Rubrica
Analisi-inchiesta: il movimento dei lavoratori tra cambiamento e indipendenza

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Luciano Vasapollo
Articoli pubblicati
per Proteo (48)

Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
Articoli pubblicati
per Proteo (36)

Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

Sabino Venezia
Articoli pubblicati
per Proteo (7)

Coordinamento Nazionale RdB Pubblico Impiego

Argomenti correlati

Tutti gli articoli della rubrica "Trasformazioni sociali e sindacato"

Tutti gli articoli della rubrica: analisi-inchiesta

Classe operaia

Sindacato

Nella stessa rubrica

Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (seconda parte)
Rita Martufi, Luciano Vasapollo, Sabino Venezia

 

Tutti gli articoli della rubrica "Teoria e storia del movimento operaio"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (seconda parte)

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Sabino Venezia

Dal conflitto permanente alla “partecipazione” concertata

Questo lavoro costituisce una prima bozza di discussione che la redazione di PROTEO presenta ai propri lettori dalle cui osservazioni ci proponiamo non solo di “imparare” su un argomento storico-economico tutto aperto, e in cui sicuramente non siamo specialisti, ma anche di prender spunto per le eventuali correzioni di impostazione e gli ulteriori approfondimenti.

Formato per la stampa
Stampa

Solo verso la fine del decennio degli anni ’70, grazie alla riproposizione del contesto politico e sindacale che ne aveva determinato la nascita e grazie anche alla corretta individuazione degli elementi che ne avevano decretato la fine, si svilupperanno modelli simili di sindacalismo di base che faranno dell’indipendenza dai partiti la strategia di lunga durata e della coerente rappresentanza della base lo strumento di lotta quotidiana.

Coordinamento Macchinisti Uniti (COMU) e Rappresentanze Sindacali di Base (RdB) (oltre ad una innumerevole galassia di realtà territoriali che al loro modello si rifanno) nasceranno nelle fabbriche ma ben presto si svilupperanno anche tra i lavoratori del Pubblico Impiego, con dinamiche diverse. Successivamente nasce l’esperienza della realtà sindacale della Confederazione di Base della Scuola (COBAS Scuola, poi estesa a vera Confederazione).

Le RdB, dall’esperienza del precariato (L. 285/80), si affermano poi come realtà sindacale consolidata, con strutture di federazione radicate su tutto il territorio nazionale, fortemente caratterizzata da una attenta analisi e da una corretta strategia che ne legittima il peso sullo panorama sindacale nazionale. Le RdB sapranno coniugare gli elementi portanti dell’esperienza dei sindacati di base del decennio precedente (l’indipendenza dai partiti e il costante rapporto con la base) adeguando costantemente le strategie alla fase politica di riferimento, con un occhio sempre attento (dalla base) all’involuzione delle dinamiche sociali frutto del capitalismo neoliberista ed un altro vigile sullo scenario internazionale. Le Rdb saranno elemento indispensabile per la costruzione della Confederazione Unitaria di Base (CUB), da alcuni anni unica realtà di base tra le Confederazioni maggiormente rappresentative presenti nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL).

I COBAS si sviluppano come soggetto politico-sociale che si serve anche dell’azione sindacale come strumento di alternativa e antagonismo alle politiche liberiste,

- Quaderni Rossi (QR) [1] è la prima rivista di operaismo a cimentarsi in una analisi politica del movimento operaio attraverso una indagine sociologica specifica: l’inchiesta operaia.

L’indagine parte dalla FIAT e per la prima volta si analizzano concretamente le condizioni di vita e di lavoro nella fabbrica; lo studio non si ferma alla FIAT e il modello di inchiesta viene esportato in altre fabbriche del Nord. Il risultato è significativo già nel fatto che si individuano due tipologie di operaio:

- operai con anzianità di lavoro medio / alta, ben integrati nel tessuto sociale di riferimento, iscritti prevalentemente al PCI ed alla CGIL con un profondo attaccamento al lavoro ed alla propria azienda

- operai giovani, prevalentemente immigrati dal Centro-Sud e difficilmente integrati nel contesto sociale, spesso non iscritti a PCI/CGIL,con una bassa qualifica, addetti alla catena di montaggio e con salari molto bassi; è questa la figura dell’“ operaio massa”.

La rivista si occuperà prevalentemente dell’organizzazione del lavoro e dei rapporti sociali insistendo sul concetto di autorganizzazione operaia nelle fabbriche. Il gruppo dei Quaderni Rossi avvierà percorsi politici strutturando momenti permanenti di analisi a Torino, Milano, Ivrea, Biella, M. Carrara, ecc. Molte strutture della sinistra tradizionale (che avvertono la necessità di comprensione della fase) si dimostreranno sensibili all’iniziativa: la FIOM a Torino, la sezione università del PCI a Roma, i giovani del PSIUP a Bologna. Successivamente questi gruppi si incontreranno sempre più con gli operai politicizzatisi con le lotte del 68-69 ed anche da queste aggregazioni prenderanno vita alcuni dei più importanti movimenti della nuova sinistra: Lotta Continua e Potere Operaio per primi [2].

4. Il sindacato cavalca la protesta, i padroni la reprimono

La forte crescita economica degli anni ’60 ha prodotto ingiustizie nel mondo del lavoro. Alla fine di questo decennio, l’Italia sarà un paese industrializzato e competitivo rispetto agli altri Paesi, e la classe operaia sarà costretta a pagare un prezzo altissimo in termini di sfruttamento e di bassi salari.

“Si considerino, innanzitutto, i dati relativi all’incremento della produttività. Nel periodo 1959 - ’68, nel complesso dell’industria italiana la produttività del lavoro è aumentata del 61,8%. Nell’industria manifatturiera, invece, tale aumento è stato ancora superiore: esattamente del 76,6%. Incrementi della produttività tanto rilevanti come questi non si riscontrano nella evoluzione economica della stragrande maggioranza dei paesi capitalistici.

La filosofia dell’efficienza, che ha sorretto il processo di ristrutturazione tecnico produttivo e finanziario avviato nel momento stesso in cui esplodeva la congiuntura favorevole, ha comportato infatti un tipo di investimento la cui caratteristica fondamentale è consistita nella combinazione di radicali innovazioni nell’organizzazione del lavoro e di relativamente modeste introduzioni di nuovi beni capitali. Da ciò una impressionante e intollerabile intensificazione dello sforzo fisico e psichico richiesto ai lavoratori, che ha finito per dare tanto rilievo ai problemi della salute e della loro tutela fisica. Tutto questo peraltro è stato favorito dalle condizioni generali di larga sottoutilizzazione della forza - lavoro disponibile, che continuano a caratterizzare il mercato del lavoro in Italia e che influenzano, quindi, pesantemente la condizione operaia in modo sia diretto (perché il lavoratore quando non è sfruttato è disoccupato) che indiretto.

La dinamica salariale estremamente contenuta che ha caratterizzato nell’insieme questo periodo è stata anch’essa il riflesso della vasta disoccupazione presente nel mercato del lavoro, in Italia”  [3].

Questo particolare periodo di fermento politico e sociale, alla fine degli anni sessanta, si caratterizza con le lotte per il rinnovo dei contratti; CGIL CISL UIL proseguono nella logica unitaria forzati in senso rivendicativo da una ormai consolidata voglia di nuovo che viene dal movimento operaio; le piattaforme stesse sono realmente innovative, complici anche i “riscoperti” strumenti partecipativi che costringono il sindacato confederale ad osare prepotentemente.

Da parte loro i sindacati, per non perdere il consenso operaio, proprio perché questi scontri erano avvenuti su base autonoma [4], avvia altri cicli di lotte, volti a modifiche di carattere prettamente normativo. Si delinea, così, un doppio ciclo di proteste, i primi provenienti dalle fabbriche, mentre gli altri dai vertici sindacali per tentare di recuperare il consenso di classe. Tale lotta, condotta in alcuni casi valicando i limiti della legalità avviene anche lontano dai confronti strettamente contrattuali, coinvolgendo tutto il Paese.

La reazione padronale sarà dura, il muro delle negazioni darà il via ad una serie di manifestazioni che troveranno lo Stato impreparato e rigidamente incline alla repressione, complice anche una destra spesso silente ma sempre pronta ad approfittare dei momenti di difficoltà per sviluppare strategie golpiste. Le risposte alle lotte per il rinnovo dei contratti e alle battaglie sociali che hanno già caratterizzato gli anni immediatamente precedenti, renderanno più esplicita quella “strategia della tensione” che vedrà nelle bombe del 12 Dicembre del ’69, il primo momento di sintesi tra la connivenza di alcuni settori repressivi dell’apparato dello Stato e il prepotente squadrismo fascista, mai combattuto dallo Stato e da sempre al soldo della borghesia; quello squadrismo spontaneamente utilizzato durante la contestazione studentesca, debolmente organizzato nel florido periodo dello sviluppo della sinistra extraparlamentare e strutturalmente funzionale nelle “stragi di Stato” che segneranno, da quel 12 Dicembre, piazza Fontana, l’intera vita del Paese.

In questo contesto il sindacato italiano rischia per la prima volta di perdere il ruolo da protagonista a vantaggio dei lavoratori; ovunque, nelle assemblee, si registra una crescente insofferenza rispetto ad organismi, personaggi e metodi del sindacato tradizionale, rifiutato spesso per la sua inadeguatezza.

Le Commissioni Interne, sovente usate dal sindacato confederale per giustificare la distanza degli organismi dalla base, non assolvono la necessità di partecipazione dei lavoratori che le scavalcano, nonostante la strenua difesa delle direzioni, e che cominciano a sperimentare i Consigli dei Delegati, organismi “di democrazia diretta che, dunque, è estremamente complicato controllare; sono organismi di democrazia operaia, non sindacale, dunque, ancora più difficili da tenere al guinzaglio perché rappresentano tutta la classe, non soltanto i tesserati, e perché si pongono su un terreno molto più ampio, generale, schiettamente politico e, quindi, con un potenziale tendenzialmente dirompente” [5].

Si strutturano, di fatto, organismi democratici che privilegiano la dialettica interna, il confronto delle idee e delle proposte e dove l’appartenenza ad un sindacato è irrilevante ai fini della rappresentanza.

I Consigli di Fabbrica, semplice coniugazione del precedente in ambito industriale, rappresenteranno la più “gramsciana” forma di sindacato di classe mai esistita, saranno il sindacato in fabbrica e non la base del sindacato confederale in fabbrica, anzi saranno costantemente denigrati e delegittimati dalle centrali sindacali che tenteranno sempre di ricondurli a propria struttura di base. Lo sviluppo di tale importante esperienza, poco approfondita e studiata per essere ridimensionata a semplice casualità della fase politica, porterà fuori dalle fabbriche, là dove è indispensabile cogliere le necessità, i bisogni del territorio ed i riflessi del lavoro nella vita sociale e politica, sperimentando la capacità e la forma attraverso la quale la classe operaia garantisce la sua direzione, non solo in fabbrica ma anche sulla società. A tali organismi, i Consigli di Zona, sarà riservata lo stesso ostruzionismo dei CdF fino a ricondurli nelle “leghe territoriali” e quindi sotto il controllo dei sindacati confederali.

Sul versante sociale, il biennio ’68-’69 caratterizzò la spinta verso la democratizzazione attraverso la messa in discussione del concetto di autorità.

Il datore di lavoro non deve essere più il “padrone”, come si diceva allora e si era sempre detto, e i lavoratori non devono essere i suoi “sudditi”, bensì collaboratori in una struttura organizzativa di cui il datore di lavoro è il “dirigente”, il “coordinatore”.

Lo Statuto dei lavoratori, approvato nel maggio del 1970 sotto la spinta del famoso “autunno caldo” del ’69, fornì le condizioni per la realizzazione di quel sogno.

Il sogno di un lavoratore con una propria dignità, libertà e consapevolezza dei propri diritti.

La norma fondamentale fu certamente l’art. 18, nei confronti del quale oggi rischia di realizzarsi il sogno contrario degli imprenditori, la sua abrogazione o per ora sospensione.

L’art. 18 consente, nelle imprese con più di 15 dipendenti, un’effettiva tutela del lavoratore licenziato ingiustamente. Non più solo il risarcimento dei danni, ma la “reintegrazione” nel posto di lavoro: il datore di lavoro è cioè obbligato a riammetterlo in azienda e a farlo lavorare.

È una rivoluzione!

Prima dell’introduzione dell’art. 18 erano pochissime le cause di lavoro introdotte durante il rapporto e lo stesso avviene ancora oggi per le imprese fino a 15 dipendenti.

Infatti, senza lo scudo dell’art. 18, di fatto il lavoratore non faceva valere i propri diritti, né individuali nè collettivi, nel corso del rapporto per paura di essere licenziato ed era quindi soggetto a qualsiasi abuso da parte del datore di lavoro.

La norma consente quindi l’effettivo esercizio dei diritti del lavoro, senza paura di eccessive ritorsioni.

Un altro articolo dello Statuto, d’altra parte, vieta qualsiasi atto o patto discriminatorio (art. 15, che troverà poi un’importante conferma nella legge del 1977 per la parità tra uomini e donne nel lavoro): l’imprenditore non è più il dittatore dell’impresa!

Il sindacato non è più una presenza quasi segreta, cospiratrice, ma entra a pieno titolo nella vita dell’azienda, può fare proseliti e raccogliere contributi alla luce del sole, può affiggere comunicati ed organizzare referendum ed assemblee e l’imprenditore deve assicurargli bacheche e locali, ha diritto a permessi, anche retribuiti, per i suoi rappresentanti, è tutelato in modo efficace e rapido contro i comportamenti antisindacali dell’imprenditore.

Lo Statuto tutela, inoltre, il lavoratore sotto ogni profilo, garantendo la dignità e la libertà di manifestare il proprio pensiero, vietando l’uso di impianti per il controllo a distanza e gli accertamenti sanitari diretti, limitando le visite personali di controllo, regolando il procedimento disciplinare e consentendo soprattutto al lavoratore di difendersi prima della sanzione, vietando la dequalificazione (spostamento a mansioni peggiorative), anche con il consenso del lavoratore.

All’acme della parabola il lavoratore sembra davvero definitivamente diventato persona anche dentro l’azienda” [6].

Gli anni ’60 si chiudono all’insegna della lotta con una vittoria sostanziale del mondo del lavoro e con un ruolo nuovo dei lavoratori sulla scena politica. Gli aumenti salariali, la riduzione dell’orario di lavoro e la conquista delle ore di assemblea sindacale, saranno il sintomo concreto di una nuova fase rivendicativa in termini di diritto che segnerà il suo momento più alto con l’approvazione dello “Statuto dei Lavoratori” e con esso delle regole che ricollocano: il lavoratore come soggetto attivo della propria salute e il mondo sindacale nelle condizioni di trasformare profondamente la sua presenza sui luoghi di lavoro [7].

Se le lotte per le riforme ottengono dei risultati che saranno apprezzati soltanto nel tempo, le battaglie per le conquiste normative portano dei riscontri immediati. Infatti, vengono abolite le cosiddette “gabbie salariali”, ossia quello strumento che manteneva differenziali di costo del lavoro tra le diverse aree (8), vengono concesse ai lavoratori dell’industria 150 ore annuali per attività formative, vengono istituite apposite tutele di natura procedurale nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro. Come si è detto raggiungendo l’apice nel 1970 con l’emanazione dello Statuto dei Lavoratori.

Sul versante più propriamente politico la tensione resta altissima, al fianco degli operai migliaia di studenti si uniscono alla lotta attratti dal desiderio di cambiamento che pervade la gioventù di tutto il mondo, e accanto ad essi ampi settori di classi intermedie e di intellettuali a legittimare un percorso verso il progresso, permanentemente mobilitati ed attenti ai risvolti sociali, economici e politici in campo nazionale e internazionale.


[1] Nel 1961 esce il 1° numero di Quaderni Rossi caratterizzati per tutto il corso della loro esistenza dalla attenzione costante alla condizione operaia, allo scontro di fabbrica,per la conquista continua e graduale di potere operaio, poiché “nella grande fabbrica, quando nasce la coscienza di classe, l’operaio avverte con esattezza la potenza organizzativa e tecnica del capitalista, sa che è lì che si decidono le cose, impara che il potere di decisione del padrone sul suo lavoro è anche di decisione della sua vita e quella dei suoi compagni...”. V. Foa, “Lotte operaie nello sviluppo capitalistico”, in “Quaderni Rossi”, 1961, 1, pp.10-11.

[2] Per approfondimenti : www.xs4all.nl/cronologia.htlm www.cronologia.it www3.iperbole.bologna.it/asnsmp/index.htm

[3] E. Peggio, “Capitalismo Italiano Anni ‘70” Editori Riuniti - Febbraio ‘70, pag. 71 e seg. Eugenio Peggio nel 1966 è stato segretario del CESPE - il Centro Studi di Politica Economica del PCI.

[4] Risalgono a questo periodo la nascita dei CUB (Comitati Unitari di Base), dei Consigli di Zona e dei Consigli di Fabbrica. Quaderni Cestes, n.9, anno 2002.

[5] S. Manes, - “Questione sindacale ed esperienze extraconfederali negli anni ‘60” - oggi in Quaderni CESTES n.9 pag. 78

[6] G. CANNELLA (magistrato di Corte d’Appello) pubblicato su “D&L, Riv. crit. dir. lav.” 4/2001, p.873. L’articolo, che è pubblicato anche su Omissis (www.omissis.too.it), e sul numero monografico di marzo 2002 della rivista “Il Ponte” intitolato “Quale governo quale giustizia”, riproduce la relazione introduttiva per l’assemblea pubblica e dibattito dal titolo “No al lavoro senza diritti”, organizzata a Roma il 14/12/01 dal Forum Diritti-Giustizia (Social Forum Roma-Antigone, Cred, Giuristi democratici, Progetto diritti, Camera del lavoro e del non lavoro, Cobas, Rdb, Avvocati progressisti italiani, Magistratura democratica romana).

[7] Per approfondimenti: D. Francisconi - “Lavoratori e Organizzazione Sanitaria” - De Donato Editore - Bari 1978.