Un certo interesse è suscitato dal fatto che oggi il nostro
pensiero cosciente è quasi sempre condizionato dalla presenza di un determinato
patrimonio ideativo legato a filo doppio col nostro patrimonio linguistico. [1] Ciò significa che le
nostre espressioni linguistiche, siano esse creazioni letterarie o artistiche,
sono intimamente legate con le nostre attitudini cogitative, fruitive; proprio
per il venir meno del nostro codice linguistico, alcune possibilità espressive
vengono meno o si trasformano, giustificando l’omologo trasformarsi di tutte
le manifestazioni artistiche. Ha così origine e si diffonde il mito di una
tecnologia che finalmente migliora le condizioni dell’uomo senza distruggere l’ambiente
naturale, ponendo fine a quella dicotomia tecnica-natura che affliggeva non
poche coscienze. Tutto ciò che viene creato dalla nuova tecnologia, e che un
tempo doveva necessariamente sovrapporsi a ciò che già esisteva in natura,
trova ora asilo in un mondo a parte, in una sorta di concretizzazione del
concetto di altra dimensione.
La natura peculiare di quest’altra dimensione, però, non
va sottovalutata nel considerare la portata e la novità del mito telematico.
Per secoli l’uomo è stato confinato nell’unica realtà che gli era stata
data, quella fisica, sottoposta a leggi che erano superiori alla sua volontà e
che poteva solo, in alcuni casi e dopo innumerevoli fallimenti, sfruttare a
proprio parziale vantaggio. Oggi l’uomo ha creato, grazie alla sua
intelligenza, un mondo di cui è l’unico artefice diretto. Il programmatore, l’appassionato
di computer, l’utente delle reti ha cioè a disposizione un mondo
virtuale che può determinare in ogni singolo aspetto, come delle divinità che
possano stabilire delle leggi naturali a proprio piacimento. L’esperienza ha
insegnato a prendere atto dell’esistenza di forze di dissipazione, che
logorano con il tempo tutto ciò che ci circonda. L’attrito interviene su
tutti i moti che avvengono nell’ambiente in cui l’uomo vive e,
progressivamente, dissipa tutta l’energia cinetica che i corpi hanno
inizialmente, trasformandola in energia termica troppo degradata per poter
essere nuovamente utilizzata. Gli oggetti che circondano l’uomo, anche i più
preziosi o quelli costruiti meglio, sono inevitabilmente soggetti alla forza del
tempo, che li consuma, ne stinge i colori, li smussa e li rende vecchi. La
tecnologia informatica, invece, permette di creare degli ambienti, dei mondi che
sono in tutto e per tutto reali e in cui, solo volendo, si può decidere di
eliminare qualsiasi forza di dissipazione: un mondo senza attrito in cui l’energia
si conserva intatta e senza spesa, un ambiente in cui gli oggetti mantengono
sempre nitidezza cromatica e perfezione delle forme. Uno spazio, insomma, in cui
si realizzano quelle condizioni ideali che la fisica era riuscita solo ad
immaginare nelle sue astrazioni sperimentali. Tutto ciò è ora disponibile,
visibile, e, sempre di più, tangibile.
Le conquiste oggettive dell’innovazione tecnologica nel
campo dell’informatica e della telematica, hanno generato nella società
attuale una certa idea informatico-telematica. Questa idea, però, non si è
potuta sottrarre a una successiva elaborazione che, basandosi su suggestioni,
fantasie e previsioni, si è trasformata nella creazione di un vero e proprio
mito dei tempi post-moderni.
4. Mito della tecnica
Nicola Abbagnano spiega la funzione che il mito esercita
nelle società progredite e le diverse accezioni che, in tali società, questo
termine può assumere: “Possono costituire mito, in esse, non solo racconti
favolosi, storici o pseudostorici, ma figure umane (quali l’eroe, il
condottiero, il duce) o concetti o nozioni astratte (la nazione, la libertà, la
patria, il proletariato) o infine progetti d’azione che non si realizzeranno
mai...” [2].
Ad esempio un fenomeno tipico dei nostri tempi è quello dell’alienazione,
vale a dire la sottomissione dell’uomo ad un sistema di regole che egli stesso
ha edificato e determinato. Ebbene l’uomo, creatore dell’elaboratore
elettronico e delle sue applicazioni la realtà virtuale, la rete
telematica, sembra sopraffatto dalla sua stessa creatura, obbedisce alla sua
logica e se ne lascia trasportare. Il mito telematico alimenta questi
fenomeni, genera un’immagine distorta della realtà che connota positivamente
lo spazio virtuale e, presentandolo come più accogliente, più vivibile,
più interessante di quello reale, favorisce il distacco dell’uomo dalla
realtà fisica, dalla realtà reale. L’uomo del futuro si deve dedicare
al futuro, diventare futuro, consegnarvisi totalmente. Lo spazio virtuale
è quello dove accade ciò che è importante, ciò che ha valore: il mondo
esterno si svuota progressivamente di qualsiasi interesse e fascino. [3]
Per fare questo c’è bisogno forse anche della cosiddetta
“intelligenza emotiva” [4] che spinge alla
ricerca di benefici duraturi piuttosto che al soddisfacimento degli appetiti
più immediati. Il mito, dunque, rappresenta il discorso attraverso il quale l’opinione
pubblica si convince della necessità, della insostituibilità di questo spazio
telematico. Eppure l’idea da cui aveva avuto origine questo mito nasconde
delle contraddizioni e delle menzogne gravi.
L’uso e la comprensione dei mezzi informatici presuppongono
una serie di conoscenze e di competenze che sarebbe fin troppo ingenuo
considerare come ampiamente diffuse e facilmente acquisibili. I problemi di
gestione e di organizzazione che le tecnologie più avanzate pongono sono tutt’altro
che semplici. “L’essenziale di quello che vogliamo chiamare rapporto
simbiotico uomo-macchina non sarà tanto dato dalla ipotetica interazione
meccanica diretta fra cervello e calcolatore, quanto alla capacità sicuramente
acquisibile da parte del cervello umano di creare, utilizzare e dominare
razionalmente l’ampiezza di memoria, la potenza combinatoria e la rapidità di
calcolo delle macchine elettroniche, inserendole in una organizzazione a raggio
progressivamente crescente, la quale organizzazione sarà in effetti possibile
solo con l’ausilio di elaboratori elettronici. La meta, cioè, consapevolmente
stabilita dalla tecnologia e alla quale dovremo indirizzare tutti i nostri
sforzi al fine di raggiungere... la più completa simbiosi uomo-macchina,
consiste tutta e soltanto nella realizzazione del pieno dominio razionale, da
parte dell’uomo, delle macchine cibernetiche e degli altri strumenti
biochimici e psicochimici da lui creati, cioè nella conseguita capacità a
organizzare razionalmente l’uso di quegli strumenti su scala universale”
[5].
Se, analizzando le funzioni e i processi dello spazio
virtuale si cercasse di individuare le capacità logiche e cognitive che
sono necessarie per potervi accedere, si noterebbe quanto queste siano in
effetti scarsamente diffuse nella società odierna. Innanzitutto bisognerebbe
chiarire che mentre la logica impiegata nella costruzione dei calcolatori è
binaria, discreta, scientifica, quella richiesta agli utilizzatori di queste
macchine e, soprattutto, delle reti telematiche sembra ben diversa. Gli
utilizzatori dei computer sono solo in minima parte esperti di
informatica: rimane un esercito di profani della teoria che però usano
continuamente e approfonditamente i mille canali che questa tecnologia mette a
loro disposizione. Nel fare ciò è necessario, avere innanzitutto la capacità
di catalogare, organizzare, gestire contemporaneamente un flusso elevato di
informazioni, provenienti da tutte le direzioni. Bisogna, inoltre, saper fare i
conti con una logica che più che definita e binaria, appare aperta, complessa.
La struttura dell’ ipertesto è tale da lasciare al lettore una libertà di
fruizione che non aveva mai conosciuto: tutte le strade sono praticabili. L’autore,
che tradizionalmente rassicurava il fruitore con la sua silenziosa, invisibile
opera di indirizzamento, sembra quasi essersi dissolto in una ragnatela di
documenti tutti collegati fra di loro, senza un ordine preciso. Non esiste più
un percorso, ma esistono infiniti percorsi, scegliere fra i quali può essere un’operazione
tutt’altro che facile, soprattutto perché completamente demandata all’utente.
Non ha più senso andare alla ricerca di una tradizionale e rassicurante
classificazione “ad albero” o “sequenziale” del materiale a
disposizione: ciò che è possibile fare è solo tentare di dare una descrizione
imprecisa e provvisoria di un rizoma, di una rete in cui tutto si tiene e che
cambia la sua conformazione più velocemente di quanto il cervello non riesca a
raffigurarsela [6]. Se il problema, nella società pre-industriale era quello di
reperire informazioni che rappresentavano dei prodotti scarsi e preziosi, ora la
questione sembra essersi ribaltata. L’obiettivo sembra piuttosto quello di non
essere sopraffatti dalla massa di dati che ci circonda, scegliendo quali
informazioni siano effettivamente valide e utili e quali invece vadano scartate,
stabilendo quale sia il percorso più efficace ed efficiente, senza correre il
rischio di perdersi nei meandri della rete.
Appare evidente che le competenze richieste per una completa
e consapevole gestione dei prodotti delle tecnologie informatiche e telematiche
sono al di là della portata di una parte non piccola della popolazione. A causa
della mancanza di istruzione, di una solida capacità interpretativa, di punti
di riferimento logici le società contemporanee non hanno saputo fornire gli
uomini di validi strumenti di fruizione dei tradizionali mezzi di comunicazione
di massa. In che modo è possibile evitare che i grandi poteri capitalisti della
comunicazione si impadroniscano di questo strumento “libero” e a basso
costo? [7] Il mito telematico
ha avuto origine all’interno di una nicchia molto ristretta e culturalmente
attiva della popolazione e sta riversando i suoi benefici e i suoi prodotti per
lo più all’interno di questa schiera di eletti. Si è parlato di un’ idea
telematica, fondata sui principi di fratellanza e di uguaglianza. Appare
evidente, a questo punto, come si tratti di una descrizione fin troppo
ottimistica della realtà che si va formando. Questo discorso ideale è sì
valido e possibile, ma solo all’interno di un preciso gruppo che, disponendo
dei necessari mezzi economici e culturali, è in grado di affrontare questo
salto di qualità. Il resto della società, escluso per mancanza di competenza
dal paradiso telematico, resta relegato nel sofferente e doloroso mondo reale.
L’idea telematica, dunque, nascondeva o si è
trasformata in una finzione, in un inganno, in una ideologia [8]. Uno schema mentale che giustifica, attraverso la creazione del mito,
processi che hanno una natura e uno sviluppo latenti. Le innovazioni
tecnologiche si affermano, ma ad uso e consumo di chi le controlla o è pronto
ad accoglierle: una ristretta élite socio-culturale. Senza considerare che la
particolare natura riconosciuta allo spazio virtuale crea una linea di
demarcazione nuova e senza precedenti fra l’élite e la massa.
La stessa élite telematica non appare come un blocco
unico e compatto, ma come ulteriormente segmentata al suo interno fra chi
effettivamente svolge una funzione di guida e controllo e chi, nell’impossibilità
vuoi economica, vuoi culturale, di assumere un profilo di primo livello, si
lascia passivamente trascinare, godendo dei risultati di una tecnologia di cui
è solamente uno spettatore. Come non pensare, a tal proposito, alle strategie
di marketing che dominano il mondo dell’informatica e che, sfruttando in tal
senso l’incessante sviluppo tecnologico, tendono a presentare come
rivoluzionari prodotti che dopo qualche tempo sono già obsoleti. L’appassionato
può acquistarli, cercando di stare al passo con i tempi e di disporre delle
più recenti apparecchiature, ma vive l’angosciosa condizione di un Sisifo che
non potrà, neanche per un attimo, arrestare la sua affannosa corsa, pena l’esclusione
dal club.
Sembra opportuno affermare che sono ormai lontani i tempi in
cui si poteva effettivamente temere il sopraggiungere di una società dominata e
controllata, ma i ritmi incalzanti dell’innovazione tecnologica e le modalità
della sua diffusione non possono non far riflettere sull’eventualità del
sorgere di eventuali spaccature all’interno delle società odierne. Gli
strumenti cognitivi necessari per accedere alle logiche del mondo telematico
sono, distribuiti in maniera poco omogenea, accentrati nelle mani di una
ristretta élite che, al massimo, può esercitare una funzione di traino su una
certa fascia della classe medio-alta. Chi rimane fuori da questa rivoluzione
rischia di essere relegato ai margini della vita civile.
Tuttavia il mito della telematica come tecnologia in
grado di creare un vero e proprio paradiso artificiale rischia di far perdere di
vista, nell’entusiasmo generale, gli innumerevoli grandi problemi che
affliggono il mondo reale. Se infatti, rispetto ai canali tradizionali, i forum
di discussione elettronica offrono delle opportunità migliori per poter esporre
le proprie opinioni e confrontarle con quelle degli altri, perché dover ancora
ricorrere ai modelli tradizionali? Se l’élite socio-culturale del paese,
quella che prende o, almeno, indirizza le decisioni, si forma, al di fuori delle
scuole e delle piazze, nello spazio virtuale creato dagli elaboratori
elettronici perché non limitare a questo ambito determinate operazioni
culturali, che, all’esterno, si sono rivelate per anni dei fallimenti? Se,
insomma, il mondo della rete e dei computer appare così accogliente e
sicuro, perché uscire allo scoperto?
[1] G.
Dorfles, Nuovi Riti, Nuovi Miti, Torino, Einaudi, 1965.
[2] N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, II ediz., Torino, Utet, 1971,
pag. 588.
[3] Cfr al
riguardo N. Abbagnano, L’uomo progetto 2000, Roma, Dino Editori, 1980.
[4] D. Goleman, Emotional Intelligenze, New York
(1995), tr. it. Intelligenza emotiva, Milano, Mondadori, 1998.
[5] V. Tonini, Tecnologia e sociologia nella progettazione del futuro, in “La
Nuova Critica”, Quaderno 17, 1966-1967, pagg. 10-11.
[6] Il rizoma è l’immagine usata da Umberto Eco per descrivere il
suo modello semantico. Cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano,
Bompiani, 1975.
[7] R. Martufi, L. Vasapollo, op. cit., pag. 112.
[8] La trasformazione
dell’ “idea” in “ideologia” è stata suggerita da J. Habermas, op.
cit..