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Società e processi immateriali

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M. D. Marina Bifulco, Piero Polidoro

 

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La telematica come nuovo linguaggio mitico

M. D. Marina Bifulco

Piero Polidoro

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Un certo interesse è suscitato dal fatto che oggi il nostro pensiero cosciente è quasi sempre condizionato dalla presenza di un determinato patrimonio ideativo legato a filo doppio col nostro patrimonio linguistico. [1] Ciò significa che le nostre espressioni linguistiche, siano esse creazioni letterarie o artistiche, sono intimamente legate con le nostre attitudini cogitative, fruitive; proprio per il venir meno del nostro codice linguistico, alcune possibilità espressive vengono meno o si trasformano, giustificando l’omologo trasformarsi di tutte le manifestazioni artistiche. Ha così origine e si diffonde il mito di una tecnologia che finalmente migliora le condizioni dell’uomo senza distruggere l’ambiente naturale, ponendo fine a quella dicotomia tecnica-natura che affliggeva non poche coscienze. Tutto ciò che viene creato dalla nuova tecnologia, e che un tempo doveva necessariamente sovrapporsi a ciò che già esisteva in natura, trova ora asilo in un mondo a parte, in una sorta di concretizzazione del concetto di altra dimensione.

La natura peculiare di quest’altra dimensione, però, non va sottovalutata nel considerare la portata e la novità del mito telematico. Per secoli l’uomo è stato confinato nell’unica realtà che gli era stata data, quella fisica, sottoposta a leggi che erano superiori alla sua volontà e che poteva solo, in alcuni casi e dopo innumerevoli fallimenti, sfruttare a proprio parziale vantaggio. Oggi l’uomo ha creato, grazie alla sua intelligenza, un mondo di cui è l’unico artefice diretto. Il programmatore, l’appassionato di computer, l’utente delle reti ha cioè a disposizione un mondo virtuale che può determinare in ogni singolo aspetto, come delle divinità che possano stabilire delle leggi naturali a proprio piacimento. L’esperienza ha insegnato a prendere atto dell’esistenza di forze di dissipazione, che logorano con il tempo tutto ciò che ci circonda. L’attrito interviene su tutti i moti che avvengono nell’ambiente in cui l’uomo vive e, progressivamente, dissipa tutta l’energia cinetica che i corpi hanno inizialmente, trasformandola in energia termica troppo degradata per poter essere nuovamente utilizzata. Gli oggetti che circondano l’uomo, anche i più preziosi o quelli costruiti meglio, sono inevitabilmente soggetti alla forza del tempo, che li consuma, ne stinge i colori, li smussa e li rende vecchi. La tecnologia informatica, invece, permette di creare degli ambienti, dei mondi che sono in tutto e per tutto reali e in cui, solo volendo, si può decidere di eliminare qualsiasi forza di dissipazione: un mondo senza attrito in cui l’energia si conserva intatta e senza spesa, un ambiente in cui gli oggetti mantengono sempre nitidezza cromatica e perfezione delle forme. Uno spazio, insomma, in cui si realizzano quelle condizioni ideali che la fisica era riuscita solo ad immaginare nelle sue astrazioni sperimentali. Tutto ciò è ora disponibile, visibile, e, sempre di più, tangibile.

Le conquiste oggettive dell’innovazione tecnologica nel campo dell’informatica e della telematica, hanno generato nella società attuale una certa idea informatico-telematica. Questa idea, però, non si è potuta sottrarre a una successiva elaborazione che, basandosi su suggestioni, fantasie e previsioni, si è trasformata nella creazione di un vero e proprio mito dei tempi post-moderni.

4. Mito della tecnica

Nicola Abbagnano spiega la funzione che il mito esercita nelle società progredite e le diverse accezioni che, in tali società, questo termine può assumere: “Possono costituire mito, in esse, non solo racconti favolosi, storici o pseudostorici, ma figure umane (quali l’eroe, il condottiero, il duce) o concetti o nozioni astratte (la nazione, la libertà, la patria, il proletariato) o infine progetti d’azione che non si realizzeranno mai...” [2].

Ad esempio un fenomeno tipico dei nostri tempi è quello dell’alienazione, vale a dire la sottomissione dell’uomo ad un sistema di regole che egli stesso ha edificato e determinato. Ebbene l’uomo, creatore dell’elaboratore elettronico e delle sue applicazioni la realtà virtuale, la rete telematica, sembra sopraffatto dalla sua stessa creatura, obbedisce alla sua logica e se ne lascia trasportare. Il mito telematico alimenta questi fenomeni, genera un’immagine distorta della realtà che connota positivamente lo spazio virtuale e, presentandolo come più accogliente, più vivibile, più interessante di quello reale, favorisce il distacco dell’uomo dalla realtà fisica, dalla realtà reale. L’uomo del futuro si deve dedicare al futuro, diventare futuro, consegnarvisi totalmente. Lo spazio virtuale è quello dove accade ciò che è importante, ciò che ha valore: il mondo esterno si svuota progressivamente di qualsiasi interesse e fascino. [3]

Per fare questo c’è bisogno forse anche della cosiddetta “intelligenza emotiva” [4] che spinge alla ricerca di benefici duraturi piuttosto che al soddisfacimento degli appetiti più immediati. Il mito, dunque, rappresenta il discorso attraverso il quale l’opinione pubblica si convince della necessità, della insostituibilità di questo spazio telematico. Eppure l’idea da cui aveva avuto origine questo mito nasconde delle contraddizioni e delle menzogne gravi.

L’uso e la comprensione dei mezzi informatici presuppongono una serie di conoscenze e di competenze che sarebbe fin troppo ingenuo considerare come ampiamente diffuse e facilmente acquisibili. I problemi di gestione e di organizzazione che le tecnologie più avanzate pongono sono tutt’altro che semplici. “L’essenziale di quello che vogliamo chiamare rapporto simbiotico uomo-macchina non sarà tanto dato dalla ipotetica interazione meccanica diretta fra cervello e calcolatore, quanto alla capacità sicuramente acquisibile da parte del cervello umano di creare, utilizzare e dominare razionalmente l’ampiezza di memoria, la potenza combinatoria e la rapidità di calcolo delle macchine elettroniche, inserendole in una organizzazione a raggio progressivamente crescente, la quale organizzazione sarà in effetti possibile solo con l’ausilio di elaboratori elettronici. La meta, cioè, consapevolmente stabilita dalla tecnologia e alla quale dovremo indirizzare tutti i nostri sforzi al fine di raggiungere... la più completa simbiosi uomo-macchina, consiste tutta e soltanto nella realizzazione del pieno dominio razionale, da parte dell’uomo, delle macchine cibernetiche e degli altri strumenti biochimici e psicochimici da lui creati, cioè nella conseguita capacità a organizzare razionalmente l’uso di quegli strumenti su scala universale”  [5].

Se, analizzando le funzioni e i processi dello spazio virtuale si cercasse di individuare le capacità logiche e cognitive che sono necessarie per potervi accedere, si noterebbe quanto queste siano in effetti scarsamente diffuse nella società odierna. Innanzitutto bisognerebbe chiarire che mentre la logica impiegata nella costruzione dei calcolatori è binaria, discreta, scientifica, quella richiesta agli utilizzatori di queste macchine e, soprattutto, delle reti telematiche sembra ben diversa. Gli utilizzatori dei computer sono solo in minima parte esperti di informatica: rimane un esercito di profani della teoria che però usano continuamente e approfonditamente i mille canali che questa tecnologia mette a loro disposizione. Nel fare ciò è necessario, avere innanzitutto la capacità di catalogare, organizzare, gestire contemporaneamente un flusso elevato di informazioni, provenienti da tutte le direzioni. Bisogna, inoltre, saper fare i conti con una logica che più che definita e binaria, appare aperta, complessa. La struttura dell’ ipertesto è tale da lasciare al lettore una libertà di fruizione che non aveva mai conosciuto: tutte le strade sono praticabili. L’autore, che tradizionalmente rassicurava il fruitore con la sua silenziosa, invisibile opera di indirizzamento, sembra quasi essersi dissolto in una ragnatela di documenti tutti collegati fra di loro, senza un ordine preciso. Non esiste più un percorso, ma esistono infiniti percorsi, scegliere fra i quali può essere un’operazione tutt’altro che facile, soprattutto perché completamente demandata all’utente. Non ha più senso andare alla ricerca di una tradizionale e rassicurante classificazione “ad albero” o “sequenziale” del materiale a disposizione: ciò che è possibile fare è solo tentare di dare una descrizione imprecisa e provvisoria di un rizoma, di una rete in cui tutto si tiene e che cambia la sua conformazione più velocemente di quanto il cervello non riesca a raffigurarsela [6]. Se il problema, nella società pre-industriale era quello di reperire informazioni che rappresentavano dei prodotti scarsi e preziosi, ora la questione sembra essersi ribaltata. L’obiettivo sembra piuttosto quello di non essere sopraffatti dalla massa di dati che ci circonda, scegliendo quali informazioni siano effettivamente valide e utili e quali invece vadano scartate, stabilendo quale sia il percorso più efficace ed efficiente, senza correre il rischio di perdersi nei meandri della rete.

Appare evidente che le competenze richieste per una completa e consapevole gestione dei prodotti delle tecnologie informatiche e telematiche sono al di là della portata di una parte non piccola della popolazione. A causa della mancanza di istruzione, di una solida capacità interpretativa, di punti di riferimento logici le società contemporanee non hanno saputo fornire gli uomini di validi strumenti di fruizione dei tradizionali mezzi di comunicazione di massa. In che modo è possibile evitare che i grandi poteri capitalisti della comunicazione si impadroniscano di questo strumento “libero” e a basso costo? [7] Il mito telematico ha avuto origine all’interno di una nicchia molto ristretta e culturalmente attiva della popolazione e sta riversando i suoi benefici e i suoi prodotti per lo più all’interno di questa schiera di eletti. Si è parlato di un’ idea telematica, fondata sui principi di fratellanza e di uguaglianza. Appare evidente, a questo punto, come si tratti di una descrizione fin troppo ottimistica della realtà che si va formando. Questo discorso ideale è sì valido e possibile, ma solo all’interno di un preciso gruppo che, disponendo dei necessari mezzi economici e culturali, è in grado di affrontare questo salto di qualità. Il resto della società, escluso per mancanza di competenza dal paradiso telematico, resta relegato nel sofferente e doloroso mondo reale.

L’idea telematica, dunque, nascondeva o si è trasformata in una finzione, in un inganno, in una ideologia [8]. Uno schema mentale che giustifica, attraverso la creazione del mito, processi che hanno una natura e uno sviluppo latenti. Le innovazioni tecnologiche si affermano, ma ad uso e consumo di chi le controlla o è pronto ad accoglierle: una ristretta élite socio-culturale. Senza considerare che la particolare natura riconosciuta allo spazio virtuale crea una linea di demarcazione nuova e senza precedenti fra l’élite e la massa.

La stessa élite telematica non appare come un blocco unico e compatto, ma come ulteriormente segmentata al suo interno fra chi effettivamente svolge una funzione di guida e controllo e chi, nell’impossibilità vuoi economica, vuoi culturale, di assumere un profilo di primo livello, si lascia passivamente trascinare, godendo dei risultati di una tecnologia di cui è solamente uno spettatore. Come non pensare, a tal proposito, alle strategie di marketing che dominano il mondo dell’informatica e che, sfruttando in tal senso l’incessante sviluppo tecnologico, tendono a presentare come rivoluzionari prodotti che dopo qualche tempo sono già obsoleti. L’appassionato può acquistarli, cercando di stare al passo con i tempi e di disporre delle più recenti apparecchiature, ma vive l’angosciosa condizione di un Sisifo che non potrà, neanche per un attimo, arrestare la sua affannosa corsa, pena l’esclusione dal club.

Sembra opportuno affermare che sono ormai lontani i tempi in cui si poteva effettivamente temere il sopraggiungere di una società dominata e controllata, ma i ritmi incalzanti dell’innovazione tecnologica e le modalità della sua diffusione non possono non far riflettere sull’eventualità del sorgere di eventuali spaccature all’interno delle società odierne. Gli strumenti cognitivi necessari per accedere alle logiche del mondo telematico sono, distribuiti in maniera poco omogenea, accentrati nelle mani di una ristretta élite che, al massimo, può esercitare una funzione di traino su una certa fascia della classe medio-alta. Chi rimane fuori da questa rivoluzione rischia di essere relegato ai margini della vita civile.

Tuttavia il mito della telematica come tecnologia in grado di creare un vero e proprio paradiso artificiale rischia di far perdere di vista, nell’entusiasmo generale, gli innumerevoli grandi problemi che affliggono il mondo reale. Se infatti, rispetto ai canali tradizionali, i forum di discussione elettronica offrono delle opportunità migliori per poter esporre le proprie opinioni e confrontarle con quelle degli altri, perché dover ancora ricorrere ai modelli tradizionali? Se l’élite socio-culturale del paese, quella che prende o, almeno, indirizza le decisioni, si forma, al di fuori delle scuole e delle piazze, nello spazio virtuale creato dagli elaboratori elettronici perché non limitare a questo ambito determinate operazioni culturali, che, all’esterno, si sono rivelate per anni dei fallimenti? Se, insomma, il mondo della rete e dei computer appare così accogliente e sicuro, perché uscire allo scoperto?


[1] G. Dorfles, Nuovi Riti, Nuovi Miti, Torino, Einaudi, 1965.

[2] N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, II ediz., Torino, Utet, 1971, pag. 588.

[3] Cfr al riguardo N. Abbagnano, L’uomo progetto 2000, Roma, Dino Editori, 1980.

[4] D. Goleman, Emotional Intelligenze, New York (1995), tr. it. Intelligenza emotiva, Milano, Mondadori, 1998.

[5] V. Tonini, Tecnologia e sociologia nella progettazione del futuro, in “La Nuova Critica”, Quaderno 17, 1966-1967, pagg. 10-11.

[6] Il rizoma è l’immagine usata da Umberto Eco per descrivere il suo modello semantico. Cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975.

[7] R. Martufi, L. Vasapollo, op. cit., pag. 112.

[8] La trasformazione dell’ “idea” in “ideologia” è stata suggerita da J. Habermas, op. cit..