Rubrica
Osservatorio sindacale internazionale

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

José Luis Martín Romero
Articoli pubblicati
per Proteo (3)

Dottore in Scienze Sociologiche. Preside del Dipartimento di studi sul lavoro del Centro di Ricerche Psicologiche e Sociologiche, Istituto cubano appartenente al Ministero di Scienza, Tecnologia ed Ambiente

Argomenti correlati

Cuba

Sindacato

Nella stessa rubrica

Lula contro Macunaima
Marcos Costa Lima

La cultura del lavoro a Cuba di fronte al perfezionamento d’impresa
José Luis Martín Romero

La cultura del lavoro a Cuba di fronte al perfezionamento d’impresa
José Luis Martín Romero

SUD-RAIL Un po’ di storia
Cristian Mahieux

 

Tutti gli articoli della rubrica "Osservatorio sindacale internazionale" (in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

La cultura del lavoro a Cuba di fronte al perfezionamento d’impresa

José Luis Martín Romero

Formato per la stampa
Stampa

Da questi marchi prodotti per e nell’evoluzione della storia del lavoro a Cuba sono scaturiti dei modelli di lavoratori cubani: il lavoratore della dipendenza (incolto, orientato verso la sussistenza, disciplina variabile, qualifica empirica e partecipazione reattiva), il lavoratore per lo sviluppo economico e sociale (istruito, orientato alla resistenza del paese, con disciplina cosciente, qualifica accademica e pratica e partecipazione attiva) e, oggi come oggi, il lavoratore della transizione (istruito, orientato in alternanza verso la sussistenza e verso la resistenza, educato dipendentemente dalla capacità di controllo del suo spazio economico, ben qualificato sebbene non necessariamente con buone capacità e con partecipazione dipendente dallo spazio economico e dal livello di recupero o ritiro del suo collettivo e dell’istituzione lavorativi). Il lavoratore della dipendenza che si è formato lungo i secoli non solo ha avuto il predominio in assoluto anteriormente alla rivoluzione, ma è sopravvissuto e sporadicamente sopravvive ancora, è un morto che rinasce a momenti in relativo stato di salute. Il lavoratore per lo sviluppo è stato sempre un archetipo della presenza reale intermittente in quasi tutti, lo costruiamo, distruggiamo e ricostruiamo successivamente dentro di noi e tra gli altri come conseguenza, sia per una vocazione alla resistenza e all’autoperfezionamento, sia per un debilitato sostentamento istituzionale e un sistema di relazioni lavorative non funzionale. È vivo, comunque si aggiusta e passa. Quello della transizione è un modello contraddittorio per se stesso, doppio, prodotto di una congiuntura sebbene non necessariamente provocata in se stesso,i suoi movimenti futuri dipendono proprio dalla qualità dello scenario in cui è inserito. È la sintesi temporale -qui sì- dei due modelli contrapposti precedenti e forse qualcosa in più, insieme dei tratti embrionali di un nuovo modello ancora da caratterizzare.

Dietro a queste caratteristiche e contrapposizioni e a questi modelli che ci distinguono come marchi ci sono la nostra storia e la nostra geografia, le nostre radici etniche e le nostre famiglie; sono il risultato di un lungo processo globalizzatore che ci avvolge da secoli e che ora continua non solo ad una velocità cibernetica, ma in mezzo ad una “diseguale contesa”, come avrebbe detto don Chisciotte.

Assistiamo ad un momento storico in cui sfumano delle identità, proprio quando il nostro conclude il suo processo depurativo. È per questo che il lavoro, come segmento chiave di un’attività acquisisce una rilevanza particolare e strategica nella costruzione della nostra identità. Veniva già segnalato da Marx fin dalla sua gioventù: “Il carattere totale della specie -il suo carattere specifico- è contenuto nel carattere della sua attività vitale” (Marx 1995); la cubanità si troverà prevalentemente nei nostri prodotti e servizi, in ciò che sapremmo creare, nella qualità di identificazione del nostro inserimento come nazione nel processo globalizzatore dei nostri giorni. In esso ci entriamo con le capacità e i limiti appena commentati, con la completa convergenza dei modelli descritti in mezzo al riaggiustamento socio economico degli anni ’90.

La “decade prodigiosa”: multispazialità economica e lavoro negli anni ’90

La strategia del riaggiustamento economico sviluppato lungo questa decade dall’organo direttivo del paese ha prodotto una serie di cambiamenti dei quali vado a riferire solo quelli che giudico più trascendentali per il loro effetto sul lavoro [1].

- Diversificazione delle forme di proprietà, mediante l’apertura al capitale straniero, la creazione di unità basiche di produzione cooperativa
 UBPC- e l’ampliamento del lavoro per proprio conto.

- Liberalizzazione del possesso e della circolazione della divisa monetaria, ciò ha generato una circolazione contemporanea del peso cubano e del dollaro nordamericano, che è la moneta reale di riferimento o che si utilizza di più, nelle transizioni impresariali e personali.

- Concentrazione dello sforzo degli investimenti nel settore emergente dell’economia, ossia il turismo, il commercio in valuta, immobiliare, attività di rapido recupero del capitale o di sicurezza essenziale come l’energia elettrica.

- Inizio della lenta trasformazione dell’impresa socialista, aumentando l’autonomia, sostituendo i bilanciamenti materiali con quelli finanziari e promuovendo un nuovo modello di gestione che scorre parallelamente alla riduzione sistematica del sussidio statale.

Tutti questi cambiamenti hanno portato il paese verso un processo che i suoi dirigenti già qualificano come di recupero economico [2] senza nascondere ostacoli per niente semplici o impressionanti.

Ciò che è più importante secondo il mio giudizio è che il paese ha dimostrato la sua capacità di resistenza e ha mantenuto il consenso politico anche in mezzo a ingenti difficoltà, come ha dato dimostrazione di conservare sufficiente capacità autocritica per intraprendere il processo di riaggiustamento e perfezionamento con serenità, gradatamente e con sensatezza politica. Tutto ciò aumenta il suo credito internazionale, ma soprattutto legittima il cammino scelto di fronte all’immensa maggioranza del popolo.

Tuttavia il processo è stato ed è infinitamente complesso. Che sia forse la multispazialità economica l’elemento che sintetizza questa complessità, che si è adattato ed ha portato il suo impatto nella struttura sociale (Espina, Moreno, Martín, 1997), nell’impiego (Martín, Nicolau,1999) e nelle relazioni lavorative (Martín, 1997).

Quando parlo della multispazialità economica mi riferisco alla coesistenza nell’economia cubana di spazi di attività che si distinguono tra loro per la forma di proprietà predominante in ognuno, dal maggiore o minore livello di compromesso con la pianificazione o con il mercato come meccanismo di regolazione e per le sue condizioni e relazioni di lavoro che lo contraddistinguono. Così esistono, se li denominiamo con i loro tratti essenziali -la forma di proprietà predominante- i seguenti spazi economici:

- Lo statale, dove bisogna distinguere le imprese che operano con fondi propri in valuta per i loro interscambi e quelle che dipendono da somministrazioni statali.

- Il cooperativo, dove ci sono la UBPC e le cooperative di produzione agricola e pastorizia (CPA). Questo è uno spazio ristretto dell’agricoltura, ma suscettibile di abbracciare altri settori come il commercio.

- Il misto, dove coesistono in associazione e con diverse modalità, la proprietà statale e la privata straniera.

- Il privato, dove bisogna includere marchi e rappresentative straniere, associazioni e fondazioni, ma alla base è occupato da attività lavorative private e dai contadini individuali, sebbene questi ultimi sono molto vicini allo spazio cooperativo.

- Il sommerso, una specie di proto-spazio che si muove tra tutti gli altri e concentra le attività economiche illegali o non dichiarate, basate generalmente in salassi all’economia statale o alla proprietà privata e cooperativa.

- Quello della disoccupazione, che apparentemente è un non-spazio, ma vi sono concentrati i disoccupati propriamente detti e altri disoccupati che preferiscono aspettare un’opportunità nello spazio che preferiscono.

Nello spazio statale nel 1998 era concentrato il 67% dei lavoratori e insieme al cooperativo (9%) rappresentano la continuità nel mondo lavorativo cubano. Il misto (8%), il privato (10%) e quello della disoccupazione (6%) rappresentano la rottura e l’emergenza.

Dei 3,5 milioni di lavoratori cubani, circa 1/3 svolgono lavori che contano su un determinato schema di incentivi che li associa o equivale ad una certa entrata in moneta. La maggioranza, comunque, guadagna il suo stipendio in moneta nazionale, a parte una buona quantità di prodotti base (olio, detersivi, vestiario, scarpe) può solo acquistare in moneta nella rete esistente o a prezzi molto elevati sul mercato statale non regolato o sul mercato nero. Come si vive allora? È molto difficile fare un conto in termini di somma base (anche se il nostro intento è serio), ci sono differenze importanti tra le varie regioni del paese: campagna o città, vicinanza o lontananza dai poli turistici o a zone che concentrano le attività economiche reattive o emergenti. Si corre il rischio di supporre che l’imprescindibile oscilla tra un minimo di $250 peso ad un massimo di $350 peso procapite mensile, perciò, sebbene il salario medio sia aumentato fino a $217 peso, la percezione della quasi totalità dei lavoratori che abbiamo intervistato in qualunque delle nostre ricerche ritiene che il salario in moneta non basta per vivere.

Tuttavia, a Cuba non c’è fame, anche se ci sono delle difficoltà con l’alimentazione desiderata o consigliabile, sebbene nelle città popolose sono scarsi i mendicanti e molto rari o inesistenti gli “homeless”. Perché? Penso per vari fattori:

1°- 1/3 e dei prodotti di base della dieta del cubano si acquistano a prezzi bassi o accessibili, la sicurezza sociale raggiunge tutti i cubani direttamente o indirettamente e, insomma, il progetto sociale ed i fondi sociali di consumo che lo accompagnano hanno mantenuto un livello di equità e di “solidarietà organica” essenzialmente efficace anche nel bel mezzo della crisi.

2°- Oltre all’importante numero di lavoratori che svolgono il loro lavoro con sistemi di incentivazione, il lavoro informale (registrato o no e in associazione all’economia sommersa o no), oltre a fonte di impiego per più di 100.000 lavoratori è, soprattutto, complemento salariale di una incalcolabile quantità di persone, che sia in modo permanente o occasionale e funziona come un canale alternativo di ridistribuzione interna delle entrate che in qualsiasi modo ottengono i cubani [3].

Tutto ciò forma un quadro contraddittorio, che se ha contribuito a distribuire la crisi tra tutti i gruppi sociali, approfittando e talvolta riproducendo il consenso politico, dall’altro lato ha fatto fronte alla “precarietà solidale” promossa dalla lidership politica come forma di gestione della crisi, con una lotta individualista per l’esistenza corrosiva dei valori e per il frazionamento delle identità di classe la cui origine è la multispazialità economica.

Per il mondo del lavoro il vettore di questa frammentazione è stato l’impiego perché le limitazioni economiche hanno provocato una diminuzione reale dell’occupazione, poiché le maggiori proposte di impiego sorgono negli spazi economici meno attraenti e quelli che prendono nuovo vigore, vengono recuperati o semplicemente emergono, generano poca occupazione o riducono la loro offerta a favore di una maggior efficienza. Bisogna chiarire che non si può fondare una volontà anti impiego in questi soggetti economici già che sono certamente gli antecedenti degli eccessi della pianificazione e povera utilizzazione delle risorse umane nell’immensa maggioranza di essi. Importante è che non si osservano vincoli tra la ripresa economica e la riattivazione della domanda di forza lavoro (Martín e Nicolau, 1999). Di modo che il fatto di avere o no impiego precede il fatto di averlo in questo o quello spazio e tutto finisce con l’avere o no una fonte di entrate aggiuntiva socialmente pianificata o no. Quel conflitto continuo pone interrogativi e definisce componenti culturali del lavoro a Cuba.

Così ciò che abbiamo chiamato “precarietà solidale” corre parallelamente ed in opposizione alla multispazialità differenziante che insuffla livelli di eterogeneità sociale inediti per il corso storico de socialismo cubano. Sebbene il discorso ufficiale riconosca questa disuguaglianza come un male inevitabile e programmaticamente riducibile (Lage, op, cit), il corso attuale del riaggiustamento non autorizza a fare pronostici rigorosi per la contraddizione tra solidarietà e disuguaglianza.

Sia quale sia il futuro gli impatti già visibili nella soggettività lavorativa non possono essere lasciati senza considerazione né sembra consigliabile sottoporgli un periodo circostanziale. Vediamoli:

“Suddenly I’m not a half man I use to be...”

È nel terreno soggettivo che la complessità raggiunge gradi di un materialismo molto alto, le nostre ricerche (Martín e collaboratori, 1997 e 1998) sebbene permettano di distinguere alcuni tratti, riescono solamente a sostenere alcune ipotesi. Tra esse mi azzardo a condividere le seguenti:

1. Il mercato, con i suoi capricciosi meccanismi di regolazione è entrato come riferimento distintivo per il disimpegno lavorativo cubano. Ossia, decidere dove, come e fino a che punto collocare il disimpegno per realizzarlo nella maniera più redditizia sono diventate le domane di orientamento della condotta lavorativa del grosso dei lavoratori cubani di oggi.

2. La lotta dei contrari tra un padrone solidale e altruista della condotta lavorativa e uno competitivo ed individualista, si esprime in termini di preponderanza alternativa per la maggior parte degli spazi economici, ciò che apre la strada ad un’etica ambivalente e contraddittoria nello spiegamento della capacità di lavoro.

3. Di conseguenza, la soggettività lavorativa cubana, mentre si aggrappa alla sicurezza del socialismo, dall’altro lato non disdegna di provare la sorte in un mondo di alta competitività; non pochi si qualificano e si preparano parallelamente per ridurre i costi dell’incertezza che una tale scelta implica. Tale scelta si pone, come regola, nei pronostici individuali del futuro lavorativo a breve o medio termine.

4. Le esperienze di vita demarcano la soggettività e l’ottimismo di fronte alle sfide della soggettività e così l’ottimismo di fronte alle sfide della competitività lavorativa è maggiore di quelli che occupano un luogo nello spazio più favorevole, mentre quelli della traiettoria accidentata li reclamano alla rivoluzione -idea sostanziale dell’ideologia e l’azione del progetto politico e i suoi conduttori- La soluzione ai loro problemi nel contesto di una tradizionale uscita plurale.

Insomma, stiamo vivendo attraverso e per mezzo di una soggettività che riflette la transizione tra due tecnologie di messa in pratica del socialismo: la già agonizzante e improponibile degli anni ’70 ed ’80 (che nonostante tutto continua ad essere viva nella nozione generale delle relazioni società- individuo) e quella che emerge negli anni ’90, dove questa stessa relazione società- individuo appare avere come intermediari dei fattori che escludono ogni possibile omogeneità per le vie di realizzazione individuale. Il lavoro e la famiglia sono, inoltre, le sfere protagoniste di questa complessa coesistenza di contraddizioni che stampano il loro bollo nella vita quotidiana. Già non siamo neanche la metà di ciò che siamo stati come se cantassimo in un brutto inglese negli anni ’60 con gli accordi dei Beatles, ma non abbiamo neanche smesso di esserlo. Si alternano captazioni e abbandoni, provvigioni e salvaguardia; ci sono guadagni e perdite, ma il bilancio non sarà necessariamente negativo. Sicuro che la mistica del socialismo irreversibile, padrone del futuro dell’umanità, è scomparso; ma al tempo stesso si è rafforzata l’autostima nazionale per il buon esito della resistenza.

Il vincolo socialismo- nazione è sottoposto ad un esame e all’inquadramento della soggettività dei cubani è ciò bisogna risolverlo essenzialmente nella sfera lavorativa. Ripeto questa idea per la mia radicata convinzione o per l’aderenza alle nostre ricerche , della svolta politica che traspare da ogni giornata lavorativa, a partire dalla maniera che più conviene al lavoratore come padrone effettivo dei mezzi di produzione, come sovrano dello sviluppo individuale, come depositario di un crescente compromesso con il suo collettivo e tutta la società. La funzionalità del sistema delle relazioni di lavoro, con la restituzione del sistema di relazioni del lavoro, con la restituzione del valore del lavoro incluso, insieme al rafforzamento e l’auto coscienza istituzionale delle imprese decideranno questa partita, ossia, il corso definitivo di questa soggettività in transizione.

In sintesi...

Il mondo del lavoro per i cubani di oggi, con tutte le debolezze e i rafforzamenti culturali, con tutte le opportunità e le minacce del processo di reinserimento nel suo intorno globalizzato, continua ad essere ora più che mai, il terreno dove verrà definito il modello sociopolitico e lo spazio di risoluzione dell’identità e dell’indipendenza nazionali. Tuttavia per i soggetti sociali concreti (individui, collettivi lavorativi, gruppi sociali) il ruolo del lavoro viene mediato dallo spazio economico di inserimento lavorativo e dalla forma in cui questo spazio si relazioni al lavoro come mezzo di vita.


[1] In particolare ricordiamo l’articolo di Alfredo González Gutiérrez “Economia e Società: le sfide del modello economico” Revista n. II del 1997.

[2] Il dottor Carlos Lage, vice presidente del Governo, nell’Incontro Nazionale dei Sindaci Municipali del Potere Popolare ha fatto questa affermazione perché a suo giudizio: “si è ottenuto un buon risultato nell’ordinamento delle finanze interne, sono state raggiunte soluzioni finanziarie in valuta convertibile per sostenere il recupero economico e si sta crescendo in quasi tutti i settori.”. Ha anche messo in risalto la tendenza generale all’efficienza dell’economia del paese. (P. Granma 3 settembre 1999).

[3] Oltre ai menzionati, frutto della previdenza statale, ci sono altre entrate sociali o spedizioni dei familiari all’estero che si uniscono ai servizi prestati all’estero e, inoltre, quelli che sono frutti di scambi non regolari di risorse statali, cooperative o private.