Il Brasile nel cambiamento mondiale: spazi in disputa
José Luis Fiori
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È in questo contesto che è stata eletta una nuova
coalizione di forze politiche e sociali guidate da un partito di sinistra con un
progetto popolare e nazionale di democratizzazione dello sviluppo. Un progetto
il cui successo dipenderà dalla capacità governativa di mobilitare il popolo e
costruire una volontà nazionale, obbligando le elite a voltarsi verso la
propria terra e gente. Ma questo non accadrà senza che il Brasile assuma una
posizione combattiva in campo internazionale, abbandonando la strategia del
governo Cardoso e la parte dell’elite brasiliana che ha sempre sperato in una
relazione privilegiata con gli Stati Uniti, in una nuova versione del vecchio
“sviluppo a invito” del dopo II Guerra Mondiale, dove il paese abdica al suo
progetto nazionale e a qualsiasi pretesa egemonica, in cambio di qualche tipo di
accesso più privilegiato al mercato interno americano.
4. Il Brasile nel mondo: lo spazio in disputa
L’eccentricità del Brasile in relazione alle principali
scacchiere geopolitiche del mondo, e la sua relativa irrilevanza come potenza
militare, collocano i temi economici in primo piano nella sua politica estera.
Ma in campo internazionale è molto difficile separare la politica dall’economia,
ed è poco probabile che un paese riesca ad imporre i suoi interessi economici
se non ha, allo stesso tempo, una presenza importante sul campo politico. E, nel
caso brasiliano, un paese senza pretese militari né espansionistiche, questa
presenza politica può essere basata soltanto su una leadership di tipo
intellettuale ed etico, e soprattutto sulla coerenza, consistenza e permanenza
delle sue posizioni nello scenario internazionale e dentro ognuna delle
organizzazioni multilaterali dove ancora si esercita oggi, nonostante tutto, un
governo mondiale basato sulla multilateralità.
A grandi linee, la politica estera di questi primi nove mesi
di governo Lula sembra innovatrice e corretta, quando afferma la sua priorità
sud-americana e del Mercosur, e stabilisce, a partire da li, e da temi ed
interessi specifici, una serie di ponti ed alleanze possibili con Africa e Asia,
come accaduto nel G21, nella riunione a Cancun della OMC, e come sta succedendo
nelle negoziazioni del G3, con l’Africa del sud e con l’India. O ancora,
come sta succedendo nelle nuove compagnie tecnologiche con l’Ucraina, la
Russia, la Cina, o con i progetti infra-strutturali con Venezuela, Bolivia,
Perù e Argentina. In tutti i casi, ciò che si vede è l’affermazione di una
nuova politica estera, attiva, presente, basata sull’interesse nazionale
brasiliano, e sull’affinità storica e territoriale del Brasile con il resto
dell’America del sud.
Ma non ci sono dubbi che le principali dispute che si
annunciano e accumulano all’orizzonte gireranno in torno alle divergenze
economiche ogni volta più stridenti che separano le posizioni delle Grandi
Potenze e della maggior parte dei paesi avanzati, e gli interessi dei grandi
paesi in via di sviluppo. In questo senso, le dispute immediate da affrontare
per il Brasile hanno nome e cognome, e si chiamano FMI, ALCA e il Giro di Ruota
Doha della OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio). Sono tre gli spazi dove
il Brasile sta definendo, nei prossimi mesi, o al massimo fino alla fine del
prossimo anno, le coordinate fondamentali del suo futuro economico. Dove sta
facendo la sua scelta tra il progetto del governo Cardoso che aderì con
entusiasmo “all’imperialismo volontario dell’economia globale, gestito da
un consorzio internazionale di istituzioni finanziarie”, e un vero progetto di
sviluppo nazionale. Il governo ha seguito fin qui il cammino della seconda
opzione, e per questa strada il Brasile affronterà in queste tre negoziazioni
enormi difficoltà. Vediamo:
I. In relazione alla Rodada (Giro di Ruota) Doha della OMC.
Nonostante il protezionismo agricolo dei paesi avanzati, sono in questione i “nuovi
temi di Cingapura”, facendo investimenti, compere governamentali,
facilitazioni di commerci, etc. Ancora una volta, in sintesi, la proposta dei
paesi ricchi porterebbe alla libertà dei loro capitali e all’arresto delle
politiche pubbliche dei paesi in via di sviluppo. E come sempre, la minaccia di
vendetta arriva insieme con la promessa dei formidabili benefici che
arriverebbero con l’adesione al libero commercio e l’abbandono delle
politiche nazionali. Oggi, la Banca Mondiale fa delle previsioni estremamente
ottimiste sui vantaggi che tutti avrebbero con le nuove regole proposte dai
paesi avanzati. Ma la verità è che la stessa Banca Mondiale fece previsioni
analoghe alla fine della Rodada Uruguai, nel 1993, e successe esattamente il
contrario durante gli anni ’90. Invece della convergenza della ricchezza delle
nazioni, ciò che si ebbe fu un aumento enorme del divario tra ricchi e poveri.
II. In relazione all’ALCA, la prima questione che deve
essere chiara è che l’agenda delle trattative è stata formulata interamente
dagli USA, e non riguarda soltanto la libera circolazione dei beni, ma anche la
fissazione di regole su temi come investimenti, compere statali, proprietà
intellettuale, servizi. Regole che se fossero approvate, avrebbero le stesse
conseguenze del progetto difeso dall’alleanza USA/UE nella Rodada Doha della
OMC: elimineranno lo spazio e bloccheranno la possibilità di qualsiasi tipo di
progetto nazionale di sviluppo nazionale. Riassumendo, l’ALCA, nei termini
proposti dai nord-americani, significherà la consolidazione definitiva, nella
forma di un Accordo Giuridico irreversibile, di tutte le politiche praticate
negli anni ’90 dal governo Cardoso, responsabili della crisi e stagnazione
vissuta dall’economia brasiliana. E non c’è niente, né nessun argomento
capace di dimostrare che il Brasile non possa svilupparsi fuori dall’ALCA, o
di un accordo analogo con l’Unione Europea. Al contrario, è probabile che lo
riesca a fare in termini migliori, attraverso accordi bilaterali di commercio
con i paesi che rispondano agli interessi della produzione brasiliana.
III. Ed infine, in relazione all’FMI, ci sono due argomenti
base, a favore della rinnovazione con questo fondo. Il primo ha a che vedere con
la vulnerabilità estera dell’economia brasiliana e con la supposta
incapacità del governo di organizzarsi da solo e con le sue proprie riserve,
davanti ad una situazione critica di fuga di capitali. Il secondo ha a che
vedere con la supposta credibilità che l’FMI darebbe forza alla politica
economica del governo, attraendo investimenti esteri, nonostante che nei cinque
anni di tutela del Fondo Monetario Internazionale, questi, siano stati
declinanti. E ciò che è peggio, i dati sull’impegno dell’economia
brasiliana, in questo stesso periodo, sono estremamente sfavorevoli. Come nel
caso delle previsioni e promesse della Banca Mondiale in relazione ai benefici
del libero-commercio internazionale, anche in questo caso, le speranze e
promesse non si sono avverate. Al contrario, il tasso medio annuale di crescita,
nel periodo in cui il Brasile è stato sotto tutela del FMI, diminuì
sensibilmente se confrontato al periodo anteriore e restò nella casa del 1,7%
tra il 1999 e 2002, mentre la disoccupazione arrivava alla cifra del 13% e la
rendita della popolazione cadeva al 17%. Allo stesso tempo il debito pubblico
arrivava alle stelle, e le provviste del paese cadevano a 14,2 miliardi di
dollari. Chiunque faccia un’analisi di questi 5 anni dirà che sono stati un
disastro, e non c’è ragione per sperare che ci possano essere dei cambiamenti
in questo comportamento dell’economia, a meno che il Fondo cambi radicalmente
i suoi criteri sui vari punti fondamentali per la crescita dell’economia
brasiliana.
Per concludere, la cosa fondamentale in tutte queste
trattative è che il governo brasiliano mantenga chiaro quale sia l’interesse
principale del paese e che sappia mobilitare a suo favore gli appoggi interni e
le forze alleate estere indispensabili, in ognuna di queste arene, per
paralizzare ed invertire gli investimenti più truculenti del “blocco
ultra-imperialista” che ha sterzato a proposito dell’Iraq, ma che ha attuato
di forma unisona nella difesa dei suoi interessi economici, quando richiesi dal
“resto del mondo”.