La società argentina risente, dopo il crack del modello alla
fine dello scorso anno, dei conflitti tra le diverse fazioni del potere economico
e dei loro effetti distruttivi sui livelli di attività produttiva e sulla distribuzione
delle entrate.
Il governo di transizione del presidente Dhualde non riesce
a contenere questi conflitti e a mettere in atto un progetto che includa i settori
popolari, in una situazione in cui una popolazione esasperata da una crescente
disuguaglianza che le ultime misure hanno portato a limiti estremi.
Il presente lavoro - elaborato su una solida analisi e sull’incrocio
di dati - tenta di fornire elementi che precisino l’ammontare di questo nuovo
trasferimento di entrate a favore della concentrazione di capitale, di indicare
quali gruppi imprenditoriali siano stati maggiormente favoriti e di mettere
in guardia su future ridistribuzioni di orientamento simile.
1. Introduzione
Con il collasso del regime di rendita finanziaria e di trasferimento
delle risorse all’estero che durante l’ultima decade è stato regolato a partire
dalla convergenza della convertibilità con la privatizzazione delle imprese
pubbliche, la deregulation e la riforma dello Stato, la società argentina risente
dei conflitti tra le diverse frazioni del potere economico e degli effetti deleteri
che questi hanno sui livelli di attività economica e sulla distribuzione delle
entrate.
Un modello che sosteneva la realizzazione di guadagni straordinari
in dollari da parte della dirigenza imprenditoriale nazionale (gruppi nazionali,
gruppi esteri, banche e imprese privatizzate), basato sull’espansione del debito
pubblico, tocca ovviamente il fondo quando si taglia il finanziamento e/o quando
il Settore Pubblico diventa sovraindebitato.
La congiuntura internazionale e i cambiamenti che questa determina
nell’orientamento dei flussi finanziari, definiscono il primo punto; il bilancio
negativo che possiede il paese in materia di divisa, sommato all’enorme indebitamento
del Settore Pubblico, completano il quadro finale a cui oggi assistiamo. Di
certo, si tratta di un contesto in cui le varie fazioni dominanti cercano di
preservare o incrementare il valore dei propri attivi e mantenere o aumentare
i tassi di profitto.
In questo contesto deve essere situato il governo di transizione
che pretende di dirigere il Dr. Duhalde. Era immaginabile che un governo di
questo tipo, nel quadro di una società esasperata dalle disuguaglianze, dovesse
essere in grado di instaurare un ordine che permettesse di regolare i conflitti
delineati. In più di un’occasione la nostra Central ha sostenuto che una spesa
sostenibile ed equa era la via per superare l’assurda situazione in cui ci aveva
portato il regime di convertibilità, il che implicava scartare nettamente una
svalutazione che non contemplasse previe riforme strutturali che orientassero
il suo impatto.
In questo senso, abbiamo sottolineato che era imprescindibile
riordinare l’insieme dei rapporti economici (pesificazione [1], distribuzione, apertura, rapporto
con il capitale straniero e le aziende privatizzate, regime fiscale, ecc.),
come premessa per riprendere la politica dei cambi; ciò nonostante, il peso
decisivo avuto da una parte delle fazioni dominanti nell’alleanza di governo,
ha trasformato la svalutazione nel punto di partenza della nuova politica economica.
Per la precisione, i grandi gruppi imprenditoriali nazionali e esteri, padroni
di un’importante fetta produttiva e con importanti attivi finanziari all’estero
(espressi nel così detto “Gruppo Produttivo”), che avevano perso posizione nell’economia
reale durante l’ultimo quinquennio, furono i promotori originali di questo percorso.
Dato che sono inoltre restii a cedere, in termini di contributi fiscali, parte
dei guadagni straordinari che la svalutazione apporta loro, questo ha fatto
sì che neanche la modificazione dei cambi sia stata inserita all’interno di
uno schema di politica economica minimamente articolato, che permettesse di
orientare e ordinare la crisi vigente. Al contrario, la svalutazione ha dato
luogo ad un conflitto anche maggiore nel quale le diverse frazioni del blocco
dominante vogliono riposizionarsi (concordando, tutte quante, sul fatto che
la principale variabile dell’aggiustamento continuino ad essere le imposte a
carico dei settori popolari).
Dunque, il governo non ha saputo controllare e Duhalde ha potenziato
il conflitto, concedendo ad ogni frazione ciò che chiedeva. Ha concesso al vertice
dei gruppi imprenditoriali locali e esteri la scappatoia della svalutazione,
la pesificazione dei loro debiti in divisa verso il sistema finanziario nazionale
ed ha loro concesso l’esenzione dal pagamento delle tasse; ha ceduto al FMI
il controllo del regime di fluttuazione dei cambi che, in un Paese con scarse
riserve e con deficit strutturale nella bilancia dei pagamenti, rende il Paese
stesso dipendente dal flusso di finanziamento esterno; ha ceduto alle banche
la conservazione del suo patrimonio statalizzando il debito privato pesificato,
ed ha mantenuto il regime privato dei fondi di pensione; infine, ancora resta
da vedere cosa succederà con le negoziazioni che il governo affronterà con le
aziende privatizzate, che sono di primaria importanza non solo per l’aggiustamento
dei prezzi e per lo sviluppo degli investimenti, ma sono anche un punto centrale
per il debito che queste aziende dichiarano di avere con l’estero [2].
L’insieme di tutte queste concessioni è giunto ora ad un “vicolo
cieco” per cui, con la svalutazione e la creazione di nuove rendite straordinarie
locali, è aumentata la recessione. Senza esigere tasse dai ricchi, il governo
finisce coll’applicare una politica economica che, essendo totalmente tributaria
e dipendente dal finanziamento esterno, non è in grado di contrattare alcunché
nemmeno con le realtà che provvedono ad esso, ossia il FMI, e non solo per ciò
che concerne i pagamenti relativi all’anno corrente, ma anche riguardo quelli
dell’anno prossimo. Con un dollaro più alto, senza ripresa e senza riscuotere
tasse, garantire i pagamenti esteri presuppone un aggiustamento fiscale impossibile
da attuare politicamente nell’Argentina attuale.
D’altro canto, dal momento che le nuove rendite si realizzano
in un contesto in cui alla caduta generalizzata dell’attività economica e alla
distruzione del sistema occupazionale si aggiunge la caduta salariale per accelerazione
dei prezzi interni, questo fa sì che questo nuovo trasferimento in favore della
concentrazione di capitale avvenga a spese dell’insieme della società e, fondamentalmente,
dei settori popolari e delle frazioni più deboli dei gruppi imprenditoriali
locali. Sicuramente, nel quadro delineato, le affermazioni pseudopopuliste,
pronunciate recentemente dal presidente Duhalde riguardo l’istituzione di un
fondo proveniente da una tassazione di emergenza dei grandi gruppi imprenditoriali
per finanziare progetti occupazionali, così come le voci, l’annuncio e la pratica
dell’emissione di valuta visto il collasso nel sistema di riscossione delle
tasse, completano un quadro preoccupante in cui non si può escludere la prospettiva
di un processo iperinflazionario e/o di aumento della svalutazione del peso
con conseguenze tremende.
Considerando la situazione delineata, e dal momento che il
governo ha abbandonato un equo processo di transizione che gli competeva, la
situazione attuale può essere vista solo come un nuovo e disordinato processo
di redistribuzione diseguale delle entrate, che oggettivamente tende a fissare
un nuovo piano distributivo in questa Argentina della disuguaglianza, che nell’insieme
preannuncia ulteriormente (almeno fino ad ora) il crollo finale di questo, sempre
più, selvaggio capitalismo argentino.
In questo contesto, il presente lavoro vuole fornire elementi
per precisare l’ammontare di questo nuovo trasferimento di entrate a favore
del capitale più concentrato e indicare quali sono state le frazioni dei gruppi
imprenditoriali maggiormente favorite. Inoltre, si desidera porre l’attenzione
su futuri trasferimenti che ancora non sono avvenuti, ma che, come si è accennato,
in realtà sono già in discussione.
Prima di presentare l’analisi dei risultati ottenuti, bisogna
specificare che essa considera solamente le informazioni disponibili, senza
considerare tutto l’insieme dell’indebitamento delle imprese private con l’estero
(le Obbligazioni Negoziabili furono una, ma non l’unica, delle misure adottate
per l’indebitamento estero), senza includere l’impatto favorevole che la svalutazione
ha sulla disponibilità degli attivi finanziari all’estero, né il rincaro dei
beni di importazione. Ciò nonostante, considerando che l’indebitamento estero
privato totale non supera i 60 miliardi di US$, che una parte importante del
debito dichiarato dai gruppi esteri include, approssimativamente, un 50% di
debiti con la propria casa madre (autoprestiti), e che i gruppi locali hanno
attivi finanziari all’estero per somme che raddoppiano l’ammontare del debito
estero privato totale, appare chiaro che, nel momento in cui si potranno valutare
completamente gli effetti del processo in corso, i benefici saranno maggiori
di quanto si valuti in questa sede. In altre parole, se gli attivi finanziari
raddoppiano l’indebitamento privato e parte di questo corrisponde a autoprestiti,
il volume delle importazioni non potrà mai compensare il beneficio dovuto alla
svalutazione. Soprattutto, quando i dati disponibili indicano che il saldo commerciale
in valuta del vertice imprenditoriale è nettamente eccedente (ancora di più,
dopo la modifica del tipo di cambio -superiore al 100%- lanciata dal presidente
Duhalde).
2. Il contesto generale di analisi
Si considera una lista di imprese composta dalle 80 aziende
più importanti in materia di esportazioni (i dati risalgono all’anno 2000),
le 80 con i maggiori debiti con il sistema finanziario nazionale (i dati, forniti
dalla Banca Centrale, risalgono alla metà dell’anno 2001), e le 80 aziende maggiormente
indebitate sotto forma di obbligazioni negoziabili (si tratta dell’emissione
accumulata dall’inizio del decennio degli anni ‘90 fino al 1997). L’universo
considerato permette di captare gli effetti principali che hanno generato la
svalutazione e la pesificazione in materia di trasferimenti di entrate e liquidazione
del debito. Nello stesso tempo, fornire la lista delle aziende indebitate con
l’emissione di obbligazioni negoziabili permette di avvertire, misurando sugli
effetti, in termini di trasferimento di entrate, che potrebbe avere l’assorbimento
da parte dello Stato dell’indebitamento menzionato. L’importanza economica che
hanno queste imprese comincia ad essere percepita sommando l’ammontare totale
delle esportazioni e dell’indebitamento -sia estero che con il sistema finanziario
nazionale- presentato nella tabella 1.
Effettivamente, il totale ammonta all’incirca a 45.051,4 milioni
di $US, in un’economia con un PIL che con il tasso attuale di cambio si avvicina
a $US 144.500 milioni, dato che si aggiunge come ulteriore commento in questo
contesto. Ugualmente, l’esame della tabella 2 permette di comprendere il ruolo
di queste aziende nell’insieme delle variabili analizzate.
In questo modo, gli 80 primi esportatori del Paese rappresentano
quasi il 70% del totale esportato dall’Argentina (indice evidente dei limiti
che una soluzione basata su questa variabile possiede oggi in termini di “perdita”).
Allo stesso modo, la lista delle imprese analizzata riflette il 99% dell’indebitamento
per via delle obbligazioni negoziabili. Nel caso dell’indebitamento interno,
la sua rappresentazione è molto inferiore rispetto al totale (sotto il 10%),
però la sua importanza è dovuta al fatto che permette di quantificare quanto
è stato prodotto, grazie alle misure adottate, in termini di guadagni straordinari,
per le differenti unità economiche valutate. Inoltre, la partecipazione è ovviamente
molto maggiore di quella qui esposta, perché il totale dei crediti considerati
include quelli concessi al settore pubblico e pertanto, la sua rilevanza sul
credito concesso al settore privato dell’economia domestica è ovviamente molto
maggiore. Sono sufficienti, in questo senso, i dati disponibili (anche se non
omogenei con questa esposizione) che segnalano che solo 1.221 debitori concentrano
quasi la metà del debito concesso. D’altro canto, in base ai dati ricavati dal
totale del credito, circa il 30% appartiene al Settore Pubblico, con cui la
percentuale del debito considerato aumenta dall’8,1% al 11,5%. Inoltre, e come
dato ulteriore che conferma che la concentrazione impera anche in questo punto,
si deve considerare che solamente il 5,9% dei titoli commerciali creditari ha
a che fare con prestiti inferiori a 200.000$US.
D’altra parte, l’importanza che queste aziende hanno in termini
di dimensione economica così come per le diverse variabili, permette di sostenere
anche la tesi che i trasferimenti di entrate che sono stati realizzati sono
circoscritti a un numero estremamente ridotto di agenti economici.
Esaminando nuovamente la tabella 1, bisogna chiarire i criteri
in base ai quali sono state raggruppate le imprese considerate. Il tipo di struttura
del capitale è la categorizzazione che struttura la presentazione delle imprese
nelle tre variabili analizzate. Le associazioni rimandano alla presenza di consorzi
formati da differenti capitali, con una partecipazione dominante nelle aree
dei servizi pubblici privatizzati. I gruppi economici sono conglomerati di origine
nazionale che hanno più di 6 imprese nell’attività economica interna. I conglomerati
esteri hanno la stessa struttura dei gruppi, però i loro proprietari non sono
locali, ma oriundi di altri paesi. Le imprese indipendenti sono quelle a capitale
nazionale che non hanno struttura di conglomerato (controllano meno di sei imprese),
e le multinazionali, sebbene integrino una struttura di proprietà con presenza
in diversi paesi, in Argentina mostrano un tipo di configurazione simile alle
imprese indipendenti, ossia, hanno meno di sei aziende operanti nel nostro Paese.
L’esame delle variabili permette di fare alcune osservazioni.
Sul totale delle esportazioni considerato, in termini di valore assoluto, la
posizione principale è occupata in primo luogo dalle imprese multinazionali
e poi dai conglomerati esteri. Nonostante ciò, considerando i dati medi di ogni
impresa, aumenta il ruolo dei gruppi locali che arrivano ad occupare la seconda
posizione dopo i conglomerati esteri, che restano i principali esportatori.
Certamente, un posto secondario in questa variabile è occupato dalle associazioni
che, come accennato, si affidano ai servizi privatizzati in proporzione importante.
Esaminando il debito interno, le più indebitate in termini
di valore assoluto sono le associazioni, seguite a breve distanza dai gruppi
locali. Nonostante ciò, osservando i dati in media di ogni impresa, i gruppi
economici ed i conglomerati di origine straniera sono, di gran lunga, quelli
che occupano le prime due posizioni.
Esaminando in valori assoluti le Obbligazioni Negoziabili,
sono le associazioni e i conglomerati esteri ad occupare i due posti principali.
Ciò nonostante, osservando i dati medi di ogni impresa, i gruppi economici si
posizionano ancora una volta al secondo posto.
In definitiva, dai dati presentati si evince che, più che per
la loro posizione in termini di valore assoluto in ogni variabile, i gruppi
economici sono, per la loro dimensione imprenditoriale, tra i più importanti,
e, in conseguenza di tutto ciò, una delle frazioni dominanti più favorite dalle
misure della politica lanciata finora dalla Amministrazione Duhalde.
[1] Il termine “pesificazione”
indica la conversione in pesos (N. d. T.).
[2] Per esempio,
il 30 gennaio 2002, l’impresa Aguas Argentinas inviò allla Sottosegreteria delle
Risorse Idriche una nota (n°35049/02), nella quale si segnala: “La forte discesa
dell’esattoria, un servizio del debito che supererà i 200 milioni di dollari
nel 2002, un debito a termine molto breve di più di 90 milioni di dollari, l’aumento
degli investimenti critici, che generano un cash-flow negativo, a cui si aggiunge
la violazione di tutti i razio finanziari della concessione, sono ormai evidenti
e rendono necessario, nei termini delle norme contrattuali ( in particolare
la Risoluzione n°601/99 SRNyDS), adottare da subito una serie di misure di emergenza...
con l’obiettivo a breve scadenza di non penalizzare l’offerta dei sevizi sanitari
agli 8 milioni di abitanti riforniti da Aguas Argentinas”. In questo quadro,
una delle principali “misure di emergenza” proposte dall’impresa è la seguente:
(si noti il tono con cui è scritta): “la Banca Centrale della Repubblica Argentina
fornirà a Aguas Aegentinas S.A. $ US in cambio di $ al tasso di cambio 1 $ US
1 $, per assicurare nei luoghi previsti l’assolvimento dei debiti a breve e
lungo termine, che sono stati pattuiti con Banche nazionali e internaionali,
così come con Organismi di tipo Multilaterale” (enfasi propria). Si deve specificare
che l’attuale debito estero di Aguas Argentinas supera i 600 milioni di dollari.