Rubrica
Il punto, la pratica, il progetto

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Francesco Maranta
Articoli pubblicati
per Proteo (2)

Consigliere Regionale P.R.C. Regione Campania

Argomenti correlati

Reddito di cittadinanza

Reddito sociale minimo

Nella stessa rubrica

Forum: Crisi e organizzazione di classe

L’Osservatorio Meridionale di Cestes è affacciato sul Mediterraneo: il mare dei diritti?
Ernesto Rascato

Il reddito sociale di cittadinanza della Regione Campania: dall’idea alla pratica
Francesco Maranta

 

Tutti gli articoli della rubrica "Il punto, la pratica, progetto"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Il reddito sociale di cittadinanza della Regione Campania: dall’idea alla pratica

Francesco Maranta

Formato per la stampa
Stampa

Napoli. L’undici luglio con l’approvazione dell’articolato normativo da parte della Giunta Campania siamo entrati nella fase finale dell’approvazione della legge sul reddito sociale di cittadinanza. Con l’approvazione in Consiglio, la Regione Campania, prima in Italia, disporrà di un provvedimento di grande importanza. Come si è giunti all’approvazione di questo provvedimento, quali i suoi contenuti, che passi compiere per il futuro, sono i punti che desidero, brevemente, approfondire. Prima, però, vorrei fare alcune considerazioni introduttive. Questo provvedimento non sarebbe stato possibile, se non ci fosse stata una caparbia e continua opera di riflessione, di dialogo, di iniziativa politica di un movimento politico-sindacale che ha portato nelle piazze italiane milioni di persone. Senza questo lavoro, che ha creato un clima favorevole nelle parti più attente del centro-sinistra, non sarebbe stato possibile riuscire in questo obiettivo, apparentemente irraggiungibile. Perché, e qui entriamo nel merito, quando una proposta come quella del reddito di cittadinanza viene presentata a livello regionale, anche il suo portato teorico muta. Sappiamo bene che è, in primo luogo, compito dello Stato assicurare la tutela del diritto al lavoro e, aggiungiamo noi, al reddito. In effetti le proposte e il dibattito sul reddito di cittadinanza ha sempre avuto come ideale interlocutore e ambito di applicazione, l’intero territorio nazionale.

Eppure nel corso rapido di questi ultimi anni, l’equilibrio dei poteri istituzionali si è profondamente modificato, con l’accelerazione dei processi di unificazione europea da un lato e, dall’altro, un federalismo che, pur con la nostra ferma opposizione, si è ormai costituzionalizzato. In questo quadro, il terreno regionale assume importanza inconsueta. Le competenze in capo alle regioni sono tali da determinare diversi modelli di vita per i cittadini di diverse regioni. Basti per tutti l’esempio del modello sanitario lombardo, che tende verso una esasperata privatizzazione, e quello campano che, pur tra infinite difficoltà e battaglie, è ispirato dai principi dell’inclusione e del ruolo pubblico dell’assistenza sanitaria. Se è vero quindi che la Regione non dispone, allo stato dei fatti, di una propria capacità impositiva sul piano fiscale e che è ancora legata ai trasferimenti di risorse dallo stato nazionale, è pure vero che andiamo in una direzione in cui le politiche sociali e di welfare dovranno articolarsi anche su base regionale. È in questi termini e in base a queste considerazioni che è maturata la nostra proposta sul reddito sociale di cittadinanza. Nell’ambito delle molte politiche della regione Campania, comprese quelle politiche attive per il lavoro e la creazione d’impresa, è necessario elaborare politiche di welfare regionale. Le politiche sociali di sostegno ai redditi sono norme di civiltà. Il trasferimento di risorse può avvenire con la fornitura di servizi gratuiti, dal trasferimento diretto di reddito, da un insieme delle due politiche. Non abbiamo alternative. È naturale che una Regione, da sola, non potrà mai sostituirsi alle politiche nazionale e non è certo questo il nostro obiettivo. È vero però che nulla impedisce ad una Regione a sperimentare politiche più avanzate e di stampo opposto a quelle nazionali. È su questo tipo di provvedimenti che si misura la qualità di una coalizione, il senso di un’alleanza con il centro sinistra, il ruolo di Rifondazione Comunista.

In secondo luogo dobbiamo chiarire la portata concettuale di reddito sociale di cittadinanza. Cittadinanza è appartenenza a una comunità. È questa che deve farsi carico di chi, altrimenti, non ha alternative. E questo appartenere alla comunità non è fondato sulla nazionalità ma sul risiedere e partecipare alla vita di un luogo, qualunque sia il territorio di provenienza. È per questo che il reddito va dato a tutti i residenti, comunitari ed extracomunitari. Opporsi alla globalizzazione significa anche globalizzare le politiche sociali. L’assegnazione di un reddito di cittadinanza non è una forma di assistenza che vuole porre gli individui nella dipendenza di uno Stato (o regione) caritatevole. Non deve dispensare dal lavoro ma rendere effettivo il diritto al lavoro. Deve essere inseparabile dallo sviluppo delle capacità individuali, dall’accesso alle forme di conoscenza, di trasmissione dei saperi. È una misura di sostegno in un paese, è bene ricordarlo, che, a differenza degli altri paesi dell’Unione, non prevede forme di sostegno continuate, per le persone espulse o mai entrate nel processo produttivo. Ogni persona deve avere diritto a cercare il lavoro che meglio lo soddisfa, a trovare forme di sostegno che, nei periodi in cui il mercato li ha messi da parte, consentano un’attesa formativa e non angosciante. Sulla base di queste considerazioni Rifondazione Comunista ha intrapreso una complessa battaglia. In primo luogo nell’individuazione delle risorse. Abbiamo accettato che la Regione vendesse parte del suo patrimonio non funzionale all’attività pubblica ( un distributore di benzina, un albergo, etc.) e vincolasse, in bilancio, i ricavi di questa vendita a finanziare una misura come il reddito di cittadinanza. Poi si è aperto il confronto con la maggioranza e sul testo da definire.

Diciamo subito, che il testo così come approvato dalla Giunta accoglie solo parzialmente le nostre richieste. Prima di tutto individua come beneficiari le famiglie, mentre il reddito deve, secondo noi, riguardare gli individui. Poi è necessario ampliare il numero di beneficiari (attualmente il provvedimento dovrebbe interessare tra le 20.000 e le 30.000 famiglie) e rendere più ampi i criteri di accesso e deve, chiaramente, includere gli immigrati. Alcune modifiche saranno possibili, crediamo, in sede consiliare, nonostante la differenza di vedute tra noi e il resto del centro sinistra troppo timoroso sulle questioni sociali. Ma non possiamo non dirci, con moderazione, soddisfatti per un provvedimento che apre una strada finora non percorsa e che accoglie un principio importante, il diritto al reddito, come requisito indispensabile per l’inclusione sociale. Ma non solo. La norma prevede anche una serie di misure di sostegno come borse di studio, il sostegno a percorsi formativi, di inserimento lavorativo, di emersione dal lavoro irregolare.

È evidente che si tratta di una sperimentazione, di una misura che dovrà trovare l’adeguata applicazione. Ma è una sperimentazione necessaria. Che apre la via ad una serie di lotte che, mi si passi l’espressione obsoleta, siano più avanzate. Non solo una politica di difesa, ma anche la possibilità di avanzare sul terreno delle conquiste sociali. Perché sul reddito, ancora prima della sua definizione normativa, sono già piovute numerose critiche, da sinistra e da destra, da chi pensa che gli unici aiuti non tacciabili di assistenzialismo siano quelli alle imprese a chi ritiene lo stato sociale un retaggio del passato. Ma nonostante ciò non abbiamo visto sul terreno altre proposte più valide nella lotta alla povertà e all’esclusione. È un tentativo, una ricerca di elaborazione, inserita in una serie di altre politiche, di un sistema sociale regionale. Pensare che il reddito sia di per sé sufficiente farebbe torto all’intelligenza di chi scrive e di chi legge. Ma pensare che chi è senza lavoro possa trovare una possibilità di inclusione attraverso il mercato e il lavoro interinale fa torto all’intelligenza di tutta la sinistra.

Il testo della Giunta Regionale: un testo da cambiare!

SCHEMA SULLA LEGGE SUL REDDITO DI CITTADINANZA DELLA REGIONE CAMPANIA

Principi

* La Regione Campania considera il reddito di cittadinanza una prestazione concernente un diritto sociale fondamentale dei cittadini

* Il reddito di cittadinanza rientra nei livelli essenziali delle prestazioni sociali da garantire su tutto il territorio nazionale nell’ambito delle politiche di inclusione e coesione sociale promosse dalla Comunità Europea

Beneficiari

* Ai residenti da almeno 24 mesi nella Regione Campania che si trovino nelle condizioni di cui all’articolo 3 è assicurato il reddito di cittadinanza come misura di contrasto alla povertà e all’esclusione, e come strumento teso a favorire condizioni efficaci di inserimento lavorativo.

* Hanno diritto al reddito di cittadinanza le famiglie anagrafiche che ne facciano richiesta e abbiano un reddito annuo stimato inferiore a e. 5.000,00.

* La prestazione monetaria di cui all’articolo 2, comma 2 è erogata al componente della famiglia anagrafica di cui al comma 1, identificato come il richiedente

* Possono beneficiare degli specifici interventi mirati all’inserimento scolastico, formativo e lavorativo, i singoli componenti delle famiglie anagrafiche di cui al comma 1, senza limiti di numero.

Tipo di intervento

* Il reddito di cittadinanza consiste in una erogazione monetaria mensile di 300 euro al nucleo familiare e in specifici interventi mirati all’inserimento scolastico, formativo e lavorativo dei singoli componenti.

Modalità di calcolo del reddito

* Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Giunta della Regione Campania definisce, con apposito regolamento, le modalità specifiche di calcolo del reddito stimato individuando le modalità di utilizzo dell’indicatore di situazione economica equivalente, ISEE, adottato dall’INPS, ai fini della individuazione degli aventi diritto, in relazione alle risorse disponibili.

Modalità di gestione dello strumento

* La gestione delle erogazioni relative al reddito di cittadinanza è assicurata dai comuni degli ambiti territoriali costituiti con DGR. 1824 del 4 maggio 2001 e DGR 1376 del 4 aprile 2003, in applicazione alla legge 8 novembre 2000, n. 328.

* L’organizzazione e la gestione della misura del reddito di cittadinanza è programmata all’interno dei piani sociali di zona, prevedendo procedure unitarie per la pubblicizzazione della misura, per la presentazione, la selezione e l’accoglimento delle richieste, la verifica delle condizioni che danno diritto alla prestazione, l’integrazione con altri soggetti e servizi. Nell’ambito dei piani sociali di zona il Comune capofila coordina l’organizzazione territoriale della misura, il raccordo con le Asl, con i Centri per l’Impiego, con gli Enti preposti al controllo e le altre Istituzioni.

* Ciascun comune riceve e seleziona le domande sulla base della verifica delle condizioni dichiarate da ciascun richiedente, ne trasmette la documentazione al comune capofila, provvede all’erogazione dei fondi assegnati ed effettua controlli sulle prestazioni erogate.

Progettazione degli interventi

* Il Comune, sulla base delle istanze ricevute seleziona gli aventi diritto e progetta per ciascuno di essi l’intervento complessivo, prevedendo, oltre all’erogazione monetaria, le misure idonee a perseguire le finalità di cui all’articolo 2, concordando gli opportuni interventi di altri enti istituzionali.

* Possono in particolare essere previste le seguenti misure:

a) sostegno alla scolarità nella fascia d’obbligo;

b) sostegno alla scolarità e alla formazione degli adolescenti e dei giovani;

c) accesso gratuito ai servizi sociali e socio-sanitari;

d) misure tese a promuovere l’emersione del lavoro irregolare o l’avvio all’autoimpiego attraverso percorsi che permettano l’utilizzo di risorse regionali;

e) misure tese a promuovere l’accesso ai dispositivi della politica del lavoro regionale indirizzati alla formazione e di incentivo all’occupazione