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Ernesto Rascato
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L’Osservatorio Meridionale di Cestes è affacciato sul Mediterraneo: il mare dei diritti?

Ernesto Rascato

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Cos’ha il disoccupato trentenne scolarizzato del Marocco di diverso da quello che nell’Italia Meridionale turba i sogni di chi vuole organizzare l’American Cups a Napoli? È una domanda spontanea che è affiorata sulle labbra di partecipanti al Forum Sociale del Mediterraneo nella città partenopea il 4/5/6/ luglio 2003 dopo l’intervento di militanti del movimento dei disoccupati marocchini che hanno narrato dello sviluppo delle lotte sociali in quella parte del mondo, della repressione che subisce e della necessità di legarsi al resto dei movimenti reali di classe dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

L’espansione dei capitali europei nel mercati del Nord-Africa, il loro controllo attraverso gli istituti bancari, gli insediamenti produttivi conseguenti il decentramento delle famose concentrazioni fordiste, stanno riproducendo sostanziali modificazioni sia del mercato del lavoro, sia delle caratteristiche dei paesi e delle città in questione, introducendo tutte le contraddizioni strutturali dei paesi cosiddetti moderni che si sommano a quelle che permangono come le arretratezze tecnologiche, i fondamentalismi, i retaggi della sudditanza post-coloniale, e così via.

La tre giorni di Napoli, che segue il Forum di Rabat e anticipa quello della primavera 2004 a Barcellona, ha visto la partecipazione di delegazioni europee e quelle provenienti dalla Grecia, dal Medio Oriente (Palestina e Israele), dalla Libia e da tutto il Maghreb. Militanti politici, disoccupati, sindacalisti, studiosi, si sono alternati come oratori e hanno stimolato i tavoli delle commissioni. Il tema più ricorrente e più seguito e con dibattiti tra i più partecipati, è stato “Lavoro, non-lavoro e precariato”, tema che ha legato immediatamente i senza lavoro marocchini e i disoccupati napoletani sulle analisi del libero scambio, la delocalizzazione, la flessibilità, le leggi del profitto, lo scambio ineguale nord-sud e dei centri del capitale che hanno sempre bisogno di periferie. Ciò a prova di quanto ormai si stia verificando nella realtà quotidiana che “traduce” quello che le varie conferenze euromediterranee da Barcellona del ’95 a Malta del ’97, Palermo del ’99 e Marsiglia del 2000 hanno più o meno esplicitato nelle dichiarazioni ufficiali che sollecitavano e definivano accordi di partnerariato tra l’Unione Europea e quelli che si presentano come Paesi del Sud Mediterraneo.

Entro il 2012 il Marocco e la Tunisia (e forse l’Algeria) avranno con l’Europa una zona di libero scambio. Seguirà una profonda trasformazione del sistema industriale che già debole, dovrà sopportare la transizione con la concorrenza europea e adeguarsi. Sono già 2.500 le imprese tunisine pronte a questo adeguamento che ha già ben 1,5 miliardi di euro di investimenti. Gruppi del settore tessile e materiale elettrico sono già presenti in Marocco e in Egitto. In Marocco gruppi del settore comunicazioni spagnoli hanno già localizzato “Call center” a Tangeri creando migliaia di posti di lavoro a basso costo dove gli stessi senza lavoro marocchini sono usati dalle strategie delle imprese per ricattare quei “lavoratori moderni” che accettano la filosofia liberista e cioè flessibile.

È intenzione dell’U.E. di creare un’area simile a quella che gli Stati Uniti hanno creato in Messico e nel Centro America con migliaia e migliaia di “fabbriche del sudore” (sweat shops o maquilladores) dove diritti umani e organizzazioni sindacali non esistono e a ciò contribuisce tutta la legislazione di controllo dell’immigrazione dove in parte viene frenata e in parte “indirizzata” per avere un continuo turn-over come esercito di riserva classico.

Negli USA il fenomeno è sperimentato da anni, l’immigrazione clandestina che “serve” è di solito di cinque milioni, con 300/350 morti all’anno e un 1.000.000/1.500.000 di arresti (dati dell’Immigration and Naturalization Service), a maggio 2003 è stimata, forse a causa dello stato di guerra, tra gli 8 e 10 milioni di cui la metà messicana. In Italia la questione grazie alla legge Bossi-Fini si sta rivelando con le stesse caratteristiche ( del resto simili anche in Spagna) dove i rapporti tra governi sono molto stretti; le aziende che investono come la Marelli e la Benetton in Tunisia hanno sgravi, zone franche e persino parte dei finanziamenti che l’Europa destina allo sviluppo di quei paesi (e che vengono pagati dai privati locali al 35 % di interessi bancari in tutta l’Africa) l’altra parte serve per sostenere l’apparato dei regimi (funzionari, polizia, procacciatori, power brookers) che devono garantire afflussi e deflussi.

Uno dei punti degli accordi Euromed riguarda l’ordine pubblico e naturalmente quello che viene chiamato terrorismo e cioè l’attacco a movimenti, organizzazioni, organismi antiliberisti e antimperialisti, di area critica radicale, giornalisti non allineati che osano contraddire i loro governi.

Assordante e cinico infatti è il silenzio della stampa europea e dei nostri governi tanto solleciti in altre situazioni, a riguardo della libertà di stampa in tutti i paesi del Sud Mediterraneo. La stretta censorea è durissima ma voci come quella del sociologo tunisino Mahdi Mabrouk nel recente convegno della Lega Tunisina dei Diritti dell’Uomo 30-31 maggio 2003 stanno diventando sempre più numerosi nel denunciare repressione, razzismo e discriminazioni.

Ad esse si sono affiancate le voci di tutte le delegazioni presenti al Forum Sociale di Napoli; da quelle Palestinesi, che chiedono l’azione di un osservatorio sulla loro terra, a quelle dei sindacalisti di tutto il Maghreb, che chiedono non solidarietà ma azioni comuni con i sindacati europei, di altri che rilanciano la questione decisiva della risorsa acqua, infine centrale per tutti la discussione-ricerca spostamenti migratori est-ovest e nord-sud.

Insistenti sono stati i richiami, oltre al CESTES, per stabilire contatti stretti tra le delegazioni per poter seguire le dinamiche di mutazione del lavoro, della composizione sociale dei paesi dell’area Mediterranea e comprendere assieme cosa intende l’U.E. per “Patti di Sviluppo” e il Brunetta confindustriale quando afferma che “...l’Africa ha bisogno di capitalismo e democrazia” (Sole 24 Ore del 12/07/03).

Comunque fondamentale è stato il confronto di militanti, lavoratori, e democratici nel Forum Mediterraneo dove per la prima volta ha operato l’azione unitaria e coinvolgente della “Rete per i diritti sociali e il reddito”. Essa, oltre a lanciare la proposta di un dibattito sulle forme di lavoro e precariato, ricordando le giornate del G8 a Genova, ha sostenuto la necessità di inserire nell’agenda sociale la questione del reddito sociale garantito che potrebbe diventare una battaglia appunto del Mediterraneo, che un sindacalista tunisino ha proposto di chiamare il Mare dei Diritti.