occidentale, rispetto per esempio a quella dell’Oriente, è il ricorso alla tecnica per raggiungere i propri scopi: la tradizione occidentale vuole plasmare il mondo a sua immagine, e lo strumento principe per ottenere questo risultato è proprio la tecnica. [15] Trasformata da mezzo in fine la tecnica ha conquistato il dominio sul mondo, è diventata la forma più potente di salvezza, per questo non può rimanere un semplice mezzo subordinato ad altri scopi ed è quindi destinata a porsi al centro della memoria globale e della comunicazione . A fondamento di ciò che essa comunica nel suo trattenere tutto nella memoria globale, la tecnica comunica il suo messaggio fondamentale: il proprio carattere salvifico. Nella memoria e nella comunicazione informatico-telematica il messaggio essenziale della tecnica è, dunque, la sua capacità di organizzare i messaggi della memoria e della comunicazione. La rete telematica insieme al nuovo stile di vita che essa rende possibile, è destinata a diventare lo scopo delle forze che mirano alla democrazia diretta.

Negli ultimi vent’anni il computer si è lentamente fatto strada nelle case occidentali, prima in alcuni paesi-guida come gli Stati Uniti e, poi, più lentamente e timidamente, anche in paesi che si collocano più ai margini dello sviluppo della tecnologia informatica. Nel frattempo le evoluzioni dei calcolatori elettronici sono state non indifferenti: sono nati prima i personal computer, che rappresentavano le prime macchine di questo tipo alla portata di un comune budget familiare, poi i software sono diventati sempre più avanzati e facili da usare. Negli ultimi anni due novità tecnologiche si sono imposte all’attenzione del pubblico: la telematica e la realtà virtuale, che appaiono ormai sempre più legate fra di loro nel mondo di Internet. La telematica, consiste nella trasmissione a distanza dei dati frutto dell’elaborazione elettronica e trova la sua applicazione più celebre e recente nelle reti, cioè in vere e proprie ragnatele di collegamenti fra calcolatori dislocati nelle più diverse parti del mondo. Lo stesso fondatore della Microsoft, l’americano B. Gates (1955), è sorpreso della velocità e del modo in cui tutto ciò sta avvenendo; infatti intervenendo in una conferenza ha affermato “Benché li avessi utilizzati negli anni Settanta, quando ero studente, non mi aspettavo che i protocolli di Internet sarebbero diventati degli standard per una rete destinata a esplodere vent’anni più tardi... ovunque ci sono tracce del successo di Internet e assisteremo ancora a molte sorprese: la rete interattiva è qui per restarci, e questo è ancora l’inizio” [16].


[1] AA. VV., La scena immateriale. Linguaggi elettronici e mondi virtuali, Genova, Costa & Nolan, 1994.

[2] La diffusione di questo neologismo ha recentemente dato il nome ad una rivista pubblicata dalla fondazione Ugo Bordoni, nel 1995, dal titolo “Telèma”.

[3] Cfr. al riguardo P. M. van Buren, The Edges of Language. An Essay in the Logic of a Religion, McMillian, New York (1972), tr. it. Alle frontiere del linguaggio, Roma, Armando, 1977, pagg. 87 segg.

[4] W. von Humboldt, Uber die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwicklung des Menschengeschlechts, Dummlers, Berlin (1836), tr. it. La diversità delle lingue, Roma-Bari, Laterza, 1991. In questa opera l’Autore afferma che ogni linguaggio è una visione del mondo e precisamente quella del popolo che lo parla; il linguaggio è l’inframondo tra lo spirito dell’uomo e gli oggetti.

[5] B. L. Whorf, Language, Thought and Reality, London, Oxford University Press (1963), tr. it. Linguaggio, Pensiero e Realtà, Torino, Bollati Boringhieri, 1970.

[6] E. Sapir, The Language, Chicago (1927), tr. it. Il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Torino, Einaudi, 1969, pag. 65.

[7] G. Orwell, 1984, London, Secker and Warburg (1949), Milano, Mondadori, 1950.

[8] Cfr. a tal proposito la teoria semiotica esposta nel capitolo “Dizionario versus enciclopedia” in U. Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi, 1984.

[9] F. Rossi-Landi, Linguaggi nella società e nella tecnica, Milano, Edizioni di comunità, 1970.

[10] M. Heidegger, Ueberlieferte Sprache und Technische Sprache, Erker-Verlag, St. Gallen (1989), tr. it. Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, Pisa, Ets, 1997, pag.27.

[11] 1J. Bailey, After thought, Cambridge (1996), tr. it. Il postpensiero. La sfida dei computer all’intelligenza umana, Milano, Garzanti, 1998, pag. 180. Cfr. inoltre H. Putnam, Renewing Philosophy, Harvard College (1992), tr. it. Rinnovare la filosofia, Milano, Garzanti Editore, 1998.

[12] B. Gates, The Road Ahead. Completely Revised and Up-To-Date, Viking Penguin, Usa (1996), tr. it. La strada che porta a domani, Milano, Mondadori, 1997, pag. 17.

[13] J. F. Lyotard, La condition postmoderne, Paris, Klincksieck (1979), tr. it. La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981.

[14] Fra i testi più celebri si segnala N. Negroponte, Esser digitali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.

[15] E. Severino, Il destino della tecnica, Milano, Rizzoli, 1998, pag. 20.

[16] L’intervento è avvenuto durante una conferenza tenutasi all’università di Harvard il 25 luglio 1996.