Lo scontro geoeconomico per il controllo dell’”ombelico del mondo”
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
La Russia e l’Eurasia al centro dei "giochi" internazionali sulle risorse energetiche strategiche
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1. Risorse energetiche ed IDE per il rilancio dell’accumulazione capitalista
La guerra economica di controllo globale, e anche di scontro
USA e UE, inizia da anni, ormai, sul terreno delle modalità quantitative, qualitative
e delle dinamiche geografiche dell’accaparramento delle risorse energetiche
strategiche e degli investimenti, su un terreno geoeconomico di scontro frontale
che ha il suo cuore nell’area allargata dell’Eurasia.
Partendo da questo punto di vista la mondializzazione dell’economia
deve essere studiata con strumenti di indagine geopolitica e geoeconomica che
consentano di fare studi su più livelli, che risultino interconnessi, ma analiticamente
distinti. Il primo livello si riferisce alla categoria del capitale nel senso
delle risorse strategiche della crescita capitalistica, come quelle energetiche
e direttamente dell’accumulazione, e quindi degli investimenti, poiché determinati
e determinanti la crescita capitalistica come processo-entità volto all’autovalorizzazione
del capitale, configurando così le modalità dei rapporti sociali che si basano
sulla proprietà privata dei mezzi di produzione.
I processi cosiddetti di globalizzazione dell’economia incentrati
sulla finanziarizzazione, sulle nuove forme di accumulazione flessibile e la
turbolenza dei mercati, diventano, così, fattori di estrema importanza e capaci
di influenzare fortemente i processi decisori in materia di creazione di valore
degli investimenti e appropriazione di risorse energetiche per favorire l’accumulazione
complessiva. Ed è, quindi, ovvio che la competizione tra dollaro ed euro si
giochi su questo piano strategico come terreno di guerra economica all’interno
delle strategie di spartizione e conquista del mondo.
Questo processo ha determinato un ritorno all’investimento
produttivo in maniera decisa seppur nel contesto di globalizzazione finanziaria
che oggi viviamo. La configurazione del contesto di competizione globale
dell’economia è stato voluto ed agevolato dalle grandi strutture del capitalismo
internazionale, dai poli geoeconomici per superare la crisi di accumulazione
di fine era fordista ed è stato realizzato a partire dai i rilevanti cambiamenti
strutturali imposti all’interno dei mercati finanziari; ciò attraverso una liberalizzazione
crescente favorita dall’abolizione dei controlli sul mercato dei cambi e sulla
deregolamentazione delle operazioni finanziarie e con tassi di investimenti
fissi sempre più ridotti a favore degli investimenti finanziari, spesso a carattere
speculativo.
I capitali di cui godono gli operatori finanziari assicurano
la valorizzazione attraverso le loro collocazioni finanziarie, per ritornare
in parte al reinvestimento attraverso gli IDE che si effettuano tra diversi
paesi indirizzati inizialmente nel settore produttivo, ma fortemente caratterizzati
come massa di capitale speculativo pronto ai processi di finanziarizzazione
a facili profitti e utilizzato per il controllo geopolitico e geoeconomico.
Pertanto, si realizza un controllo del mondo attraverso operazioni di destabilizzazione
dei paesi ad interesse strategico (vedi ad esempio tra gli altri l’attacco finanziario
sferrato qualche anno fa contro la Russia). Così si va imponendo la "stabilità
politico-economica" del grande capitale internazionale. Ad esempio le dinamiche
negli IDE statunitensi non sono casuali ma dipendono dalle scelte geopolitiche
e geoeconomiche del polo americano, che comunque non vorrebbe cedere tanto facilmente
il controllo dell’Europa orientale né alla Russia né all’Europa occidentale,
ma nel contempo ha continuo bisogno di attirare capitali e investimenti diretti
dall’estero per rafforzare l’economia interna e il ruolo del dollaro come valuta
di riserva a valenza internazionale.
Anche la nascita del mercato unico dei capitali e dei servizi
finanziari in Europa ha agevolato la caccia UE ad un autonomo spazio di sopravvivenza,
individuando nell’Eurasia un confinante e allettante "pozzo" da cui
attingere risorse energetiche strategiche e dove poter effettuare un rilevante
incremento degli investimenti esteri attraverso numerosi processi di ristrutturazione
d’impresa con caratteri di internazionalizzazione delocalizzativa. Si realizza
così la ricerca di costi più bassi, in particolare per quanto attiene le risorse
energetiche, le materie prime e il fattore lavoro, e attraverso fusioni e processi
di concentrazione l’UE raggiunge un’alta competitività concorrenziale rispetto
ai poli capitalistici giapponese e statunitense.
Si può notare che per tutti gli anni ‘90 per l’UE il fenomeno
dei movimenti degli IDE risulta molto più dinamico in uscita, quindi in termini
di attività, piuttosto che in entrata (passività) poiché le scelte geoeconomiche
dei diversi paesi europei non sono basate sull’ “attrazione” dell’Unione Europea
dei trasferimenti internazionali dei capitali, quanto sulla ricerca di mercati
adatti per la delocalizzazione produttiva e per la conquista di risorse energetiche
primarie e umane di buon valore e di basso costo. Ciò è fondamentale per affermare
il ruolo di polo geoeconomico forte da parte dell’UE, capace di imporre una
propria egemonia in alcune aree nei confronti degli USA, in particolare nei
PECO (paesi dell’Europa centro-orientale) e in genere in Eurasia.
Non è un caso che con la fine ddell’URSS le scelte geoeconomiche
hanno modificato la ripartizione territoriale degli IDE. Precedentemente quasi
tre quarti di quelli effettuati dall’Unione Europea avevano come destinatario
gli Stati Uniti; ora l’ammontare complessivo degli IDE è destinato principalmente
ai paesi del Terzo Mondo, ma in forte crescita sono anche quelli verso i paesi
a medio livello di sviluppo, tra i quali assumono sempre più importanza i paesi
dell’Europa dell’Est. Ciò conferma i processi delocalizzativi in aree a basso
costo del lavoro e delle risorse energetiche e primarie in genere. In entrata
dei maggiori paesi dell’UE si registra una più significativa presenza dei flussi
di investimento provenienti dagli USA che puntano fortemente al condizionamento
dell’economia europea, temendo il ruolo che potrà assumere l’euro come valuta
anche di riserva in ambito internazionale. Per quanto riguarda gli investimenti
intra europei, questi sono in una fase di crescita notevolmente più rapida rispetto
a quelli effettuati dall’Europa verso l’estero; fenomeno dovuto principalmente
ai processi di ristrutturazione con fusioni e processi di concentrazione messi
in atto dalle imprese europee, anche in questo caso seguendo itinerari verso
paesi europei che con basso costo del lavoro che, però, presenta al contempo
un buon livello di specializzazione. Questi fenomeni si sono sviluppati di pari
passo con la significativa accentuazione della competizione globale attraverso
quella dottrina di “stabilità politico-economica internazionale” che viene adattata
di volta in volta dai grandi poli geoeconomici per ricondurre a proprio vantaggio
le crisi locali o meglio per mantenere uno status quo funzionale agli interessi
del grande capitale.
Ma la diversità quantitativa, qualitativa e le scelte geoeconomiche
accompagnate alle determinanti geopoliche, hanno acutizzato la guerra economica
fra il polo imperialista USA e quello europeo per imporre, in particolare dagli
anni ’90, l’egemonia internazionale e la priorità di scelta nella determinazione
delle aree di influenza e di dominio, in particolare dell’Eurasia.
Lo svolgersi, anche diplomatico, e gli esiti della "guerra
permanente" impongono un modello neoliberista con un capitalismo sempre
più accanito, selvaggio e guerrafondaio, sia nelle relazioni politiche, economiche
verso i paesi più poveri, sia verso quelli a medio livello di sviluppo, sia
nelle politiche economiche interne ai vari paesi a capitalismo avanzato. Si
verifica nel contempo l’acutizzarsi dello scontro egemonico fra i due grandi
poli geoeconomici che hanno come obiettivo quello di controllare e rendere a
ruolo di suddito la Russia per la conquista dell’Eurasia.
2. Russia: da impero a suddito?
Il crollo dell’Unione Sovietica ha cambiato radicalmente il
volto dell’Eurasia, in quanto ha aperto la strada agli USA e all’UE per un loro
inserimento più determinato nel continente asiatico. Oltre alla grande perdita
del prestigio internazionale subito dalla Russia, che è passata dall’essere
una potenza internazionale contrapposta per decenni agli USA ad una situazione
in cui si ritrova a rappresentare una potenza di modesto livello, la fine dell’Unione
Sovietica ha causato un notevole ridimensionamento dei confini, e di conseguenza
delle risorse energetiche del sottosuolo di valenza strategica.
Dopo il 1991 la Russia si è trovata a fare i conti con una
realtà molto diversa dalla precedente; il controllo sul territorio asiatico
è stato circoscritto al 20% del precedente e la popolazione asiatica controllata
è passata da più di 75 milioni a meno di 30 milioni, mentre molti milioni di
russi abitanti nel Caucaso sono rimasti distaccati.
Va inoltre ricordato che la grande migrazione di uomini, le
differenze etniche esistenti (che venivano in qualche modo controllate dal governo
centrale dell’Unione Sovietica) hanno provocato (si veda il Caucaso, la Cecenia,
ecc.) e continueranno a causare conflitti che diventeranno sempre più aspri
e tragici, non tanto per ragioni etnico-religiose ma proprio per il controllo
dell’area che può ritenersi la più grande "miniera energetica" del
mondo.
La Federazione Russa rappresenta circa 150 milioni di abitanti
(in maggioranza russi), ma vi sono milioni di russi che vivono ancora al di
fuori del proprio Stato e l’idea di una "restaurazione dell’impero"
con l’intento di riunire e difendere coloro che vivono lontano dalla Russia
si scontra con la nascita e il consolidamento di nazionalismi ormai radicati
e sempre più presenti.
"La Russia, insomma, fino a ieri artefice di un grande
impero territoriale e alla testa di un blocco ideologico di Stati satelliti
che si estendeva fin nel cuore dell’Europa e al Mar Cinese meridionale, è diventata
un Paese irrequieto, senza facile accesso geografico al mondo esterno e potenzialmente
esposto a conflitti devastanti con i suoi vicini lungo i confini occidentali,
meridionali e orientali.
E solo gli spazi inabitati e inaccessibili del Nord, quasi
sempre stretti nella morsa del gelo, sembravano geopoliticamente sicuri."
[1]
Il territorio asiatico appartenente all’ex impero sovietico
è oggi suddiviso fra Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan.
Queste aree stanno attraversando un difficile momento economico di instabilità
oltre ad essere teatro di ostilità continue interne. Ed anche per quanto riguarda
la situazione della regione del Mar Caspio, il crollo dell’URSS ha provocato
uno sconvolgimento geopolitico che alletta le mire espansionistiche USA e UE.
Infatti mentre fino al 1991 questo territorio poteva essere considerato sovietico
ed iraniano, dopo la fine dell’URSS oltre alla federazione russa e alla Repubblica
Islamica dell’Iran si sono aggiunti altri tre paesi che si affacciano su questo
mare e precisamente il Turkmenistan, l’Azerbaijgian e il Kazakhstan; questo
ha fatto sì che gli interessi sul petrolio e sul gas siano diventati mira di
tutti e cinque i governi degli Stati costieri. A ciò va aggiunto il fatto che
questa zona è sottoposta a un degrado ambientale sempre più forte, in quanto
la mancanza di qualsiasi forma di controllo ha fatto sì che anche settori tradizionalmente
sviluppati in quest’area, come la pesca, abbiano subito, notevoli perdite economiche;
lo stesso si può dire per l’attività turistica che in questa situazione non
può avere un ruolo centrale per lo sviluppo economico complessivo.
Non essendovi stata alcuna ratifica ufficiale di accordo tra
questi cinque paesi per quanto riguarda lo sfruttamento di questa area e delle
risorse energetiche, il problema è ancora aperto ed irrisolto.
È chiaro quindi che un’area come quella del Mar Caspio, estremamente
ricca di risorse energetiche e che per questo "fa gola a tutti" per
i giochi geopolitici mondiali, sarà regolata attraverso un accordo tra i cinque
Stati costieri che la circondano anche se a tutt’oggi, viste i difficili rapporti
esistenti tra questi paesi, non vi è stato alcun tentativo di porre rimedio
alla situazione esistente, soprattutto perché non si è giunti ad un "accordo
spartitorio" conveniente tra USA, UE e Russia.
Dal punto di vista economico la Russia ha subito in questi
ultimi anni un crollo molto intenso. Il PIL è diminuito dal 1992 al 1998 di
circa il 40% ed attualmente è il 20% del livello dei paesi dell’UE; anche gli
investimenti hanno subito una brusca frenata, infatti rappresentano una quota
inferiore al 13% del PIL con un calo di oltre il 60%.
Negli anni che vanno dal 1992 al 1994, subito dopo le prime
riforme economiche, si è avuto un calo della produzione nel settore manifatturiero
di oltre il 50%. Tutto questo è stato causato soprattutto dalle difficoltà di
inserimento nel mercato a seguito della liberalizzazione dei prezzi avvenuta
nel 1992 e del conseguente ritiro delle sovvenzioni dello Stato. Negli anni
che vanno dal 1995 al 1999 questa situazione è migliorata, anche se non è possibile
paragonare lo sviluppo della Russia a quello delle cosiddette altre economie
in transizione come la Polonia e l’Ungheria.
Nel 1997 gli investimenti commerciali sono stati inferiori
al 13% del PIL e la parte di IDE (Investimenti Diretti esteri) è molto esigua,
arrivando a neppure l’1% del PIL (lo 0,8%). Nel 1998 vi è stata una svalutazione
del rublo che ha favorito una crescita della produzione industriale nel 1999
(+3,1%).
La svalutazione del rublo, avvenuta in seguito alla crisi finanziaria
nell’agosto 1998 ha avuto conseguenze evidenti già nell’anno 1999; il Comitato
Statistico statale (Goskomstat) ha rilevato che nel primo semestre del 1999
la Russia ha avuto un calo delle esportazioni dell’11,7% rispetto al 1998 e
le importazioni sono diminuite di oltre il 45% su base annua nei primi sei mesi
del 1999.
È importante anche ricordare che dal 1992 al 1998 le operazioni
di importazione ed esportazione della Russia con l’UE è diminuita. Infatti mentre
nel 1992 l’UE era destinataria del 48% delle esportazioni della Russia e assicurava
il 43% delle importazioni, nel 1998 si è scesi rispettivamente ai valori del
31% e del 36%. I paesi dell’UE che maggiormente mantengono rapporti commerciali
con la Russia sono la Germania (con il 35% delle esportazioni dell’UE nel 1998
e il 31% delle importazioni dell’UE), l’Italia (con il 13% delle esportazioni
e il 14% delle importazioni), la Francia) con l’8% delle esportazioni e il 10%
delle importazioni) e il Regno Unito (con il 6% delle esportazioni e il 10%
delle importazioni). La situazione è migliorata nel corso del 2001, in quanto
nei primi 9 mesi si è avuta una crescita del PIL del 5,7%, il tasso di inflazione
è stato pari al 13,9%, gli investimenti sono cresciuti del 7,8%, la produzione
agricola del 7,4%, il commercio al dettaglio del 10,1% e la produzione industriale
del 5,2%.
Anche la disoccupazione è diminuita passando da circa 7 milioni
nel 2000 a 5,7 milioni nei primi nove mesi del 2001, i salari sono cresciuti
di circa il 20% e anche il reddito reale della popolazione è aumentato del 6%.
Nonostante la diminuzione del fattore estero dello sviluppo economico russo,
causato sia dalla riduzione dei prezzi delle materie prime, soprattutto energetiche
che rappresentano la parte fondamentale delle esportazioni russe, sia alla rivalutazione
del rublo rispetto al dollaro, l’andamento economico è sostenuto soprattutto
dalla domanda interna sia di beni di consumo sia di macchinari.
"Il debito estero della F.R. a fine Settembre 2001 risulta
pari a 143,3 miliardi di USD di cui 93,3 dovuti all’epoca sovietica. Del totale,
l’ammontare dovuto al FMI ed alla Banca Mondiale è di 17,6 miliardi di USD e
quello dovuto al Club di Parigi è pari a 39 miliardi di USD" [2].
Gli investimenti esteri sono aumentati nei primi nove mesi
del 2001 rispetto al 2000 di oltre il 23%; i principali paesi investitori sono
la Germania, gli USA, Cipro, la Francia, il Regno Unito i Paesi bassi e l’Italia
(Cfr.Tab.2.).
Anche per il 2002 le prospettive sono abbastanza positive in
quanto si prevede un aumento del PIL pari al 4,5% e una crescita anche degli
investimenti esteri.
Inoltre "In ogni caso nel corso del prossimo anno dovrebbe
aumentare la capacita’ di esportazione di gas e petrolio con l’avvio o l’entrata
a regime di alcune importanti opere infrastrutturali tra le quali il gasdotto
“blue stream” tra Russia e Turchia (costruito da SAIPEM) e l’oleodotto CPC che
porta il petrolio del Caspio a Novorossiisk" [3].
Se si analizzano gli scambi con l’estero si nota che l’Italia
nei primi 9 mesi del 2001 risulta essere al secondo posto dopo la Germania come
paese di destinazione delle esportazioni e al 6° posto come paese fornitore.
(cfr. Tab.3.)
I dati dimostrano che la Russia rappresenta per il nostro Paese
un mercato molto importante, soprattutto considerando che la quota delle importazioni
dalla Russia è per l’80% rappresentata da gas e petrolio.
È importante sottolineare che per tornare ad essere una potenza
economica in grado di competere con i "grandi occidentali" la Russia
ha necessità di controllare l’Ucraina, un paese di importanza vitale in quanto,
otre ad essere popolato da più di 50 milioni di persone, è uno snodo strategico,
per la quantità e la qualità delle risorse nel sottosuolo e sorveglia il passaggio
al Mar Nero. È chiaro quindi che il controllo di questo paese garantirebbe alla
Russia la presenza sia in Europa sia in Asia. Se all’Ucraina si aggiungesse
il controllo dell’Azerbaigian (paese anche questo dotato di enormi risorse energetiche
e minerarie) la Russia potrebbe aver accesso anche all’Asia Centrale e al Mar
Caspio. [4]
È importante ricordare che alcuni studi geologici sulla zona
hanno stimato che in quest’area potrebbero essere presenti risorse di petrolio
per circa 235 miliardi di barili che andrebbero quindi a costituire un nuovo
Golfo Persico; ad esempio in Kazakistan è presente un giacimento (a Kashagan)
enorme, sfruttato tra l’altro da una compagnia italiana l’Agip che risulta essere
la capofila di nove compagnie internazionali tra le quali la Shell, la British
Gas la BP-Amoco ecc.
L’Azerbaijan poi ha delle riserve per oltre 20 miliardi di
barili di petrolio; il Turkmenistan ha più del 25% dell’intera riserva di gas
dell’area del Mar Caspio (ossia circa l’8% delle riserve mondiali) senza contare
le possibili riserve ancora da accertare.
Ed è per questo che la Russia sta cercando di mantenere un
certo controllo militare in questi paesi sfruttando anche gli scontri interni.
Ciò ovviamente contrasta con le mire espansionistiche occidentali che a tal
fine favoriscono i nuovi Stati, facendoli forti della loro "giovane indipendenza"
per non permettere a Mosca di installare basi militari nei loro territori.
Al momento però, è giusto sottolineare quanto sostenuto da
Brzezinski: "Il collasso dell’Unione Sovietica non solo crea aperture per
una potenziale proiezione dell’influenza americana sul vuoto euroasiatico, specie
attraverso lo sforzo di aiutare il consolidamento degli Stati non russi, ma
ha anche grandi conseguenze geopolitiche nelle propaggini sudoccidentali dell’Eurasia:
il Medio oriente e il Golfo Persico sono stati trasformati in una zona di palese
ed esclusiva influenza statunitense... (anche se n.d.r.)... Con la religione e il
nazionalismo che cospirano contro un’egemonia estranea sulla regione, l’attuale
supremazia americana nel Medio Oriente si fonda, letteralmente, sulla sabbia" [5].
L’America, infatti, pur essendo lontana da questi territori
ha la necessità di controllarli, se non militarmente, almeno economicamente:
"La scelta di fondo sarà piuttosto tra un delicato equilibrio regionale...
e il conflitto etnico, con la conseguente frammentazione politica, senza escludere
neppure lo scoppio di aperte ostilità lungo le frontiere meridionali della Russia.
Il raggiungimento di questo equilibrio regionale, e il suo consolidamento, resta
l’obiettivo prioritario di qualsiasi geostrategia generale americana per l’Eurasia" [6].
È in gioco il nuovo assetto internazionale post-globalizzazione,
un assetto che potrà essere molto diverso da quello dell’ultimo decennio, con
gli USA che fanno del tragico attentato dell’11 settembre il motivo ufficiale
per rilanciare una strategia di proprio dominio imperiale sul mondo, riaffermando
le linee militari e politiche-economiche che ridisegnano la nuova mappa sulla
scacchiera del potere globale. E allora gli USA non solo fanno fuori l’ONU,
ma fanno della NATO un loro specifico strumento per un primo tentativo di guerra
americana contro il terrorismo, ma in effetti per il dominio globale senza possibilità
di "spartizione della torta" con nessuno; così vanno letti gli accordi
finalizzati solo per accettare un qualche aiuto europeo nella guerra all’Afganistan,
il via libera chiesto, o meglio imposto, ai paesi arabi moderati, alla Cina,
alla Russia, facendo fuori completamente l’Europa.
L’Europa sembra impreparata, in difficoltà, senza una dimensione
politica e che subisce lo strapotere militare americano. Una UE ancora non in
grado di esprimere una voce alternativa e di reale contropotere agli USA, che
ora con la “guerra giusta contro il terrorismo” sono maggiormente in grado di
tentare di unificare e influenzare il mondo, per cercare di tornare alla fase
unipolare a guida americana di “superimperialismo”. Ma ciò non significa certo
rottura della politica di conflitto per poli geoeconomici che sarà sempre più
realizzata con atti continui di guerra economica che assumono e assumeranno
sempre più la forma di guerra guerreggiata per l’affermazione delle gerarchie.
Infatti la soluzione dell’economia di guerra sarà quella accettata e portata
avanti anche dall’UE, e quindi dal nostro Paese, perché la situazione di forte
crisi economica statunitense ha avuto e avrà ripercussioni recessive in Europa.
Ciò però significa, almeno momentaneamente, tenere in secondo piano gli europei
con la volontà da parte americana di ritardare la crescita e l’affermazione
dell’euro e, quindi, in tutti i modi cercare di ridurre le mire egemoniche ed
espansionistiche da parte dell’UE per tentare di rilanciare le strategie di
globalizzazione di un unico grande impero a guida USA.
Se un ruolo di ritorno prioritario degli USA in un primo tempo
è ben visto, o sopportato, da alcuni paesi dell’UE, dalla Russia, dalla Cina,
e da altri perché ne potrebbero avere un ritorno economico e politico-strategico
immediato (ad esempio vedi il nuovo ruolo a cui aspira Putin per la Russia e
la Cina che entra nel WTO), nel medio periodo, invece, ciò significherà l’acutizzarsi
delle contraddizioni tra poli geoeconomici. Ciò perché l’UE non può vedere soffocate
le proprie mire espansionistiche e non può accettare un ruolo predominante degli
USA nell’Eurasia, area di interesse strategico per l’Europa. D’altra parte la
Cina, la Russia, ma anche l’India e l’Iran, non possono accettare una presenza
di lungo periodo con insediamenti militari a finalità di conquista economica
da parte degli USA, poiché l’Asia costituisce l’area di sopravvivenza e di espansione
economica da parte di tali nuovi paesi emergenti.
Ma in che modo la Russia può trarre vantaggio da un suo coinvolgimento
nella "guerra internazionale contro il terrorismo"? Fintanto che il
mondo sarà coinvolto a combattere nel territorio afghano e dintorni la Russia
può far funzionare gli oleodotti presenti sulle rive settentrionali del Mar
Caspio che va dal Kazakistan alle coste russe del Mar Nero. In questo modo l’oleodotto
di Novorossijk può consentire alla Russia di divenire il principale paese in
grado di fa arrivare il petrolio dal Mar Caspio all’Europa.
In questa fase quindi la Russia percepisce positivamente la
presenza degli USA nei territori asiatici, ma se si guarda al lungo periodo
viene da chiedersi se questo paese è disposto a cedere gran parte del territorio
euroasiatico alle potenze occidentali anche in vista del fatto che, sul fronte
della politica interna, sono presenti in Russia molti potenti personaggi economici,
e non semplici faccendieri, che, memori della grande potenza anche geoeconomica
russa, non vedono di buon occhio la presenza americana nei territori appartenenti
in passato all’ex URSS.
3. I PECO: il grande "cantiere" per l’espansione UE
Si è ben capito da quanto scritto in precedenza che, dopo il
crollo dell’Unione Sovietica, l’Europa centro-orientale è diventata un’area
strategica di fondamentale interesse per gli interessi geopolitici e geoeconomici
che si vanno imponendo nella competizione globale USA-UE.
Infatti questi territori, anche se sono caratterizzati da una
situazione diversificata frammentaria e depressiva sul piano socio-economico
complessivo, registrano rilevanti potenzialità per le risorse energetiche presenti
e per la collocazione spaziale di raccordo tra Asia ed Europa, al punto di attirare
i vari paesi a sviluppo avanzato che hanno l’intento di usufruire delle opportunità
di investimento e di scambio che tale area offre, insediandosi in zone con un
alto significato strategico di controllo.
Si è, quindi, in presenza di uno scenario geoeconomico e politico
nuovo, impostato su rapporti biunivoci, e non più unilaterale di tipo assistenziale,
tra questi paesi e l’Unione Europea e l’ONU. Dal crollo dell’Unione Sovietica
e del Muro di Berlino del 1989, l’est europeo è diventato un enorme "cantiere"
impegnato in una gigantesca modernizzazione in senso capitalista e di transizione
all’economia di mercato. Ciò è divenuto parte rilevante del programma di intervento
e di espansione principalmente per molte delle economie dei paesi dell’Unione
Europea. Infatti, l’intervento economico nei paesi dell’Europa centro-orientale
(PECO) significa la salvaguardia dei notevoli investimenti che le maggiori multinazionali
del mondo, e in particolare dell’UE, hanno fatto in questi territori ed anche
la partecipazione alla spartizione dei giacimenti di petrolio e di gas dell’Eurasia,
alle concessioni ed ai relativi diritti di sfruttamento, nonché al controllo
delle rotte degli oleodotti.
È allora evidente che l’Europa centro-orientale rappresenta
un’area di fondamentale importanza strategica sulla quale si concentrano crescenti
fattori di competizione dei due poli imperialisti USA ed UE.
La presenza europea e statunitense in tali paesi si è già da
tempo concretizzata oltre che in termini di competizione economico-commerciale
anche attraverso le varie "guerre umanitarie" susseguitesi in questi
anni, che hanno avuto come obiettivo prioritario quello di imporre ad ogni costo
la stabilità per salvaguardare i notevoli investimenti e i relativi profitti
che le multinazionali hanno, in maniera crescente, realizzato.
A tal fine è dal 1993, con il Congresso di Copenaghen, che
l’Unione Europea ha sottoscritto con dieci paesi dell’Europa centro-orientale
accordi di associazione: Ungheria (marzo 1994), Polonia (Aprile 1994), Romania
(Giugno 1995), Slovacchia (Giugno 1995), Lettonia (Ottobre 1995), Estonia (Novembre
1995), Lituania (Dicembre 1995), Bulgaria (Dicembre 1995), Repubblica Ceca (Gennaio
1996), Slovenia (Giugno 1996).) Il fine è l’allargamento a est dell’Europa per
inserire definitivamente nella sfera di influenza UE i PECO, facendo fuori da
questa area gli USA, e parandosi al contempo, da intromissioni asiatiche, in
primis della Cina.
Gli strumenti finanziari attraverso cui i dieci candidati dell’Europa
centro-orientale possono accedere all’UE sono i programmi Phare, Ispa e Sapard.
Phare è un programma di assistenza tecnico-finanziaria
e ha come obiettivo di consentire ai dieci PECO di adeguarsi ai criteri di Copenaghen;
in termini operativi significa, da un lato, fornire assistenza per permettere
alle amministrazioni e alle organizzazioni di rappresentanza di recepire, applicare
e far rispettare norme e standard comunitari, dall’altro significa assicurare
investimenti per l’adeguamento delle infrastrutture, sviluppare un’economia
di mercato, il settore privato e per completare le riforme strutturali necessarie
per operare in conformità con gli obiettivi economici e monetari dell’Unione
Europea, ovviamente quella basata sui tristemente noti per i lavoratori, parametri
di Maastricht e di Amsterdam.
Ispa, strumento per le politiche strutturali di preadesione
all’UE, ha come scopo il finanziamento dei progetti del valore superiore a 5
miliardi di euro, per lo sviluppo delle infrastrutture ambientali e di trasporto.
Sapard, programma speciale di adesione per lo sviluppo
dell’agricoltura e delle realtà rurali, gestito a livello decentrato, mira ad
aiutare i "dieci" a risolvere problemi strutturali nel settore agricolo
ed ad attuare la politica comune agricola (Pac).
Per il 20002006 i tre strumenti avranno a disposizione un budget
annuale di 3120 miliardi di euro: 1040 per Ispa, 520 per Sapard e 1560 per Phare,
di cui 1085 miliardi di euro per i programmi nazionali e di operazioni transfrontaliera,
il resto per gli interventi plurinazionali, come la sicurezza nucleare, oppure
orizzontali come quello per lo sviluppo delle piccole e medie imprese (PMI).
L’allargamento ai paesi dell’Europa centro-orientale significa
chiaramente attuare un processo di integrazione commerciale anche perché le
enormi opportunità di localizzazione offerte da questi paesi in transizione,
serviranno da incentivo per i movimenti internazionali di capitale, non tanto
a carattere finanziario, ma proprio del capitale europeo industriale -produttivo,
intensificando al contempo gli scambi commerciali.
È interessante notare in quali settori l’UE nel suo complesso,
e per ciascun paese membro, presenta dei vantaggi comparati [7] nei confronti
sia dei Peco e sia nei confronti del resto del mondo (commercio extra UE). I
cinque gruppi di settori nei quali si determinano i vantaggi comparati sono [8]:
Gruppo 1. Industrie ad alta tecnologia e alta intensità
di capitale umano (per esempio chimica, macchine per ufficio, elettronica areospazio);
Gruppo 2. Industrie ad alta intensità di capitale umano
e moderata intensità di capitale fisico (per esempio meccanica, beni strumentali);
Gruppo 3. Industrie ad alta intensità di lavoro (per
esempio cuoio, costruzioni, abbigliamento, legno);
Gruppo 4. Industrie ad alta intensità di lavoro e capitale
fisico (per esempio siderurgia, vetro, autoveicoli);
Gruppo 5. Industrie ad alta intensità di capitale umano
e fisico (per esempio minerali non metalliferi, alimentari).
Nei confronti del resto del mondo, e in particolare dell’area
del dollaro, l’UE presenta vantaggi in tutti i settori tranne in quello ad alta
intensità di lavoro ed in quello ad alta tecnologia accompagnata da alta intensità
di capitale umano. L’UE presenta notevoli svantaggi nei confronti dei PECO oltre
che nel gruppo 3 anche nel gruppo 5 (sono pertanto dei vantaggi dei PECO nei
confronti dell’UE); ciò a conferma dell’ "appetibilità" per l’UE di
quest’area oltre che per la ricchezza del sottosuolo anche per il basso costo
del lavoro nonostante il suo livello medio-alto di specializzazione. Infatti
i bassi costi del lavoro che offrono questi paesi consentono un sempre maggiore
processo di penetrazione nell’Europa centro orientale. La maggiore occupazione
aggiuntiva si è avuta nei settori degli autoveicoli, del tessile.
Per i singoli paesi membri dell’Unione Europea si ha una struttura
dei vantaggi simile a quella dell’insieme della stessa Unione Europea. Ad esempio
per l’Italia si hanno punti di forza nei settori dei prodotti della meccanica
e dei beni strumentali, e nei settori con alta intensità di lavoro ossia in
quelli tradizionali. Nei confronti dei paesi dell’Europa centro-orientale i
vantaggi comparati sono notevoli nel gruppo 2, aumentano quelli relativi al
gruppo 4, mentre peggiorano quelli inerenti al gruppo 1 e soprattutto del gruppo
3 a causa dei processi di internazionalizzazione.
Considerando singolarmente i tre gruppi di paesi che dopo la
dissoluzione dell’Unione Sovietica si sono andati a costituire, e cioè i paesi
dell’Europa centrorientale (CC), paesi della Confederazione degli Stati indipendenti
(CIS) e quelli dell’ex Jugoslavia (Ju) [9], possiamo meglio cogliere le caratteristiche della struttura
geografica e settoriale del commercio italiano. Per quanto riguarda la specializzazione
geografica si ha che le regioni del nord Italia sono le uniche ad avere una
specializzazione verso i paesi ad elevata crescita della domanda (CC); le regioni
del Sud hanno invece un’alta specializzazione geografica verso i paesi a commercio
privilegiato [10], cioè verso i paesi
dell’ex Jugoslavia ed Albania, e verso quelli caratterizzati da una bassa crescita
della domanda (CIS). Per quanto riguarda la specializzazione settoriale le regioni
del Nord Italia manifestano in modo assoluto le caratteristiche principali del
nostro commercio estero strettamente legato ai gruppi 2, 3 e 4; le regioni del
Sud invece hanno una specializzazione settoriale legata ai settori tradizionali
e a quelli alimentari (gruppi 3 e 5).
Va ricordato che l’industria italiana ha sempre avuto una scarsa
tendenza all’internazionalizzazione attiva ossia nell’effettuare investimenti
all’estero. Questo in buona parte può dipendere dal fatto che la nostra industria
è caratterizzata da piccole e medie imprese, ma tale tendenza oggi sta cambiando,
dirigendosi l’internazionalizzazione produttiva italiana significativamente
verso i PECO. Guardando alla distribuzione geografica si nota che all’inizio
del ’98 nei paesi dell’Europa orientale si concentrava il 16,7% delle imprese
a partecipazione italiana ed il 16,4% del numero di addetti coinvolti (all’Europa
occidentale spetta il 41,9%, all’America latina il 17,1%). (cfr per la struttura
delocalizzativa italiana Tabb. 4,5,6,7)
[1] Cfr. Z. Brzezinski, La grande scacchiera", Longanesi, 1998, pag.132.
[2] Cfr. www.ICE.it
[3] Cfr. www.ICE.it
[4] Cfr. Z. Brzezinski, La grande...", op. cit.
[5] Cfr.
Z. Brzezinski, Il mondo fuori controllo", Longanesi, 1993, pag. 164-165.
[6] Cfr.
Z. Brzezinski, La grande...", op. cit., pag. 202.
[7] Come indicatore
di vantaggio comparato viene utilizzato il seguente indicatore: x/X - m/M dove
x= esportazioni del settore considerato; X= esportazioni totali; m= importazioni
del settore; M= importazioni totali. Si ha un vantaggio (svantaggio) comparato
nel settore se l’indicatore assume valore maggiore (minore) di zero.
[8] AA.VV.,
Guida ai paesi dell’Europa centrale, orientale e balcanica, annuario politico-economico
1998: Pier Carlo Padoan, La dimensione economica e commerciale: costi e benefici
per l’Italia, pag. 75.
[9] I paesi CC sono: Bulgaria, Repubblica
Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria; i
paesi JU sono: Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Serbia e Montenegro, Croazia, Macedonia,
insieme ad Albania; infine i paesi Cis sono: Ucraina, Uzbekistan, Moldavia,
Georgia, Armenia, Azerbajgian,Turkmenistan,Tgikistan, Russia, Bielorussia, Kazakistan,
Kirghizistan.
[10] Con questo termine si vuole intendere che con tali paesi l’Italia
presenta una struttura commerciale caratterizzata da ragioni extra-economiche
e cioè da rapporti privilegiati attraverso cui la nostra penetrazione economica
non riflette le regole della competitività di mercato.