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Tendenze della competizione globale

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Jaime Cesar Coelho
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Professore del Dipartimento di Economia e Amministrazione dell’Università Federale del MS. Insegnante in Sociologia Politica (UFSC) Dottorando dell’area di Stato e Politiche Pubbliche (IFCH-Unicamp)

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Economia, potere di influenza e il contesto latino-americano

Jaime Cesar Coelho

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1. Riassunto

Il presente lavoro ha come finalità di base quella di stabilire alcune riflessioni sulle recenti trasformazioni nell’economia latino americana e le sue radici più generali.

È sottinteso che l’analisi presentata cerca di stabilire un nesso tra i campi dell’economia e della politica, prendendoli come elementi integrati di una dinamica contraddittoria di accumulazione. Cioè una contraddizione rispetto ai differenti interessi in gioco nel processo di produzione della ricchezza.

Sotto questo aspetto temi come quello della globalizzazione sono contestualizzati in funzione di alcune premesse: l’esistenza di un sistema di Stati-nazione gerarchizzati; una distribuzione disuguale della produzione e delle risorse in circolazione e la posizione strutturale che ogni Stato o regione occupa nell’economia-mondo.

Infine, la sequenza adottata per la costruzione dell’argomento è fatta secondo il seguente ordine: il contesto delle trasformazioni oggetto di analisi, la strategia estera e gli impatti regionali.

2. Il contesto generale

La decade degli anni ‘80 è stata scenario di profonde trasformazioni politiche ed economiche in America Latina. Allo stesso tempo in cui si è assistito alla progressiva sconfitta dei regimi autoritari, si è vista la disintegrazione dei progetti di sviluppo. Malgrado sia un errore trattare il continente come un tutto omogeneo, non è consigliabile smettere di osservare che esista una forte tendenza a definire isolatamente lo spazio latino americano, principalmente a partire dalla seconda metà del decennio passato.

Ampi progetti di regolamentazione, stabilizzazione e liberalizzazione sono stati portati a termine, con caratteristiche somiglianti. Le stesse tre maggiori economie della regione (Brasile, Messico e Argentina) hanno adottato piani di stabilizzazione legati ad un ipotetico cambiamento, essendo il piano di convertibilità argentino l’esempio più radicale delle esperienze in corso. Questi piani di stabilizzazione vennero accompagnati da profondi aggiustamenti strutturali, il cui contenuto di carattere privatistico è innegabile. Programmi di trasferimento patrimoniale (pubblico o privato), cambiamenti istituzionali significativi, ossia, trasformazioni sostanziali sono state effettuate o sono ancora in corso.

Sicuramente mutamenti di questa grandezza devono essere accompagnati da cause essenziali molto forti, sia endogene quanto esogene, ammesso che sia possibile, in questo caso, separarle. Sappiamo che le trasformazioni che hanno investito il continente non rappresentano fatti isolati; al contrario sono diventati parte di un contesto molto ampio: fine della guerra fredda, con lo smembramento del blocco sovietico, l’espansione dei mercati finanziari e la progressiva deregolamentazione sul piano interstatale, e nuove strategie competitive sotto il marchio delle trasformazioni microeconomiche avvenute dalla crisi del fordismo. Queste trasformazioni implicano lotte e giochi di interesse che passano attraverso i diritti di proprietà, le barriere del commercio, il dislocamento produttivo; infine vanno considerate un insieme di relazioni che danno una nuova conformazione allo scenario delle relazioni internazionali.

Questi processi di mutamento si svilupparono in un momento in cui la crescita di un nuovo “consenso” faceva sì che gli organismi multilaterali (ad esempio FMI e BIRD) ottenessero un certo risalto insieme a misure di carattere liberalizzante. Da un punto di vista più generale si inseriscono nel contesto della “ripresa dell’egemonia americana” (TAVARES, 1997), dopo un periodo, il decennio degli anni ’70, in cui gli USA subirono una serie di sconfitte sul piano economico e politico [1].

Globalizzazione, flessibilizzazione, apertura... questi sono i significanti del periodo che coincide con il tentativo degli USA di affermarsi non come leader del mondo occidentale, ma come l’unico leader possibile di fronte a tutte le nazioni. Si tratta di egemonia o di costituzione di una forza imperiale? Questa è una delle domande che Fiori nel 1997 elabora a partire dal quadro che si rivela nel decennio degli anni ‘80, in forza di un certo rilancio con cui gli USA riprendono il loro potere politico ed economico. Le “esercitazioni” di guerra, o “giochi militari” che avranno luogo in Medio Oriente (la cosiddetta Guerra del Golfo) già all’inizio del decennio degli anni ‘90, o precisamente due anni dopo la caduta del muro di Berlino, serviranno a ricordare al mondo che esiste una potenza disposta ad esercitare il suo dominio. Per quanto tempo potrà farlo è un’altra questione [2].

È di fronte a questo quadro che assistiamo ad un mutamento importante nelle direttrici dei paesi periferici. Nel caso latino americano, allo stesso modo che per i paesi industrializzati della regione, potremmo parlare di una rottura con il modello di sviluppo, allora caratterizzato dalla sostituzione delle importazioni spinta da uno sforzo regolazionista e interventista dei rispettivi Stati nazionali. A questo punto c’è da fare un’osservazione importante. Gli impatti del cosiddetto processo di globalizzazione, o della ripresa dell’egemonia americana, saranno differenziati per un insieme di regioni periferiche o semi periferiche. È così che, durante il decennio degli anni ’80, poiché l’Asia vivrà un boom di industrializzazione, si porrà il problema dell’egemonia con i nuovi paesi industrializzati e una nuova suddivisione regionale del lavoro, mentre l’America Latina, devastata dalla crisi della moneta e fuori dal circuito dei crediti internazionali, dovrà convivere con impeti iper-inflazionistici ed il calo dei livelli di crescita [3].

L’America Latina andrà a riprendere il suo posto nel sistema di credito internazionale soltanto degli anni ’80. Questo processo di riavvicinamento alle finanze internazionali verrà evidenziato dalla strategia statunitense per il continente, nella quale si inserisce una rottura nelle direttrici della politica economica regionale.

3. La strategia degli USA

La decade degli ’80 rappresenta per gli USA il periodo di uscita dalla crisi della sua politica estera, il cui apice si ebbe con il governo Carter. Già nel 1979, avvolti da problemi crescenti nei conti esteri e interni (i così detti deficit gemelli) il governo americano, nella figura di Mr. Volcker, allora presidente del Federal Reserve, promuove un repentino innalzamento dei tassi interni degli interessi, provocando così una alterazione significativa nei prezzi relativi alle differenti monete internazionali [4].

"Nell’incontro mondiale dell’FMI del 1979, Mr. Volcker, presidente del FED, si ritirò, fu a causa degli USA; da lì aveva dichiarato al mondo che era contro la proposta dell’FMI e degli altri paesi membri, che tendevano a mantenere il dollaro svalutato e ad implementare un nuovo modello monetario internazionale". (TAVARES, Idem: p.33)

Si insediava il regno della “diplomazia del dollaro forte” che avrebbe marcato la futura gestione del presidente Reagan. Questa politica metterà il mondo sotto pressione e lascerà ridotte a brandelli le finanze dei paesi indebitati. Questa politica consiste nell’attrarre le risorse estere per il finanziamento dei successivi deficit del bilancio americano. Questo sarà ancora più importante nella misura in cui il governo americano metterà in pratica la “diplomazia delle armi” che consiste nella strategia militare della corsa agli armamenti (coronata dal progetto “guerre stellari”) che porterà allo strangolamento della capacità di rinnovamento continuato delle armi del blocco oppositore, in questo caso l’URSS.

La posizione del governo americano sarà accompagnata da una forte pressione sugli organismi multilaterali per un allineamento con la politica estera americana. La Banca Mondiale sarà un esempio chiaro della strategia di allineamento che il governo americano pretenderà dai suoi alleati. I programmi di aggiustamento strutturale sorgono esattamente in questo periodo. Nel caso dell’America Latina le pressioni saranno caratterizzate dalle condizioni per l’adeguamento della moneta estera, che esplode ed ha il suo momento cruciale con la moratoria messicana del 1982.

"In the 1980, when the Reagan administration came to power, it criticized the bank for promoting socialism and undermining capitalist development, and pressured tha bank to come into line with the US governments foreign policy aims. The Reagan Budget Director said the Bank, ‘Has not been vigorous in using the leverage inherent in its large lending programmes to press recipient to redirect economies towards a market orientation’”. (WILLIAMS & YOUNG, 1994: p.89).

Tutto è finalizzato a rappresentare un quadro delle zone di influenza della politica estera americana. Fino al 1985 il dollaro andrà valorizzandosi di fronte alle monete degli altri paesi e metterà un pesante fardello sulle spalle dei paesi indebitati, di modo che il governo americano promuoverà una politica interna espansionista finanziata dalle risorse estere. Sul piano dell’economia internazionale dette pressioni prenderanno due direzioni: l’apertura dei mercati esteri e la deregolamentazione competitiva dei mercati finanziari.

Al contempo, con l’aumento dei tassi di interesse il governo americano promuove una progressiva flessibilizzazione delle regole di cambio. Di fatto questo processo è precedente e viene ad essere progressivamente reso effettivo dalla crisi del Bretton Woods all’inizio degli anni ’70; ma effettivamente il peso delle misure di deregolamentazione inizierà a farsi sentire dal decennio degli anni ’80, quando, timorosi di essere emarginati dal mercato di credito internazionale, una serie di paesi promuoverà ciò che per convenzione chiamiamo la “deregolamentazione competitiva” dei mercati finanziari [5].

La deregolamentazione dei mercati di capitali sarà catalizzata dalla nascita di nuovi strumenti finanziari (derivati) e dalle nuove tecnologie di informazione. Anche il profilo degli investitori verrà alterato, con la partecipazione degli investitori istituzionali, principalmente nei fondi pensione e delle compagnie di assicurazione.

La strategia commerciale americana si farà sentire nelle successive negoziazioni del GATT, dove i nuovi temi come il diritto di proprietà intellettuale, concessioni su organismi vivi e altri sono segnati sull’agenda; tutto questo badando bene di usare una forte coerenza con le strategie competitive delle imprese multinazionali dei paesi centrali [6]. Ancora sul piano commerciale, gli USA passano alla difesa di una politica libero-scambista, e sul piano finanziario si ha l’affermazione del ruolo centrale della loro moneta. Internamente la nuova valutazione della moneta americana farà vedere il risultato in un aumento dell’esposizione dell’economia americana e prodotti stranieri, ma permetterà anche un aggiustamento macroeconomico e porrà un freno all’inflazione.

È in questa prospettiva che il consenso liberista va prendendo forza. Tanto Reagan (USA) come la Thatcher (Inghilterra) saranno un’espressione del neo liberalismo nel decennio degli anni ’80; nel primo caso il discorso è più per effetto della politica estera americana che di una politica interna di carattere marcatamente liberale. Il termine "globalizzazione" appare chiaramente come un’espressione di questa strategia estera. Sotto questa espressione si giustifica la necessità dell’apertura commerciale, della liberalizzazione finanziaria e della flessibilizzazione (precarietà) delle relazioni di lavoro. Questo discorso presuppone che il mondo, o sistema di Stati-nazione, attraversi un periodo di “aggiustamento simmetrico” mediante l’aumento degli scambi e dei flussi di capitali. Sotto questo aspetto, temi come quello degli scambi disuguali, delle relazioni asimmetriche di potere o di dipendenza non vengono considerati [7].

La strategia americana porterà effetti sostanziali sul regime di accumulazione su scala mondiale. Sul piano militare la diplomazia delle armi sarà accompagnata dallo smantellamento del blocco sovietico e dall’affermazione degli USA come unica potenza armata con forza sufficiente a prendere decisioni di carattere unilaterale, senza che gli vengano imposte rappresaglie. La diplomazia del dollaro forte sarà sufficiente per la realizzazione della strategia militare, nella misura in cui renderà possibile il finanziamento delle crescenti spese militari. La strategia commerciale, con l’aggressiva difesa del libero-scambio, verrà rafforzata dalla svalutazione della moneta americana a partire dagli anni ’80 [8]; contemporaneamente veniva incitata l’apertura di operazioni internazionali di capitale imprimendo nuova velocità al processo di “globalizzazione finanziaria”. Gli effetti di queste politiche si faranno sentire su scala mondiale globale. Questi effetti non danno conferma alle promesse di un sistema internazionale più armonico. Al contrario, si inseriscono nelle strategie competitive delle grandi imprese multinazionali e dei loro Stati-sede [9], riaffermando la gerarchia tra i paesi centrali e quelli periferici.

4. Gli impatti della strategia americana in America Latina

Come già abbiamo evidenziato, considerare l’America Latina come un tutto porta verso alcuni importanti inconvenienti. In questo caso, per l’eterogeneità strutturale che denota la regione, o per il diverso grado di sviluppo dei paesi latinoamericani. Perciò alcune questioni devono essere tenute in conto. Il peso relativo dei paesi più industrializzati come Messico, Argentina e Brasile tendono ad influenzare significativamente l’insieme degli indicatori macroeconomici della regione, e sotto questo aspetto queste tre economie prenderanno direzioni simili a partire dalla seconda metà del decennio degli anni ’80.

L’insieme delle misure che verranno adottate hanno come base una profonda crisi nei conti esteri della regione, provocata in larga parte dalla politica monetaria degli USA, come descritto nei paragrafi precedenti. Il restringimento estero lascerà l’America Latina fuori dal circuito di credito internazionale durante tutto il decennio degli anni ’80. La conseguenza immediata di questa interruzione di flussi finanziari sarà l’indebolimento della capacità degli Stati di gestire una politica di investimento efficace, nella misura in cui gli sforzi saranno indirizzati nel tentativo di promozione di aggiustamenti difensivi per far fronte ai compromessi esteri. La regione cercherà di rompere i limiti esterni attraverso la creazione di saldi positivi nei conti del commercio, ma ciò non sarà sempre possibile. Il decennio sarà marcato dalla crisi fiscale, da impeti inflazionistici e dalla diminuzione sostanziale dei tassi di crescita. Secondo i dati del CEPAL (1997a) il tasso medio di crescita del PIL regionale non ha superato l’1% nel periodo del 1981-90, mentre la media per il decennio precedente è stata del 5,2%. I dati per le tre principali economie della regione sono eloquenti: Brasile 1,3%, Messico 1,8% e Argentina -0,7%.

I bassi tassi di crescita porranno sotto scacco il modello di sostituzione delle importazioni e daranno impeto sia a critiche radicali sia al ruolo dello Stato come elemento centrale di sviluppo. In maniera diversa nel tempo, ma neanche tanto in intensità, i principali paesi industrializzati della regione saranno investiti da venti liberalizzanti. L’antica discussione della Pianificazione versus Mercato verrà ripresa, ora sotto il chiaro vantaggio dei difensori del market orientation. Contribuiranno a questo anche le successive sconfitte dei tentativi eterodossi di combattere l’inflazione, dei quali il “Piano Australe” (Argentina) e “Centrale” (Brasile) saranno gli esempi più clamorosi. La visione neoliberista sposta l’asse delle cause del basso tasso di crescita regionale e dell’inflazione ad un piano interno. I condizionamenti esterni sono visti come aspetti secondari di fronte al vero problema della regione latino-americana.

Secondo questa visione il problema centrale del processo sostitutivo delle importazioni sarebbe l’inefficiente distribuzione dei fattori, provocati dall’eccessiva presenza degli Stati nella conduzione dell’economia. Gli Stati posseggono una “natura” dispendiosa, cioè spendono più di ciò che guadagnano e spendono male. Corruzione, distorsione nella determinazione di prezzi relativi, informazioni privilegiate, corporativismo, privilegi... Questi sono fattori che in ultima istanza starebbero alla radice dei problemi regionali. Per combatterli, vengono proposti un insieme di aggiustamenti strutturali: riforma patrimoniale (privatizzazioni), apertura commerciale (esposizione delle imprese nazionali alla concorrenza esterna), apertura di conti di capitale (ripresa del credito estero come supplemento all’insufficienza della risparmio interno), infine un insieme di trasformazioni istituzionali di portata considerevole.

L’obiettivo di questo lavoro non è analizzare ognuna di queste misure, ma semplicemente stabilire il nesso esistente tra il movimento generale del regime di accumulazione e il suo impatto regionale. Come presentato nei paragrafi precedenti, il movimento di liberalizzazione risponde principalmente agli interessi della strategia americana di ripresa dell’egemonia. Da un punto di vista più ampio (storico) questa ripresa corrisponde a ciò che Arrighi (1996) descriverà come la fase finanziaria del ciclo sistematico di accumulazione, dove l’espansione materiale (DM) cede spazio all’espansione finanziaria (DM’). Questo passaggio può essere misurato dall’incredibile espansione dei flussi finanziari e dei loro spostamenti parziali del processo reale di accumulazione. All’espansione finanziaria corrisponde un eccesso di liquidità sistemica in cerca di nuovi spazi di valorizzazione. In questo senso il processo di apertura dei conti di capitale che ci sarà in questo periodo darà la possibilità a questi capitali, in forma liquida, di dirigersi verso le diverse regioni producendo un altro fenomeno caratteristico del periodo: l’inflazione degli attivi. In funzione del carattere speculativo che assumono questi capitali, le possibilità di crisi sistemica tornano ad essere più frequenti [10].


[1] “In quegli anni gli americani apparivano in su tutti i piani e su tutti gli scenari mondiali. Nel sud est asiatico, la sconfitta del Vietnam fu seguita, nel campo dei domini, dalla vittoria dei comunisti in tutta l’Indocina, conclusasi nel 1974 e 1975. Nel sud dell’Asia, gli americani persero il controllo dei conflitti tra l’India ed il Pakistan, e l’Unione Sovietica si permise di invadere l’Afghanistan nel 1979. In Medio Oriente gli Stati Uniti persero il suo principale alleato nel 1979, con la vittoria della rivoluzione fondamentalista dell’Iran e furono di nuovo obbligati a sopportare l’umiliante episodio del sequestro dei suoi diplomatici successo nello stesso momento in cui l’OPEC indiceva un nuovo “scontro energetico” nell’economia capitalista. In Africa l’insuccesso delle esperienze di sviluppo dei primi governi indipendenti dettero luogo a regimi che si autoproclamavano socialisti mentre si espandeva l’influenza militare sovietica in Etiopia, Somalia, Angola, Mozambico, Guinea Bissau, Daomé, Madagascar, Zimbabwe e Zaire. E perfino in America centrale si moltiplicarono le guerre civili, in El Salvador e Guatemala, culminando con la vittoria sandinista in Nicaragua”. (FIORI, 1997: p.114)

[2] Tutto va verso un solo significato, dopo gli attacchi dell’11 settembre, e la tentazione verso l’unilateralismo degli USA è molto maggiore, rendendo il sistema di Stati molto vicino a quello di un Sistema Imperiale.

[3] Per una analisi comparativa dell’inserimento internazionale tra l’America Latina e l’Asia nel decennio degli anni ’80 si veda: MEDEIROS, 1997.

[4] L’innalzamento unilaterale dei tassi di interesse americani riguardano l’insieme dei prezzi relativi a causa di due fattori baltici: I) per il ruolo centrale che occupa la moneta americana sullo scenario internazionale e II) dalla relazione esistente tra il prezzo della moneta e il prezzo in generale. Un aumento significativo implica la correlativa diminuzione della liquidità internazionale e un costo addizionale per quelli che detengono passività all’estero denominati in dollari. C’è pertanto una forte trasmissione degli effetti contrattivi per il mondo reale, ossia "il tasso di interesse e il prezzo centrale in un economia capitalista, nella misura in cui le aspettative sulla variazione determinano un certo stato di preferenza tra il possesso di attivi più o meno liquidi e, conseguentemente, definiscono il flusso degli investimenti monetari che determina l’impiego, la rendita e i salari del mondo ‘reale’. (BELLUZO, 1997: p.160-1)

[5] Secondo HELLEINER (1994) le deregolamentazioni rispondono al seguente ordine: 1974 (USA), 1979 (Inghilterra), 1984-85(Australia e Nuova Zelanda), 1988 (tutti paesi della CEE concordano nell’abolire entro due o tre anni i controlli dei flussi di capitali) e anche in Asia e America Latina nella seconda metà del decennio degli anni ’80.

[6] Per un’analisi sulle negoziazioni nell’ambito del GATT si veda NICOLAIDES (1994); secondo l’autore due sono le novità che sorgono dall’Uruguay Round e entrano nell’agenda delle negoziazioni essendo di un certo interesse per i paesi centrali: 1) Trade-related intellectual property rights e 2) Trade-related investment measures. Sulle nuove strategie delle multinazionali si veda GILPIN (1987).

[7] Per informazioni più dettagliate sulle diverse teorie della globalizzazione si veda IANNI (1997).

[8] Nel 1985 (Accordi di Plaza) e nel 1987 (Louvre) avvengono le svalutazioni forzate del dollaro sotto il coordinamento del G7. Queste svalutazioni saranno decise per il dislocamento degli investimenti giapponesi verso l’acquisto sul mercato americano, cercando di approfittare dei prezzi d’occasione così come per fuggire alle restrizioni imposte ai prodotti giapponesi. Anche in questo senso ci saranno una serie di spostamenti produttivi in Asia, riarticolando la divisione regionale del lavoro. Questi dislocamenti produttivi saranno fondamentali per l’avanzamento delle cosiddette "tigri asiatiche". (MEDEIROS: op. cit.)

[9] Per la questione sulle argomentazioni della globalizzazione si veda HIRST e THOMPSON, 1998. Il seguente passaggio è esplicativo delle tesi difese dagli autori: "Il pericolo della retorica della globalizzazione è che tende ad ignorare alcune distribuzioni (distribuzioni disuguali della ricchezza e della produzione): tratta il mondo come un semplice mercato competitivo aperto e la situazione dell’attività economica come dettata solamente da considerazioni commerciali" (p.90).

[10] Un’analisi dettagliata sull’argomento può si può trovare in CHESNAIS (1996). Alle pagine 254 e 255 l’autore presenta un quadro riassuntivo degli scontri finanziari internazionali dal 1970.